le armi non partoriscono pace

la società civile

 «un errore puntare sulle armi»

la protesta dei pacifisti


Pax Christi: manca la politica e prevale l’ipocrisia. Rete pace e disarmo: attenti, le forniture finiscono anche nelle mani sbagliate. Marcia Perugia-Assisi: soldi tolti alla lotta contro la povertà

«Un errore puntare sulle armi»: la protesta dei pacifisti

di Luca Liverani 

Armi, ancora armi, solo armi. Senza uno sforzo parallelo per individuare una soluzione diplomatica. È questa la lettura condivisa nel mondo delle associazioni per il disarmo e la pace, di fronte al prossimo decreto, il sesto, per l’invio di armamenti italiani alle forze armate ucraine.

«Il governo Meloni segue la stessa linea di Draghi, secretando l’elenco delle armi inviate dall’Italia», dice Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della Rete italiana pace e disarmo. Gli “omissis” nel decreto producono un doppio rischio. «Che si tratti di armi che finiscono anche nelle mani sbagliate», ad esempio gruppi mercenari attivi anche in altri teatri o organizzazioni criminali. «E la segretezza permette al Cremlino di alimentare polemiche basate su fake news», dice Vignarca. Nessuna trasparenza nemmeno sui costi, lamenta Rete pace e disarmo: «Abbiamo calcolato che nel 2022 gli invii di armi ci sono costati 485 milioni. Il ministro Tajani ha parlato genericamente di un miliardo di euro». Un’opacità che impedisce anche di capire «se si tratta di armamenti vecchi, che avremmo dovuto comunque rottamare, oppure sistemi che andranno rimpiazzati. È stato calcolato che gli aiuti militari Nato potrebbero portare all’industria militare americana nuovi ordini per 22 miliardi di dollari». Tutti elementi, sottolinea Vignarca, «che prescindono dal dibattito se inviare armi sia giusto o sbagliato». Ma c’è un altro aspetto: «Ogni invio è stato giustificato dalla propaganda politica dicendo: “sono le armi che cambieranno il corso della guerre”. A marzo i razzi anticarro Javelin, a giugno i lanciarazzi Himars, a dicembre i missili Patriot, ora i tank Leopard». Di certo c’è che «nessun tipo di arma ha avvicinato una soluzione politica. La diplomazia non è stata mai messa in campo seriamente. E la politica continua a ignorare le altre guerre: Siria, Congo, Etiopia…».

Pax Christi ribadisce il suo no all’invio di armi: «Siamo con Papa Francesco che a marzo diceva che per fermare le guerre non bisogna alimentarle», dice don Renato Sacco, consigliere nazionale di Pax Christi. «Non sono le armi che mancano, ma la politica. E si gioca con le parole sfiorando l’ipocrisia: a Ramstein si è detto che “la Nato formalmente non è coinvolta”». Anche Pax Christi teme che il flusso di armi prenda vie sbagliate: «Il procuratore Nicola Gratteri non ha dubbi». E avverte: « Non abituiamoci alla guerra, non consideriamola accettabile. Sento parlare di un collegamento di Zelenski a Sanremo. Da esperti di calcio, gli italiani si sono trasformati tutti in strateghi. Ma ignoriamo le altre guerre tormentano palestinesi, curdi, armeni allo stesso modo degli ucraini». Senza contare i rischi dell’escalation: «A due anni dall’approvazione del bando Onu sulle armi nucleari, non sottovalutiamo come “propaganda” la minaccia atomica di Putin».

«È dall’inizio che diciamo che gli ucraini hanno tutto il diritto di difendersi, l’errore è puntare sulla guerra e solo sulla guerra», spiega Flavio Lotti, coordinatore della Marcia della Pace Perugia Assisi. «Ci hanno detto che le armi servivano a riequilibrare sul campo il confronto coi russi – ricorda – ma questo sesto invio è la prova che quella tesi è fallita. La guerra è in stallo e si punta ad armi sempre più letali. Le stragi continuano nel vuoto dell’iniziativa politica. Temo che il decreto verrà approvato senza un ampio dibattito, in cui si prenda atto che è tempo di scegliere un’altra strada. La politica è drammaticamente muta, maggioranza e opposizione». E le armi dissanguano anche in altro modo: «Ogni armamento sottrae risorse per la lotta alle disuguaglianze e alla povertà. In Italia, in Ucraina, ovunque».

armi, armi, armi, … a danno dell’ambiente e dei paesi più poveri

le armi battono il clima 38 volte
di Tonio Dell’Olio
in “www.mosaicodipace.it” del 16 novembre 2022


Un articolo di Lucia Capuzzi sulle pagine di Avvenire di oggi ci informa dello “studio del
Transnational Institute, presentato in occasione della Cop27 che compara, con minuziosa
precisione, gli stanziamenti per le forze armate dei differenti governi con quanto destinato alla lotta al cambiamento climatico”. I dieci Paesi più ricchi spendono in armi trentotto volte la somma che investono negli aiuti climatici. “La Commissione Europea prevede un incremento del budget per gli eserciti da parte dei propri membri intorno ai 200 miliardi. Washington ha approvato un bilancio senza precedenti di 840 miliardi. La Russia, pur nel mezzo della crisi economica, porterà i fondi per l’esercito a quota 83,5 miliardi nel 2023, + 27 per cento. Molto di questo denaro è sottratto alla transizione energetica piuttosto che ai fondi per le vittime – incolpevoli, riconoscono tutti – della catastrofe ambientale”. Oltre il danno anche la beffa: le dieci nazioni che investono di più in strumenti di morte (Usa, Cina, Russia, Gran Bretagna, Francia, Giappone e Germania) sono le stesse che inquinano di più e che pertanto dovrebbero risarcire i paesi più poveri per i danni che provocano su loro.

