Sinodo, il testo integrale della Relazione di Sintesi

il documento conclusivo della prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (4-29 ottobre 2023)

“Una Chiesa sinodale in missione”

XVI ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI Prima Sessione
(4-29 ottobre 2023)

INTRODUZIONE

Care sorelle, cari fratelli,

«noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo» (1Cor 12,13). È l’esperienza, colma di gioia e di gratitudine, che abbiamo fatto in questa Prima Sessione dell’Assemblea sinodale, che si è tenuta dal 4 al 28 ottobre 2023, sul tema “Per una Chiesa sinodale. Comunione, partecipazione, missione”. Per la comune grazia del Battesimo, abbiamo potuto vivere insieme con un cuore solo e un’anima sola, pur nella diversità delle provenienze, lingue e culture. Come un coro abbiamo cercato di cantare nella varietà delle voci e nell’unità degli animi. Lo Spirito Santo ci ha dato di sperimentare l’armonia che Lui solo sa generare: essa è un dono e una testimonianza in un mondo lacerato e diviso.

La nostra Assemblea si è svolta mentre nel mondo infuriano vecchie e nuove guerre, con il dramma assurdo di innumerevoli vittime. Il grido dei poveri, di chi è costretto a migrare, di chi subisce violenza o soffre le devastanti conseguenze dei cambiamenti climatici è risuonata tra noi, non solo attraverso i mezzi di comunicazione, ma anche dalla voce di molti, personalmente coinvolti con le loro famiglie e i loro popoli in questi tragici eventi. Abbiamo portato tutti, in ogni momento, nel cuore e nella preghiera, chiedendoci in che modo le nostre Chiese possano favorire cammini di riconciliazione, di speranza, di giustizia e di pace.

Il nostro incontro si è svolto a Roma, intorno al successore di Pietro, che ci ha confermati nella fede e ci ha spinto a essere audaci nella missione. È stata una grazia iniziare il cammino di questi giorni con una veglia ecumenica, in cui abbiamo visto pregare insieme al Papa, presso la tomba di Pietro, i capi e i rappresentanti delle altre confessioni cristiane: l’unità fermenta silenziosa dentro la Santa Chiesa di Dio; lo vediamo con i nostri occhi e pieni di gioia ve lo testimoniamo. «Com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme!» (Sal 133,1).

Per volere del Santo Padre, l’Assemblea ha visto raccogliersi insieme e intorno ai Vescovi altri membri del Popolo di Dio. I Vescovi, uniti tra loro e con il Vescovo di Roma, hanno reso manifesta la Chiesa come comunione di Chiese. Laiche e laici, consacrati e consacrate, diaconi e presbiteri sono stati, con i Vescovi, testimoni di un processo che intende coinvolgere tutta la Chiesa e tutti nella Chiesa. Essi hanno ricordato che l’Assemblea non è un evento isolato, ma parte integrante e passaggio necessario del processo sinodale. Nella molteplicità degli interventi e nella pluralità delle posizioni è risuonata l’esperienza di una Chiesa che sta imparando lo stile della sinodalità e cercando le forme più idonee a realizzarla.

Sono più di due anni che abbiamo iniziato il cammino che ci ha condotto a questa Sessione. Dopo l’apertura del processo sinodale avvenuta il 9 ottobre 2021, tutte le Chiese, seppur con passo diverso, si sono impegnate in un processo di ascolto che ha visto tappe diocesane, nazionali e continentali, i cui risultati sono confluiti nei rispettivi documenti. Con questa Sessione si è aperta la fase in cui la Chiesa intera recepisce i frutti di questa consultazione per discernere, nella preghiera e nel dialogo, le strade che lo Spirito ci chiede di percorrere. Questa fase durerà fino al mese di ottobre 2024, quando la Seconda Sessione dell’Assemblea porterà a termine il proprio lavoro, offrendolo al Santo Padre.

L’intero cammino, radicato nella Tradizione della Chiesa, si sta svolgendo nella luce del magistero conciliare. Il Concilio Vaticano II è stato, infatti, come un seme gettato nel campo del mondo e della Chiesa. La vita quotidiana dei credenti, l’esperienza delle Chiese in ogni popolo e cultura, le molteplici testimonianze di santità, la riflessione dei teologi sono stati il terreno in cui esso è germogliato e cresciuto. Il Sinodo 2021-2024 continua ad attingere all’energia di quel seme e a svilupparne le potenzialità. Il cammino sinodale sta infatti mettendo in atto ciò che il Concilio ha insegnato sulla Chiesa come Mistero e Popolo di Dio, chiamato alla santità. Esso valorizza l’apporto di tutti i battezzati, nella varietà delle loro vocazioni, a una migliore comprensione e pratica del Vangelo. In questo senso costituisce un vero atto di ulteriore recezione del Concilio, che ne prolunga l’ispirazione e ne rilancia per il mondo di oggi la forza profetica.

Dopo un mese di lavoro, ora il Signore ci chiama a ritornare nelle nostre Chiese per trasmettere a tutti voi i frutti del nostro lavoro e continuare insieme il cammino. Qui a Roma eravamo solo alcuni, ma il senso del percorso sinodale indetto dal Santo Padre è quello di coinvolgere tutti i battezzati. Desideriamo ardentemente che questo avvenga e vogliamo impegnarci per renderlo possibile. In questa Relazione di sintesi abbiamo raccolto gli elementi principali emersi nel dialogo, nella preghiera e nel confronto che hanno caratterizzato questi giorni. I nostri racconti personali arricchiranno questa sintesi con il tono dell’esperienza vissuta, che nessuna pagina può restituire. Potremo così testimoniarvi come siano stati ricchi i momenti di silenzio e di ascolto, di condivisione e di preghiera. Condivideremo anche che non è facile ascoltare idee diverse, senza cedere subito alla tentazione di ribattere; offrire il proprio contributo come un dono per gli altri e non come una certezza assoluta. La grazia del Signore ci ha però condotto a farlo, nonostante i nostri limiti, e questa è stata per noi una vera esperienza di sinodalità. Praticandola, l’abbiamo compresa meglio e ne abbiamo colto il valore.

Abbiamo capito, infatti, che camminare insieme come battezzati, nella diversità dei carismi, delle vocazioni, dei ministeri, è importante non solo per le nostre comunità, ma anche per il mondo. La fraternità evangelica è infatti come una lampada, che non deve essere messa sotto un moggio, ma sul candelabro perché faccia luce su tutta la casa (cfr. Mt 5,15). Il mondo ha oggi più che mai bisogno di questa testimonianza. Come discepoli di Gesù non possiamo sottrarci al compito di mostrare e trasmettere a un’umanità ferita l’amore e la tenerezza di Dio.

I lavori di questa Sessione si sono svolti seguendo la traccia offerta dall’Instrumentum laboris, che ci invitava a riflettere sui segni caratteristici di una Chiesa sinodale e sulle dinamiche di comunione, missione e partecipazione che la abitano. Il confronto sulle domande proposte ha confermato la bontà dell’impianto complessivo della traccia. Abbiamo potuto entrare nel merito delle questioni, identificare i temi bisognosi di approfondimento, avanzare un primo nucleo di proposte. Alla luce dei passi avanti compiuti, la Relazione di sintesi non riprende o ribadisce tutti i contenuti dell’Instrumentum laboris, ma rilancia quelli ritenuti prioritari. Essa non è in alcun modo un documento finale, ma uno strumento al servizio del discernimento che dovrà ancora continuare.

Il testo è strutturato in tre parti. La prima delinea “Il volto della Chiesa sinodale”, presentando i principi teologici che illuminano e fondano la sinodalità. Qui lo stile della sinodalità appare come un modo di agire e operare nella fede che nasce dalla contemplazione della Trinità e valorizza unità e varietà come ricchezza ecclesiale. La seconda parte, intitolata “Tutti discepoli, tutti missionari”, tratta di tutti coloro che sono coinvolti nella vita e nella missione della Chiesa e delle loro relazioni. In questa parte la sinodalità si presenta principalmente come cammino congiunto del Popolo di Dio e come dialogo fecondo di carismi e ministeri a servizio dell’avvento del Regno. La terza parte porta il titolo “Tessere legami, costruire comunità”. Qui la sinodalità appare principalmente come un insieme di processi e una rete di organismi che consentono lo scambio tra le Chiese e il dialogo con il mondo.

In ciascuna delle tre parti, ogni capitolo raccoglie le convergenze, le questioni da affrontare e le proposte emerse dal dialogo. Le convergenze identificano i punti fermi a cui la riflessione può guardare: sono come una mappa che consente di orientarci nel cammino e non smarrire la strada. Le questioni da affrontare raccolgono i punti su cui abbiamo riconosciuto che è necessario continuare l’approfondimento teologico, pastorale, canonico: sono come degli incroci sui quali occorre sostare, per capire meglio la direzione da prendere. Le proposte indicano invece possibili piste da percorrere: alcune sono suggerite, altre raccomandate, altre ancora richieste con più forza e determinazione.

Nei prossimi mesi le Conferenze Episcopali e le Strutture Gerarchiche delle Chiese Orientali Cattoliche, facendo da raccordo tra le Chiese locali e la Segreteria Generale del Sinodo, svolgeranno un ruolo importante per lo sviluppo della riflessione. A partire dalle convergenze raggiunte, sono chiamate a concentrarsi sulle questioni e sulle proposte più rilevanti e più urgenti, favorendone l’approfondimento teologico e pastorale e indicando le implicazioni canonistiche.

Portiamo nel cuore il desiderio, sorretto dalla speranza, che il clima di ascolto reciproco e di dialogo sincero che abbiamo sperimentato nei giorni di lavoro comune a Roma si irradi nelle nostre comunità e in tutto il mondo, a servizio della crescita del buon seme del Regno di Dio.

