una lettera a sostegno di papa Francesco

in 50 000 firmano per Francesco

di Thomas Seiterich
in “www.publikforum.de” dell’11 novembre 2017 

una lettera per esprimere sostegno a papa Francesco: chi la sottoscrive? Per ora lo hanno fatto più di 50 000 persone. L’iniziativa “Pro-Pope-Francis” è partita dal teologo pastorale viennese Paul Michael Zulehner e dal filosofo delle religioni ceco Thomas Halik. L’iniziativa viene presa in considerazione in Vaticano? Ce lo chiediamo.

“Stimatissimo papa Francesco”

– con queste parole comincia la lettera di sostegno. E così il tono è dato. Lo scarno testo, che si può leggere e comprendere in due minuti, si appella al mainstream della Chiesa cattolica. Il gruppo che viene sollecitato è quello delle persone “aperte” o, come dice Zulehner, è “alla maggioranza che finora è rimasta in silenzio” che si vuole dare con questa lettera di sostegno una possibilità di agire. Per questo è molto scarna e senza note a pié di pagina. Ma la situazione, secondo i proponenti Zulehner e Halik, è seria.

“(papa Francesco) le sue iniziative pastorali e il loro fondamento teologico vengono in questo periodo aspramente attaccate da un gruppo di persone nella Chiesa. Con questa lettera aperta esprimiamo la nostra riconoscenza per la sua conduzione coraggiosa e teologicamente fondata”.

L’iniziativa viene presa in considerazione dal papa? “Sì, si suppone di sì”, risponde padre Bernd Hagenkord, gesuita e direttore del settore di lingua tedesca di Radio Vaticana. Anche gli altri giornalisti vaticanisti interpellati da Publik-Forum a Roma annuiscono. Ma non danno molta importanza alla cosa. Perché? Cattolici conservatori e attivisti tradizionalisti dell’America sia meridionale che settentrionale hanno già da tempo raccolto numeri ancora più elevati di firme contro Francesco e la sua linea sui temi di matrimonio e famiglia. Bisogna che da Vienna venga ben altro! Molti quindi restano semplicemente in atteggiamento di attesa. Però per papa Francesco, attaccato dai conservatori, è utile l’iniziativa di Zulehner e Halik, il cui numero di sottoscrittori cresce di più di 2000 al giorno. L’attacco dei conservatori in Vaticano ha come bersaglio fondamentalmente la nota 352 dell’esortazione post-sinodale di Francesco Amoris laetitia. Perché in quella nota il papa spiana la strada in molti “casi particolari” alla possibilità che divorziati e risposati cattolici possano fare la comunione. Tuttavia la luna di miele tra i media a Francesco, che è durata sorprendentemente a lungo, sembra avvicinarsi alla fine. Molti giornali – come la Frankfurter Allgemeine Zeitung o il New York Times – danno la precedenza ai critici del papa. E anche se non è un fatto straordinario che un papa progressista si trovi confrontato a una ondata di protesta globale da parte di ecclesiastici di destra, il cambiamento di atteggiamento dei media lascia intendere quanto sia conflittuale la situazione a Roma. Tanto più che Francesco non manda alcun segnale di annullamento della linea di apertura della Chiesa sotto la sua guida. Come si va avanti? Quasi completamente senza alcuna organizzazione, l’iniziativa viennese raccoglie ogni giorno molti nuovi simpatizzanti. Il 9 novembre ha firmato il primo vescovo ausiliare tedesco, Matthäus Karrer di Rottenburg-Stoccarda. E accanto a Suor Lea Ackermann, a Pierre Stutz, al politico dei Verdi Volker Beck, all’editore di Publik-Forum Wolfgang Thierse e a Thomas Sternberg, presidente del Comitato Centrale dei cattolici tedeschi, c’è anche la firma del vicario generale della diocesi di Essen, Klaus Pfeffer.

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la ‘giornata mondiale dei poveri’ e le enormi spese per le armi

disarmo integrale

l’impegno per la pace deve diventare prassi pastorale

domenica prossima, 19 novembre, è la prima Giornata mondiale dei poveri. Può essere l’occasione per ricordare che le enormi spese militari sottraggono risorse proprio ai più poveri. Oggi la ricchezza di otto persone (8 di numero!) è pari alla ricchezza del 50% della popolazione mondiale! E sicuramente le folli spese militari sono tra le cause della povertà. Per dirla con don Tonino Bello: dobbiamo “amarci” e non “armarci”

Succede spesso. Lo dobbiamo ammettere. Spesso si fanno i convegni, si torna contenti e soddisfatti. E i documenti finiscono nel cassetto… Credo che non si possa dire così della conferenza a cui ho partecipato lo scorso 10-11 novembre “Prospettive per un mondo libero delle armi nucleari e per un disarmo integrale”, promossa dal Dicastero vaticano per il servizio dello sviluppo umano integrale. Questo incontro che ha ribadito con fermezza un “no” alle armi nucleari ha avuto un grosso stimolo proprio da Papa Francesco che, ricevendo in udienza i circa 350 partecipanti, ha detto:

“Anche considerando il rischio di una detonazione accidentale di tali armi per un errore di qualsiasi genere, è da condannare con fermezza la minaccia del loro uso, nonché il loro stesso possesso, proprio perché la loro esistenza è funzionale a una logica di paura che non riguarda solo le parti in conflitto, ma l’intero genere umano”.

Il testo integrale del discorso del Papa è facilmente reperibile su Internet. Ora sta a tutti noi, non solo ai partecipanti al convegno, dare gambe e tradurre in scelte questa “condanna” di Francesco, che si inserisce in un cammino più grande del magistero della Chiesa, dalla Pacem in Terris, alla Gaudium et Spes.

Sappiamo bene come il tema della pace, declinato come “no” alla guerra, alla produzione e vendita armi (vedi messaggio alla Settimana sociale di Cagliari) siano un punto fisso del magistero di Francesco. E sappiamo che l’Italia non ha aderito al Trattato firmato lo scorso 7 luglio all’Onu. Dobbiamo chiedere con forza al governo italiano di aderire! E sappiamo anche che sul territorio italiano a Ghedi e ad Aviano sono presenti decine  di testate nucleari ben più potenti di quelle di Hiroshima. 

Il lavoro non manca e il convegno appena concluso è una tappa, fondamentale, di un cammino già iniziato sia dalla Santa Sede sia da tutte quelle persone, gruppi, movimenti e associazioni che da anni si impegnano per un disarmo nucleare e integrale, per un mondo libero dalle armi.

Non a caso erano presenti 11 premi Nobel, compresa la rappresentante di Ican, premio Nobel per la pace 2017. Una tappa. Ma non un traguardo raggiunto. Il cammino continua. Per questo il convegno non va archiviato. Ma deve diventare spunto per una ripresa del cammino anche nelle scelte pastorali. Spesso questi temi sono assenti dai dibattiti delle nostre parrocchie. Non sono temi affrontati nelle catechesi, negli incontri di riflessione e formazione. Spesso si rischia di dire che Papa Francesco dice delle belle cose… Ma poi lo si lascia solo. Ecco allora che ognuno deve proseguire questo percorso nella propria realtà e nel proprio territorio.

L’impegno per la pace – la denuncia delle armi nucleari – deve diventare prassi pastorale. Non può restare un impegno di nicchia solo per qualcuno. La pace deve diventare l’impegno di tutti i credenti… Ben sapendo che “Cristo è la nostra pace”.

 

“Le armi di distruzione di massa, in particolare quelle atomiche – ha affermato papa Francesco -, altro non generano che un ingannevole senso di sicurezza e non possono costituire la base della pacifica convivenza fra i membri della famiglia umana, che deve invece ispirarsi ad un’etica di solidarietà”. Non dimentichiamo che pochi giorni fa il Papa parlava di armi e guerra come di “suicidio dell’umanità”.