papa Francesco che parla di pazzia della guerra è più realista dei realisti

“il papa parla di pace, ma…”

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“Il Papa parla contro il riarmo, ma… Il Papa fa il Papa, ma… Il Papa non può che dire ciò che dice, ma…”. C’è sempre un “ma” che in tanti imbarazzati commenti accompagna l’inequivocabile no alla guerra pronunciato da Francesco, per contestualizzarlo e depotenziarlo. Non potendo interpretare nel senso voluto le parole del vescovo di Roma, non potendo in alcun modo “piegarle” a sostegno della corsa al riarmo freneticamente intrapresa a seguito della guerra di aggressione scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina, allora se ne prendono elegantemente le distanze, dicendo che sì, il Papa non può che dire ciò che dice ma poi deve essere la politica a decidere. E la politica dei governi occidentali sta decidendo di aumentare i già tanti miliardi da spendere per nuove e sempre più sofisticate armi. Miliardi che non si trovavano per le famiglie, per la sanità, per il lavoro, per l’accoglienza, per combattere la povertà e la fame.

La guerra è un’avventura senza ritorno, ripete Francesco sulle orme dei suoi immediati predecessori, in particolare di san Giovanni Paolo II . Anche le parole di Papa Wojtiła in occasione delle due guerre all’Iraq e della guerra nei Balcani vennero “contestualizzate” e “derubricate”, pure dentro la Chiesa. Il Papa che all’inizio del pontificato chiese di «non avere paura» nell’aprire «le porte a Cristo» nel 2003 supplicò invano tre governanti occidentali intenzionati a rovesciare il regime di Saddam Hussein, chiedendo loro di fermarsi. A distanza di quasi vent’anni, chi può negare che il grido contro la guerra di quel Pontefice non fosse soltanto profetico, ma anche imbevuto di profondo realismo politico? Basta guardare alla rovina del martoriato Iraq, trasformato per lungo tempo nella sentina di tutti i terrorismi, per comprendere quanto lungimirante fosse lo sguardo del santo Pontefice polacco.

Oggi accade lo stesso. Con il Papa che non si arrende all’ineluttabilità della guerra, al tunnel senza uscita rappresentato dalla violenza, alla logica perversa del riarmo, alla teoria della deterrenza che ha imbottito il mondo di così tante armi nucleari in grado di annientare diverse volte l’umanità intera.

«Io mi sono vergognato — ha detto nei giorni scorsi Francesco — quando ho letto che un gruppo di Stati si sono impegnati a spendere il due per cento del Pil nell’acquisto di armi, come risposta a questo che sta succedendo adesso. La pazzia! La vera risposta non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari, ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo ormai globalizzato — non facendo vedere i denti, come adesso —, un modo diverso di impostare le relazioni internazionali. Il modello della cura è già in atto, grazie a Dio, ma purtroppo è ancora sottomesso a quello del potere economico-tecnocratico-militare».

Il no alla guerra di Francesco, un no radicale e convinto, non ha nulla a che vedere con la cosiddetta neutralità né può essere presentato come una posizione di parte o motivata da calcoli politico-diplomatici. In questa guerra ci sono gli aggressori e ci sono gli aggrediti. C’è chi ha attaccato e ha invaso uccidendo civili inermi, mascherando ipocritamente il conflitto sotto il maquillage di una «operazione militare speciale»; e c’è chi si difende strenuamente combattendo per la propria terra. Il Successore di Pietro questo l’ha detto più volte con parole chiarissime, condannando senza se e senza ma l’invasione e il martirio dell’Ucraina che dura da più di un mese. Ciò non vuol dire però “benedire” l’accelerazione della corsa al riarmo, peraltro già iniziata da tempo dato che i Paesi europei hanno aumentato le spese militari del 24,5% a partire dal 2016, perché il Papa non è il “cappellano dell’Occidente” e perché ripete che oggi stare dalla parte giusta della storia significa essere contro la guerra cercando la pace senza mai lasciare nulla di intentato. Certo, il Catechismo della Chiesa cattolica contempla il diritto alla legittima difesa. Pone però delle condizioni, specificando che il ricorso alle armi non deve provocare mali e disordini più gravi del male da eliminare, e ricorda che nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso «la potenza dei moderni mezzi di distruzione». Chi può negare che l’umanità si trovi oggi sull’orlo del baratro proprio a causa dell’escalation del conflitto e della potenza dei «moderni mezzi di distruzione»?

«La guerra — ha detto ieri all’Angelus Papa Francesco — non può essere qualcosa di inevitabile: non dobbiamo abituarci alla guerra! Dobbiamo invece convertire lo sdegno di oggi nell’impegno di domani. Perché, se da questa vicenda usciremo come prima, saremo in qualche modo tutti colpevoli. Di fronte al pericolo di autodistruggersi, l’umanità comprenda che è giunto il momento di abolire la guerra, di cancellarla dalla storia dell’uomo prima che sia lei a cancellare l’uomo dalla storia».