PARTE I – IL VOLTO DELLA CHIESA SINODALE

1. La sinodalità: esperienza e comprensione

Convergenze

a)  Abbiamo accolto l’invito a riconoscere con nuova consapevolezza la dimensione sinodale della Chiesa. Pratiche sinodali sono attestate nel Nuovo Testamento e nella Chiesa delle origini. Successivamente hanno assunto forme storiche particolari nelle diverse Chiese e tradizioni cristiane. Il Concilio Vaticano II le ha “aggiornate” e Papa Francesco incoraggia la Chiesa a rinnovarle ancora. In questo processo si colloca anche il Sinodo 2021-2024. Attraverso di esso, il Santo Popolo di Dio ha scoperto che un modo sinodale di pregare, ascoltare e parlare, radicato nella Parola di Dio e intessuto di momenti di incontro nella gioia, e a volte anche nella fatica, conduce a una più profonda consapevolezza che siamo tutti fratelli e sorelle in Cristo. Un frutto inestimabile è l’accresciuta consapevolezza della nostra identità di Popolo fedele di Dio, al cui interno ciascuno è portatore di una dignità derivante dal Battesimo e chiamato alla corresponsabilità per la comune missione di evangelizzazione.

b)  Questo processo ha rinnovato la nostra esperienza e il nostro desiderio di una Chiesa che sia casa e famiglia di Dio. È proprio a questa esperienza e a questo desiderio di una Chiesa più vicina alle persone, meno burocratica e più relazionale che sono stati associati i termini “sinodalità” e “sinodale”, offrendone una prima comprensione che ha bisogno di incontrare una migliore precisazione. È la Chiesa che i giovani avevano dichiarato di desiderare già nel 2018, in occasione del Sinodo a loro dedicato.

c)  Il modo stesso in cui l’Assemblea si è svolta, a partire dalla disposizione delle persone sedute in piccoli gruppi attorno a tavole rotonde nell’Aula Paolo VI, paragonabile all’immagine biblica del banchetto di nozze (Ap 19,9), è emblematico di una Chiesa sinodale e immagine dell’Eucaristia, fonte e culmine della sinodalità, con la Parola di Dio al centro. Al suo interno, culture, lingue, riti, modi di pensare e realtà diverse possono impegnarsi insieme e fruttuosamente in una sincera ricerca sotto la guida dello Spirito.

d)  In mezzo a noi erano presenti sorelle e fratelli di popoli vittime della guerra, del martirio, della persecuzione e della fame. La situazione di questi popoli, per i quali spesso è stato impossibile partecipare al processo sinodale, è entrata nei nostri scambi e nella nostra preghiera, nutrendo il nostro senso di comunione con loro e la nostra determinazione a essere operatori di pace.

e)  L’Assemblea ha frequentemente parlato di speranza, guarigione, riconciliazione e ripristino della fiducia tra i molti doni che lo Spirito ha riversato sulla Chiesa durante questo processo sinodale. L’apertura all’ascolto e all’accompagnamento di tutti, compresi coloro che hanno subito abusi e ferite nella Chiesa, ha reso visibili molti che si sono sentiti a lungo invisibili. Abbiamo ancora da compiere un lungo cammino verso la riconciliazione e la giustizia, che richiede di affrontare le condizioni strutturali che hanno consentito tali abusi e compiere gesti concreti di penitenza.

f)  Sappiamo che “sinodalità” è un termine sconosciuto a molti membri del Popolo di Dio, che suscita in alcuni confusione e preoccupazioni. Tra i timori, vi è quello che l’insegnamento della Chiesa venga cambiato, allontanandoci dalla fede apostolica dei nostri padri e tradendo le attese di coloro che anche oggi hanno fame e sete di Dio. Tuttavia, siamo convinti che la sinodalità è una espressione del dinamismo della Tradizione vivente.

g)  Senza sottostimare il valore della democrazia rappresentativa, Papa Francesco risponde alla preoccupazione di alcuni che il Sinodo possa diventare un organo di deliberazione a maggioranza privo del suo carattere ecclesiale e spirituale, mettendo a rischio la natura gerarchica della Chiesa. Alcuni temono di essere costretti a cambiare; altri temono che non cambierà nulla e che ci sarà troppo poco coraggio per muoversi al ritmo della Tradizione vivente. Alcune perplessità e opposizioni nascondono anche la paura di perdere il potere e i privilegi che ne derivano. In ogni caso, in tutti i contesti culturali, i termini “sinodale” e sinodalità” indicano un modo di essere Chiesa che articola comunione, missione e partecipazione. Ne è esempio la Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia (CEAMA), frutto del processo sinodale missionario di quella regione.

h)  La sinodalità può intendersi come camminare dei cristiani con Cristo e verso il Regno, insieme a tutta l’umanità; orientata alla missione, essa comporta il riunirsi in assemblea ai diversi livelli della vita ecclesiale, l’ascolto reciproco, il dialogo, il discernimento comunitario, la creazione del consenso come espressione del rendersi presente di Cristo vivo nello Spirito e l’assunzione di una decisione in una corresponsabilità differenziata.

i)  Attraverso l’esperienza e l’incontro, siamo cresciuti insieme in questa consapevolezza. In sintesi, fin dai primi giorni, l’Assemblea si è trovata plasmata da due convinzioni: la prima è che l’esperienza che abbiamo condiviso in questi anni è autenticamente cristiana e va accolta in tutta la sua ricchezza e profondità; la seconda è che i termini “sinodale” e “sinodalità” richiedono un chiarimento più accurato dei loro livelli di significato nelle diverse culture. È emerso un sostanziale accordo sul fatto che, con i necessari chiarimenti, la prospettiva sinodale rappresenta il futuro della Chiesa.

Questioni da affrontare

j)  Partendo dal lavoro di riflessione già svolto, occorre chiarire il significato di sinodalità ai diversi livelli, dall’uso pastorale a quello teologico e canonico, scongiurando il rischio che suoni troppo vago o generico, o che appaia come una moda passeggera. Allo stesso modo, si ritiene necessario chiarire il rapporto tra sinodalità e comunione, così come quello tra sinodalità e collegialità.

k)  È emerso il desiderio di valorizzare le differenze nella pratica e nella comprensione della sinodalità tra le tradizioni dell’Oriente cristiano e la tradizione latina, anche nel processo sinodale in corso, favorendo l’incontro tra di loro.

l)  In particolare vanno fatte emergere le molte espressioni della vita sinodale in contesti culturali in cui le persone sono abituate a camminare insieme come comunità. In questa linea, si può affermare che la pratica sinodale fa parte della risposta profetica della Chiesa a un individualismo che si ripiega su se stesso, a un populismo che divide e a una globalizzazione che omogeneizza e appiattisce. Non risolve questi problemi, ma fornisce un modo alternativo di essere e di agire pieno di speranza, che integra una pluralità di prospettive e che va ulteriormente esplorato e illuminato.

Proposte

m)  La ricchezza e la profondità dell’esperienza vissuta conducono a indicare come prioritario l’allargamento del numero delle persone coinvolte nei cammini sinodali, superando gli ostacoli alla partecipazione finora emersi, così come il senso di sfiducia e i timori che alcuni nutrono.

n)  Occorre sviluppare modalità per un più attivo coinvolgimento di diaconi, presbiteri e Vescovi nel processo sinodale durante il prossimo anno. Una Chiesa sinodale non può fare a meno delle loro voci, delle loro esperienze e del loro contributo. Abbiamo bisogno di comprendere le ragioni della resistenza alla sinodalità da parte di alcuni di loro.

o)  Infine, è emersa con forza la necessità che la cultura sinodale diventi più intergenerazionale, con spazi che permettano ai giovani di parlare liberamente con le loro famiglie, con i loro coetanei e con i loro pastori, anche attraverso i canali digitali.

p)  Si propone di promuovere, in sede opportuna, il lavoro teologico di approfondimento terminologico e concettuale della nozione e della pratica della sinodalità prima della Seconda Sessione dell’Assemblea, giovandosi del ricco patrimonio di studi successivi al Concilio Vaticano II e, in particolare, dei documenti della Commissione Teologica Internazionale su La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa (2018) e Il sensus fidei nella vita della Chiesa (2014).

q)  Richiedono un analogo chiarimento le implicazioni canonistiche della prospettiva della sinodalità. A riguardo si propone l’istituzione di un’apposita commissione intercontinentale di teologi e canonisti, in vista della Seconda Sessione dell’Assemblea.

r)  Pare giunto il momento per una revisione del Codice di Diritto Canonico e del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali. Si avvii quindi uno studio preliminare.

2. Radunati e inviati dalla Trinità

Convergenze

a)  Come ricorda il Concilio Vaticano II, la Chiesa è «un popolo adunato in virtù dell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (LG 4). Il Padre, attraverso l’invio del Figlio e il dono dello Spirito, ci coinvolge in un dinamismo di comunione e di missione che ci fa passare dall’io al noi e ci pone a servizio del mondo. La sinodalità traduce in atteggiamenti spirituali e in processi ecclesiali la dinamica trinitaria con cui Dio viene incontro all’umanità. Perché questo accada occorre che tutti i battezzati s’impegnino a esercitare in reciprocità la propria vocazione, il proprio carisma, il proprio ministero. Solo così la Chiesa potrà farsi veramente “colloquio” al suo interno e con il mondo (cfr. Ecclesiam suam 67), camminando fianco a fianco di ogni essere umano con lo stile di Gesù.

b)  Fin dalle origini, il cammino sinodale della Chiesa è orientato verso il Regno, che avrà pieno compimento quando Dio sarà tutto in tutti. La testimonianza della fraternità ecclesiale e la dedizione missionaria al servizio degli ultimi non saranno mai all’altezza del Mistero di cui pure sono segno e strumento. La Chiesa non riflette sulla propria configurazione sinodale per porre se stessa al centro dell’annuncio, ma per compiere al meglio, pur nella sua costitutiva incompiutezza, il servizio all’avvento del Regno.

c)  Il rinnovamento della comunità cristiana è possibile solo riconoscendo il primato della grazia. Se manca la profondità spirituale, la sinodalità rimane un rinnovamento di facciata. Ciò a cui siamo chiamati, però, non è solo tradurre in processi comunitari un’esperienza spirituale maturata altrove, ma più profondamente sperimentare come le relazioni fraterne siano luogo e forma di un autentico incontro con Dio. In questo senso la prospettiva sinodale, mentre attinge al ricco patrimonio spirituale della Tradizione, contribuisce a rinnovarne le forme: una preghiera aperta alla partecipazione, un discernimento vissuto insieme, un’energia missionaria che nasce dalla condivisione e si irradia come servizio.

d)  La conversazione nello Spirito è uno strumento che, pur con i suoi limiti, risulta fecondo per consentire un ascolto autentico e per discernere ciò che lo Spirito dice alle Chiese. La sua pratica ha suscitato gioia, stupore e gratitudine ed è stata vissuta come un percorso di rinnovamento che trasforma gli individui, i gruppi, la Chiesa. La parola “conversazione” esprime qualcosa di più del semplice dialogo: intreccia in modo armonico pensiero e sentimento e genera un mondo vitale condiviso. Per questo si può dire che nella conversazione è in gioco la conversione. Si tratta di un dato antropologico che si ritrova in popoli e culture diverse, accomunate dalla pratica di un radunarsi solidale per trattare e decidere le questioni vitali per la comunità. La grazia porta a compimento questa esperienza umana: conversare “nello Spirito” significa vivere l’esperienza della condivisione nella luce della fede e nella ricerca del volere di Dio, in un’atmosfera autenticamente evangelica entro cui lo Spirito Santo può far udire la sua voce inconfondibile.

e) Poiché la sinodalità è ordinata alla missione, è necessario che le comunità cristiane condividano la fraternità con uomini e donne di altre religioni, convinzioni e culture, evitando da una parte il rischio dell’autoreferenzialità e dell’autoconservazione e dall’altra quello della perdita di identità. La logica del dialogo, dell’apprendimento reciproco e del camminare insieme deve caratterizzare l’annuncio evangelico e il servizio ai poveri, la cura della casa comune e la ricerca teologica, divenendo lo stile pastorale della Chiesa.