(*) coordinatore nazionale di Pax Christi

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una chiesa clericale e addormentata quella italiana – parola del card. Bassetti

il card. Bassetti scuote la Chiesa italiana:

“troppo clericale, dobbiamo svegliarci

sull’Osservatore Romano l’elogio di don Benzi: “Fu uno schiaffo a una società ipocrita”

ANDREA ACALI

Il cardinale Gualtiero Bassetti

Il cardinale Gualtiero Bassetti
“La Chiesa italiana è in una fase felice ma vedo anche un po’ di stanchezza. Il nuovo dell’Evangelii Gaudium tarda a spuntare perché quella italiana è una Chiesa abbastanza clericale“. Lo ha detto il presidente della Conferenza episcopale italiana, il card. Gualtiero Bassetti, in un’intervista a InBlu Radio, il network delle radio cattoliche della Cei, ospite del programma ‘Pastori, incontri con i vescovi italiani’ condotto da Sergio Valzania in onda ogni sabato e domenica alle ore 18.30. L’arcivescovo di Perugia, che questa mattina è stato ricevuto da Papa Francesco, ha aggiunto che “Si viene da una mentalità pregressa in cui la Chiesa era il parroco o il vescovo. Anche le persone formate come collaboratori erano figli di questa mentalità. Se era clericale il parroco lo erano anche i suoi collaboratori. Ciascuno era terribilmente attaccato al proprio ruolo e al proprio ministero. Quando in passato cambiavo un parroco mi veniva detto: ‘Può cambiare anche il parroco ma qui si è sempre fatto così’. E proprio il conservatorismo è una nota tipica di noi italiani. In questo modo si fa più fatica a far emergere il nuovo. Le giovani generazioni hanno delle grandi difficoltà. Nel volontariato, infatti, ci sono tanti anziani ma pochi giovani”.

La sinodalità

“La parola sinodalità – ha ricordato il card. Bassetti – in greco significa ‘andare sulla stessa strada’ ed è il contrario del clericalismo. La mentalità clericale è ‘io ho il compito di parroco, vescovo, catechista, animatore e questo è il mio campo’. Sinodalità vuol dire condividere insieme i doni, carismi, ministeri. Le membra della Chiesa devono essere infatti in armonia tra di loro. Spesso è più facile racchiudersi nelle proprie idee. La sinodalità richiede dunque il superamento del clericalismo. In Italia serve una Chiesa non dove alcuni hanno molti ministeri, e purtroppo siamo ancora a questo livello, ma dove molti hanno pochi ministeri in modo da poterli fare bene e in armonia tra loro”.

Immigrazione

Il cardinale poi ha parlato dell’immigrazione che a suo avviso “non è solo un problema ma soprattutto una risorsa. Presenta degli aspetti di problematicità perché siamo di fronte ad un fenomeno di masse umane in movimento. Non dobbiamo però fermarci alla corteccia del fatto. Dobbiamo cogliere più che la problematicità, l’aspetto di novità e risorsa. Il fenomeno migratorio – ha ricordato il card. Bassetti – c’è sempre stato nell’umanità, fin dai tempi di Abramo. I quattro verbi che ci ha dato Papa Francesco parlando dell’immigrazione sono quattro azioni da mettere in pratica: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Sono le sfide del mondo di oggi. L’accoglienza e la protezione della persona umana sono il pulsante del cuore della carità cristiana. La promozione e l’integrazione di una persona sono il fulcro vitale di una società che non si dimentica di nessuno. Il fenomeno dell’immigrazione va accolto. Allo stesso modo capisco che una società civile che ha delle regole da rispettare, deve anche proteggere queste persone dai luoghi di provenienza attraverso corridoi umanitari e favorendo delle condizioni per cui non tutti siano costretti a partire. L’Italia – ha sottolineato – è un Paese accogliente e si sta distinguendo da tutto il resto dell’Europa. Di questo non possiamo fare altro che ringraziare la Provvidenza”.

Secolarizzazione

Il presidente dei vescovi italiani ha quindi affrontato il tema della secolarizzazione: “E’ un fenomeno che in parte è ancora in atto ma non credo che oggi sia il principale dei problemi. Il principale problema è quello dell’annuncio della fede. Trovare i canali giusti per portare la buona notizia del Vangelo. È vero che è un mondo secolarizzato ma è anche un mondo che rischia di chiudersi nelle sue povertà. Oggi ci sono anche delle condizioni nuove per annunciare il Vangelo, in situazioni inaspettate. Vedo che si avvicinano delle persone che erano in conflitto con la Chiesa, vengono perché sentono come una sete che li porta a ricercare il bene e il meglio. È una sete di Dio. Viviamo dunque in un mondo secolarizzato ma anche assetato di Dio. Dobbiamo svegliarci tutti dal sonno – ha concluso il card. Bassetti – e metterci in cammino. Non si deve avere paura di sporcarsi le mani. Bisogna affrontare tutte le situazioni. Tutto ciò che riguarda, nel bene e nel male, gli uomini è benedetto da Dio”.

Il ricordo di don Benzi

Lo stesso cardinale Bassetti ha anche ricordato in un articolo per la rubrica “Dialoghi” sul Settimanale dell’Osservatore Romano in edicola oggi l”impegno di don Oreste Benzi per le donne vittime della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione, “le nuove schiave”. E’ stato “uno schiaffo in pieno volto a una società ipocrita, che non solo chiude gli occhi davanti a un tale scempio, ma ne fa un mercimonio nel buio, nel segreto inconfessabile di una passione avida e ricattatoria”: così il presidente della Cei ha ricordato il fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII a dieci anni dalla morte.  “Come diceva don Oreste – ha scritto ancora – ‘nessuna donna nasce prostituta, ma c’è sempre qualcuno che ce la fa diventare’. Incontrandole con il suo rosario in mano, ha salvato dal racket della prostituzione circa settemila donne”. Per il cardinale Bassetti, don Oreste Benzi, è stato “il prete degli ultimi, il sacerdote ‘dalla tonaca lisa’, un Filippo Neri dei nostri tempi”. Una nota della diocesi di Perugia spiega anche il significato del titolo dell’articolo, il “legno di Gesù“. E’ un diretto riferimento al regalo “inaspettato” che i ragazzi della cooperativa sociale “Ro’ la formichina” della Comunità Papa Giovanni XXIII hanno fatto a Bassetti, un pastorale fatto con il legno recuperato dalle carcasse dei barconi dei migranti che porta la scritta “È un legno che ha portato tanta sofferenza, tanta speranza, proprio come il legno della croce di Gesù”. Don Benzi – ha sostenuto ancora il cardinale – “ha conosciuto questa sofferenza e questa speranza, abbracciando gli ultimi e poveri, per amore a Cristo”. In quel pastorale vi sono dunque “due grandi messaggi: il primo riguarda l’eredità spirituale di don Benzi; il secondo si riferisce al ruolo della Chiesa nell’Italia odierna”.

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per capire Dio occorre diventare le sue mani nel mondo

immagini di Dio

dall’Altissimo al papà

 da: Adista Segni Nuovi n° 39 del 11/11/2017
 
 “Non sarebbe bello un Dio di cui ci accorgiamo dì essere mani, che, per esistere fra noi ha bisogno delle nostre mani, che vive nel ‘condividere’ il necessario alla vita e nella ‘gioia’ che ha la sua radice nel servire e nel saziare ogni vivente?”

Tenetevi pure, cari cultori del Dio-Altissimo, il vostro Altissimo Dio! È un Dio che vuole essere adorato perché si vede che gli manca qualcosa che deve venire dalle proprie creature, che sono tenute a farlo; che vuole essere ringraziato per quello che le sue creature ricevono non da Lui, ma dalle altre sue creature; che vuole essere placato perché le creature create da Lui non gli sono riuscite bene e ne combinano di tutti i colori; che vuole essere pregato per inchinarsi verso di loro quando esse non ne hanno bisogno, ma quando esse hanno bisogno di Lui, eccolo zitto, a far raccontare ai suoi galoppini-sacerdoti che l’aiuto arriverà quando loro guarderanno l’erba dalla parte delle radici.