C’è dunque bisogno di prendere sul serio il grido, l’appello del Papa: è un invito rivolto proprio ai politici a riflettere su questo, a impegnarsi su questo. C’è bisogno di una politica forte e di una diplomazia creativa, per perseguire la pace, per non lasciare nulla di intentato, per fermare il vortice perverso che in poche settimane sta facendo tramontare le speranza di una transizione ecologica, sta ridando nuove energie al grande business del commercio e del traffico delle armi. Un vento di guerra che mettendo indietro le lancette dell’orologio della storia ci fa ripiombare in un’epoca che speravamo fosse stata definitivamente archiviata dopo la caduta del Muro di Berlino.

di ANDREA TORNIELLI

la cifra monstre di 25,8 miliardi di euro per le armi

assurdo con la complicità di tutti i partiti

spesa militare italiana da record

nel 2022 sfiorati i 26 miliardi di euro

i dati dell’Osservatorio Mil€x rivelano che nel 2022 la spesa militare italiana tocca la cifra monstre di 25,8 miliardi di euro. I nuovi armamenti segnano il record storico di 8,3 miliardi di euro. Mentre i premi Nobel propongono il disarmo. Eppure continua il silenzio assordante di politici e media mainstream

Lo aveva annunciato e l’ha subito fatto. «Ci dobbiamo dotare di una difesa molto più significativa e bisognerà spendere molto di più di quanto fatto finora», aveva detto Mario Draghi lo scorso 29 settembre durante la conferenza stampa sulla “Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza” (Nadef), il primo passo in vista dell’elaborazione della legge di bilancio.

Spesa militare: un 2022 da record

Ed ecco che la spesa militare prevista per l’anno prossimo supererà il muro dei 25 miliardi di euro (25,8 miliardi). Lo rivela uno studio dell’Osservatorio Milex sul bilancio previsionale dello Stato per il 2022.

«Il Bilancio del Ministero della Difesa per il 2022 – riporta Milex – sfiora i 26 miliardi di euro con un aumento di 1,35 miliardi, ma vanno poi aggiunti gli stanziamenti di altri ministeri».

Dal 2017 la spesa militare italiana ha continuato a crescere soprattutto per l’acquisto di nuovi armamenti: sono ben 8,3 miliardi di euro stanziati nel 2022, un miliardo in più rispetto al 2021 ed un record storico.

L’Italia ha nuovi programmi di riarmo

Nei mesi scorsi il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ha infatti sottoposto all’approvazione del Parlamento un numero senza precedenti di programmi di riarmo: diciotto, di cui ben tredici di nuovo avvio, per un valore già approvato di 11 miliardi di euro e un onere complessivo previsto di 23 miliardi.

La parte del leone è dell’aeronautica militare con programmi per oltre 6 miliardi di euro. C’è di tutto: dai fondi per il nuovo caccia Tempest (2 miliardi dei 6 previsti), che si aggiungerà agli F-35, ai nuovi eurodroni classe Male; dagli aerei Gulfstream per la guerra elettronica alle nuove aerocisterne per il rifornimento in volo. Una grossa fetta della torta è destinata alle nuove batterie missilistiche antiaeree per missili Aster (2,3 miliardi di euro) e ai nuovi blindati Lince: ben 3.600 rimpiazzeranno i 1.700 già in dotazione all’esercito.

Nuovi armamenti: record di spesa militare italiana

Non solo. La scorsa settimana – riporta ancora l’Osservatorio Milex – il ministero della Difesa ha richiesto alle commissioni Difesa di Camera e Senato l’approvazione di otto nuovi programmi di riarmo tra cui spiccano due nuovi cacciatorpedinieri lanciamissili classe Orizzonte da circa 1,2 miliardi l’uno che saranno prodotti da Fincantieri.

Fanno riferimento alla Marina anche il programma per la nave supporto per le operazioni subacquee degli incursori del Comsubin da 35 milioni, una trentina di blindati anfibi 8×8 da sbarco di Iveco e Oto Melara da 10 milioni l’uno e altrettanti gommoni armati da sbarco dal prezzo unitario di quasi un milione e mezzo.

Si tratta di programmi targati ancora “SMD 2021”, cioè relativi al 2021: annata che straccia ogni record storico con ben 31 richieste presentate per un valore complessivo finanziato di oltre 15 miliardi di euro e in proiezione un onere complessivo di oltre 30 miliardi di euro.

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spesa militare italia
Anfibio 8×8 dell’Iveco – Foto di pubblico dominio (via Wikimedia Commons)

Italia al comando della missione in Iraq

Nel frattempo, il ministero delle Difesa è in procinto di incrementare il contingente militare in Iraq per poter assumere il comando della missione della Nato: trasformerà la partecipazione militare italiana in una vera operazione di combattimento rispetto a quella che finora era solo una presenza per la difesa di aree sensibili e per l’addestramento dell’esercito iracheno.

Per adempiere al nuovo compito i vertici militari si sono affrettati a chiedere di poter armare i droni Reaper con missili aria-terra e bombe a guida laser – trasformandoli così da semplici ricognitori a veri bombardieri – e di dotarsi di una flotta di Hero-30, i cosiddetti “droni kamikaze” che si autodistruggono nel colpire l’obiettivo.

I veri scopi delle missioni militari

Missione militare il cui vero scopo è quello di proteggere gli interessi delle multinazionali del petrolio e del gas. Come ha rivelato una ricerca di Greenpeace, due terzi delle spese delle operazioni militari all’estero dei paesi europei riguardano la difesa di fonti fossili: l’Italia negli ultimi quattro anni ha speso 2,4 miliardi di euro nelle missioni militari collegate a piattaforme estrattive, oleodotti e gasdotti che riguardano l’Eni.