Questioni da affrontare

f)  Per realizzare un vero ascolto della volontà del Padre, pare necessario approfondire sotto il profilo teologico i criteri del discernimento ecclesiale, in modo che il riferimento alla libertà e novità dello Spirito sia opportunamente coordinato con l’evento di Gesù Cristo accaduto «una volta per sempre» (Eb 10,10). Ciò richiede anzitutto di precisare il rapporto tra l’ascolto della Parola di Dio attestata nella Scrittura, l’accoglienza della Tradizione e del magistero della Chiesa e la lettura profetica dei segni dei tempi.

g)  A questo scopo è fondamentale promuovere visioni antropologiche e spirituali capaci di integrare e non giustapporre la dimensione intellettuale e quella emotiva dell’esperienza di fede, superando ogni riduzionismo e ogni dualismo tra ragione e sentimento.

h)  È importante chiarire in che modo la conversazione nello Spirito possa integrare gli apporti del pensiero teologico e delle scienze umane e sociali, anche alla luce di altri modelli di discernimento ecclesiale che sono realizzati seguendo la scansione del “vedere, giudicare, agire” o articolando i passaggi del “riconoscere, interpretare, scegliere”.

i)  Va sviluppato l’apporto che la lectio divina e le diverse tradizioni spirituali, antiche e recenti, possono offrire alla pratica del discernimento. È opportuno infatti valorizzare la pluralità di forme e di stili, di metodi e di criteri che lo Spirito Santo ha suggerito nel corso dei secoli e che fanno parte del patrimonio spirituale della Chiesa.

Proposte

j)  Si propone di sperimentare e adattare la conversazione nello Spirito e altre forme di discernimento nella vita delle Chiese, valorizzando a seconda delle culture e dei contesti la ricchezza delle diverse tradizioni spirituali. Opportune forme di accompagnamento possono facilitare tale pratica, aiutando a coglierne la logica e a superare eventuali resistenze.

k)  Ogni Chiesa locale si doti di persone idonee e preparate per facilitare e accompagnare processi di discernimento ecclesiale.

l)  È importante che la pratica del discernimento sia attuata anche nell’ambito pastorale, in modo adeguato ai contesti, per illuminare la concretezza della vita ecclesiale. Essa consentirà di riconoscere meglio i carismi presenti nella comunità, di affidare con saggezza compiti e ministeri, di progettare nella luce dello Spirito i cammini pastorali, andando oltre la semplice programmazione di attività.

3. Entrare in una comunità di fede: l’iniziazione cristiana

Convergenze

a)  L’iniziazione cristiana è l’itinerario attraverso cui il Signore, mediante il ministero della Chiesa, ci introduce nella fede pasquale e ci inserisce nella comunione trinitaria ed ecclesiale. Tale itinerario conosce una significativa varietà di forme a seconda dell’età in cui viene intrapreso e delle diverse accentuazioni proprie delle tradizioni orientali e di quella occidentale. Tuttavia vi si intrecciano sempre l’ascolto della Parola e la conversione della vita, la celebrazione liturgica e l’inserimento nella comunità e nella sua missione. Proprio per questo il percorso catecumenale, con la gradualità delle sue tappe e dei suoi passaggi, è il paradigma di ogni camminare insieme ecclesiale.

b)  L’iniziazione pone a contatto con una grande varietà di vocazioni e di ministeri ecclesiali. In essi si esprime il volto materno di una Chiesa che insegna ai suoi figli a camminare camminando con loro. Li ascolta e, mentre risponde ai loro dubbi e alle loro domande, si arricchisce della novità che ogni persona porta in sé, con la sua storia, la sua lingua e la sua cultura. Nella pratica di questa azione pastorale la comunità cristiana sperimenta, spesso senza averne piena consapevolezza, la prima forma di sinodalità.

c)  Prima di ogni distinzione di carismi e di ministeri, «noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo» (1Cor 12,13). Per questo, fra tutti i battezzati vi è un’autentica uguaglianza di dignità e una comune responsabilità per la missione, secondo la vocazione di ognuno. Per l’unzione dello Spirito, che «insegna ogni cosa» (1Gv 2,27), tutti i credenti possiedono un istinto per la verità del Vangelo, chiamato sensus fidei. Esso consiste in una certa connaturalità con le realtà divine e nell’attitudine a cogliere intuitivamente ciò che è conforme alla verità della fede. I processi sinodali valorizzano questo dono e consentono di verificare l’esistenza di quel consenso dei fedeli (consensus fidelium) che costituisce un criterio sicuro per determinare se una particolare dottrina o prassi appartengono alla fede apostolica.

d)  La Confermazione rende in qualche modo perenne nella Chiesa la grazia della Pentecoste. Essa arricchisce i fedeli con l’abbondanza dei doni dello Spirito e li chiama a sviluppare la propria vocazione specifica, radicata nella comune dignità battesimale, a servizio della missione. La sua importanza deve essere maggiormente evidenziata e posta in rapporto alla varietà di carismi e ministeri che disegnano il volto sinodale della Chiesa.

e)  La celebrazione dell’Eucaristia, soprattutto alla domenica, è la prima e fondamentale forma con cui il Santo Popolo di Dio si riunisce e si incontra. Dove essa non è possibile, la comunità, pur desiderandola, si raccoglie intorno alla celebrazione della Parola. Nell’Eucaristia celebriamo un mistero di grazia di cui non siamo gli artefici. Chiamandoci a partecipare del suo Corpo e del suo Sangue, il Signore ci rende un solo corpo tra di noi e con Lui. A partire dall’utilizzo che Paolo fa del termine koinonia (cfr. 1Cor 10,16-17), la tradizione cristiana ha custodito la parola “comunione” per indicare allo stesso tempo la piena partecipazione all’Eucaristia e la natura dei rapporti tra i fedeli e tra le Chiese. Mentre ci apre alla contemplazione della vita divina, fino alle profondità insondabili del mistero trinitario, questo termine ci rimanda alla quotidianità delle nostre relazioni: nei gesti più semplici con cui ci apriamo l’uno all’altro circola realmente il soffio dello Spirito. Per questo la comunione celebrata nell’Eucaristia e che da essa scaturisce configura e orienta i percorsi della sinodalità.

f) Dall’Eucaristia impariamo ad articolare unità e diversità: unità della Chiesa e molteplicità delle comunità cristiane; unità del mistero sacramentale e varietà delle tradizioni liturgiche; unità della celebrazione e diversità delle vocazioni, dei carismi e dei ministeri. Nulla più dell’Eucaristia mostra che l’armonia creata dallo Spirito non è uniformità e che ogni dono ecclesiale è destinato all’edificazione comune.

Questioni da affrontare

g)  Il sacramento del Battesimo non può essere compreso in modo isolato, al di fuori della logica dell’iniziazione cristiana, né tanto meno in modo individualistico. Occorre dunque approfondire ulteriormente l’apporto alla comprensione della sinodalità che può provenire da una visione più unitaria dell’iniziazione cristiana.

h)  La maturazione del sensus fidei richiede non solo di aver ricevuto il Battesimo, ma anche di sviluppare la grazia del sacramento in una vita di autentico discepolato, che abiliti a discernere l’azione dello Spirito da ciò che è espressione del pensiero dominante, frutto di condizionamenti culturali o in ogni caso non coerente con il Vangelo. Si tratta di un tema da approfondire con un’adeguata riflessione teologica.

i)  La riflessione sulla sinodalità può offrire spunti di rinnovamento per la comprensione della Confermazione, con cui la grazia dello Spirito articola nell’armonia della Pentecoste la varietà dei doni e dei carismi. Alla luce delle diverse esperienze ecclesiali, va studiato il modo per rendere più fruttuosa la preparazione e la celebrazione di questo sacramento, così da risvegliare in tutti i fedeli la chiamata all’edificazione della comunità, alla missione nel mondo e alla testimonianza della fede.

j)  Sotto il profilo teologico pastorale è importante proseguire la ricerca sul modo in cui la logica catecumenale può illuminare altri percorsi pastorali, come quello della preparazione al matrimonio, o l’accompagnamento a scelte di impegno professionale e sociale, o la stessa formazione al ministero ordinato, in cui tutta la comunità ecclesiale deve essere coinvolta.

Proposte

k)  Se l’Eucaristia dà forma alla sinodalità, il primo passo da compiere è onorarne la grazia con uno stile celebrativo all’altezza del dono e con un’autentica fraternità. La liturgia celebrata con autenticità è la prima e fondamentale scuola di discepolato e di fraternità. Prima di ogni nostra iniziativa di formazione, dobbiamo lasciarci formare dalla sua potente bellezza e dalla nobile semplicità dei suoi gesti.

l)  Un secondo passo si riferisce all’esigenza, da più parti segnalata, di rendere il linguaggio liturgico più accessibile ai fedeli e più incarnato nella diversità delle culture. Senza mettere in discussione la continuità con la tradizione e la necessità della formazione liturgica, si sollecita una riflessione su questo tema e l’attribuzione di maggiore responsabilità alle Conferenze Episcopali, sulla linea del motu proprio Magnum principium.

m)  Un terzo passo consiste nell’impegno pastorale di valorizzare tutte le forme di preghiera comunitaria, senza limitarsi alla sola celebrazione della Messa. Altre espressioni della preghiera liturgica, come pure le pratiche della pietà popolare, in cui si rispecchia il genio delle culture locali, sono elementi di grande importanza per favorire il coinvolgimento di tutti i fedeli, per introdurre con gradualità nel mistero cristiano e per avvicinare all’incontro con il Signore chi ha meno familiarità con la Chiesa. Tra le forme della pietà popolare spicca in particolare la devozione mariana, per la sua capacità di sostenere e nutrire la fede di molti.