Io, di questo Dio, non so cosa farmene: è lontano, freddo; con tutta l’onnipotenza che Gli viene attribuita, riesce a lasciare nella sofferenza, nel dolore, uno sterminato numero di sue creature. Mi dicono che, oltre ad essere onnipotente, è anche buono. Sarà vero, ma io non me ne sono accorto, soprattutto quando nella mia esperienza incontro il dolore innocente, i piccini seguiti dalla Lega del Filo d’Oro; le vittime del nostro ordine costituito, che lascia morire migliaia di piccini ogni giorno mentre lo spread sale e scende; la violenza blasfema che i ricchi impongono legalmente ai poveri e che gli uomini in generale praticano sulle bestioline, delle quali si sentono padroni e che straziano, dimenticando che anch’esse sono esposte al dolore… Questo Dio dicono anche che sia un Dio geloso, che esige di essere scelto fra tutti gli altri Dio concorrenti; e che non disdegna il fatto che delle Sue creature, a causa della loro fedeltà a Lui, debbano subire il martirio da parte di altre Sue creature che hanno scelto la concorrenza!

Questo era il Dio che mi era stato raccontato, e dal quale sto ancora cercando di liberarmi, e ci sono quasi riuscito. Sono andato a scuola dai portatori delle malattie genetiche; ho preso lezioni nelle aule di oncologia pediatrica; mi sono tenuto in contatto con quelle creature che stanno sperimentando sulla loro pelle i frutti sia del capitalismo che della fantasia creativa del Creatore, che si è degnato di creare, oltre a loro, i virus, il cancro, la lebbra, i bacilli della Tbc, della meningite e via di seguito, per far sperimentare loro le delizie dell’esistere.

Allora mi sono convertito ad un altro Dio, ho creduto in quello che mi ha detto Gesù, e mi sono trovato un Padre, un Papà. Questo Papà, col quale rifletto ogni tanto, abita dentro me stesso; dell’adorazione, del ringraziamento non Gliene cale niente; vuole che noi ringraziamo coloro che ci hanno fatto del bene; che chiediamo perdono a coloro che noi abbiamo offeso, e che ripariamo al danno; che ci vogliamo bene fra noi come Lui ci ama. Mi sembra di aver capito che Lui sia più felice quando io non penso a Lui, ma alle creature che incrocio intorno a me, alle quali Lui vuol far arrivare il Suo amore. Questo succede perché, se io non mi faccio mano del suo amore per loro, loro sperimentano il Suo silenzio e l’inferno della Sua assenza. Questo Papà, infatti, non è affatto onnipotente; direi quasi che è onnidebole! Quando io soffro vedendo soffrire le altre creature, le minime incluse, io voglio pensare di averlo accanto a me a soffrire. Quando mi scandalizzo per la tragedia di un Creato che è tutta una lotta, una violenza, una ingiustizia blasfema, nella quale gli uni per vivere devono far morire altre vite; quando mi è insopportabile vedere la crudeltà indifferente degli uomini sulle bestioline e delle bestioline fra di loro; quando mi sento soffocare in questo nostro mondo che può servire da modello per costruire l’inferno, dato che esso è ancora pieno di viventi che torturano altri viventi, che violentano, rapinano, lasciano morire gli scarti del sistema e i piccini della favela; quando io provo tutto questo penso che esso sia condiviso anche da Lui, dal mio Papà, dato che i figli assomigliano ai padri, e che sono anche la continuità dei padri stessi.

Quando io non mi voglio rassegnare al fatto che la morte sia strutturale alla vita, che la vita sia una lotta per la vita, che, per vivere, sia necessario distruggere altra vita, mi viene di pensare che questi siano anche i Suoi pensieri ed i Suoi desideri.

Mi sento un atomo del Suo pensiero e della Sua volontà. Mi sento che Lui c’è dove c’è, e non c’è dove non c’è. Mi sento che dove non c’è è necessario darGli esistenza perché ci sia. Quando mi lascio prendere dalla malinconia per il procedere inesorabile del tempo, per l’esistenza che si spegne, che sfiorisce, che ci abbandona o per il tutto o per il nulla, io penso che questa sia anche una Sua esperienza.

Quando mi trovo ostaggio della compassione per il dolore, la sofferenza, la miseria universali, spero di essere, di far parte del pensiero e del cuore di un Padre che, se non fosse come Lo penso, andrebbe creato e fatto esistere come io lo penso.

E non sarebbe bello se fossero anche gli atei, se fossero persino gli atei, però quelli che vivono l’amare e il condividere nella dimensione del gratuito, a dare vita a Dio e a vedere in Lui il loro Papà, a vedere in Lui la radice della loro compassione, che include il sentirsi compagni delle vittime, e l’impegnarsi perché ogni vivente possa avere il necessario e la gioia?

Non sarebbe bello un Dio di cui ci accorgiamo dì essere mani, che, per esistere fra noi ha bisogno delle nostre mani, che vive nel “condividere” il necessario alla vita e nella “gioia” che ha la sua radice nel servire e nel saziare ogni vivente?

* Mario Mariotti è da oltre 40 anni attivista sociale e studioso dei rapporti tra Nord e Sud del mondo

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italiani ed europei disumani – lo dice l’ONU

“l’accordo con la Libia è disumano”

l’Onu contro la Ue

il commissario per i diritti umani Zeid Ràad al Hussei:

“la sofferenza dei migranti detenuti è un oltraggio alla coscienza dell’umanità”

L’Onu giudica “disumana” la cooperazione tra l’Unione europea e la Libia per la gestione dei flussi dei migranti. “La sofferenza dei migranti detenuti in Libia è un oltraggio alla coscienza dell’umanità”, ha affermato il capo dell’agenzia Onu per i diritti umani, Zeid Ràad al Hussein. “La politica dell’Unione Europea di assistere la Guardia costiera libica nell’intercettare e respingere i migranti nel Mediterraneo è disumana”, ha aggiunto il funzionario dell’Onu.  

 

“La comunità internazionale non può continuare a chiudere gli occhi davanti agli orrori inimmaginabili sopportati dai migranti in Libia – ha detto Zeid – e pretendere che la situazione non possa essere regolata che attraverso un miglioramento delle condizioni detentive”.  

Gli osservatori dell’Onu in Libia – ha denunciato l’Alto commissario Onu per i diritti umani – “sono rimasti scioccati da ciò che hanno visto: migliaia di uomini denutriti e traumatizzati, donne e bambini ammassati gli uni sugli altri, rinchiusi dentro capannoni senza la possibilità di accedere ai servizi più basilari”.  

Di questa vergogna l’Ue e gli stati membri sono complici “per non aver fatto nulla per ridurre gli abusi perpetrati sui migranti”. Ciò nonostante “le preoccupazioni espresse dai gruppi per i diritti umani” sul destino dei prigionieri.

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anche la ‘gentilezza’ ha la sua giornata – segno che ce n’è bisogno

13 novembre
giornata mondiale della gentilezza
Dire grazie o dare una carezza, il valore grande di piccoli gesti virtuosi
Parole e abitudini nel mondo, dal caffè sospeso italiano all’Ubuntu in Sudafrica
La gentilezza sta nei piccoli gesti, in quel modo di essere e relazionarsi con gli altri con la massima umanità. Il 13 novembre ricorre la Giornata mondiale della gentilezza, una ricorrenza nata dall’iniziativa di gruppi umanitari e dalla loro Dichiarazione della gentilezza risalente al 13 novembre 1997, ricorrenza osservata dal 1998 da Canada, Giappone, Australia, Nigeria, Emirati Arabi Uniti, -dal 2009- da Italia, India e Singapore e dal 2010 da Gran Bretagna. Sono stati i giapponesi a promuovere questa iniziativa: la giornata è nata in Giappone grazie al Japan Small Kindness Movement, fondato nel 1988 a Tokyo, dove due anni prima si era costituito un primo gruppo di organizzazioni riunito nel World Kindness Movement (Movimento mondiale per la Gentilezza). 
 
