anche l’ “humanae vitae” deve cambiare – parola di mons. Bettazzi

mons. Bettazzi

anche per l’ “Humanae vitae” è ora di attuare il Concilio


“la decisione di Paolo VI fu tormentata”
“temeva di non essere compreso e scelse il rigore
Anche per Humanae vitae è ora di attuare il Concilio
 
Luciano Moia

Mezzo secolo dopo è forse arrivato il momento di ripensare alle conclusioni indicate da Paolo VI nell’Humanae vitae e di “scongelare”, come sta tentano di fare papa Francesco, l’eredità del Vaticano II. Lo afferma il vescovo emerito di Ivrea, Luigi Bettazzi, 94 anni il prossimo novembre, ultimo testimone del Concilio:

Che rapporto c’è tra la teologia di Humanae vitae e quella espressa dal Vaticano II?
Era uno dei temi che Paolo VI si era riservato. Al Concilio non fu possibile parlare di contraccezione. Com’è noto della questione si occupò una commissione. Il Papa ne allargò la partecipazione e poi sposò la tesi della minoranza.

Perché questa scelta?
Pensava che forse, lasciando la possibilità di discutere il tema al Concilio, sarebbe uscita una linea che non condivideva. Sul piano provvidenziale non riteneva che fosse opportuno aprire modifiche alla teologia consolidata. Ora, cinquant’anni dopo, può darsi invece che sia arrivato il momento di ripensare la questione. Ma affermare questo oggi, non vuol dire concludere che allora la decisione di Paolo Vi non fu chiara.

Fu comunque tormentata. La stessa scelta di aprire un supplemento di indagini dopo l’esito della commissione, non dimostra che il Papa stesso soppesò a lungo la questione?
Non poteva che essere così. Sapeva che sia la maggioranza dei padri conciliari, sia della commissione di esperti, propendeva per un parere più sfumato rispetto al “no” che poi sarebbe arrivato nell’Humanae vitae. Per questo venne contestato sia da molti teologi sia da tante conferenze episcopali.

Da dove nascevano le sue incertezze?
Temeva di non essere compreso. La Chiesa non ama i balzi in avanti. Nella storia è sempre stato così. Nell’Ottocento si aveva paura della democrazia. Cinquant’anni fa Paolo VI si convinse di non poter venire meno al rigore dottrinale sui temi della generazione. Oggi forse è arrivato il momento di ascoltare Giovanni XXIII: non è il Vangelo che cambia, siamo noi che con il trascorrere degli anni, riusciamo a capirlo sempre meglio. E quindi non sono le dottrine a cambiare, siamo noi che riusciamo a comprenderne sempre meglio il significato leggendole alla luce dei segni dei tempi.

Oggi la situazione sociale è profondamente diversa e anche la riflessione teologica è andata molto avanti. Amoris laetitia esprime questo cambio di prospettive.
Sì, perché riprende il Vaticano II. Non era facile a quei tempi affermare che nel matrimonio quello che conta è l’amore degli sposi e poi c’è la procreazione. Non che non sia importante. Ma al primo posto c’è l’amore coniugale. Era una posizione molto avanzata.

Quando pesarono in quella scelta i pareri di chi consigliava Paolo VI di non staccarsi dalla tradizione?
L’enciclica venne firmata da lui e quindi dobbiamo pensare che la decisione fu sua. Forse non vedeva chiaramente gli esiti di una decisione diversa. Forse arrivarono pressioni importanti. Ma non possiamo mettere in discussione il fatto che fu lui a decidere. Certo, i tormenti ci furono. E anche le sollecitazioni. La posizione rigorosa del cardinale Ottaviani e dell’allora Sant’Uffizio non è un mistero.

È vero che di fronte al dilagare delle proteste, Paolo VI avrebbe voluto tornare sulla questione?
Questo non saprei dirlo. Certo, l’attuazione del Concilio era un tema che lo preoccupava molto. In un senso e nell’altro. Ci teneva, ma lo portava avanti con molta prudenza. Tanto che il vescovo brasiliano Helder Camara scrisse in un suo libro di aver sollecitato più volte Paolo VI perché istituisse una commissione per l’attuazione del Concilio.

Perché questa esigenza?
Ma è chiaro. Camara, e tanti vescovi con lui, si chiedevano come sarebbe stato possibile lasciare l’attuazione del Concilio in mano a quelli che non l’avevano voluto…

E invece andò proprio così…
Purtroppo sì. Poi arrivò la rivoluzione del ’68, la Chiesa si spaventò ancora di più. E prevalsero i nemici del Concilio. Non che non ci fossero esagerazioni postconciliari da correggere. Ma invece di correggere, abbiamo congelato tutto. Con l’acqua sporca abbiamo buttato via anche il bambino.

Adesso però papa Francesco sta tentato l’operazione “scongelamento del Concilio”. Ci riuscirà?
Sì, ma deve farlo con prudenza. Perché come già aveva intuito Paolo VI, non bisogna sgomentare i fedeli più semplici. E anche quella parte della Chiesa dove la situazione sociale è diversa rispetto all’Occidente. Non è un caso che le resistenze più forti ad Amoris laetitia siano arrivate dall’Africa e dall’Europa dell’Est. E poi ci sono i tradizionalisti. Ma questo dura fin dai tempi del Vangelo. Gli oppositori di Gesù provenivano dall’area più intransigente, da coloro che guardavano alla lettera della religione, scribi e farisei. Oggi come allora, cambiare significa rinunciare a determinate posizioni, a una fetta del proprio potere, quello politico e quello ideologico. Pensarla diversamente è normale e anche giusto, ma il confronto deve avvenire nella carità, nel rispetto reciproco.

Gli attacchi che oggi vengono rivolti al Papa non sembrano proprio nel segno della carità…
No, infatti. Mi ha molto amareggiato l’uscita dei quattro cardinali con i Dubia. Si sono giustificati dicendo che inizialmente avevano scritto in privato. Ma nel momento in cui si esce pubblicamente, si tratta quasi di una sovrapposizione al potere del Papa. Certa gente è papista finché pensa che il Papa sia dalla loro parte.