4. I poveri, protagonisti del cammino della Chiesa

Convergenze

a)  Alla Chiesa i poveri chiedono amore. Per amore si intende rispetto, accoglienza e riconoscimento, senza i quali fornire cibo, denaro o servizi sociali rappresenta una forma di assistenza certamente importante, ma che non si fa pienamente carico della dignità della persona. Rispetto e riconoscimento sono strumenti potenti di attivazione delle capacità personali, in modo che ciascuno sia soggetto del proprio percorso di crescita e non oggetto dell’azione assistenziale di altri.

b)  L’opzione preferenziale per i poveri è implicita nella fede cristologica: Gesù, povero e umile, ha fatto amicizia con i poveri, ha camminato con i poveri, ha condiviso la tavola con i poveri e ha denunciato le cause della povertà. Per la Chiesa l’opzione per i poveri e gli scartati è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica. Per San Giovanni Paolo II, Dio concede a loro per primi la sua misericordia. Questa preferenza divina ha conseguenze nella vita di tutti i cristiani, chiamati a nutrire «gli stessi sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5).

c)  Non c’è un solo genere di povertà. Tra i molti volti dei poveri vi sono quelli di tutti coloro che non hanno il necessario per condurre una vita dignitosa. Vi sono poi quelli di migranti e rifugiati; popoli indigeni, originari e afrodiscendenti; coloro che subiscono violenza e abuso, in particolare donne; persone con dipendenze; minoranze a cui viene sistematicamente negata una voce; anziani abbandonati; vittime del razzismo, dello sfruttamento e della tratta, in particolare minori; lavoratori sfruttati; esclusi economicamente e altri che vivono nelle periferie. I più vulnerabili tra i vulnerabili, a favore dei quali è necessaria una costante azione di advocacy, sono i bimbi nel grembo materno e le loro madri. L’Assemblea è consapevole del grido dei “nuovi poveri”, prodotti dalle guerre e dal terrorismo che martoriano molti Paesi in diversi continenti e condanna i sistemi politici ed economici corrotti che ne sono la causa.

d)  A fianco delle molte forme di povertà materiale, il nostro mondo conosce anche quelle della povertà spirituale, intesa come mancanza del senso della vita. Una eccessiva preoccupazione per se stessi può condurre a vedere negli altri una minaccia e a rinchiudersi nell’individualismo. Come è stato notato, le povertà materiali e le povertà spirituali, quando si alleano, possono trovare le risposte ai bisogni l’una dell’altra. È questo un modo per camminare insieme che rende concreta la prospettiva della Chiesa sinodale che ci svelerà il senso più pieno della beatitudine evangelica «Beati i poveri in spirito» (Mt 5,3).

e)  Stare al fianco dei poveri significa impegnarsi con loro anche nella cura della nostra casa comune: il grido della terra e il grido dei poveri sono lo stesso grido. La mancanza di reazioni rende la crisi ecologica e in particolare i cambiamenti climatici una minaccia per la sopravvivenza dell’umanità, come sottolinea l’esortazione apostolica Laudate Deum, pubblicata da Papa Francesco in concomitanza con l’apertura dei lavori dell’Assemblea sinodale. Le Chiese dei Paesi più esposti alle conseguenze dei cambiamenti climatici hanno viva coscienza dell’urgenza di un cambiamento di rotta e questo rappresenta un loro contributo al cammino delle altre Chiese del pianeta.

f)  L’impegno della Chiesa deve arrivare alle cause della povertà e dell’esclusione. Ciò comprende l’azione per tutelare i diritti di poveri ed esclusi, e può richiedere la denuncia pubblica delle ingiustizie, siano esse perpetrate da individui, governi, aziende o strutture della società. Per questo è fondamentale l’ascolto delle loro istanze e del loro punto di vista, in modo da prestare loro la voce, usando le loro parole.

g)  I cristiani hanno il dovere di impegnarsi a partecipare attivamente alla costruzione del bene comune e alla difesa della dignità della vita, attingendo ispirazione alla dottrina sociale della Chiesa e operando in diverse forme (impegno nelle organizzazioni della società civile, nei sindacati, nei movimenti popolari, nell’associazionismo di base, nel campo della politica, ecc.). La Chiesa esprime una profonda gratitudine per la loro azione. Le comunità sostengano quanti operano in questi campi in autentico spirito di carità e di servizio. La loro azione è parte della missione della Chiesa di annuncio del Vangelo e collaborazione all’avvento del Regno di Dio.

h)  Nei poveri la comunità cristiana incontra il volto e la carne di Cristo, che da ricco che era, si è fatto povero per noi, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà (cfr. 2Cor 8,9). È chiamata non solo a farsi loro prossima, ma a imparare da loro. Se fare sinodo significa camminare insieme a Colui che è la via, una Chiesa sinodale ha bisogno di mettere i poveri al centro di tutti gli aspetti della propria vita: attraverso le loro sofferenze hanno una conoscenza diretta del Cristo sofferente (cfr. Evangelii gaudium, n. 198). La somiglianza della loro vita con quella del Signore rende i poveri annunciatori di una salvezza ricevuta in dono e testimoni della gioia del Vangelo.

Questioni da affrontare

i)  In alcune parti del mondo la Chiesa è povera, con i poveri e per i poveri. Esiste il rischio costante, da evitare con cura, di considerare i poveri in termini di “loro” e “noi”, come “oggetti” della carità della Chiesa. Mettere i poveri al centro e imparare da loro è qualcosa che la Chiesa deve fare sempre di più.

j)  La denuncia profetica delle situazioni di ingiustizia e l’azione di pressione nei confronti dei decisori politici, che richiede il ricorso a forme di diplomazia, vanno mantenute in tensione dinamica in modo da non perdere lucidità e fecondità. In particolare, occorre vigilare perché l’uso di fondi pubblici o privati da parte delle strutture della Chiesa non condizioni la libertà di parlare in nome delle esigenze del Vangelo.

k)  L’azione nei campi dell’educazione, della sanità e dell’assistenza sociale, senza alcuna discriminazione o esclusione di nessuno, è un chiaro segno di una Chiesa che promuove l’integrazione e la partecipazione degli ultimi al suo interno e nella società. Le organizzazioni attive in questo campo sono invitate a considerarsi espressione della comunità cristiana e a evitare uno stile impersonale di vivere la carità. Sono sollecitate anche a fare rete e coordinarsi.

l)  La Chiesa deve essere onesta nell’esaminare come rispetta le esigenze della giustizia nei confronti di coloro che lavorano nelle istituzioni ad essa collegate, per testimoniare con integrità la propria coerenza.

m)  In una Chiesa sinodale il senso di solidarietà si gioca anche sul piano dello scambio di doni e della condivisione delle risorse tra Chiese locali di diverse regioni. Si tratta di rapporti che favoriscono l’unità della Chiesa, creando legami tra le comunità cristiane coinvolte. Occorre mettere a fuoco le condizioni da garantire perché i presbiteri che vengono in aiuto alle Chiese povere di clero non siano solo un rimedio funzionale, ma una risorsa per la crescita della Chiesa che li invia e di quella che li riceve. Analogamente occorre operare perché gli aiuti economici non degenerino in assistenzialismo, ma promuovano un’autentica solidarietà evangelica e siano gestiti in modo trasparente e affidabile.

Proposte

n)  La dottrina sociale della Chiesa è una risorsa troppo poco conosciuta, su cui tornare a investire. Le Chiese locali s’impegnino non solo a renderne più noti i contenuti, ma a favorirne l’appropriazione attraverso pratiche che ne mettono in atto l’ispirazione.

o)  L’esperienza dell’incontro, della condivisione della vita e del servizio ai poveri e agli emarginati diventi parte integrante di tutti i percorsi formativi offerti dalle comunità cristiane: si tratta di una esigenza della fede, non di un optional. Questo vale in particolare per i candidati al ministero ordinato e alla vita consacrata.

p)  Nell’ambito del ripensamento del ministero diaconale, se ne promuova un più deciso orientamento al servizio ai poveri.

q)  Si integrino in maniera più esplicita e attenta nell’insegnamento, nella liturgia e nelle pratiche della Chiesa i fondamenti biblici e teologici dell’ecologia integrale.

5. Una Chiesa da «ogni tribù, lingua, popolo e nazione»

Convergenze

a)  I cristiani vivono all’interno di culture specifiche, portando dentro di esse Cristo nella Parola e nel Sacramento. Impegnandosi nel servizio della carità accolgono con umiltà e gioia il mistero di Cristo che già li attende in ogni luogo e in ogni tempo. In questo modo diventano una Chiesa da «ogni tribù, lingua, popolo e nazione» (Ap 5,9).

b)  I contesti culturali, storici e regionali in cui la Chiesa è presente rivelano bisogni spirituali e materiali differenti. Questo plasma la cultura delle Chiese locali, le loro priorità missionarie, le preoccupazioni e i doni che ciascuna di loro porta al dialogo sinodale, e i linguaggi con cui si esprime. Durante i giorni dell’Assemblea abbiamo potuto fare esperienza diretta, e per lo più gioiosa, della pluralità delle espressioni dell’essere Chiesa.

c)  Le Chiese vivono in contesti sempre più multiculturali e multireligiosi, in cui è essenziale l’impegno nel dialogo tra religione e cultura insieme agli altri gruppi che costituiscono la società. Vivere la missione della Chiesa in questi contesti richiede uno stile di presenza, servizio e annuncio che cerca di costruire ponti, coltivare la comprensione reciproca e impegnarsi in un’evangelizzazione che accompagna, ascolta e impara. Più volte nell’Assemblea è risuonata l’immagine di “togliersi le scarpe” per andare all’incontro con l’altro da pari a pari, come segno di umiltà e rispetto per uno spazio sacro.

d)  I movimenti migratori sono una realtà che rimodella le Chiese locali come comunità interculturali. Spesso migranti e rifugiati, molti dei quali portano le ferite dello sradicamento, della guerra e della violenza, diventano una fonte di rinnovamento e arricchimento per le comunità che li accolgono e un’occasione per stabilire un legame diretto con Chiese geograficamente lontane. Di fronte ad atteggiamenti sempre più ostili nei confronti dei migranti, siamo chiamati a praticare un’accoglienza aperta, ad accompagnarli nella costruzione di un nuovo progetto di vita e a costruire una vera comunione interculturale tra i popoli. Il rispetto per le tradizioni liturgiche e le pratiche religiose dei migranti è parte integrante di un’autentica accoglienza.

e)  I missionari hanno dato la vita per portare la Buona Notizia in tutto il mondo. Il loro impegno dà una eloquente testimonianza della forza della Vangelo. Tuttavia, particolare attenzione e sensibilità sono necessarie in contesti in cui “missione” è una parola carica di un retaggio storico doloroso, che oggi ostacola la comunione. In alcuni luoghi l’annuncio del Vangelo è stato associato alla colonizzazione e persino al genocidio. Evangelizzare in questi contesti richiede di riconoscere gli errori compiuti, di apprendere una nuova sensibilità a queste problematiche e di accompagnare una generazione che cerca di forgiare identità cristiane al di là del colonialismo. Il rispetto e l’umiltà sono atteggiamenti fondamentali per riconoscere che ci completiamo a vicenda e che l’incontro con culture diverse può arricchire il vivere e il pensare la fede delle comunità cristiane.

f)  La Chiesa insegna la necessità e incoraggia la pratica del dialogo interreligioso come parte della costruzione della comunione tra tutti i popoli. In un mondo di violenza e frammentazione, appare sempre più urgente una testimonianza dell’unità dell’umanità, della sua origine comune e del suo destino comune, in una solidarietà coordinata e fraterna verso la giustizia sociale, la pace, la riconciliazione e la cura della casa comune. La Chiesa è consapevole che lo Spirito può parlare attraverso la voce di uomini e donne di ogni religione, convinzione e cultura.