Una giornata non cambia gli stili di vita è chiaro ma ha il valore di accendere una luce per riflettere sull’importanza della gentilezza e sul circolo virtuoso che innesca. Compiere un atto gentile ci rende, infatti, più felici. Chi è felice tende poi a sua volta a essere gentile con gli altri. Dire grazie, prego, scusa, per favore va infatti al di là della buona educazione per diventare atteggiamento e modo di essere. 
 
– Se vuoi essere amato, ama e sii amabile diceva Benjamin Franklin 
– Tre cose sono importanti nella vita umana: la prima è essere gentili, la seconda è essere gentili e la terza è essere gentili (cit. Henry James);
– Dove c’è l’educazione non c’è distinzione di classe (cit. Confucio)
 
Da circa 20 anni il 13 novembre le persone sono incoraggiate a fare la propria, personale dichiarazione di gentilezza: regalando libri, cibo o vestiti agli altri membri della comunità.
 
Abitudini, tradizioni e celebrazioni
 
La Giornata della gentilezza si festeggia in modi diversi in tutto il mondo. Alcuni organizzano flash mob, altri partecipano invece ad eventi caritatevoli. La ricorrenza viene celebrata negli Stati Uniti, in Italia, Emirati Arabi, India, Singapore, Nigeria, Giappone, Australia e Canada. In ogni luogo, però, ad essere al centro dell’attenzione sono sempre i piccoli gesti, come aprire la porta a uno sconosciuto, aiutare un vicino, lasciare al partner il controllo del telecomando per una sera o pagare il caffè a un amico. Ecco dall’app per le lingue Babbel una ricerca su come ‘si festeggia’ la gentilezza nel mondo.
 
In Italia risale ad almeno un centinaio di anni la tradizione, tutta napoletana, de ‘o cafè suspiso. In cosa consiste? Ci si prende un caffè al bancone, poi si va alla cassa e se ne pagano due invece che uno. In questo modo, chi non può permetterselo può entrare al bar e chiedere se per caso ci sia un “caffè in sospeso”, disponibile e gratuito. Le due persone coinvolte non si incontrano mai, è vero, ma in qualche modo gustano un caffè assieme. Da qualche anno poi, con l’inizio della crisi, questa bella tradizione sembra essersi diffusa in tutta Italia, approdando addirittura nei bar di altri paesi europei.
 
Altri esempi di gentilezza nel mondo:
 
Giappone 
La senbetsu è la tradizione nipponica di fare un regalo a qualcuno alla vigilia di un viaggio. Allo stesso modo, però, è anche un dono d’addio per chi se ne sta andando o sta cambiando lavoro. Dietro questo gesto c’è la consapevolezza della difficoltà che ogni grosso cambiamento comporta. Un mazzo di fiori, quindi, ha il compito di addolcire il passaggio alla prossima tappa. Non è solo un atto di gentilezza, ma anche un buon augurio per il futuro!
 
Israele
 
La tradizione del Mishloach Manot (“dare una porzione”) prevede che, in occasione di Purim, ogni persona di religione ebraica che abbia già celebrato il suo Bar o Bat Mitzvah doni almeno due diversi tipi di pietanze per la festa. A finire nel cesto di Purim sono solitamente vino e dolci, specialmente i biscotti triangolari chiamati hamentashen. Grazie a questa mitvah (“buona azione”) tutti hanno così abbastanza da mangiare in occasione della festa.
 
Myanmar
Circa l’1% della popolazione del Myanmar è formata da monaci buddisti. La loro sopravvivenza dipende in gran parte dalle donazioni, siano queste in forma di cibo o denaro. I monaci condividono poi il cibo ricevuto con i poveri, offrendo ciotole di riso al curry ai più bisognosi. Questo circolo del dare e ricevere è valso al Myanmar il titolo di “Nazione più caritatevole del mondo”, conferitogli dalla CAF (Charities Aid Foundation) ed è la dimostrazione che, nonostante l’elevato tasso di povertà che contraddistingue il paese, la generosità non ha a che fare solo con la ricchezza: è tutta una questione di buon cuore.
 
Spagna
Le persone che ogni anno percorrono, in tutto o in parte, i circa 800 chilometri che formano il Cammino di Santiago compiono uno dei pellegrinaggi più popolari della tradizione cattolica. Lungo il tragitto, sono numerosissimi i gesti di gentilezza che vengono abitualmente destinati ai pellegrini: dai rifugi a basso costo o gratuiti; agli abbracci gratis, dati e ricevuti; fino all’offerta di acqua pulita. Bodegas Irache, un ex monastero lungo la strada, si spinge però ancora più in là, offrendo a camminatori e ciclisti del vino “per fare un brindisi alla felicità”.
 
Sudafrica
L’Ubuntu è una filosofia sudafricana, molto nota e seguita anche in Malawi e Zimbabwe, che definisce il senso di umanità attraverso i rapporti umani e la gentilezza che dimostriamo al nostro prossimo. Ci ricorda, infatti, che ogni essere umano è parte di un legame universale e che quindi siamo più forti quando lavoriamo assieme piuttosto che da soli. Per questo motivo, chi segue l’Ubuntu accoglie sempre con benevolenza anche i viaggiatori sconosciuti che si avventurano in quella regione del mondo. Commemorando Nelson Mandela, l’ex presidente americano Barack Obama ha utilizzato la parola Ubuntu per descrivere il modo in cui Mandela ha vissuto la propria vita: nel segno del perdono, della compassione e dell’amore per gli altri, anche per quelli che gli avevano fatto del male. Regola di vita basata sul rispetto e gentilezza, l’Ubuntu continua a crescere e a diffondersi in tutta l’Africa e nel mondo.
 
Filippine
Nella lingua locale esiste una parola per definire l’azione di aiutare coloro che si trovano in una situazione di bisogno temporaneo. Il termine tulong può però assumere molte forme diverse: dalla condivisione di cibo, alle offerte in denaro o di un letto per dormire. Pur essendo nato come un gesto solidale tra membri della stessa famiglia (per esempio, in seguito alle migrazioni interne tra un’isola e l’altra), con il passare del tempo il suo significato si è evoluto includendo diversi tipi di sostegno, oltre che regali ai non appartenenti alla famiglia. Per esempio, il Tulong-aral è un gesto di aiuto specifico che riguarda l’istruzione. Il tulong ha inoltre giocato un ruolo tangibile dopo l’ondata di disastri naturali (i recenti tifoni, terremoti ed eruzioni) che hanno provocato disagi a migliaia di persone nelle diverse isole dell’arcipelago filippino.
 
Cina
Il Mudita è l’esatto opposto dell’invidia e della meschinità. È la felicità che proviamo quando qualcun altro è baciato dalla fortuna e, secondo la tradizione buddista, è la pratica (attenzione, parola-chiave!) della gioia altruistica. Anche il termine yiddish naches ha un significato simile. Praticare il mudita attraverso la meditazione e la consapevolezza porta a un apprezzamento degli altri come esseri “ricchi di sfumature” ed è uno dei prerequisiti per raggiungere l’Illuminazione. Le manifestazioni del mudita includono la celebrazione della realizzazione personale di un amico oppure l’atto di trasmettere conoscenze ai propri sottoposti in ambito lavorativo.
 
Online / internazionale
 
Reddit’s Random Acts of Pizza è un sito da cui si può ordinare e far consegnare a casa di qualcuno del cibo, senza alcun motivo specifico. A volte il donatore ottiene qualcosa in cambio, per esempio un’opera d’arte creata da chi ha ricevuto la pizza. L’idea di fondo, però, è quella di donare semplicemente perché ce lo si può permettere. È davvero semplice e, cosa ancora più sorprendente, dimostra che gli sconosciuti su internet sono capaci di compiere atti di gentilezza.
 