Anche dopo Humanae vitae si visse questo clima di attacco al papa?
Sicuramente sì. Nella sostanza l’opposizione, anche da parte di intere conferenze episcopali, fu molto netta. Si pronunciarono per un’applicazione estensiva di Humanae vitae più di 40 conferenze episcopali. Ma in modo rispettoso, non come gli attacchi che abbiamo visto in questi mesi contro Francesco. Allora la preoccupazione dei vescovi era di tipo interpretativo. Non volevano che i divieti mettessero in secondo piano il tema dell’amore nella coppia, che anche il Concilio aveva indicato come punto di svolta.

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In Vaticano un convegno sul disarmo nucleare

In Vaticano un convegno sul disarmo nucleare

il 10-11 novembre

atteso il segretario generale delle Nazioni Unite e alcuni premi Nobel. Il portavoce della Santa Sede Greg Burke precisa: non è una mediazione tra Stati Uniti e Corea

iacopo scaramuzzi

Il dicastero vaticano per la Promozione umana integrale organizza il 10 e 11 novembre un convegno sul disarmo e, tra l’altro, sul disarmo nucleare.

 

Il programma non è ancora ufficiale ma è attesa la partecipazione del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, dell’alto rappresentante per gli affari esteri dell’Ue Federica Mogherini, e del cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, nonché un intervento del Papa. È prevista la partecipazione di numerosi premi Nobel.

Il congresso «non è una mediazione» tra Stati Uniti e Corea del Nord, ha precisato il direttore della Sala stampa vaticana Greg Burke, ma un «convegno di alto livello»: «Il Santo Padre – ha dichiarato – lavora con determinazione per promuovere le condizioni necessarie per un mondo senza armi nucleari, come lui stesso ha ribadito lo scorso mese di marzo in un messaggio indirizzato all’Onu riunita a tale scopo. Proprio per questo ci sarà un importante convegno la prossima settimana, “Perspectives for a World Free from Nuclear Weapons and for Integral Development”, organizzato dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale. Ma è falso parlare di una mediazione da parte della Santa Sede».

Proprio questa mattina, peraltro, il Papa si è recato in visita al Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale, oltre che al Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita.  

La posizione della Santa Sede sul tema, del resto, è nota. Lo scorso 26 settembre, in occasione della Giornata internazionale dell’Onu per la totale eliminazione delle armi nucleari, il Papa aveva scritto su Twitter: «Impegniamoci per un mondo senza armi nucleari, applicando il Trattato di non proliferazione per abolire questi strumenti di morte».   

Pochi giorni prima l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, Segretario della Santa Sede per i Rapporti con gli Stati, ha firmato a settembre il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, adottato il 7 luglio 2017 al termine della Conferenza delle Nazioni Unite. Alle crescenti tensioni legate al programma nucleare della Corea del Nord – ha sottolineato in quell’occasione il «ministro degli Esteri» vaticano – si deve rispondere cercando di rilanciare i negoziati. Si devono in particolare superare – ha sottolineato monsignor Gallagher in occasione della decima Conferenza per facilitare l’entrata in vigore del Trattato – la minaccia nucleare, la superiorità militare, l’ideologia e l’unilateralismo che ricordano la logica della guerra fredda.   

Sempre in quell’occasione Gallagher ha anche ricordato quanto indicato da papa Francesco nel messaggio dello scorso 23 marzo incentrato sul tema delle armi nucleari: «La comunità internazionale – ha scritto il Papa – è chiamata ad adottare strategie lungimiranti per promuovere l’obiettivo della pace e della stabilità ed evitare approcci miopi ai problemi di sicurezza nazionale e internazionale».  

Quanto allo specifico scenario coreano, il Papa di ritorno dal recente viaggio in Colombia aveva risposto tra l’altro a una domanda circa la corsa agli armamenti da parte di Pyongyang, affermando: «Mi viene in mente una frase dell’Antico Testamento: l’uomo è uno stupido, è un testardo che non vede. L’unico animale del creato che mette la gamba nella stessa buca, è l’uomo. Il cavallo e gli altri no, non lo fanno. C’è la superbia, la presunzione di dire: “No, ma non sarà così”. E poi c’è il “dio Tasca”, no? Non solo riguardo al creato: tante cose, tante decisioni, tante contraddizioni e alcune di queste dipendono dai soldi». E ancora: «L’uomo è uno stupido, diceva la Bibbia. E così, quando non si vuol vedere, non si vede. Si guarda soltanto da una parte».   

Quanto alla Corea del Nord, «ti dico la verità – diceva il Papa al giornalista che aveva posto la domanda – io non capisco, davvero. Perché davvero non capisco quel mondo della geopolitica, è molto forte per me. Ma credo che, per quello che vedo, lì c’è una lotta di interessi che mi sfuggono, non posso spiegare davvero». In una recente intervista a La Civiltà Cattolica, poi, Hyginus Kim Hee-Joong, arcivescovo cattolico di Gwangju e presidente della Conferenza episcopale coreana , confermava, tra l’altro, di essere stato inviato in Vaticano a maggio dal nuovo presidente della Repubblica coreana, Moon Jae-in, subito dopo la sua elezione, con l’incarico di consegnare al Pontefice una lettera personale: «In quel momento – riferiva l’arcivescovo Hyginus – c’era la minaccia di guerra nella Penisola coreana a causa del conflitto tra gli Stati Uniti e la Corea del Nord. Il nuovo presidente della Corea del Sud voleva spiegare la sua posizione per la pace della Penisola coreana e chiedere la preghiera e l’aiuto di Papa Francesco, prima che egli desse udienza al presidente Trump (udienza concessa il 24 maggio, ndr). Penso che la mia missione sia stata positiva, grazie anche all’aiuto del Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin. Il nuovo presidente, Moon Jae-in, il cui nome di battesimo è “Timoteo” – aggiunge l’Arcivescovo coreano in merito a quell’episodio – ha ringraziato il Pontefice e tutti coloro che ci hanno aiutato».