Questioni da affrontare

g)  Occorre coltivare la sensibilità per la ricchezza della varietà delle espressioni dell’essere Chiesa. Questo richiede la ricerca di un equilibrio dinamico tra la dimensione della Chiesa nel suo insieme e il suo radicamento locale, tra il rispetto del vincolo dell’unità della Chiesa e il rischio dell’omogeneizzazione che soffoca la varietà. I significati e le priorità variano tra contesti diversi e questo richiede di identificare e promuovere forme di decentramento e istanze intermedie.

h)  Anche la Chiesa è colpita dalla polarizzazione e dalla sfiducia in ambiti cruciali, come la vita liturgica e la riflessione morale, sociale e teologica. Dobbiamo riconoscerne le cause attraverso il dialogo e intraprendere processi coraggiosi di rivitalizzazione della comunione e di riconciliazione per superarle.

i)  Nelle nostre Chiese locali, a volte sperimentiamo tensioni tra diverse modalità di intendere l’evangelizzazione, che si focalizzano sulla testimonianza di vita, sull’impegno per la promozione umana, sul dialogo con le fedi e le culture e sull’annuncio esplicito del Vangelo. Ugualmente emerge una tensione tra l’annuncio esplicito di Gesù Cristo e la valorizzazione delle caratteristiche di ciascuna cultura alla ricerca dei tratti evangelici (semina Verbi) che già contiene.

j)  Tra le questioni da approfondire è stata indicata la possibile confusione tra il messaggio del Vangelo e la cultura dell’evangelizzatore.

k)  L’estendersi di conflitti, con il commercio e l’uso di armi sempre più potenti, apre la questione, sollevata in diversi gruppi, di una più accurata riflessione e formazione a gestire i conflitti in modo non violento. Si tratta di un contributo qualificato che i cristiani possono offrire al mondo di oggi, anche in dialogo e in collaborazione con altre religioni.

Proposte

l) È necessaria una rinnovata attenzione alla questione dei linguaggi che utilizziamo per parlare alle menti e ai cuori delle persone in una grande diversità di contesti, in un modo che risulti accessibile e bello.

m)  In vista della sperimentazione di forme di decentramento, occorre definire un quadro di riferimento condiviso per la loro gestione e la loro valutazione, identificando tutti gli attori coinvolti e i relativi ruoli. Per esigenze di coerenza, i processi di discernimento in materia di decentramento devono avvenire in stile sinodale, prevedendo il concorso e il contributo di tutti gli attori coinvolti ai diversi livelli.

n)  Sono necessari nuovi paradigmi per l’impegno pastorale con le popolazioni indigene, nella linea di un cammino insieme e non di una azione fatta a loro o per loro. La loro partecipazione ai processi decisionali a tutti i livelli può contribuire a una Chiesa più vibrante e missionaria.

o)  Dai lavori dell’Assemblea, emerge la richiesta di una migliore conoscenza degli insegnamenti del Vaticano II, del magistero postconciliare e della dottrina sociale della Chiesa. Abbiamo bisogno di conoscere meglio le nostre diverse tradizioni per essere più chiaramente una Chiesa di Chiese in comunione, efficace nel servizio e nel dialogo.

p)  In un mondo in cui il numero di migranti e rifugiati aumenta, mentre si riduce la disponibilità ad accoglierli, e in cui lo straniero è visto con crescente sospetto, è opportuno che la Chiesa si impegni con decisione nell’educazione alla cultura del dialogo e dell’incontro, combattendo il razzismo e la xenofobia, in particolare nei programmi di formazione pastorale. È ugualmente necessario impegnarsi in progetti di integrazione dei migranti.

q)  Raccomandiamo un rinnovato impegno nel dialogo e nel discernimento in materia di giustizia razziale. Occorre identificare i sistemi che creano o mantengono l’ingiustizia razziale all’interno della Chiesa e combatterli. Si dia vita a processi di guarigione e riconciliazione per sradicare il peccato del razzismo, con l’aiuto di coloro che ne subiscono le conseguenze.

6. Tradizioni delle Chiese orientali e della Chiesa latina

Convergenze

a)  Tra le Chiese orientali, quelle in piena comunione con il successore di Pietro godono di una peculiarità liturgica, teologica, ecclesiologica e canonica che arricchisce grandemente l’intera Chiesa. In particolare, la loro esperienza di unità nella diversità può offrire un prezioso contributo alla comprensione e alla pratica della sinodalità.

b)  Nel corso della storia il livello di autonomia garantito a queste Chiese ha conosciuto fasi diverse e ha registrato anche comportamenti oggi considerati superati, come la latinizzazione. Negli ultimi decenni il cammino di riconoscimento della specificità, distinzione e autonomia di tali Chiese ha avuto uno sviluppo notevole.

c)  La consistente migrazione di fedeli dell’Oriente cattolico in territori a maggioranza latina pone questioni pastorali importanti. Se l’attuale flusso continua o si accresce, vi potrebbero essere più membri delle Chiese orientali cattoliche in diaspora che nei territori canonici. Per diversi motivi, la costituzione di gerarchie orientali nei Paesi di immigrazione non è sufficiente per risolvere il problema, ma occorre che le Chiese locali di rito latino, in nome della sinodalità, aiutino i fedeli orientali emigrati a preservare la loro identità e a coltivare il loro patrimonio specifico, senza subire processi di assimilazione.

Questioni da affrontare

d)  Va ulteriormente studiato l’apporto che l’esperienza delle Chiese orientali cattoliche può offrire alla comprensione e alla pratica della sinodalità.

e)  Alcune difficoltà permangono a proposito dell’assenso da parte del Papa ai Vescovi eletti dai Sinodi delle Chiese sui iuris per il loro territorio e della nomina papale dei Vescovi al di fuori del territorio canonico. Anche la richiesta di estendere la giurisdizione dei Patriarchi al di fuori del territorio patriarcale è oggetto di discernimento nel dialogo con la Santa Sede.

f)  Nelle regioni dove sono presenti fedeli di Chiese cattoliche diverse, occorre trovare modalità che rendano visibile e sperimentabile una effettiva unità nella diversità.

g)  Occorre riflettere sull’apporto che le Chiese orientali cattoliche possono dare al cammino verso l’unità tra tutti i cristiani e il ruolo che possono svolgere nel dialogo interreligioso e interculturale.

Proposte

h)  Emerge anzitutto la richiesta di istituire un Consiglio dei Patriarchi e Arcivescovi Maggiori delle Chiese orientali cattoliche presso il Santo Padre.

i)  Alcuni chiedono di convocare un Sinodo Speciale dedicato alle Chiese Orientali Cattoliche, alla loro identità e missione, nonché alle sfide pastorali e canoniche nel contesto di guerra e di massicce migrazioni.

j)  Si propone di formare una commissione congiunta di teologi, storici e canonisti orientali e latini per studiare le questioni che richiedono approfondimento e avanzare proposte per proseguire il cammino.

k)  Nei dicasteri della Curia romana ci sia un’adeguata rappresentanza di membri delle Chiese orientali cattoliche per arricchire la Chiesa intera con il contributo della loro prospettiva, favorire la soluzione dei problemi rilevati e partecipare al dialogo ai diversi livelli.

l)  Per favorire forme di accoglienza rispettose del patrimonio dei fedeli delle Chiese orientali è opportuno intensificare i rapporti tra il clero orientale in diaspora e quello latino e promuovere la conoscenza reciproca e il riconoscimento delle rispettive tradizioni.

7. In cammino verso l’unità dei cristiani

Convergenze

a)  Questa sessione dell’Assemblea sinodale si è aperta nel segno dell’ecumenismo. La veglia di preghiera “Together” ha visto la presenza a fianco di papa Francesco di numerosi altri capi e rappresentanti di diverse Comunioni cristiane: un segno chiaro e credibile della volontà di camminare insieme nello spirito dell’unità della fede e dello scambio di doni. Anche questo avvenimento, altamente significativo, ci ha permesso di riconoscere che ci troviamo in un kairos ecumenico e di riaffermare che ciò che ci unisce è più grande di ciò che ci divide. In comune, infatti, abbiamo «un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un Dio unico e Padre di tutti, che è sopra tutti, fra tutti e in tutti» (Ef 4,5-6).

b)  Proprio il Battesimo, che è al principio della sinodalità, costituisce anche il fondamento dell’ecumenismo. Attraverso di esso tutti i cristiani partecipano al sensus fidei e per questo vanno ascoltati con attenzione, indipendentemente dalla loro tradizione, come l’Assemblea sinodale ha fatto nel suo processo di discernimento. Non ci può essere sinodalità senza la dimensione ecumenica.

c) L’ecumenismo è anzitutto una questione di rinnovamento spirituale ed esige anche processi di pentimento e di guarigione della memoria. Nell’Assemblea sono risuonate testimonianze illuminanti di cristiani di diverse tradizioni ecclesiali che condividono l’amicizia, la preghiera e soprattutto l’impegno per il servizio dei poveri. La dedizione per gli ultimi cementa i legami e aiuta a concentrarsi su ciò che già unisce tutti i credenti in Cristo. È importante perciò che l’ecumenismo si sviluppi anzitutto nella vita quotidiana. Nel dialogo teologico e istituzionale prosegue la paziente tessitura dalla comprensione reciproca in un clima di crescente fiducia e apertura.

d)  In non poche regioni del mondo c’è soprattutto l’ecumenismo del sangue: cristiani di appartenenze diverse che insieme danno la vita per la fede in Gesù Cristo. La testimonianza del loro martirio è più eloquente di ogni parola: l’unità viene dalla Croce del Signore.

e)  La collaborazione tra tutti i cristiani costituisce anche un elemento fondamentale per affrontare le sfide pastorali del nostro tempo: nelle società secolarizzate permette di dare più forza alla voce del Vangelo, in contesti di povertà fa unire le forze a servizio della giustizia, della pace e della dignità degli ultimi. Sempre e ovunque è una risorsa fondamentale per sanare la cultura dell’odio, della divisione e della guerra che contrappone gruppi, popoli e nazioni.

f)  I matrimoni tra cristiani che appartengono a diverse Chiese o comunità ecclesiali (matrimoni misti) costituiscono realtà in cui può maturare la sapienza della comunione e ci si può evangelizzare a vicenda.