Del resto il ministero della Difesa non nasconde più, come faceva in passato, il desiderio di «disporre di uno Strumento militare in grado di esprimere le capacità militari evolute di cui il Paese necessita per tutelare i propri interessi nazionali»: lo riporta la “Direttiva per la politica industriale della Difesa” emanata dal ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, lo scorso 29 luglio.

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spesa militare italiana
Fonte: Osservatorio Mil€x

Il silenzio omertoso dei politici nazionali

Programmi di riarmo e missioni militari che meriterebbero un ampio confronto pubblico, oltre che nelle aule parlamentari, perché rivelano un radicale cambiamento della politica estera e di difesa dell’Italia.

Invece, tranne qualche rara voce, tutto tace. Un silenzio omertoso avvolge, ormai da anni, le decisioni che riguardano le spese militari e i programmi di armamenti e coinvolge non solo il mondo della politica, ma anche la quasi totalità dell’informazione nazionale, soprattutto quella televisiva.

Spesa militare mondiale raddoppiata dal 2000: ecco una “semplice proposta per l’umanità”

Non è un caso, quindi, che anche l’appello di cinquanta premi Nobel e scienziati, tra cui Carlo Rubbia e Giorgio Parisi, abbia trovato l’ennesimo silenzio dei leader politici italiani. L’appello chiede ai governi di tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite di avviare trattative per una riduzione concordata della spesa militare del 2% ogni anno per cinque anni.

«La spesa militare, a livello globale, è raddoppiata dal 2000 ad oggi, arrivando a sfiorare i duemila miliardi di dollari all’anno»scrivono i Nobel. «Il meccanismo della controreazione alimenta una corsa agli armamenti in crescita esponenziale che equivale a un colossale dispendio di risorse che potrebbero essere utilizzate a scopi migliori».

Da qui la loro “Semplice proposta per l’umanità” che può essere sottoscritta anche da semplici cittadini (qui il link per firmare). Un piccolo segno, forse, ma necessario almeno per far sentire ai rappresentanti politici nazionali che è tempo di cominciare a dire anche qualche “Signor No!”.

c’è da sperare che il delirio delle armi non arrivi anche da noi …

fucili e corone di pallottole

quando il culto delle armi arriva in chiesa

gli adepti della setta del reverendo Moon considerano le armi un diritto dato da Dio per tutelare il genere umano

Armi in chiesa

armi in chiesa

La vergogna di un paese di un c’è un culto perfino religioso delle armi: così molti fedeli si sono presentati in chiesa con l’Ar-15, il fucile semiautomatico prodotto dalla compagnia statunitense Armalite e usata da Nikolas Cruz per compiere la strage nel liceo di Parkland.
Ma il fucile è considerato anche il simbolo della “verga di ferro” citata nel Libro dell’Apocalisse, secondo l’Associazione Spirituale per l’Unificazione del Mondo Cristiano (o Chiesa dell’unificazione, come è più nota a livello mondiale).
Per questo motivo i fedeli di questo credo (fondato dal reverendo coreano Sun Myung Moon, morto nel 2012) sono stati incoraggiati a portalo con sé nella cerimonia di rinnovo dei voti nuziali che ha avuto luogo mercoledì a Newfoundland, in Pennsylvania. Sposi e spose si sono presentati in massa: reggevano gli AR-15 e il capo di molti di loro era circondato da una corona metallica, in alcuni casi una corona fatta di pallottole.
Le armi erano scariche: un addetto alla porta le ha controllate tutte scrupolosamente. Uno dei vertici dell’Associazione ha puntualizzato alla stampa americana che si trattava di benedire le coppie e non «gli oggetti inanimati» considerandoli tuttavia dei semplici «corredi religiosi». Ma ovviamente non è v

p. Zanotelli indignato per l’economia di guerra di Italia ed Europa

è questo il nostro Natale di pace?

 Alex Zanotelli

sono indignato davanti a quest’Italia che si sta sempre più militarizzando

 

Lo vedo proprio a partire dal Sud, il territorio economicamente più disastrato d’Europa, eppure sempre più militarizzato. Nel 2015 è stata inaugurata a Lago Patria (la parte della città metropolitana di Napoli) una delle più importanti basi NATO d’Europa, che il 5 settembre scorso è stata trasformata nell’Hub contro il terrorismo (centro di spionaggio per il Mediterraneo e l’Africa). Sempre a Napoli, la famosa caserma della Nunziatella è stata venduta dal Comune di Napoli per diventare la Scuola Europea di guerra, come vuole la Ministra della Difesa F. Pinotti.

Ad Amendola (Foggia), è arrivato lo scorso anno il primo cacciabombardiere F-35 armabile con le nuove bombe atomiche B 61-12. In Sicilia, la base militare di Sigonella (Catania) diventerà nel 2018 la capitale mondiale dei droni. E sempre in Sicilia, a Niscemi (Trapani) è stato installato il quarto polo mondiale delle comunicazioni militari, il cosidetto MUOS.

Mentre il Sud sprofonda a livello economico, cresce la militarizzazione del territorio (forse, non è per caso che così tanti giovani del Sud trovino poi rifugio nell’Esercito italiano per poter lavorare!).