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le tante bufale sull’immigrazione

tutto quello che sapete sull’immigrazione è sbagliato

Siete terrorizzati dagli stranieri? Pensate sia un’emergenza? Avete la sindrome dell’invasione? Tranquilli, non sta succedendo nulla di tutto questo (soprattutto se non abitate in una grande città): bastano un po’ di dati e qualche esempio

Sadiq Kahn Linkiesta

Sadiq Kahn, immigrato pakistano di seconda generazione e attuale sindaco di Londra

È lo spettro che si aggira per l’Europa, perlomeno in questo scorcio di ventunesimo secolo. Parliamo dell’immigrazione, ovviamente, un processo che sta cambiando i connotati alle agende politiche, distruggendo partiti, alzando muri – o minacciando di farlo – là dove fino a pochi mesi fa c’erano frontiere aperte. A monte di tutto, una premessa che tutti o quasi danno per scontata: che si tratti di un’emergenza e che come tale vada trattata. Che “se mettiamo un muro, o l’esercito alle frontiere smetteranno di arrivare”. O che se “li aiutiamo a crescere a casa loro, smetteranno di partire”.

Ecco: spiacenti di deludervi. Ma no, niente di tutto questo ha senso. No, le migrazioni non sono un’emergenza. No, la gente non smetterà di partire, di muoversi, di arrivare, né se gli darete il pesce, e nemmeno se gli darete la canna per pescare. E no, peraltro, l’Europa è un continente che è solo tangenzialmente interessato dalla questione migratoria. E quando lo è, in modo significativo, la soluzione ai problemi dei migranti sono anche un’opportunità di sviluppo economico e sociale, oltre che un fattore di inversione demografica non irrilevante e fondamentale, per l’unico continente al mondo la cui popolazione decresce.

A dirlo sono i numeri. Più precisamente i numeri raccolti da un rapporto del World Economic Forum pubblicato il 25 ottobre, intitolato “Migration and its impact on cities”, le migrazioni e il loro impatto sulle città. Che smonta un bel po’ di luoghi comuni. E che ha il pregio, soprattutto, di inquadrare il problema da un punto di vista globale. Un rapporto delle cui numerose evidenze che emergono ne abbiamo scelte cinque.

Le migrazioni (e non la stanzialità) sono il futuro del mondo
No, dicevamo: le migrazioni non sono un’emergenza, ma una tendenza inesorabile e inevitabile che sta cambiando il modo in cui abitiamo il pianeta. Di fatto, la rappresentazione plastica di una parola come “globalizzazione” che molto spesso pronunciamo senza saperle dare un significato preciso. Mentre state leggendo questo articolo, nel mondo ci sono più di un miliardo di persone che sono emigrate o che stanno migrando: parliamo di un settimo della popolazione globale. Nello stesso momento, 66 milioni di persone hanno in animo di migrare nei prossimi dodici mesi. E 23 milioni tra loro si stanno gia preparando per farlo.

Se pensate che l’Europa sia immune da pulsioni migratorie siete fuori strada e di molto. Un abitante su cinque dell’Unione Europea, infatti, vorrebbe migrare da dove vive, sette punti in più rispetto alla media globale, poco meno degli abitanti del Nord Africa e del Medio Oriente devastati da miseria e carestie (22%)

I migranti vogliono andare nelle metropoli, non in Occidente
Se state già preparandovi con malta, mattoni e filo spinato, vi diamo una notizia: buona parte di quei migranti non stanno venendo da voi. Almeno, questo ci dice la storia recente: del miliardo di migranti, sono solo 244 milioni quelli che sono usciti dal loro Paese. I restanti 763 milioni di migranti si sono mossi per raggiungere un’altra area della nazione in cui già vivevano E come i nostri migranti degli anni ’50, si stanno muovendo per raggiungere le grandi metropoli del loro Paese. In Africa, dove la crescita urbana è undici volte superiore a quella delle città europee. In India, dove la migrazione interna è raddoppiata tra il 2001 e il 2011. E soprattutto in Cina, nei confini della quale ci sono più di 220 milioni di migranti diretti verso le metropoli della costa pacifica, quasi quanti se ne muovono da un Paese all’altro in tutto il resto del mondo. Sydney, Londra e New York, tanto per fare tre esempi, sono città in cui un terzo della popolazione è migrante. Una percentuale che supera addirittura il 62% a Bruxelles e l’83% a Dubai.

 

Schermata 2017 10 27 Alle 14

Anche noi europei siamo migranti (o vorremmo esserlo)
Se è vero che ci si muove prevalentemente dalle campagne alle città, vuol dire che le migrazioni riguardano tutti, non solo gli abitanti dei Paesi poveri o in via di sviluppo. Quel che cerchiamo nelle metropoli ci accomuna tutti: la modernità, le opportunità economiche, l’emancipazione da un contesto culturalmente arretrato, una vita culturale più stimolante. Ad esempio, se pensate che l’Europa sia immune da pulsioni migratorie siete fuori strada e di molto. Un abitante su cinque dell’Unione Europea, infatti, vorrebbe migrare da dove vive, sette punti in più rispetto alla media globale, poco meno degli abitanti del Nord Africa e del Medio Oriente devastati da miseria e carestie (22%). Curiosità: il luogo nel quale ci sono meno persone che se ne vogliono andare – solo sette su cento – è il sud est asiatico.

 

Schermata 2017 10 27 Alle 14

In Italia non c’è nessuna grande invasione
Dovreste già esserci arrivati da soli, se siete intelligenti: in Italia non ci sono molte metropoli e di conseguenza non c’è nessuna grande invasione. Per dire: la città italiana con più migranti al suo interno – interni o esterni che siano – è Milano, col 19% di popolazione che viene da fuori. Il resto è quasi ordinaria amministrazione: per i migranti che si spostano da una nazione all’altra, siamo l’undicesimo Paese di destinazione dopo gli Stati Uniti, la Germania, il Canada, il Regno Unito, la Francia, l’Australia, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, la Russia e la Spagna. E in percentuale sul totale della popolazione hanno più migranti di noi anche Paesi come l’Ucraina, la Svizzera, il Kazakhstan, la Giordania.