Questioni da affrontare

g)  La nostra Assemblea ha potuto percepire la diversità tra le confessioni cristiane nel modo di comprendere la configurazione sinodale della Chiesa. Nelle Chiese Ortodosse, la sinodalità viene intesa in senso stretto come espressione dell’esercizio collegiale dell’autorità propria dei soli Vescovi (il Santo Sinodo). In senso lato, si riferisce alla partecipazione attiva di tutti i fedeli alla vita e alla missione della Chiesa. Non sono mancati riferimenti alle prassi in uso nelle altre comunità ecclesiali, che hanno arricchito il nostro dibattito. Tutto ciò richiede ulteriori approfondimenti.

h)  Un altro tema da approfondire riguarda il nesso tra sinodalità e primato ai vari livelli (locale, regionale, universale), nella loro reciproca interdipendenza. Esso richiede una rilettura condivisa della storia, per superare luoghi comuni e pregiudizi. I dialoghi ecumenici in corso hanno permesso di capire meglio, alla luce delle pratiche del primo millennio, che sinodalità e primato sono realtà correlate, complementari e inseparabili. Il chiarimento di questo punto delicato si riflette sul modo di intendere il ministero petrino al servizio dell’unità, secondo quanto auspicato da San Giovanni Paolo II nell’Enciclica Ut unum sint.

i)  Va ulteriormente esaminata sotto il profilo teologico, canonico e pastorale la questione della ospitalità eucaristica (communicatio in sacris), alla luce del nesso tra comunione sacramentale ed ecclesiale. Questo tema è particolarmente avvertito dalle coppie interconfessionali. Esso rimanda anche a una riflessione più ampia sui matrimoni misti.

j)  È stata sollecitata anche una riflessione sul fenomeno delle comunità “non denominazionali” e dei movimenti di “risveglio” d’ispirazione cristiana, cui aderiscono in gran numero anche fedeli in origine cattolici.

Proposte
k)  Nel 2025 ricorre l’anniversario del Concilio di Nicea (325), in cui fu elaborato il simbolo della fede che unisce tutti i cristiani. Una commemorazione comune di questo evento ci aiuterà anche a comprendere meglio come nel passato le questioni controverse fossero discusse e risolte insieme in Concilio.

l)  Nello stesso anno 2025, provvidenzialmente, la data della solennità di Pasqua coinciderà per tutte le denominazioni cristiane. L’Assemblea ha espresso un vivo desiderio di giungere a trovare una data comune per la festa di Pasqua, così da poter celebrare nello stesso giorno la risurrezione del Signore, nostra vita e nostra salvezza.

m)  Si desidera anche continuare a coinvolgere i cristiani di altre confessioni nei processi sinodali cattolici a tutti i livelli e invitare un maggior numero di delegati fraterni alla prossima sessione dell’Assemblea nel 2024.

n)  È stata avanzata da alcuni anche la proposta di convocare un Sinodo ecumenico sulla missione comune nel mondo contemporaneo.

o)  Si rilancia la proposta di compilare un martirologio ecumenico.

PARTE II – TUTTI DISCEPOLI, TUTTI MISSIONARI

8. La Chiesa è missione

Convergenze

a)  Piuttosto che dire che la Chiesa ha una missione, affermiamo che la Chiesa è missione. «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21): la Chiesa riceve da Cristo, l’Inviato del Padre, la propria missione. Sorretta e guidata dallo Spirito Santo, essa annuncia e testimonia il Vangelo a quanti non lo conoscono o non lo accolgono, con quell’opzione preferenziale per i poveri che è radicata nella missione di Gesù. In questo modo concorre all’avvento del Regno di Dio, di cui «costituisce il germe e l’inizio» (cfr. LG 5).

b)  I sacramenti dell’iniziazione cristiana conferiscono a tutti i discepoli di Gesù la responsabilità della missione della Chiesa. Laici e laiche, consacrate e consacrati, e ministri ordinati hanno pari dignità. Hanno ricevuto carismi e vocazioni diversi ed esercitano ruoli e funzioni differenti, tutti chiamati e nutriti dallo Spirito Santo per formare un solo corpo in Cristo. Tutti discepoli, tutti missionari, nella vitalità fraterna di comunità locali che sperimentano la dolce e confortante gioia di evangelizzare. L’esercizio della corresponsabilità è essenziale per la sinodalità ed è necessario a tutti i livelli della Chiesa. Ogni cristiano è una missione in questo mondo.

c)  La famiglia è colonna portante di ogni comunità cristiana. I genitori, i nonni e tutti coloro che vivono e condividono la loro fede in famiglia sono i primi missionari. La famiglia, in quanto comunità di vita e di amore, è un luogo privilegiato di educazione alla fede e alla pratica cristiana, che necessita di un particolare accompagnamento all’interno delle comunità. Il sostegno è necessario soprattutto per i genitori che devono conciliare il lavoro, anche all’interno della comunità ecclesiale e a servizio della sua missione, con le esigenze della vita familiare.

d)  Se la missione è grazia che impegna tutta la Chiesa, i fedeli laici contribuiscono in modo vitale a realizzarla in tutti gli ambienti e nelle situazioni più ordinarie di ogni giorno. Sono loro soprattutto a rendere presente la Chiesa e ad annunciare il Vangelo nella cultura dell’ambiente digitale, che ha un impatto così forte in tutto il mondo, nelle culture giovanili, nel mondo del lavoro, dell’economia e della politica, delle arti e della cultura, della ricerca scientifica, dell’educazione e della formazione, nella cura della casa comune e, in modo particolare, nella partecipazione alla vita pubblica. Là dove sono presenti, essi sono chiamati a testimoniare Gesù Cristo nella vita quotidiana e a condividere esplicitamente la fede con altri. In particolare i giovani, con i loro doni e le loro fragilità, mentre crescono nell’amicizia con Gesù, si fanno apostoli del Vangelo tra i loro coetanei.

e)  I fedeli laici sono sempre più presenti e attivi anche nel servizio all’interno delle comunità cristiane. Molti di loro organizzano e animano comunità pastorali, prestano servizio come educatori alla fede, teologi e formatori, animatori spirituali e catechisti, e partecipano a vari organismi parrocchiali e diocesani. In molte regioni la vita delle comunità cristiane e la missione della Chiesa sono imperniate sulla figura dei catechisti. Inoltre, i laici prestano servizio nell’ambito del safeguarding e dell’amministrazione. Il loro contributo è indispensabile per la missione della Chiesa; per questo va curata l’acquisizione delle competenze necessarie

f)  I carismi dei laici, nella loro varietà, sono doni dello Spirito Santo alla Chiesa che devono essere fatti emergere, riconosciuti e valorizzati a pieno titolo. In alcune situazioni può capitare che i laici siano chiamati a supplire alla carenza di sacerdoti, con il rischio che il carattere propriamente laicale del loro apostolato risulti sminuito. In altri contesti, può accadere che i presbiteri facciano tutto e i carismi e i ministeri dei laici vengano ignorati o sottoutilizzati. Si avverte inoltre il pericolo, espresso da molti all’Assemblea, di “clericalizzare” i laici, creando una sorta di élite laicale che perpetua le disuguaglianze e le divisioni nel Popolo di Dio.

g)  La pratica della missione ad gentes realizza un arricchimento reciproco delle Chiese, perché non coinvolge solo i missionari, ma l’intera comunità, che viene stimolata alla preghiera, alla condivisione dei beni e alla testimonianza. Anche le Chiese povere di clero non devono rinunciare a questo impegno, mentre quelle in cui c’è maggiore fioritura di vocazioni al ministero ordinato possono aprirsi alla cooperazione pastorale, in una logica genuinamente evangelica. Tutti i missionari – laici e laiche, consacrate e consacrati, diaconi e presbiteri, in particolare i membri di istituti missionari e i missionari fidei donum – in forza della loro vocazione propria, sono una risorsa importante per creare legami di conoscenza e scambio di doni.

h)  La missione della Chiesa è continuamente rinnovata e alimentata dalla celebrazione dell’Eucaristia, in particolare quando esse ne mette in primo piano il carattere comunitario e missionario.

Questioni da affrontare

i)  È necessario continuare ad approfondire la comprensione teologica delle relazioni tra carismi e ministeri in prospettiva missionaria.

j)  Il Vaticano II e il magistero successivo presentano la missione distintiva dei laici in termini di santificazione delle realtà temporali o secolari. Tuttavia, nella concretezza della pratica pastorale, a livello parrocchiale, diocesano e, recentemente, anche universale, sono sempre più spesso affidati a laici incarichi e ministeri all’interno della Chiesa. La riflessione teologica e le disposizioni canoniche devono essere conciliate con questi importanti sviluppi e impegnarsi a evitare dualismi che potrebbero compromettere la percezione dell’unità della missione della Chiesa.

k)  Nella promozione della corresponsabilità per la missione di tutti i battezzati, riconosciamo le capacità apostoliche delle persone con disabilità. Vogliamo valorizzare il contributo all’evangelizzazione che proviene dall’immensa ricchezza di umanità che portano con sé. Riconosciamo le loro esperienze di sofferenza, emarginazione, discriminazione, a volte patite anche dentro la stessa comunità cristiana.

l)  Le strutture pastorali vanno riorganizzate in modo da aiutare le comunità a far emergere, riconoscere e animare i carismi e i ministeri laicali, inserendoli nel dinamismo missionario della Chiesa sinodale. Sotto la guida dei loro pastori, le comunità saranno capaci di inviare e sostenere coloro che hanno inviato. Si concepiranno quindi principalmente a servizio della missione che i fedeli portano avanti all’interno della società, nella vita familiare e lavorativa, senza concentrarsi esclusivamente sulle attività che si svolgono al loro interno e sulle loro necessità organizzative.

m)  L’espressione “una Chiesa tutta ministeriale”, utilizzata nell’Instrumentum laboris, può prestarsi a fraintendimenti. Se ne approfondisca il significato, per chiarire eventuali ambiguità.