Ma anche a livello nazionale vedo un’analoga tendenza: sempre più spese in armi e sempre meno per l’istruzione, sanità e welfare. Basta vedere il Fondo di investimenti del governo italiano per i prossimi anni per rendersene conto. Su 46 miliardi previsti, ben 10 miliardi sono destinati al ministero della Difesa: 5.3 miliardi per modernizzare le nostre armi e 2.6 per costruire il Pentagono italiano ossia un’unica struttura per i vertici di tutte le nostre forze armate, con sede a Centocelle (Roma).

L’Italia, infatti, sta investendo sempre più in campo militare sia a livello nazionale, europeo e internazionale. L’Italia sta oggi spendendo una barca di soldi per gli F-35, si tratta  di 14 miliardi di euro!

Questo, nonostante che la Corte dei Conti abbia fatto notare che ogni aereo ci costerà almeno 130 milioni di euro contro i 69 milioni previsti nel 2007. Quest’anno il governo italiano spenderà 24 miliardi di euro in Difesa, pari a 64 milioni di euro al giorno. Per il 2018 si prevede un miliardo in più.

Ma è ancora più impressionante l’esponenziale produzione bellica nostrana: Finmeccanica (oggi Leonardo) si piazza oggi all’ottavo posto mondiale. Lo scorso anno abbiamo esportato per 14 miliardi di euro, il doppio del 2015!

Grazie alla vendita di 28 Eurofighter al Kuwait per otto miliardi di euro, merito della ministra Pinotti, ottima piazzista d’armi. E abbiamo venduto armi a tanti Paesi in guerra, in barba alla legge 185 che ce lo proibisce. Continuiamo a vendere bombe, prodotte dall’azienda RMW Italia a Domusnovas (Sardegna), all’Arabia Saudita che le usa per bombardare lo Yemen, dov’è in atto la più grave crisi umanitaria mondiale secondo l’ONU (tutto questo nonostante le quattro mozioni del Parlamento Europeo!) L’Italia ha venduto armi al Qatar e agli Emirati Arabi con cui quei Paesi armano i gruppi jihadisti in Medio Oriente e in Africa (noi che ci gloriamo di fare la guerra al terrorismo!). Siamo diventati talmente competitivi in questo settore che abbiamo vinto una commessa per costruire quattro corvette e due pattugliatori per un valore di 40 miliardi per il Kuwait.

Non meno preoccupante è la nostra produzione di armi leggere: siamo al secondo posto dopo gli USA! Sono queste le armi che uccidono di più! E di questo commercio si sa pochissimo.

Quest’economia di guerra sospinge il governo italiano ad appoggiare la militarizzazione dell’UE. È stato inaugurato a Bruxelles il Centro di pianificazione e comando per tutte le missioni di addestramento, vero e proprio quartier generale unico. Inoltre, la Commissione Europea ha lanciato un Fondo per la Difesa che, a regime, svilupperà 5,5 miliardi d’investimento l’anno per la ricerca e lo sviluppo industriale nel settore militare.

Questo fondo, lanciato il 22 giugno, rappresenta una massiccia iniezione di denaro pubblico nell’industria bellica europea. Sta per nascere la “PESCO-Cooperazione strutturata permanente” dell’UE nel settore militare (la Shengen della Difesa!).

“Rafforzare l’Europa della Difesa – afferma la Mogherini, Alto Rappresentante della UE, per gli Affari Esteri- rafforza anche la NATO”.

La NATO, di cui l’UE è prigioniera, è diventata un mostro che spende 1000 miliardi di dollari in armi all’anno. Trump chiede ora ai 28 Paesi membri della NATO di destinare il 2% del Pil alla Difesa. L’Italia ne destina 1,2 %. Gentiloni e la Pinotti hanno già detto di Sì al diktat di Trump. Così l’Italia arriverà a spendere100 milioni al giorno in armi. E la NATO trionfa, mentre è in forse il futuro della UE. Infatti, è la NATO che ha forzato la UE a creare la nuova frontiera all’Est contro il nuovo nemico, la Russia, con un imponente dispiegamento di forze militari in Ucraina, Polonia, Romania, Bulgaria, in Estonia, Lettonia e con la partecipazione anche dell’Italia.

La NATO ha stanziato 17 miliardi di dollari per lo “Scudo anti-missili”. E gli USA hanno l’intenzione di installare in Europa missili nucleari simili ai Pershing 2 e ai Cruise (come quelli di Comiso). E la Russia sta rispondendo con un altrettanto potente arsenale balistico.

Fa parte di questo piano anche l’ammodernamento delle oltre duecento bombe atomiche B-61, piazzate in Europa e sostituite con le nuove B 61-12. Il ministero della Difesa ha pubblicato in questi giorni sulla Gazzetta Ufficiale il bando di costruzione a Ghedi (Brescia) di nuove infrastrutture che ospiteranno una trentina di F-35 capaci di portare cadauno due bombe atomiche B61-12. Quindi, solo a Ghedi potremo avere sessantina di B61-12, il triplo delle attuali! Sarà così anche ad Aviano? Se fosse così, rischiamo di avere in Italia una forza atomica pari a 300 bombe atomiche di Hiroshima! Nel silenzio più totale!

Mai come oggi, ci dicono gli esperti, siamo vicini al “baratro atomico”. Ecco perché è stato provvidenziale il Trattato dell’ONU, votato il 7 luglio scorso, che mette al bando le armi nucleari. Eppure l’Italia non l’ha votato e non ha intenzione di votarlo. È una vergogna nazionale.