 

Schermata 2017 10 27 Alle 14

I migranti spaventano chi non ce li ha
In Europa i migranti si muovono nel 61% dei casi verso le grandi città e solo il restante 39% si dirige verso città medie (25%) e aree rurali (14%). In altre parole, i migranti vanno in città come Parigi, in cui il Front National prende il 5% appena. O come Londra che ha eletto come sindaco il pakistano Sadiq Kahn. Non in Polonia o in Ungheria, che nemmeno compaiono nelle classifiche di destinazione dei migranti e nemmeno in tutta l’ex Germania Est, Berlino esclusa, in cui dominano le frange più estreme di Alternative fur Deutschland. In altre parole, gli “stranieri” spaventano chi non ce li ha. Meglio ancora: chi vive in campagna o nelle valli e ha paura dei migranti è come il bambino di città che ha paura dei lupi. Basterebbe dirglielo: tranquillo, non hanno nessuna intenzione di venire a mangiarti.

Schermata 2017 10 27 Alle 14

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il grido profetico di Zanotelli contro la globalizzazione della riccheza contro i poveri

l’illusione dei ricchi

 

Incredibile l’abuso che noi occidentali abbiamo fatto della Bibbia per dominare il mondo

 

Quanti Lazzaro stesi davanti alle porte delle Chiese, segnati da ferite fisiche o esistenziali, desiderosi di avere le stesse opportunità dei benestanti. Quanti ricchi che frequentano piamente il tempio e disertano gli altri luoghi in cui vive Dio, deformato e sfigurato da povero. Se fa impressione l’inarrestabile calo di presenze in chiesa non sorprendono invece le assenze sugli attuali Golgota. Infatti anche nelle crocifissioni di oggi Dio continua a rimanere terribilmente solo (o quasi). Non si può non provare pena per i ricchi. Vivono nell’illusione che il “successo” sociale di cui godono sia il segno del favore del Cielo. Purtroppo per loro Dio ha scelto la sconfitta, ciò che non luccica, la contraddizione, i rifiutati. I ricchi senza conversione conosceranno un solo momento di verità: la morte. Lì si renderanno conto che hanno rinunciato alla propria umanità e alla possibilità di infinito per contare dei sudici pezzi di carta. “Gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi”(1) è la giustizia al contrario del nostro meraviglioso Dio. Così quelli che oggi stanno fuori entreranno e quelli che credono di stare dentro usciranno o comunque aspetteranno. Così quelli piegati dalla sbarra dell’oppressione saranno sollevati, rimessi in piedi e saliranno, quelli che stanno sul piedistallo, sui pulpiti del legalismo/moralismo/rigorismo scenderanno e senza gli applausi a cui sono abituati. Così quelli calunniati, perseguitati, uccisi per i loro richiami profetici saranno ascoltati pubblicamente, quelli che hanno predicato di giorno il Vangelo e stretto accordi di notte con il potere saranno messi a tacere.

(1) Vangelo di Matteo 20,16

Vangelo di Luca 16, 19-31

C’era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell’inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi. E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi».

pubblicato da altranarrazione

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halloween e gli ultracattolici che hanno paura del sorriso

HALLOWEEN

“Ogni anno, con l’avvicinarsi della festa di Halloween, riprende con forza la crociata degli ultrà cattolici che vedono in questo evento il trionfo del male…”. Su ilLibraio.it il commento del biblista frate Alberto Maggi: “Perché i super cattolici hanno paura del riso?”

LA PAURA DEL SORRISO

Ogni anno, con l’avvicinarsi della festa di Halloween, riprende con forza la crociata degli ultrà cattolici che vedono in questo evento il trionfo del male, una sorta di sabba satanico, popolato da streghe, diavoli, demòni, e ogni altra infernale creatura. Questi zelanti crociati sono sempre in guerra, devono continuamente combattere contro qualcuno, e se non trovano il nemico, lo inventano. Per essi la festa di Halloween è un’attrazione irresistibile, non si trattengono e tirano fuori tutta la cattiveria repressa e la violenza verbale contro chi sorride di questa festa.

Da che nasce tutto quest’astio? Perché i super cattolici hanno paura del riso? Per costoro, che indubbiamente vivono una loro spiritualità, questa s’intende come qualcosa contrapposta al corpo, alla carnalità, alla materia, qualcosa che entra in conflitto con la felicità umana, quasi che per essere spirituali occorra rinnegare una parte importante ed essenziale della propria vita, quella dei sensi e del piacere. La spiritualità per costoro sembra relegata al mondo dello spirito e non della materia, del divino e non dell’umano, del religioso e non del profano, dell’eterno e non del temporale.

Tutto ciò nasce dal fatto che nel cattolicesimo siamo eredi di una spiritualità che distaccatasi dai vangeli ha devastato a volte in maniera irrimediabile la vita dei credenti. Uno dei grandi responsabili di questa devastazione fuunpapa del medioevo, Innocenzo III. Quando ancora era cardinale, scrisse Il disprezzo del mondo, libro che per circa sei secoli fu un bestseller e formò, o meglio deformò, la spiritualità cristiana.

Lotario, confondendo il suo tetro pessimismo per sante ispirazioni, scrisse: “L’uomo viene concepito dal sangue putrefatto per l’ardore della libidine, e si può dire che già stanno accanto al suo cadavere i vermi funesti. Da vivo generò lombrichi e pidocchi, da morto genererà vermi e mosche; da vivo ha creato sterco e vomito, da morto produrrà putredine e fetore; da vivo ha ingrassato un unico uomo, da morto ingrasserà numerosissimi vermi… Felici quelli che muoiono prima di nascere e che prima di conoscere la vita hanno provato la morte… mentre viviamo continuamente moriamo e finiremo di essere morti allorquando finiremo di vivere, perché la vita mortale altro non è che una morte vivente…” (De cont. mundi 3,4).