Proposte

n)  Si percepisce la necessità di una maggiore creatività nell’istituzione di ministeri in base alle esigenze delle Chiese locali, con un particolare coinvolgimento dei giovani. Si può pensare di ampliare ulteriormente i compiti al ministero istituito del lettore, che già oggi non si limitano al ruolo svolto durante le liturgie. In questo modo si potrebbe configurare un vero e proprio ministero della Parola di Dio, che in contesti appropriati potrebbe includere anche la predicazione. Si esplori anche la possibilità di istituire un ministero da conferire a coppie sposate impegnate a sostenere la vita familiare e ad accompagnare le persone che si preparano al sacramento del matrimonio.

o)  Si invitano le Chiese locali a individuare forme e occasioni in cui dare visibilità e riconoscimento comunitario ai carismi e ministeri che arricchiscono la comunità. Ciò potrebbe avvenire in occasione di una celebrazione liturgica entro cui si affida il mandato pastorale.

9. Le donne nella vita e nella missione della Chiesa

Convergenze

a)  Siamo stati creati maschio e femmina, a immagine e somiglianza di Dio. Fin dal principio, la creazione articola unità e differenza, conferendo a donne e uomini una natura, una vocazione e un destino condivisi e due esperienze distinte dell’umano. La Sacra Scrittura testimonia la complementarità e la reciprocità di donne e uomini. Nelle molteplici forme in cui si realizza, l’alleanza tra l’uomo e la donna è al cuore del progetto di Dio per la creazione. Gesù considerava le donne sue interlocutrici: parlava con loro del Regno di Dio e le accoglieva tra i discepoli, come ad esempio Maria di Betania. Queste donne fecero esperienza del suo potere di guarigione, liberazione e riconoscimento e camminarono con lui sulla strada dalla Galilea a Gerusalemme (cfr. Lc 8,1-3). Affidò a una donna, Maria Maddalena, il compito di annunciare la resurrezione la mattina di Pasqua.

b)  In Cristo donne e uomini sono rivestititi della medesima dignità battesimale e ricevono in ugual misura la varietà dei doni dello Spirito (cfr. Gal 3,28). Uomini e donne sono chiamati a una comunione caratterizzata da una corresponsabilità non competitiva, da incarnare a ogni livello della vita della Chiesa. Come ci ha detto Papa Francesco, insieme siamo «Popolo convocato e chiamato con la forza delle Beatitudini».

c)  Durante l’Assemblea abbiamo sperimentato la bellezza della reciprocità tra donne e uomini. Insieme rilanciamo l’appello delle precedenti fasi del processo sinodale, e chiediamo alla Chiesa di crescere nell’impegno di comprendere e accompagnare le donne, dal punto di vista pastorale e sacramentale. Le donne desiderano condividere l’esperienza spirituale di camminare verso la santità nelle diverse fasi della vita: da giovani, come madri, nelle relazioni di amicizia, nella vita familiare a tutte le età, nel mondo del lavoro e nella vita consacrata. Reclamano giustizia in società ancora profondamente segnate da violenza sessuale e disuguaglianze economiche, e dalla tendenza a trattarle come oggetti. Portano le cicatrici della tratta di esseri umani, delle migrazioni forzate e delle guerre. Accompagnamento e decisa promozione delle donne vanno di pari passo.

d)  Le donne costituiscono la maggioranza di coloro che frequentano le chiese e sono spesso le prime missionarie della fede in famiglia. Le consacrate, nella vita contemplativa e in quella apostolica, costituiscono un dono, un segno e una testimonianza di fondamentale importanza in mezzo a noi. La lunga storia di donne missionarie, sante, teologhe e mistiche è una potente sorgente di ispirazione e nutrimento per le donne e gli uomini del nostro tempo.

e)  Maria di Nazareth, donna di fede e madre di Dio, resta per tutti una straordinaria fonte di significato dal punto di vista teologico, ecclesiale e spirituale. Maria ci ricorda la chiamata universale ad ascoltare con attenzione Dio e a rimanere aperti allo Spirito Santo. Ha conosciuto la gioia di dare alla luce e fare crescere e ha sopportato dolore e sofferenza. Ha partorito in condizioni di precarietà, ha fatto l’esperienza di essere rifugiata e ha vissuto lo strazio della brutale uccisione di suo Figlio. Ma ha anche conosciuto lo splendore della risurrezione e la gloria di Pentecoste.

f)  Molte donne hanno espresso profonda gratitudine per il lavoro di sacerdoti e Vescovi, ma hanno anche parlato di una Chiesa che ferisce. Clericalismo, maschilismo e un uso inappropriato dell’autorità continuano a sfregiare il volto della Chiesa e danneggiano la comunione. È necessaria una profonda conversione spirituale come base per qualsiasi cambiamento strutturale. Abusi sessuali, di potere ed economici continuano a chiedere giustizia, guarigione e riconciliazione. Chiediamo come la Chiesa possa diventare uno spazio capace di proteggere tutti.

g)  Quando nella Chiesa si ledono la dignità e la giustizia nei rapporti tra uomini e donne, risulta indebolita la credibilità dell’annuncio che indirizziamo al mondo. Il processo sinodale mostra che c’è bisogno di un rinnovamento delle relazioni e di cambiamenti strutturali. In questo modo saremo in grado di accogliere meglio la partecipazione e il contributo di tutti – laici e laiche, consacrate e consacrati, diaconi, preti e Vescovi – quali discepoli corresponsabili della missione.

h)  L’Assemblea chiede di evitare di ripetere l’errore di parlare delle donne come di una questione o un problema. Desideriamo invece promuovere una Chiesa in cui uomini e donne dialogano allo scopo di comprendere meglio la profondità del disegno di Dio, in cui appaiono insieme come protagonisti, senza subordinazione, esclusione, né competizione.

Questioni da affrontare

i)  Le Chiese di tutto il mondo hanno formulato con chiarezza la richiesta di un maggiore riconoscimento e valorizzazione del contributo delle donne e di una crescita delle responsabilità pastorali loro affidate in tutte le aree della vita e della missione della Chiesa. Per dare migliore espressione ai carismi di tutti e rispondere meglio ai bisogni pastorali, come la Chiesa può inserire più donne nei ruoli e nei ministeri esistenti? Se servono nuovi ministeri a chi spetta il discernimento, a quale livello e con che modalità?

j)  Sono state espresse posizioni diverse in merito all’accesso delle donne al ministero diaconale. Alcuni considerano che questo passo sarebbe inaccettabile in quanto in discontinuità con la Tradizione. Per altri, invece, concedere alle donne l’accesso al diaconato ripristinerebbe una pratica della Chiesa delle origini. Altri ancora discernono in questo passo una risposta appropriata e necessaria ai segni dei tempi, fedele alla Tradizione e capace di trovare eco nel cuore di molti che cercano una rinnovata vitalità ed energia nella Chiesa. Alcuni esprimono il timore che questa richiesta sia espressione di una pericolosa confusione antropologica, accogliendo la quale la Chiesa si allineerebbe allo spirito del tempo.

k)  Il dibattito a riguardo è anche connesso alla più ampia riflessione sulla teologia del diaconato (cfr. infra cap. 11, h – i).

Proposte
l) Le Chiese locali sono incoraggiate, in particolare, ad allargare il loro servizio di ascolto, accompagnamento e cura alle donne che nei diversi contesti sociali risultano più emarginate.

m)  È urgente garantire che le donne possano partecipare ai processi decisionali e assumere ruoli di responsabilità nella pastorale e nel ministero. Il Santo Padre ha aumentato in modo significativo il numero di donne in posizioni di responsabilità nella Curia Romana. Lo stesso dovrebbe accadere agli altri livelli della vita della Chiesa. Occorre adattare il diritto canonico di conseguenza.

n)  Si prosegua la ricerca teologica e pastorale sull’accesso delle donne al diaconato, giovandosi dei risultati delle commissioni appositamente istituite dal Santo Padre e delle ricerche teologiche, storiche ed esegetiche già effettuate. Se possibile, i risultati dovrebbero essere presentati alla prossima Sessione dell’Assemblea.

o)  I casi di discriminazione lavorativa e remunerazione iniqua all’interno della Chiesa siano affrontati e risolti, in particolare per quanto riguarda le consacrate che troppo spesso sono considerate manodopera a basso prezzo.

p)  C’è bisogno di ampliare l’accesso delle donne ai programmi di formazione e agli studi teologici. Le donne siano inserite nei programmi di insegnamento e formazione dei seminari per favorire una migliore formazione al ministero ordinato.

q)  I testi liturgici e i documenti della Chiesa siano più attenti non solo all’uso di un linguaggio che tenga in ugual conto uomini e donne, ma anche all’inserimento di una gamma di parole, immagini e racconti che attingano con maggiore vitalità all’esperienza femminile.

r)  Proponiamo che donne adeguatamente formate possano essere giudici in tutti i processi canonici.