Italiano: Giornata della Gentilezza
Tedesco: Welt-Nettigkeitstag
Spagnolo: Día de la Bondad
Francese: Journée de la gentillesse
Portoghese: Dia da Bondade
Svedese: Snällhetsdagen
Turco: Dünya İyilik Günü
Indonesiano: Hari Kebaikan Dunia
Russo: Den’ dobroty День доброты
Danese: Venlighedsdag
 
In realtà, il 13 novembre è il giorno clou della Settimana Mondiale della Gentilezza, che in tutto il mondo viene dedicata alla divulgazione di quel che davvero significa essere gentili. E cioè comportarsi in modo da mettere al centro la cura e l’attenzione per gli altri.
 
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Sai davvero cos’è la gentilezza? Innanzitutto, è cortesia, buona educazione, buone maniere . Dire grazie, per favore, prego, scusa. Ma non basta. Gentilezza è anche essere una brava persona: altruista, generosa e disponibile con gli altri, in modo disinteressato. 
La gentilezza fa bene non solo a chi la riceve, cioè a tutti coloro che ti stanno intorno, ma soprattutto a chi la fa . Per riflesso sicuramente, ma anche per appagamento del tuo senso del dovere. Per di più fa bene anche al tuo cuore, rendendoti sereno e rilassato! 
Ecco quindi tanti motivi in più per imparare a praticarla senza sforzi e con un po’ di attenzione verso il prossimo. E non solo nel giornata mondiale della gentilezza ma ogni giorno della tua vita.
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un papa dalla grande “potenza semiotica” – un libro di due professori di semiologia

papa Francesco

un papa “pop” dalla grande “potenza semiotica

intervista a Paolo Peverini e Anna Maria Lorusso, curatori del libro “Il racconto di Francesco”

in anteprima alcuni dettagli sul portale unico dei media vaticani

Papa Francesco è un “Papa pop”, un “Papa leader” che “produce senso”, che comunica “semplicità”, rivelando una grande “potenza semiotica”. Jorge Mario Bergoglio, a quasi cinque anni dall’elezione al soglio di Pietro, è stato capace di “ridefinire alcune aree di senso della cristianità e forse del più generale vivere insieme”. È questo che sottolinea il libro appena pubblicato dalla Luiss University Press

“Il racconto di Francesco. La comunicazione del Papa nell’era della connessione globale”

che sarà presentato per la prima volta alla stampa giovedì 9 novembre nella sede romana della Rai, nella Sala degli Arazzi di viale Mazzini, alla presenza del presidente Rai, Monica Maggioni, e del prefetto della Segreteria per la comunicazione della Santa Sede, mons. Dario Edoardo Viganò.

Il Sir ha incontrato in anteprima i due curatori del volume, i semiologi Paolo Peverini (Università Luiss “Guido Carli”, consultore per la Segreteria per la comunicazione) e Anna Maria Lorusso (Università di Bologna), che coinvolgendo altri noti studiosi – tra cui Ruggero Eugeni, Isabella Pezzini e Maria Pia Pozzato – hanno realizzato un’attenta analisi della comunicazione di Papa Francesco, offrendo una prospettiva inedita d’indagine grazie agli strumenti della Semiotica.
Tra le particolarità della pubblicazione c’è un’importante esclusiva: nel suo saggio Peverini, nell’approfondire la comunicazione del Pontefice, richiama alcuni aspetti del nuovo portale unico dei media della Santa Sede, in corso di messa a punto con la riforma, avendo potuto visionare il progetto grazie alla Segreteria per la comunicazione.

Anzitutto il libro, “Il racconto di Francesco”. Nel testo sottolineate come Papa Francesco rappresenti un’occasione particolarmente “ghiotta” per la semiotica.
Papa Francesco è dal nostro punto di vista una specie di potente “macchina semiotica”. Tutti noi, in quanto soggetti umani, siamo macchine semiotiche, nel senso che produciamo senso continuamente, inevitabilmente, talvolta inconsapevolmente, con tutto il nostro fare (non solo quando parliamo ma quando ci vestiamo, gesticoliamo, fotografiamo, etc.). In Papa Francesco, però, è come se le diverse dimensioni della comunicazione assumessero piena visibilità; la sua capacità di ridare significatività e attenzione a modi di essere spesso non marcati, percepiti come casuali (dove si abita, come si telefona, che scarpe si indossano…), è davvero straordinaria e

il modo in cui riesce a far convivere spontaneità e coerenza (quasi programmatica) potrebbero essere una lezione per tutti coloro che si chiedono, a tavolino, come si realizza una comunicazione strategica.

Di fatto il suo modo di comunicare rinnova i codici della comunicazione istituzionale e rituale quasi a ogni passo; il suo modo di restare in equilibrio fra rinnovamento continuo e riconoscibilità, fra immediatezza e carismaticità, costituisce a nostro avviso un caso piuttosto unico di comunicazione pubblica.

 

 

È molto interessante, di fatto unica, la prospettiva che offrite nel tratteggiare la comunicazione di Francesco, concentrandovi su come il Papa ridefinisce alcune aree di senso della cristianità.
La domanda da cui siamo partiti, nel riflettere su Papa Francesco, aveva sostanzialmente a che fare col suo “successo”, ovvero col fatto che fosse riuscito in poco tempo a ridare credibilità alla Chiesa, a conquistare il consenso di fasce anche non cattoliche di popolazione, che fosse riuscito a stabilire un legame “diretto” con la gente. Tutto ciò ha a che fare certamente col suo modo di comunicare, ma in un senso molto più radicale ed esteso di quanto “comunicazione pubblica” possa far intendere. Si trattava per noi di indagare il suo modo di essere tout court, anche quando apparentemente non comunica (certe scelte pragmatiche ad esempio, come indossare un determinato orologio o un certo crocifisso) o anche quando non è lui direttamente il responsabile di un certo discorso sulla Chiesa (come nella gestione dei film su di lui) o quando si affida alla sua rete mediatica vaticana. Attraverso questa riflessione a 360° ci siamo resi conto che la grandezza semiotica di Papa Francesco consiste proprio in una cifra ricorrente, che ridefinisce certi spazi, certi riti e certe pratiche della cristianità.

Papa Francesco riesce a rinnovare la Chiesa standoci dentro; ne rispetta i riti ma li reinterpreta (ad esempio, iniziando il suo primo discorso con il famoso “Buonasera!”), ne rispetta gli spazi ma preferisce percorsi marginali (Santa Marta…), sceglie di immergersi fra la gente ma conserva e anzi accresce il suo carisma. Il suo modo di rinnovare il ruolo papale ha a che fare con la sintesi degli opposti, non con l’esclusione e la frattura.

Perché Papa Francesco è considerato “pop”?
Ci sono tante ragioni per cui possiamo definire Papa Francesco “pop”. È pop perché ricorre a un linguaggio irrituale, perché è in grado di declinare contenuti complessi in forme brevi (si pensi al grande successo dei suoi messaggi su Twitter), manifesta curiosità nei confronti di forme attuali di autorappresentazione come i selfie. Privilegia il contatto diretto con l’interlocutore scegliendo il mezzo del telefono; valorizza modi di dire diretti e azioni di vita quotidiana, come l’andare nei negozi. Allo stesso tempo, tuttavia, Papa Francesco riesce a declinare il suo messaggio all’interno di grandi eventi mediali come il discorso tenuto in lingua spagnola in occasione del Super Bowl e incentrato sui valori della pace, dell’amicizia e della solidarietà.

È pop perché alla sacralità che crea distanza preferisce modi espressivi che non solo riducono le distanze ma mirano all’inclusione. È pop perché è amato dalla gente, perché la gente lo sente vicino, lo sente “uno di loro”, in una strana unione tra carisma e normalità.

In ultimo, avete avuto una straordinaria opportunità, la possibilità di visionare e studiare in anteprima il nuovo portale dell’informazione vaticana (SpC) che verrà lanciato nei prossimi mesi. Cosa ci potete svelare?
Grazie alla disponibilità della Segreteria per la comunicazione e in primo luogo del prefetto, mons. Dario Edoardo Viganò, abbiamo avuto l’opportunità preziosa di visionare in anteprima una prima versione (tuttora in fase di evoluzione) del nuovo portale dell’informazione. Da studiosi, quello che ci interessava era in primo luogo prendere in esame la correlazione tra i valori a fondamento del pontificato di Francesco e l’esordio del nuovo portale, un’operazione di portata strategica mirata per la prima volta a riunificare tutti i media della Santa Sede in un’unica struttura fondata sulle logiche dell’efficienza e della convergenza mediale. Secondo questa prospettiva, l’aspetto che ci sembra più significativo è che

il nuovo portale si fonda sul tentativo di operare una sintesi tra la dimensione “apostolica” e quella “informativa”.