I danni prodotti da questa letteratura tetra (basta citare l’Imitazione di Cristo) sono stati devastanti. La teologia nei secoli si è occupata più della sofferenza che dell’allegria, della mortificazione anziché del piacere, del pianto più del riso (“Gesù non ha mai riso” era nel sec. XVIII l’imperativo di predicatori incapaci di un sorriso), e l’abito da lutto divenne la divisa di preti e suore.

I teologi si sono interessati più della morte che della vita. L’unica vita che li interessava era quella eterna, dell’al di là. La vita terrena non era altro che un’immensa valle di lacrime nella quale sguazzavano le pie anime devote in attesa della morte: “La mattina, fa’ conto di non arrivare alla sera: e quando poi si farà sera, non osare sperare nel domani. Sii dunque sempre pronto…” (Imitazione di Cristo, XXIII, 1).

Una spiritualità che divinizzava la sofferenza e la morte non aveva altro rimedio che insegnare ai credenti di porre l’unica speranza nell’altra vita, la sola degna di essere chiamata tale. La felicità degli uomini in questa esistenza non era contemplata.

Per spiritualità cristiana, evangelica, s’intende una vita guidata, potenziata, arricchita dallo Spirito di Gesù, lo Spirito Santo, la forza vitale che proviene da Dio ed è la vita stessa di Dio che viene comunicata. Questa spiritualità non entra in conflitto con la vita, ma la potenzia, non è una rivale della felicità, ma la permette, non diminuisce la persona, ma l’arricchisce, non toglie il sorriso, ma lo illumina.

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chi sono i nemici di papa Francesco

i nemici del papa sono nella chiesa

e stanno combattendo una guerra

in una lunga inchiesta il quotidiano britannico The Guardian analizza chi sono i nemici di Bergoglio in Vaticano e perché contro il pontefice argentino monta un’opposizione sempre più forte

I nemici del papa sono nella Chiesa. E stanno combattendo una guerra

Papa Francesco ha moltissimi nemici. E non tanto tra gli atei, i protestanti o tra i musulmani. Quelli più convinti si trovano all’interno del Vaticano e nelle curie di tutto il mondo perché fanno parte anche loro parte del clero e siedono tra le file dei più convinti conservatori. Sin dalla sua nomina nel 2013 Bergoglio ha mostrato di preferire (a parole e nei fatti) uno stile modesto e umile. Guida una Fiat, porta da solo le sue valige, si reca personalmente in un negozio di occhiali per cambiare le lenti – ma non la montatura – e paga il conto in hotel. Lava i piedi alle donne musulmane rifugiate e dei gay dice “Chi sono io per giudicare?” Le sue parole e i suoi gesti hanno colpito il mondo intero ma dentro le mura di ‘casa’  Francesco ha provocato un contraccolpo enorme tra i conservatori che temono che lo stile ‘francescano’ possa dividere la Chiesa o addirittura mandarla in frantumi. È quanto emerge da un lungo articolo del Guardian scritto dal giornalista Andrew Brown che si è infiltrato nel clero e ha parlato con sacerdoti e non solo. “Quest’estate un prete inglese molto in vista mi ha detto: ‘Non possiamo che aspettare che muoia. Quello che ci diciamo in privato non si può riportare. Ma quando due preti si incontrano parlano di quanto terribile sia Bergoglio… È come Caligola: se avesse un cavallo lo nominerebbe cardinale’”. Poi la raccomandazione al giornalista: “Non devi pubblicare nulla di quello che ho detto altrimenti verrò fatto fuori”. 

I nemici del papa sono nella Chiesa. E stanno combattendo una guerra

perché Bergoglio si è fatto i nemici

Che Bergoglio si facesse dei nemici era già previsto. E per diversi motivi: è il primo papa non europeo ed è stato letto come outsider, tanto per iniziare. Ma nessuno immaginava che i suoi avversari fossero cosi tanti. Forse perché nessuno aveva previsto che, una volta eletto, Bergoglio avrebbe scelto il nome del santo dell’umiltà e che, come lui, (o quasi) avrebbe condotto la sua vita, iniziando col dire no ai fasti del Vaticano. Non sono andate giù nemmeno le sue parole di accoglienza nei confronti dei migranti, i suoi attacchi al capitalismo e, soprattutto, la sua decisione di riesaminare gli insegnamenti della Chiesa sul sesso. “Stando a quanto emerso dall’ultimo incontro mondiale dei vescovi, quasi un terzo del Collegio Cardinalizio ritiene che il papa stia flirtando con l’eresia”.

Uno dei principali punti di rottura – secondo The Guardian – è rappresentato dal divorzio: rompendo con la tradizione secolare, Francesco ha incoraggiato i preti cattolici a dare la comunione anche ai divorziati, a coloro che si sono risposati e alle coppie che convivono. “A lungo i suoi avversari hanno cercato di distoglierlo e di convincerlo a rinunciare all’iniziativa. Lui non ha voluto e si è ritrovato a combattere contro il malcontento generale che ora sta montando in una guerra”. Le armi sono le accuse di eresia. “L’anno scorso, un cardinale, appoggiato da alcuni colleghi in pensione, ha fatto emergere la possibilità di una dichiarazione formale di eresia, un peccati punibile con la scomunica. Lo scorso mese, invece, 62 sacerdoti e studiosi cattolici e laici, tra cui figurano un vescovo in pensione e l’ex presidente dello Ior – Ettore Gotti Tedeschi – hanno pubblicato una lettera aperta di 25 pagine che accusa Papa Francesco di 7 eresie per la sua Amoris Laetitia”. Il documento, scritto da Francesco, affronta il dibattito sul divorzio e apre – seppur non direttamente – alla comunione ai divorziarti.