Siamo grati a papa Francesco per aver convocato un incontro, lo scorso novembre, in Vaticano sul nucleare, proprio in questo grave momento in cui il rischio di una guerra nucleare è alto e per il suo invito a mettere al bando le armi nucleari.

Quello che non riesco a capire è l’incapacità del movimento della pace a mettersi insieme e scendere in piazza a urlare contro un’Italia e Unione Europea che si stanno armando sempre di più, davanti a guerre senza numero, davanti a un mondo che rischia l’olocausto nucleare. Eppure in Italia c’è una straordinaria ricchezza di gruppi, comitati, associazioni, reti che operano per la pace. Ma purtroppo ognuno fa la sua strada.

E come mai tanto silenzio da parte dei vescovi italiani? E che dire delle parrocchie, delle comunità cristiane che si apprestano a celebrare la nascita del “Principe della Pace?”

“Siamo vicini al Natale – ci ammonisce papa Francesco – ci saranno luci, ci saranno feste, alberi luminosi, anche presepi… tutto truccato: il mondo continua a fare guerra!”.

Oggi più che mai c’è bisogno di un movimento popolare che contesti radicalmente questa economia di guerra.

 

 

la ‘giornata mondiale dei poveri’ e le enormi spese per le armi

disarmo integrale

l’impegno per la pace deve diventare prassi pastorale

domenica prossima, 19 novembre, è la prima Giornata mondiale dei poveri. Può essere l’occasione per ricordare che le enormi spese militari sottraggono risorse proprio ai più poveri. Oggi la ricchezza di otto persone (8 di numero!) è pari alla ricchezza del 50% della popolazione mondiale! E sicuramente le folli spese militari sono tra le cause della povertà. Per dirla con don Tonino Bello: dobbiamo “amarci” e non “armarci”

Succede spesso. Lo dobbiamo ammettere. Spesso si fanno i convegni, si torna contenti e soddisfatti. E i documenti finiscono nel cassetto… Credo che non si possa dire così della conferenza a cui ho partecipato lo scorso 10-11 novembre “Prospettive per un mondo libero delle armi nucleari e per un disarmo integrale”, promossa dal Dicastero vaticano per il servizio dello sviluppo umano integrale. Questo incontro che ha ribadito con fermezza un “no” alle armi nucleari ha avuto un grosso stimolo proprio da Papa Francesco che, ricevendo in udienza i circa 350 partecipanti, ha detto:

“Anche considerando il rischio di una detonazione accidentale di tali armi per un errore di qualsiasi genere, è da condannare con fermezza la minaccia del loro uso, nonché il loro stesso possesso, proprio perché la loro esistenza è funzionale a una logica di paura che non riguarda solo le parti in conflitto, ma l’intero genere umano”.

Il testo integrale del discorso del Papa è facilmente reperibile su Internet. Ora sta a tutti noi, non solo ai partecipanti al convegno, dare gambe e tradurre in scelte questa “condanna” di Francesco, che si inserisce in un cammino più grande del magistero della Chiesa, dalla Pacem in Terris, alla Gaudium et Spes.

Sappiamo bene come il tema della pace, declinato come “no” alla guerra, alla produzione e vendita armi (vedi messaggio alla Settimana sociale di Cagliari) siano un punto fisso del magistero di Francesco. E sappiamo che l’Italia non ha aderito al Trattato firmato lo scorso 7 luglio all’Onu. Dobbiamo chiedere con forza al governo italiano di aderire! E sappiamo anche che sul territorio italiano a Ghedi e ad Aviano sono presenti decine  di testate nucleari ben più potenti di quelle di Hiroshima. 

Il lavoro non manca e il convegno appena concluso è una tappa, fondamentale, di un cammino già iniziato sia dalla Santa Sede sia da tutte quelle persone, gruppi, movimenti e associazioni che da anni si impegnano per un disarmo nucleare e integrale, per un mondo libero dalle armi.

Non a caso erano presenti 11 premi Nobel, compresa la rappresentante di Ican, premio Nobel per la pace 2017. Una tappa. Ma non un traguardo raggiunto. Il cammino continua. Per questo il convegno non va archiviato. Ma deve diventare spunto per una ripresa del cammino anche nelle scelte pastorali. Spesso questi temi sono assenti dai dibattiti delle nostre parrocchie. Non sono temi affrontati nelle catechesi, negli incontri di riflessione e formazione. Spesso si rischia di dire che Papa Francesco dice delle belle cose… Ma poi lo si lascia solo. Ecco allora che ognuno deve proseguire questo percorso nella propria realtà e nel proprio territorio.

L’impegno per la pace – la denuncia delle armi nucleari – deve diventare prassi pastorale. Non può restare un impegno di nicchia solo per qualcuno. La pace deve diventare l’impegno di tutti i credenti… Ben sapendo che “Cristo è la nostra pace”.

 

“Le armi di distruzione di massa, in particolare quelle atomiche – ha affermato papa Francesco -, altro non generano che un ingannevole senso di sicurezza e non possono costituire la base della pacifica convivenza fra i membri della famiglia umana, che deve invece ispirarsi ad un’etica di solidarietà”. Non dimentichiamo che pochi giorni fa il Papa parlava di armi e guerra come di “suicidio dell’umanità”.