Al suo fondamento ci sarebbe cioè una strategia di comunicazione volta a ridurre la distanza con il destinatario, ribadendo l’esigenza della vicinanza all’altro, del dialogo multiculturale e interreligioso. L’invito all’inclusione, all’incontro, temi centrali nell’idea di Chiesa sollecitata e prefigurata da Francesco sin dalla sua elezione al soglio di Pietro, vengono declinati in modo esplicito nel nuovo portale, assumendo un valore simbolico che trascende la dimensione dell’usabilità (i cui criteri sul piano tecnico sono stati in ogni caso ampiamente rispettati).

 

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al di là dello ‘ius soli’ – una cittadinanza ampia come il mondo

la cittadinanza globale

 

“Il riconoscimento dello ius soli non è che il primo passo (per alcuni addirittura superato) di un processo, già in atto nei fatti, di universalizzazione della cittadinanza. I cittadini del terzo millennio hanno infatti una percezione dell’appartenenza che ha come orizzonte il mondo”

di Giannino Piana
in “Rocca” n. 21 del 1 novembre 2017

Il dibattito che si è sviluppato nel nostro Paese, in questi ultimi mesi, attorno allo ius soli ha visto la presenza di una serie variegata di opinioni, che vanno dal suo pregiudiziale respingimento alla richiesta di clausole mortificanti che tendono a limitarne di molto la possibile applicazione, fino alla sua piena ammissione, da parte di un numero, purtroppo non molto ampio, di forze politiche e di cittadini. Rifiuto e diffidenza ascrivibili a motivazioni di ordine diverso – dai rigurgiti xenofobi e razzisti a paure indotte dal confronto con la diversità, dall’incremento della malavita e dalla minaccia sempre incombente del terrorismo – manifestano l’esistenza di uno stato di disagio diffuso, che non può essere sottaciuto. Sono comprensibili alcune delle ragioni di tale disagio, ma non si può negare che la reazione negativa nei confronti dell’approvazione dello ius soli costituisce una forma di grave anacronismo; rivela, in altri termini, la presenza di un atteggiamento miope, l’incapacità di comprendere i cambiamenti in atto sullo scenario mondiale e di fare i conti con l’inarrestabilità dei processi in corso. Il fenomeno della globalizzazione, che procede con ritmo accelerato, e la caduta delle distanze fisico-geografiche, dovute ai nuovi mezzi di locomozione, favoriscono rapidi trasferimenti di intere popolazioni, soprattutto dal Sud del mondo, e danno luogo a veri e propri esodi dovuti a situazioni di guerra o a condizioni di estrema povertà. contraddizioni e dati preoccupanti L’area dell’interscambio sociale e culturale si è dunque sempre più dilatata fino a raggiungere dimensioni mondiali, sia per l’avanzare di un unico mercato sia per l’affermarsi di un sistema informativo che, grazie alle reti telematiche e al web, dà origine a una società multietnica e multiculturale. Non può pertanto che sorprendere la crescita di forme esasperate di particolarismo e di provincialismo, di settarismo e di nazionalismo, che coinvolgono una parte consistente della popolazione italiana, spesso influenzata dagli interventi scandalistici dei media, che indulgono nella descrizione di episodi incresciosi, alimentando le paure e suscitando atteggiamenti e comportamenti ispirati a una forma di chiusura corporativa e caratterizzati dal respingimento di ogni diversità. Un ruolo particolare riveste, in questo quadro, la politica, che non esita a cavalcare gli istinti meno nobili della gente, in vista della ricerca del consenso. L’attuale periodo preelettorale costituisce un’occasione propizia per il perseguimento di questo obiettivo. Questo spiega la volgarità delle prese di posizione di alcuni partiti – la Lega in particolare (ma, in certa misura, l’intero centrodestra) – nei confronti dello ius soli. I toni apocalittici adottati da uomini politici – Salvini in primis – che insistono sulle ricadute catastrofiche dell’approvazione della legge in questione risentono di questo clima; sono dettate cioè da fini elettoralistici. La scorrettezza morale di questo comportamento è evidente: in gioco vi è la stessa credibilità della politica, già fortemente minata da episodi scandalistici (e non solo), che ne hanno gravemente compromessa l’immagine. La violenza con cui in alcuni strati della popolazione si è reagito (e si reagisce) alla proposta di riconoscimento dello ius soli non è esente, d’altronde, da evidenti contraddizioni. Non sono pochi coloro che danno personalmente scarso rilievo alla cittadinanza, non riconoscendone l’importanza e non assumendosi soprattutto doveri e responsabilità che da essa derivano, e si oppongono, nello stesso tempo, alla condivisione di questo diritto, rifiutando di estenderlo ad altri cittadini nati nella stessa nazione. l’importanza della cittadinanza L’acquisizione del diritto di cittadinanza riveste una grande importanza per la vita della persona: si tratta infatti della dimensione politica della vita personale. Chi non è riconosciuto come cittadino, nei suoi diritti e nei suoi doveri, dalla comunità in cui vive è come se non esistesse nello spazio pubblico. A subentrare è dunque una condizione di marginalità, che, oltre ad impedire ogni forma di partecipazione civile per l’impossibilità di esercitare alcuni fondamentali diritti – in primo luogo quello di voto – genera uno stato di disagio esistenziale, che si traduce nel rifiuto di ogni forma di integrazione e può talora sfociare in forme di violenza. Al di là delle motivazioni di ordine morale, che hanno senz’altro il primato – il diritto di
cittadinanza è conseguenza diretta (e necessaria) dal riconoscimento della uguaglianza e della pari dignità di ogni persona umana e riveste dunque il carattere di un vero imperativo etico – esistono pertanto anche ragioni di opportunità politica che non vanno sottovalutate, se si considera, ad esempio, che molti degli autori delle recenti stragi di matrice islamica sono emigrati di seconda generazione, che, nonostante siano nati nei vari Paesi europei, sperimentano una situazione di estraneità, la quale favorisce la coltivazione di sentimenti di ostilità e di odio nei confronti della nazione, in cui si sono trovati, fin dall’inizio della loro esistenza, inseriti. verso una cittadinanza universale Il riconoscimento dello ius soli non è, d’altronde, che il primo passo (per alcuni addirittura superato) di un processo, già in atto nei fatti, di universalizzazione della cittadinanza. I cittadini del terzo millennio hanno infatti una percezione dell’appartenenza che ha come orizzonte il mondo. La sfida da affrontare è dunque la costruzione di una nuova democrazia cosmopolitica, nella quale prenda forma una cittadinanza, che separi il popolo (demos) dall’etnia di appartenenza (ethnos); che sappia, in altri termini, coniugare popolo multietnico e cittadinanza globale. Le resistenze sono, in proposito, molte e di grande entità. La causa principale è costituita dal persistere del concetto di Stato-nazione, che provoca una situazione di chiusura astorica, non soltanto negativa ma anche inefficace. Negativa, perché l’assolutismo nazionalista preclude la possibilità di uno scambio allargato tra i vari ambiti della vita sociale e lo sviluppo di un confronto arricchente tra culture diverse. Inefficace, perché in realtà i processi in atto, tanto in campo economico che informativo e culturale, scavalcano ampiamente le frontiere delle singole nazioni e rendono del tutto impotenti gli interventi da esse assunti per regolarne il flusso. l’esempio negativo dell’Europa A riprova di questa situazione è sufficiente richiamare qui la condizione di stallo in cui versa oggi l’Europa. La difficoltà a creare condizioni di effettiva convergenza sul terreno sociopolitico è dovuta all’assenza della volontà da parte degli Stati che compongono l’Unione di identificare una piattaforma di obiettivi comuni e di rinunciare a parte del loro potere per consegnarlo a una autorità superiore – quella europea – e fare fronte insieme ai numerosi e complessi problemi emergenti che esigono prese di posizione allargate, le sole in grado di incidere sul tessuto internazionale e mondiale. Non si può che condividere, al riguardo, il giudizio di Donald Sassoon, il quale non manca di segnalare il paradosso che caratterizza l’atteggiamento di molti nei confronti del progetto europeo. «Al momento – egli scrive – lo Stato-nazione è ancora il riferimento principale in materia di identità politica per la maggior parte degli europei, anche se esiste un rigetto crescente verso i politici nazionali. Il paradosso è che sarebbe legittimo aspettarsi che gli europei, delusi della politica nazionale, guardino all’Unione Europea; invece succede che la collera contro la classe politica si trasforma in opposizione contro l’Europa e in sostegno alle destre nazionaliste» (Stati-nazione d’Europa, Il Sole 24 ore, 19 marzo 2017, p. 29). L’assenza di un patriottismo europeo e la scarsa attenzione delle istituzioni europee alla dimensione sociale, con l’inevitabile accentuarsi delle diseguaglianze tra le nazioni, sono fattori che spiegano senza dubbio in parte questa diffidenza, ma non si può negare che, accanto ad essi, sussistano forme pericolose di particolarismo e di provincialismo, che denunciano l’incapacità di prendere consapevolezza di quanto già succede e di guardare, con lungimiranza e coraggio, in avanti. Ben venga, dunque (senza troppe restrizioni) lo ius soli, «l’offerta di cittadinanza – come ha ricordato di recente papa Francesco – slegata da requisiti economici e linguistici». È un primo importante passo dal quale non si può, nella situazione attuale del nostro Paese, prescindere. Ma l’obiettivo a cui tendere, e che appare sempre più necessario, stante la presenza indiscussa di un universalismo inarrestabile, è l’affermarsi di un «orizzonte postnazionale» – come lo definisce Habermas – che ha quale sbocco la realizzazione di una cittadinanza globale volta a garantire a tutti gli uomini e a tutti i popoli una positiva convivenza in una società mondiale solidale e pacifica.