I nemici del papa sono nella Chiesa. E stanno combattendo una guerra

cosa significa essere accusati di eresia

(per un papa)

Si tratta di un’accusa cruciale per un papa perché lo mette con le spalle al muro: secondo la dottrina, un papa non può sbagliare quando affronta temi di fondamentale importanza come quelli legati alla fede. Così, se cade in errore significa che non è degno di essere papa, se invece ha ragione significa che hanno sbagliato tutti i suoi predecessori. In più, quella sulla comunione ai divorziati è una questione più che altro di forma: Bergoglio non ha proposto una rivoluzione ma ha semplicemente riconosciuto quello che accade già in tutto il mondo. E che potrebbe essere essenziale per la sopravvivenza della Chiesa. Se si applicassero le regole alla lettera, nessuno potrebbe più fare sesso con il nuovo partner dopo il fallimento del proprio matrimonio.

La crisi più grave dopo le spaccature degli anni ‘60

L’attuale crisi, ricorda il Guardian, è la più profonda dai tempi delle riforme liberali degli anni ’60 che portarono il gruppo dei conservatori più convinti, guidati dall’arcivescovo Marcel Lefebvre, a staccarsi dalla Chiesa. Furono gli anni del Concilio Vaticano II e dell’apertura di Roma al resto del mondo sotto la guida di Papa Giovanni XXIII. Il Concilio condannò l’antisemitismo, abbracciò la democrazia, proclamò i diritti umani universali e abolì la messa in latino. Il Vaticano ha trascorso la maggior parte del secolo scorso a lottare contro la rivoluzione sessuale, spingendosi su posizioni assolutistiche come, ad esempio, il divieto assoluto di usare contraccettivi. Francesco ha riconosciuto che non è così che agiscono i fedeli. E lo sanno anche i membri del clero ma si comportano come se non lo sapessero. “La dottrina ufficiale non deve essere messa in discussione, ma nemmeno può essere osservata del tutto”.

I nemici del papa sono nella Chiesa. E stanno combattendo una guerra
papa Francesco apre la Porta Santa della Basilica di San Giovanni in Laterano, la terza compiuta personalmente da Bergoglio dopo quelle di Bangui in Centrafrica e di San Pietro 

la ricetta per salvare la Chiesa 

Con oltre un miliardo di fedeli, la Chiesa cattolica è la più grande organizzazione al mondo e molti dei suoi fedeli sono divorziati oppure sono genitori non sposati. Si tratta di un numero in netto calo, soprattutto al di fuori dell’Italia. Negli Stati uniti, ad esempio, la percentuale dei fedeli che vanno regolarmente a messa la domenica è passato dal 55% del 1965 al 22% del 2000. Mentre il numero di bambini battezzati è sceso da 1,3 milioni nel ’65 a 670mila nel 2016. E se per alcuni il motivo dell’allontanamento risiede nell’abbandono delle pratiche più tradizionali, per altri la colpa della Chiesa è quella di non essere riuscita a cambiare abbastanza per essere vicina alle persone. Da parte sua, “Papa Francesco è sicuro che se non riuscirà a far coincidere teoria e pratica le chiese si svuoteranno. Anche i suoi avversari sono consapevoli del fatto che l’istituzione sia nel pieno di una crisi, ma la loro ricetta per salvarla è l’opposto: per loro il fossato tra teoria e pratica è esattamente ciò che dà spessore e senso alla Chiesa”. Ma l’attrito riguarda soprattutto la visione del ruolo dell’istituzione tra chi crede che la Chiesa debba organizzare la sua agenda a seconda delle esigenze del mondo e chi crede l’esatto contrario. 

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il commento al vangelo della domenica

AMERAI IL SIGNORE TUO DIO, E IL TUO PROSSIMO COME TE STESSO

commento al vangelo della domenica trentesima domenica del tempo ordinario (29 ottobre 2017) di p. Alberto Maggi:

Mt 22,34-40

In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Gesù ha denunciato le massime autorità religiose di essere dei ladri, perché si sono impadroniti di ciò che non è loro, il popolo, e di essere degli assassini, perché se ne sono impadroniti con violenza. Naturalmente le autorità non stanno con le mani in mano, c’è tutta una serie di attacchi contro Gesù, perché? Perché non basta ammazzare Gesù bisogna diffamarlo, perché se si limitano ad ammazzarlo, ed è semplice ammazzarlo, creano la figura del martire, e dopo la situazione è peggio di prima. Allora cercano di diffamarlo, di fargli perdere il consenso che ha sulla gente. E ci sono degli attacchi, delle trappole, ma ogni volta rimangono loro intrappolati. Questo è l’ultimo degli attacchi contro Gesù. È il vangelo di Matteo capitolo 22, versetti 34-40. “Allora”, questo allora è in relazione a quello che l’evangelista aveva scritto, che “udendo ciò, le folle erano colpite dal suo insegnamento”. La gente ha compreso che in Gesù c’è il mandato divino di insegnare la Parola e non quello dei sommi sacerdoti o quello degli scribi. “Allora i farisei”, i farisei tornano l’attacco di nuovo dopo l’episodio, il fallimento della tentazione con la moneta del tributo a Cesare, “avendo udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducèi”, la parola di Gesù chiude la bocca dei suoi avversari, “si riunirono insieme”, questo è un fatto clamoroso, perché farisei e sadducèi non si sopportavano. Possiamo leggere negli Atti degli apostoli che, ogni volta che si trovano insieme, tra di loro c’erano delle baruffe, c’erano o delle liti, non si sopportavano, ma hanno un nemico comune quindi si mettono insieme. “e uno di loro, un dottore della Legge”, questa volta scelgono un calibro da novanta, mica una persona semplice, un dottore della Legge, cioè un esperto, quelli autorizzati, quelli che hanno il mandato divino per insegnare la parola del Signore, “lo interrogò per metterlo alla prova”, il verbo adoperato dall’evangelista è tentarlo. La denuncia dell’evangelista è tremenda: attenti, questi rappresentanti di Dio, queste persone che si rifanno a Dio, in realtà sono i tentatori, sono tutti gli emissari o strumenti di diavolo e di satana. “Maestro”, gli chiede, “nella legge, qual è il grande comandamento?”, la risposta la sanno. È che vogliono vedere se Gesù è in linea o no con l’ortodossia, e siccome hanno visto già in precedenza che Gesù non è d’accordo con il loro insegnamento, ecco che lo vogliono tentare. Cosa significa qual è il grande comandamento dei comandamenti? Si chiedevano a quel tempo, qual è il comandamento più importante. Ebbene quale può essere il comandamento più importante, quello che anche Dio osserva. E quale comandamento può osservare Dio? Il comandamento che Dio osserva è il riposo del sabato. Pertanto l’osservanza di questo unico comandamento, osservato anche da Dio, equivale all’osservanza di tutta la legge, ma la trasgressione di questo unico comandamento è punita con la pena di morte perché equivale alla trasgressione di tutta la legge. Quindi vogliono sapere se Gesù è in linea con l’insegnamento della dottrina tradizionale. Qual è il più importante comandamento? Non è una domanda volta ad apprendere, ma per controllare l’ortodossia o meno di Gesù. “Gli rispose”, la risposta di Gesù è sorprendente, perché gli hanno chiesto qual è il comandamento più importante e Gesù non solo non risponde del sabato, ma Gesù ignora i comandamenti. Per Gesù la nuova relazione con Dio non è più basata sull’osservanza della legge di Mosè, ma sull’accoglienza e la somiglianza del suo amore. Ecco perché allora Gesù nella sua risposta non cita nessun comandamento, ma si rifà allo Shema Israel, ascolta Israele, il credo d’Israele, che è contenuto nel capitolo sesto del libro del Deuteronomio: “amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore”, il cuore nella cultura ebraica indica la coscienza, l’intimo più profondo, “con tutta la tua anima”; con tutta la tua essenza spirituale e “con tutta”, e qui Gesù cambia il detto del Deuteronomio, perché c’era la scritta le forze, le forze cioè i beni economici, Gesù cambia e mette “mente”. Perché Gesù modifica questa importante affermazione? Perché con Gesù l’uomo non deve più offrire le sue forze a Dio, ma accogliere quelle che Dio comunica agli uomini. Il Dio di Gesù non assorbe le energie degli uomini, ma gli comunica le sue, dilatando la sua capacità d’amare. Per Gesù questo è il grande e il primo comandamento. Quindi il comandamento più importante non è il riposo del sabato, ma l’amore a Dio, ma poi Gesù aggiunge “il secondo poi è simile a questo”, perché non basta un amore a Dio, bisogna che si traduca in amore anche verso le persone, “amerai il tuo prossimo come te stesso”. Gesù eleva al rango di comandamento quello che era soltanto un precetto. E conclude Gesù da questi due comandamenti, quindi non sono comandamenti, ma Gesù li eleva a comandamenti, l’amore a Dio che si traduce in amore al prossimo, da qui dipende tutta la Legge e i profeti, cioè tutta quella ricchezza, quella struttura che noi chiamiamo Antico Testamento si richiude in questo: amore a Dio, e amore all’uomo. Ma bisogna tener presente che questa è la risposta che Gesù dà a un ebreo, e vale per il mondo ebraico. Poi nella sua comunità Gesù supererà tutto questo, perché non c’è un amore a Dio totale e un amore al prossimo limitato, relativo, ma Gesù nel capitolo 13 del Vangelo di Giovanni, ci lascerà il suo comandamento, “che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”. Poi dopo di questo sarà Gesù che passerà al contrattacco.

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un libro provvidenziale sull’inconciliabilità di cristianesimo e antisemitismo

“No, non è possibile ai cristiani aver parte con l’antisemitismo […]. Noi siamo spiritualmente semiti”

 

 

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quanto mai opportuna l’uscita, visto il risorgente antisemitismo
sarà presto disponibile in libreria un volumetto di Valerio De Cesaris dal titolo:
“Spiritualmente semiti. La risposta cattolica all’antisemitismo” (edizione Guerini e Associati). 
E’ una riflessione storica su Chiesa cattolica e antisemitismo che si incentra su un momento di svolta, il giorno del settembre 1938 in cui Pio XI, in contrapposizione esplicita con il razzismo nazista e ormai anche fascista (del luglio è il Manifesto degli scienziati razzisti e a inizio settembre sono emanate le prime Leggi razziali riguardanti soprattutto la scuola), rivendica la “semiticità” dello stesso cristianesimo, in quanto erede diretto del popolo della Promessa.
Il 14 settembre 1938, su “La libre Belgique”, esce il resoconto dell’udienza concessa cinque giorni prima da papa Ratti ai pellegrini della Radio Cattolica Belga:
“‘L’antisemitismo non è compatibile con il pensiero e la realtà sublimi che sono espresse in questo testo [un Messale donato dai pellegrini, in cui si leggeva ‘Sacrificium patriarchæ nostri Abrahæ’]. È un movimento antipatico, un movimento con cui noi cristiani non possiamo avere alcuna parte’. Qui il papa non riesce più a trattenere la propria emozione. Non voleva lasciarsene vincere. Ma non è riuscito a farlo. È piangendo che ha citato i passi di San Paolo che mettono in luce la nostra discendenza spirituale da Abramo. ‘La promessa è stata fatta ad Abramo e alla sua discendenza. Il testo (Gal 3, 16) non dice, fa notare San Paolo, <in seminibus tamquam in pluribus, sed in semine, tamquam in uno, quod est Christus>. La promessa si realizza nel Cristo e, attraverso il Cristo, in noi che siamo le membra del suo corpo mistico. Attraverso il Cristo e nel Cristo noi siamo della discendenza spirituale di Abramo. No, non è possibile ai cristiani aver parte con l’antisemitismo. […] L’antisemitismo è inammissibile. Noi siamo spiritualmente semiti’”.