(*) coordinatore nazionale di Pax Christi

la vergogna del nostro parlamento con le mani sporche di sangue

un parlamento con le mani insanguinate

 

 Tonio Dell’Olio

in Mosaico dei giorni

 

 

301 voti contrari e 120 a favore. La Camera dei Deputati ha respinto le richieste rivolte al Governo per bloccare la vendita di armi a Paesi in guerra o responsabili di violazioni dei diritti umani come peraltro disposto dalla legge 185/1990 e dal Trattato internazionale sul commercio delle armi.

Ciò che premeva particolarmente era la richiesta di sospensione di invio delle bombe fabbricate a Domusnovas verso l’Arabia Saudita che le sta “utilizzando” per bombardare lo Yemen. Il bilancio di quelle operazioni secondo vari organismi internazionali è di oltre 10 mila morti, 40 mila feriti, 2 milioni di bambini in stato di malnutrizione e di una dilagante epidemia di colera. La carrellata degli interventi contrari (e vincenti) ha del tragicomico. A cominciare dai deputati del PD, i cui colleghi del Parlamento europeo solo qualche giorno prima (13 settembre) avevano votato a favore di un embargo di armi ai danni dell’Arabia Saudita da parte dei governi dell’Unione. Ci sono poi stati quelli che hanno vantato il progetto di cooperazione internazionale di 10 milioni di euro da parte dell’Italia per aiutare la popolazione yemenita.  Come dire che con una mano vi distruggiamo e con l’altra facciamo finta di aiutarvi. E, infine, coloro che hanno provato a giustificare la strategia militare dei sauditi con l’intento di arginare l’influenza iraniana dilagante nella regione. A tutti andrebbe ricordato che, come hanno dichiarato autorevoli rappresentanti tedeschi, quelle bombe vengono costruite dall’azienda tedesca RWM in Italia perché secondo la loro legislazione non sarebbe possibile esportarli verso un Paese in guerra. Per la verità anche da noi. Solo che noi, in nome del diodenaro, diventiamo più disponibili. E intanto in Yemen si muore.

 

 

http://www.mosaicodipace.it/mosaico/i/3053.html

 

allarme armi

“Italia a mano armata”. L'allarme di Famiglia Cristiana sulla proliferazione di armi da fuoco

“Italia a mano armata”

l’allarme di Famiglia Cristiana sulla proliferazione di armi da fuoco

da: Adista Notizie n° 14 del 08/04/2017
 

Sono 1.265.484 le licenze per armi rilasciate nel 2015 in Italia. Che siano state concesse per uso sportivo (con un aumento 18,5%), per caccia (l’aumento è del 12,4%) o per difesa personale (questo dato è leggermente in calo, forse perché per ottenere armi per difesa personale occorre motivarne la necessità), il dato allarmante resta la proliferazione di armi leggere da fuoco lungo tutto lo Stivale, alla quale si accompagna un numero inquietante di vittime – 4 al mese secondo l’OPAL, Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e le politiche di difesa e sicurezza di Brescia – come per esempio i 23 femminicidi su 115 commessi nel 2016 con armi da fuoco legalmente detenute. A lanciare un grido d’allarme è il settimanale dei Paolini, Famiglia Cristiana, con un’inchiesta pubblicata sul numero 13/2017, in edicola il 23 marzo, dal titolo “Italia a mano armata. Troppe pistole e licenze ‘facili’”.

A fare il punto della situazione, in un Paese il cui sport nazionale sembra ormai la caccia, Giorgio Beretta (analista dell’OPAL), Fausto Cardella (magistrato, procuratore generale a Perugia) e Marco Bruniera (dirigente della sezione di Treviso del Tiro a Segno Nazionale), a colloquio con i giornalisti Eugenio Arcidiacono ed Elisa Chiari.

Il fornaio di Vasto che si è vendicato di un pirata della strada che aveva investito e ucciso la moglie, il ristoratore lodigiano che ha sparato ad un ladro, la violenza femminicida di un viterbese che ha colpito la ex e si è poi tolto la vita con la stessa arma, il ventenne di Giaveno (To) che durante una rissa estrae la pistola del padre e uccide un motociclista: sono solo alcuni casi recenti di omicidi commessi con armi legalmente detenute, concesse senza troppi complimenti e fuori dal controllo delle questure, che non riescono a monitorare costantemente e capillarmente: «Dal nostro database – afferma Beretta – emerge che solo l’omicidio commesso dal ristoratore di Lodi sarebbe riconducibile alla legittima difesa: tutti gli altri sono femminicidi, vendette, conseguenze di liti familiari». È del tutto evidente, prosegue Beretta, «che per uccidere o uccidersi ci sono molti altri modi oltre le armi da fuoco, ma l’alto numero di casi di omicidi e di suicidi commessi da chi le deteneva ufficialmente non per uso personale, ci porta a dire che forse ci vorrebbe una legislazione più restrittiva», in particolar modo sulle licenze per caccia e sport, che rappresentano un escamotage per chi intende acquistare un’arma per difesa personale e che vengono concesse con troppa leggerezza: basta presentare un certificato medico e un attestato di idoneità rilasciato del Tiro a Segno Nazionale. Una seria riforma della legislazione, spiega l’analista dell’OPAL, dovrebbe ridurre da sei a due anni la licenza per sport e caccia, poi dovrebbe ridurre drasticamente il numero di armi detenute consentite, dovrebbe inoltre rendere obbligatorio un sistema di controllo sull’effettivo uso che si fa di queste armi e poi dovrebbe costringere lo “sportivo” o il “cacciatore” a comunicare alla famiglia la presenza di armi in casa, cosa che l’attuale legislazione non prevede.