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disarmare il mondo non può essere un miraggio utopico

papa Francesco

il disarmo integrale non è un’utopia

non utopia, ma sano realismo

così papa Francesco, ricevendo in udienza i partecipanti al Simposio vaticano, ha definito l’ambizioso obiettivo del disarmo integrale

le armi nucleari producono “catastrofiche conseguenze umanitarie”, il grido d’allarme contro la “logica della paura

Le armi nucleari producono “catastrofiche conseguenze umanitarie e ambientali”, e sono la conseguenza della “logica di paura” che affligge il pianeta. È il grido d’allarme di Papa Francesco, che ricevendo oggi (10 novembre) in udienza i partecipanti al Simposio internazionale sul disarmo, promosso dal Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, sul tema: “Prospettive per un mondo libero dalle armi nucleari e per un disarmo integrale”, ha condannato con fermezza la minaccia dell’uso delle armi nucleari – ormai diffuso anche via Internet – ma ha anche esortato a mettere da parte il “fosco pessimismo” a favore di un “sano realismo”. Come quello che ha portato alla recente “storica votazione” all’Onu sulle armi nucleari come illegittimo strumento di guerra. A 50 anni dalla Populorum progressio, “lo sviluppo integrale è la strada del bene che la famiglia umana è chiamata a percorrere”. E il disarmo integrale, auspicato da Giovanni XXIII nella Pacem in terris, attende ancora di essere realizzato. Al Simposio, in corso fino a domani in Vaticano, partecipano 11 premi Nobel per la pace, vertici di Onu e Nato, diplomatici rappresentanti degli Stati tra cui Russia, Stati Uniti, Corea del Sud, Iran, nonché massimi esperti nel campo degli armamenti ed esponenti delle fondazioni, organizzazioni e società civile impegnate attivamente sul tema. Presenti, inoltre, rappresentanti delle Conferenze episcopali e delle Chiese, a livello ecumenico e di altre fedi, e delle delegazioni di docenti e studenti provenienti dalle Università di Stati Uniti, Russia e Unione europea.

Anche considerando il rischio di una detonazione accidentale di tali armi per un errore di qualsiasi genere – l’esordio di Francesco – è da condannare con fermezza la minaccia del loro uso, nonché il loro stesso possesso, proprio perché la loro esistenza è funzionale a una logica di paura che non riguarda solo le parti in conflitto, ma l’intero genere umano”.

La spirale della corsa agli armamenti non conosce sosta, così come i costi di ammodernamento e sviluppo delle armi – non solo nucleari – che rappresentano una voce di spesa considerevole per le nazioni, al punto da mettere in secondo piano temi come la lotta contro la povertà, la promozione della pace, la realizzazione di progetti educativi, ecologici e sanitari e lo sviluppo dei diritti umani.

“Non possiamo non provare un vivo senso di inquietudine se consideriamo le catastrofiche conseguenze umanitarie e ambientali che derivano da qualsiasi utilizzo degli ordigni nucleari”, il grido d’allarme del Papa: “Le relazioni internazionali non possono essere dominate dalla forza militare, dalle intimidazioni reciproche, dall’ostentazione degli arsenali bellici”.

Le armi di distruzione di massa, in particolare quelle atomiche, generano un ingannevole senso di sicurezza. Se non vogliamo compromettere il futuro dell’umanità, dobbiamo imparare dalla testimonianza degli “hibakusha”, cioè delle persone colpite dalle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki: “Che la loro voce profetica sia un monito soprattutto per le nuove generazioni!”. Le tecnologie nucleari si diffondono ormai anche attraverso la Rete, e neanche gli strumenti di diritto internazionale hanno impedito che nuovi Stati si aggiungessero alla cerchia dei possessori di armi atomiche. Il Papa parla di “scenari angoscianti”, che nello scacchiere geopolitico si affiancano a quelli del terrorismo o dei conflitti asimmetrici.

Eppure, nonostante il “fosco pessimismo” di cui potremmo cadere vittime, “un sano realismo non cessa di accendere sul nostro mondo disordinato le luci della speranza”. Francesco cita la recente votazione Onu sulle armi nucleari come illegittimo strumento di guerra, che colma un vuoto giuridico importante e si unisce alla messa al bando, già proibita attraverso Convenzioni internazionali, delle armi chimiche, quelle biologiche, le mine antiuomo e le bombe a grappolo. Risultati, questi, dovuti principalmente

“a una iniziativa umanitaria promossa da una valida alleanza tra società civile, Stati, organizzazioni internazionali, Chiese, accademie e gruppi di esperti”.

In questo contesto si colloca anche il documento consegnato al Papa dagli 11 premi Nobel per la pace presenti al simposio internazionale, per il quale Francesco ha espresso il suo “grato apprezzamento”.

Francesco ha poi menzionato il 50° anniversario della Populorum progressio, “memorabile e attualissimo documento in cui Paolo VI ha coniato la definizione di “sviluppo umano integrale”, cioè “volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo”.

“Occorre dunque innanzitutto rigettare la cultura dello scarto e avere cura delle persone e dei popoli che soffrono le più dolorose disuguaglianze, attraverso un’opera che sappia privilegiare con pazienza i processi solidali rispetto all’egoismo degli interessi contingenti”. Si è concluso con questo invito il discorso del Papa, secondo il quale soltanto

“un progresso effettivo e inclusivo può rendere attuabile l’utopia di un mondo privo di micidiali strumenti di offesa, nonostante la critica di coloro che ritengono idealistici i processi di smantellamento degli arsenali”.

In questa prospettiva, resta sempre valido il magistero di Giovanni XXIII, che ha indicato con chiarezza l’obiettivo di un disarmo integrale, e quello di Paolo VI, a 50 anni dalla Populorum progressio.