Francesco De Palma
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contro la violenta usanza delle mutilazioni genitali

Nessun testo alternativo automatico disponibile.

di Rania Ibrahim

“Poi toccò a me. Ormai ero terrorizzata.
– Quando avremo tolto questo “kintir” (clitoride) tu e tua sorella sarete pure.- Dalle parole della nonna e degli strani gesti che faceva con la mano, sembrava che quell’orribile kintir, il mio clitoride, dovesse un giorno crescere fino a penzolarmi tra le gambe. Mi afferrò e mi bloccò la parte superiore del corpo… Altre due donne mi tennero le gambe divaricate. L’uomo che era un cinconcisore tradizionale appartenente al clan dei fabbri, prese un paio di forbici. Con l’altra mano afferrò quel punto misterioso e cominciò a tirare… Vidi le forbici scendere tra le mie gambe e l’uomo tagliò piccole labbra e clitoride. Sentii il rumore, come un macellaio che rifila il grasso da un pezzo di carne. Un dolore lancinante, indescrivibile e urlai in maniera quasi disumana. Poi vennero i punti: il lungo ago spuntato spinto goffamente nelle mie grandi labbra sanguinanti, le mie grida piene di orrore… Terminata la sutura l’uomo spezzò il filo con i denti… Ricordo le urla strazianti di Haweya, anche se era più piccola, aveva quattro anni, scalciò più di me per cercare di liberarsi dalla presa della nonna, ma servì solo a procurarlo brutti tagli sulle gambe di cui portò le cicatrici tutta la vita.

Mi addormentai, credo, perché solo molto più tardi mi resi conto che le mie gambe erano state legate insieme, per impedire i movimenti e facilitare la cicatrizzazione (dato che c’è stata una perdita di sostanza, clitoride e piccole labbra, le gambe legate insieme permettono la cicatrizzazione, ma la cicatrizzazione avviene in retrazione. Non c’è più tutto il tessuto necessario perché le gambe possano essere divaricate completamente. Nessuna farà più la spaccata. Anche dare un calcio a un pallone può essere impossibile, come andare a cavallo o, nei casi più gravi, nuotare a rana. Nei casi più gravi, dove infezioni riducono ulteriormente il tessuto, le donne non possono più divaricare le gambe per accovacciarsi e urinare e, dove non esistono water, devono urinare dalla posizione in piedi con l’orina che scola tra le gambe, scola un filino alla volta, una goccia alla volta).

Era buio e mi scoppiava la vescica, ma sentivo troppo male per fare pipì. Il dolore acuto era ancora lì e le mie gambe erano coperte di sangue. Sudavo ed ero scossa dai brividi. Soltanto il giorno dopo la nonna mi convinse a orinare almeno un pochino. Oramai mi faceva male tutto. Finché ero rimasta sdraiata immobile il dolore aveva continuato a martellare penosamente, ma quando urinai la fitta fu acuta come nel momento in cui mi avevano tagliata. Impiegammo circa due settimane a riprenderci. La nonna accorreva al primo gemito angosciato. Dopo la tortura di ogni minzione ci lavava con cura la ferita con acqua tiepida e la tamponava con un liquido violaceo, poi ci legava di nuovo le gambe e ci raccomandava di restare assolutamente ferme o ci saremmo lacerate e allora avrebbe dovuto chiamare quell’uomo a cucirci di nuovo.

Lui venne dopo una settimana per esaminarci. Haweya doveva essere ricucita. Si era lacerata urinando e lottando con la nonna… L’uomo ritornò a togliere il filo dalla mia ferita. Ancora una volta furono atroci dolori per estrarre i punti usò una pinzetta. Li strappò bruscamente mentre di nuovo la nonna e altre due donne mi tenevano ferma. Ma dopo questo anche se avevo una ruvida spessa cicatrice tra le gambe che faceva male se mi muovevo troppo, almeno non fui più costretta a restare sdraiata tutto il giorno con le gambe legate. Haweya dovette attendere un’altra settimana e ci vollero quattro donne per tenerla ferma… Non dimenticherò mai il panico sul suo viso e nella sua voce… Da allora non fu più la stessa… aveva incubi orribili. La mia sorellina un tempo allegra e giocosa cambiò. A volte si limitava a fissare il vuoto per ore. (svilupperà una psicosi)… cominciammo a bagnare il letto dopo la circoncisione.”

 

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due annunciatori e costruttori di pace ci lascano – in memoria di Alberto L’Abate e di Graziano Zoni

l’addio dei ‘Beati Costruttori di Pace’

“Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie…”

(Is. 52,7)

Sono queste le parole che mi vengono spontanee nell’esprimere la gioia e la riconoscenza per l’esperienza terrena di
Alberto L’Abate e di Graziano Zoni.


Sia l’uno che l’altro hanno esplorato fisicamente a piedi le zone impervie, sia sociali che geografiche, dei grandi conflitti del nostro tempo.
Due personalità molto diverse, ma ugualmente impegnate, disponibili e coraggiose, che hanno sempre messo in gioco spiritualmente e fisicamente
le loro persone.

E’ la vita, e non la morte, di questi carissimi compagni di viaggio che rimane, non nel ricordo, ma nel cammino che ognuno di noi continua a perseguire con costanza e fiducia.
Il popolo della pace c’è e continua a camminare, anche con la vita e l’energia di chi rimane presente in noi molto realmente, anche se non si vede fisicamente.

Siamo partecipi oggi di una storia ricca di testimoni straordinari di pace, che hanno segnato le nostre stesse scelte e che rimangono
a fondamento anche della nostra speranza e fiducia.
Alberto e Graziano sono tra questi: GRAZIE!
Ci auguriamo, con loro e tutti gli altri, non a parole, buon cammino!

Beati i costruttori di pace

-- 
Beati i costruttori di pace - Onlus
Via a. da Tempo 2 - Padova
Tel 049 8070522
www.beati.eu


www.beati.org

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