A stuzzicare il dibattito nell’opinione pubblica, in seguito ad alcuni casi di attualità, è stata la proposta di estendere la legittima difesa, oggi regolamentata in maniera stringente dall’art. 52 del Codice Penale, secondo il quale la difesa, per essere legittima, deve essere proporzionata al pericolo e che il pericolo sia effettivamente in atto. Su questo argomento, sul ddl in Senato che prevede l’innalzamento delle pene per reati di rapina e furto in appartamenti, e sul delicato rapporto tra sicurezza, autodifesa e diffusione di armi, Famiglia Cristiana ha discusso con il magistrato Cardella, secondo il quale «una società è più sicura quando a maneggiare le armi sono le persone deputate a farlo per mestiere e per dovere». «Ci si dimentica troppo spesso di valutare che l’arma aumenta il pericolo per chi la impugna: anche un ladro può sentirsi legittimato a sparare per salvarsi la vita e di solito dei due è il più pratico di armi». La responsabilità politica di chi invita ad allargare l’uso di armi per “legittima” difesa è grande e grave, sembra affermare tra le righe il procuratore, fermo sostenitore della prevenzione con strumenti passivi, come l’antifurto e la vigilanza privata. Insomma, «la difesa spetta allo Stato» e detenere armi crea più problemi di quelli che si crede di risolvere: «Quante volte accade – conclude Cardella – che l’arma regolarmente detenuta è servita a far finire in tragedia una relazione degenerata o una lite tra vicini? Ha senso temere il terrorismo dei lupi solitari senza preoccuparsi delle conseguenze di un’arma in mano a chiunque?».

il rischio dell’assuefazione di fronte alla guerra

“una grande voglia di piangere”

Sarajevo ’92.. e i Diritti Umani

di Renato Sacco
in “Paxchristi” – www.paxchristi.it

Ventiquattro anni fa la marcia a Sarajevo, promossa dai Beati Costruttori di pace: 500 persone, dal 7 al 13 dicembre 1992, nella città sotto assedio da nove mesi. Per celebrare, con gli abitanti di Sarajevo, la Giornata dei Diritti Umani, 10 dicembre. Don Tonino, Presidente di Pax Christi, c’era nonostante la malattia. Ripensare a quei giorni lascia spazio, inevitabilmente, a tanti ricordi ed emozioni… Nel cinema Radnik di Sarajevo, al lume di candela, la mattina del 12 dicembre ’92, don Tonino pronuciò parole che sono ancora oggi una grande luce per tutti: “Allora io penso che queste forme di utopia, di sogno dobbiamo promuoverle, altrimenti le nostre comunità che cosa sono? sono soltanto le notaie dello status quo e non le sentinelle profetiche che annunciano cieli nuovi, terra nuova, aria nuova, mondi nuovi, tempi nuovi… “ Ma ricordare è anche una scossa per non rassegnarci oggi alle guerre, alla guerra a cui rischiamo di fare l’abitudine, senza più piangere e senza più indignarci! E che dire oggi – giornata dei Diritti Umani – di fronte alle tante guerre? Alla terza guerra mondiale a pezzi… Aleppo, Mosul, Yemen, Congo, Burundi, Ucraina, Libia, Afghanistan… Di fronte ai 23 miliardi per le spese militari del prossimo 2017? Il rischio dell’assuefazione o, peggio ancora, di ritenere che in fondo la guerra, quando è necessaria… Per questo ha ancora più valore l’appuntamento della Marcia per la pace, il 31 dicembre a Bologna, con il messaggio quanto mai significativo voluto da papa Francesco per la 50° Giornata mondiale per la pace: La non violenza: stile di una politica per la pace.

“Mai più la guerra!” lo diciamo con la bocca, ma intanto – afferma papa Francesco in un’intervista al al settimanale cattolico belga “Tertio”, il 7.12.2016 – fabbrichiamo armi e le vendiamo; e le vendiamo agli stessi che si combattono; perché uno stesso fabbricante di armi le vende a questo e a questo, che sono in guerra fra di loro. È vero. C’è una teoria economica che non ho provato a verificare, ma l’ho letta in diversi libri: che nella storia dell’umanità, quando uno Stato vedeva che i suoi bilanci non andavano, faceva una guerra e rimetteva in equilibrio i propri bilanci. Vale a dire, è uno dei modi più facili per produrre ricchezza. Certo, il prezzo è molto alto: il sangue.”
“Poi rimango solo – scrive don Tonino il 13 dicembre ’92 arrivato ad Ancona – e sento per la prima volta una grande voglia di piangere. Tenerezza, rimorso e percezione del poco che si è potuto seminare e della lunga strada che rimane da compiere. Attecchirà davvero la semente della nonviolenza? Sarà davvero questa la strategia di domani? È possibile cambiare il mondo col gesto semplice dei disarmati? (…) Fino a quando questa cultura della nonviolenza rimarrà subalterna? (…) E qual è il tasso delle nostre colpe di esportatori di armi in questa delirante barbarie che si consuma sul popolo della Bosnia? Sono troppo stanco per rispondere stasera. Per ora mi lascio cullare da una incontenibile speranza: le cose cambieranno, se i poveri lo vogliono”.
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