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il messaggio ‘antirazzista’ di Gesù

 un cristiano autentico non può essere razzista

rifugiati migranti

‘ero straniero e mi avete accolto’

la grande attualità del messaggio ‘antirazzista’ di Gesù

 

L’AUTORE –Alberto Maggi, frate dell’Ordine dei Servi di Maria, ha studiato nelle Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana di Roma e all’École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme. Fondatore del Centro Studi Biblici«G. Vannucci» a Montefano (Macerata), cura la divulgazione delle sacre scritture interpretandole sempre al servizio della giustizia, mai del potere. Ha pubblicato, tra gli altri: Chi non muore si rivede – Il mio viaggio di fede e allegria tra il dolore e la vita, Roba da preti; Nostra Signora degli eretici;Come leggere il Vangelo (e non perdere la fede); Parabole come pietre; La follia di Dio e Versetti pericolosi. E’ da poco uscito per Garzanti L’ultima beatitudine – La morte come pienezza di vita.

 

“Prima noi”, è il mantra con il quale si mascherano spietati egoismi e si giustificano inaudite durezze di cuore. È la formula magica di quanti chiariscono subito “non sono razzista, però…”, un “però” eretto come un invalicabile muro a difesa del “noi”, pronome che include, a secondo degli interessi, un popolo o la famiglia, una religione o un quartiere. Mentre per “prima” s’intende l’accesso e l’esclusiva precedenza a tutto quel che permette alla vita di essere dignitosa, dalla casa al lavoro, dall’assistenza sanitaria alla scuola; beni e valori che, sono fuori discussione, devono essere riservati per primi a chi ne ha pienamente diritto per questioni di lignaggio. Ovviamente, al “noi” si contrappone il “loro”, che include per escluderli, tutti quelli che non appartengono allo stesso popolo, alla stessa cultura, società, religione, o famiglia.
“Prima noi”, poi, eventualmente, se proprio ci avanza, si possono dare le briciole a chi ne ha bisogno, ovvero all’estraneo che attenta al nostro benessere economico, ai valori civili e religiosi della nostra società e alle nostre sacrosante tradizioni. “Loro” sono gli stranieri, i barbari. In ogni cultura chi proviene da fuori, incute paura. Lo straniero è un barbaro, colui cioè che emette suoni incomprensibili, (dal sanscrito barbara = balbuziente), colui che parla una lingua incomprensibile e che nel mondo greco passò a significare quel che è selvaggio, rozzo, feroce, incivile, indigeno.
Nonostante nella Scrittura si trovino indicazioni che mirano alla protezione dello straniero (“Non maltratterai lo straniero e non l’opprimerai, perché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto”, Es 22,21), Gesù si è trovato a vivere in una realtà dove il forestiero andava evitato, e persino dopo la morte veniva seppellito a parte, in un luogo considerato impuro (“Il Campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri” Mt 27,7). Al tempo di Gesù vige una separazione totale tra giudei e stranieri, come riconosce Pietro: “Voi sapete come non sia lecito a un giudeo di aver relazioni con uno straniero o di entrar in casa sua” (At 10,28).
In questo ambiente stupisce il comportamento del Cristo che da una parte arriva a identificarsi con gli ultimi della società (“Ero straniero e mi avete accolto”, Mt 25,35.43), e proclama benedetti quanti avranno ospitato lo straniero (“Venite benedetti del Padre mio”¸ Mt 25,34), dall’altra, Gesù accusa con parole tremende quelli che non lo fanno (“Via, lontano da me, maledetti… perché ero straniero e non mi avete accolto”, Mt 25,41.43), con una maledizione che richiama quella del primo assassino della Bibbia, il fratricida Caino (“Ora sii maledetto”, Gen 4,11). Se la risposta alle altrui necessità era un fattore di vita, la mancata risposta è causa di morte. Per Gesù negare l’aiuto all’altro è come ucciderlo.Gesù non solo si identifica nello straniero, ma nei vangeli il suo elogio va proprio per i pagani, personaggi tutti positivi (eccetto Pilato in quanto incarnazione del potere) e portatori di ricchezza. Si teme sempre cosa e quanto si debba dare allo straniero e non si riconosce quel che si riceve dallo stesso. Nella sua attività Gesù si troverà di fronte ottusità e incredulità persino da parte della sua famiglia e dei suoi stessi paesani, ma resterà ammirato dalla fede di uno straniero, il Centurione, e annuncerà che mentre i pagani entreranno nel suo regno, gli israeliti ne resteranno esclusi (Mt 8,5-13; Mt 27,54).
Nella sinagoga di Nazaret, il suo paese, Gesù rischierà il linciaggio per aver avuto l’ardire di tirare fuori dal dimenticatoio due storie che gli ebrei preferivano ignorare: Dio in casi di emergenza e di bisogno non fa distinzione tra il popolo eletto e i pagani, ma dirige il suo amore a chi più lo necessita. Così nel caso di una grande carestia che colpì tutto il paese, aiutò una straniera, una pagana, “una vedova a Sarepta di Sidone” (Lc 4,26), e con tutti i lebbrosi che c’erano al tempo del profeta Eliseo, il signore guarì uno straniero: “Naamàn, il Siro” (Lc 4,27).Prima noi? Gesù, manifestazione vivente dell’amore universale del Padre, vuole condividere i pani in terra pagana così come ha fatto in Israele (Mt 14,13-21). La resistenza dei discepoli di portare anche agli stranieri la buona notizia, viene dagli evangelisti raffigurata nell’incontro di Gesù con una donna straniera, cananea (fenicia) che invoca la liberazione della figlia da un demonio (Mt 15,22). La donna, succube dell’ideologia nazional religiosa che faceva ritenere i pagani inferiori ai Giudei, si accontenterebbe di poco, anche delle briciole (“Sì, Signore, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro signori”, Mt 15,27). Nella tradizione biblica i figli di Israele sono chiamati a dominare le nazioni pagane, mentre i pagani sono destinati ad essere dominati. Non c’è uguaglianza tra gli appartenenti al popolo eletto e gli esclusi. Gli uni sono figli, e gli altri cani, animali ritenuti impuri e portatori del demonio. Per questo non si può dare il pane a quanti, per la loro condizione di pagani, sono veicolo di impurità e contaminazione.Sarà una donna, per giunta pagana, a impartire una lezione ai discepoli del Cristo. Costei ha infatti compreso che non ci sono dei figli e dei cani, quelli che meritano e gli esclusi, quelli che hanno diritto e quelli no, un prima (noi) e un dopo (gli altri), ma tutti possono cibarsi insieme, e allo stesso tempo, dell’unico pane che alimenta la vita. Essa comprende quello che i discepoli fanno fatica a capire e ad accettare, cioè, che la compassione e l’amore vanno al di là delle divisioni razziali, etniche e religiose.La reazione di Gesù è di grande ammirazione: “Allora Gesù le replicò: Donna, grande è la tua fede! Ti sia fatto come vuoi”. (Mt 15,28), e ai pagani Gesù non concederà le briciole, ma anche in terra straniera ci sarà l’abbondante condivisione dei pani, segni della benedizione divina (Mt 15,32-39).
L’esperienza e il messaggio di Gesù verranno poi raccolti dagli altri autori del Nuovo Testamento, in particolare da Paolo, che in occasione di un naufragio, si stupirà per la “rara umanità” con cui lui e gli altri naufraghi sono stati ospitati dai barbari di Malta (At 28,2), e arriverà a capire una verità importante: “Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti” (Col 3,11; Gal 3,28).La Chiesa ha compreso e annuncia che con Gesù non si possono innalzare barriere, ma solo abbattere tutti i muri che gli uomini hanno costruito (“Egli infatti è la nostra pace, colui che dei due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che ci divideva…”, Ef 2,14), non solo i muri esteriori (mattoni), forse i più facili da demolire, ma quelli interiori (pregiudizi), mentali, teologici, morali, religiosi, i più difficili da estirpare perché li crediamo buoni o di provenienza divina.

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