10. La vita consacrata e le aggregazioni laicali: un segno carismatico

Convergenze

a)  Lungo il corso dei secoli la Chiesa ha sempre sperimentato il dono dei carismi grazie ai quali lo Spirito Santo la fa ringiovanire e la rinnova, dai più straordinari a quello più semplici e largamente diffusi. Con gioia e gratitudine, il Santo Popolo di Dio riconosce in essi l’aiuto provvidenziale con cui Dio stesso sostiene, orienta e illumina la sua missione.

b)  La dimensione carismatica della Chiesa ha una particolare manifestazione nella vita consacrata, con la ricchezza e la varietà delle sue forme. La sua testimonianza ha contribuito in ogni tempo a rinnovare la vita della comunità ecclesiale, rivelandosi un antidoto rispetto alla tentazione ricorrente della mondanità. Le diverse famiglie religiose mostrano la bellezza della sequela del Signore, sul monte della preghiera e sulle strade del mondo, nelle forme di vita comunitaria, nella solitudine del deserto e sulla frontiera delle sfide culturali. La vita consacrata più di una volta è stata la prima a intuire i cambiamenti della storia e cogliere gli appelli dello Spirito: anche oggi la Chiesa ha bisogno della sua profezia. La comunità cristiana guarda inoltre con attenzione e gratitudine alle sperimentate pratiche di vita sinodale e di discernimento in comune che le comunità di vita consacrata hanno maturato lungo i secoli. Anche da esse sappiamo di poter apprendere la sapienza del camminare insieme. Molte Congregazioni e Istituti praticano la conversazione nello Spirito o forme analoghe di discernimento nello svolgimento dei Capitoli provinciali e generali, per rinnovare le strutture, ripensare gli stili di vita, attivare nuove forme di servizio e di vicinanza ai più poveri. In altri casi si riscontra però il perdurare di uno stile autoritario, che non fa spazio al dialogo fraterno.

c) Con pari gratitudine, il Popolo di Dio riconosce i fermenti di rinnovamento presenti in comunità che hanno una lunga storia e nella fioritura di nuove esperienze di aggregazione ecclesiale. Associazioni laicali, movimenti ecclesiali e nuove comunità sono segno prezioso della maturazione della corresponsabilità di tutti i battezzati. Il loro valore risiede nella promozione della comunione tra le diverse vocazioni, nello slancio con cui annunciano il Vangelo, nella prossimità a coloro che vivono una marginalità economica o sociale e nell’impegno per la promozione del bene comune. Sono spesso modelli di comunione sinodale e di partecipazione in vista della missione.

d) I casi di abuso di vario genere a danno di persone consacrate e membri di aggregazioni laicali, in particolare donne, segnala un problema nell’esercizio dell’autorità e richiede interventi decisi e appropriati.

Questioni da affrontare

e)  Il magistero della Chiesa ha sviluppato un ampio insegnamento sull’importanza dei doni gerarchici e doni carismatici nella vita e nella missione della Chiesa, che richiede una migliore comprensione nella coscienza ecclesiale e nella stessa riflessione teologica. È necessario perciò interrogarsi sul significato ecclesiologico e sulle concrete implicazioni pastorali di questa acquisizione.

f)  La varietà di espressioni carismatiche all’interno della Chiesa sottolinea l’impegno del Popolo fedele di Dio a vivere la profezia della vicinanza agli ultimi e ad illuminare la cultura con una più profonda esperienza delle realtà spirituali. Occorre approfondire in che modo la vita consacrata, le associazioni laicali, i movimenti ecclesiali e le nuove comunità possano mettere i loro carismi a servizio della comunione e missione nelle Chiese locali, contribuendo a far progredire verso santità grazie a una presenza che è profetica.

Proposte

g)  Riteniamo che sia maturo il tempo per una revisione dei «criteri direttivi sui rapporti tra i Vescovi e i Religiosi nella Chiesa» proposti nel documento Mutuae relationes del 1978. Proponiamo che tale revisione sia condotta in stile sinodale, includendo tutti coloro che sono coinvolti.

h)  Allo stesso fine, le Conferenze Episcopali e le Conferenze delle Superiore e dei Superiori Maggiori degli Istituti di Vita Consacrata e delle Società di Vita Apostolica attivino luoghi e strumenti adeguati a promuovere incontri e forme di collaborazione in spirito sinodale.

i)  A livello sia delle singole Chiese locali sia dei raggruppamenti di Chiese, la promozione della sinodalità missionaria esige l’istituzione e una più precisa configurazione delle Consulte e dei Consigli in cui convergono i rappresentanti di Associazioni laicali, Movimenti ecclesiali e nuove Comunità per promuovere relazioni organiche tra queste realtà e la vita delle Chiese locali.

j)  Nei percorsi di formazione teologica a tutti i livelli, soprattutto nella formazione dei ministri ordinati, si verifichi l’attenzione prestata alla dimensione carismatica della Chiesa e, ove necessario, la si rafforzi.

11. Diaconi e presbiteri in una Chiesa sinodale

Convergenze

a)  I presbiteri sono i principali cooperatori del Vescovo e formano con lui un unico presbiterio (cfr. LG 28); i diaconi, ordinati per il ministero, servono il Popolo di Dio nella diaconia della Parola, della liturgia, ma soprattutto della carità (cfr. LG 29). Nei loro confronti l’Assemblea sinodale esprime anzitutto profonda gratitudine. Consapevole che possono sperimentare solitudine e isolamento, raccomanda alle comunità cristiane di sostenerli con la preghiera, l’amicizia, la collaborazione.

b)  Diaconi e presbiteri sono impegnati nelle forme più diverse del ministero pastorale: il servizio nelle parrocchie, l’evangelizzazione, la prossimità a poveri ed emarginati, l’impegno nel mondo della cultura e dell’educazione, la missione ad gentes, la ricerca teologica, l’animazione di centri di spiritualità e molti altri. In una Chiesa sinodale i ministri ordinati sono chiamati a vivere il loro servizio al Popolo di Dio in un atteggiamento di vicinanza alle persone, di accoglienza e di ascolto di tutti e a coltivare una profonda spiritualità personale e una vita di preghiera. Soprattutto sono chiamati a ripensare l’esercizio dell’autorità sul modello di Gesù che, «pur essendo nella condizione di Dio, […] svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo» (Fil 2, 6-7). L’Assemblea riconosce che molti presbiteri e diaconi rendono visibile con la loro dedizione il volto di Cristo Buon Pastore e Servo.

c)  Un ostacolo al ministero e alla missione è costituito dal clericalismo. Esso nasce dal fraintendimento della chiamata divina, che conduce a concepirla più come un privilegio che come un servizio, e si manifesta in uno stile di potere mondano che rifiuta di rendere conto. Questa deformazione del sacerdozio deve essere contrastata fin dalle prime fasi della formazione, grazie a un contatto vivo con la quotidianità del Popolo di Dio e un’esperienza concreta di servizio ai più bisognosi. Non si può immaginare oggi il ministero del presbitero se non in rapporto al Vescovo, nel presbiterio, in profonda comunione con gli altri ministeri e carismi. Purtroppo il clericalismo è un atteggiamento che può manifestarsi non solo nei ministri, ma anche nei laici.

d)  La consapevolezza delle proprie capacità e dei propri limiti è un requisito per impegnarsi nel ministero ordinato con uno stile di corresponsabilità. Per questo la formazione umana deve garantire un percorso di conoscenza realistica di sé, che si integri con la crescita culturale, spirituale e apostolica. In tale percorso, non va sottovalutato l’apporto della famiglia di origine e della comunità cristiana, entro cui il giovane ha maturato la vocazione, e di altre famiglie che accompagnano la sua crescita.

Questioni da affrontare

e)  Nella prospettiva della formazione di tutti i battezzati per una Chiesa sinodale, quella di diaconi e preti richiede particolare attenzione. È stata ampiamente espressa la richiesta che i seminari o altri percorsi di formazione dei candidati al ministero siano collegati alla vita quotidiana delle comunità. Occorre evitare i rischi del formalismo e dell’ideologia che portano ad atteggiamenti autoritari e impediscono una vera crescita vocazionale. Il ripensamento degli stili e dei percorsi formativi richiede un’ampia opera di revisione e di confronto.

f)  Sono state espresse valutazioni diverse sul celibato dei presbiteri. Tutti ne apprezzano il valore carico di profezia e la testimonianza di conformazione a Cristo; alcuni chiedono se la sua convenienza teologica con il ministero presbiterale debba necessariamente tradursi nella Chiesa latina in un obbligo disciplinare, soprattutto dove i contesti ecclesiali e culturali lo rendono più difficile. Si tratta di un tema non nuovo, che richiede di essere ulteriormente ripreso.

Proposte

g)  Nelle Chiese latine il diaconato permanente è stato attuato in modi diversi nei vari contesti ecclesiali. Alcune Chiese locali non l’hanno introdotto affatto; in altre, si teme che i diaconi vengano percepiti come una sorta di rimedio alla carenza di preti. Talvolta la loro ministerialità si esprime nella liturgia piuttosto che nel servizio ai poveri e bisognosi della comunità. Si raccomanda pertanto di effettuare una valutazione sull’attuazione del ministero diaconale dopo il Concilio Vaticano II.

h)  Sotto il profilo teologico, emerge l’esigenza di comprendere il diaconato anzitutto in se stesso, e non solo come una tappa di accesso al presbiterato. Lo stesso uso linguistico di qualificare come “permanente” la forma primaria di diaconato, per distinguerla da quella “transitoria”, è la spia di un cambio di prospettiva non ancora adeguatamente realizzato.

i)  Le incertezze che circondano la teologia del ministero diaconale sono dovute anche al fatto che nella Chiesa latina esso è stato ripristinato come grado proprio e permanente della gerarchia solo a partire dal Concilio Vaticano II. Una più approfondita riflessione a riguardo consentirà di illuminare anche la questione dell’accesso delle donne al diaconato.

j)  Si richiede una verifica approfondita della formazione al ministero ordinato alla luce della prospettiva della Chiesa sinodale missionaria. Ciò implica la revisione della Ratio fundamentalis che ne determina il profilo. Raccomandiamo allo stesso tempo di curare la formazione permanente dei presbiteri e dei diaconi in senso sinodale.

k)  La dimensione della trasparenza e la cultura del rendiconto rappresentano un elemento di cruciale importanza per procedere nella costruzione di una Chiesa sinodale. Chiediamo alle Chiese locali di identificare processi e strutture che permettano una regolare verifica delle modalità di esercizio del ministero di sacerdoti e diaconi che svolgono ruoli di responsabilità. Istituti già esistenti, come gli organismi di partecipazione o le visite pastorali, possono costituire il punto di partenza per questo lavoro, curando il coinvolgimento della comunità. In ogni caso, tali forme dovranno essere adattate ai contesti locali e alle diverse culture, per non risultare un intralcio o un appesantimento burocratico. Per questo l’ambito regionale o continentale potrebbe essere quello più opportuno per un loro discernimento.

l)  Si consideri, valutando caso per caso e a seconda dei contesti, l’opportunità di inserire presbiteri che hanno lasciato il ministero in un servizio pastorale che valorizzi la loro formazione e la loro esperienza.

12. Il Vescovo nella comunione ecclesiale

Convergenze

a) Nella prospettiva del Concilio Vaticano II i Vescovi, come successori degli Apostoli, sono posti al servizio della comunione che si realizza nella Chiesa locale, tra le Chiese e con la Chiesa tutta intera. La figura del Vescovo può dunque adeguatamente essere compresa nell’intreccio delle relazioni con la porzione del Popolo di Dio a lui affidata, con il presbiterio e con i diaconi, con le persone consacrate, con gli altri Vescovi e con il Vescovo di Roma, in una prospettiva sempre orientata alla missione.

b) Il Vescovo è, nella sua Chiesa, il primo responsabile dell’annuncio del Vangelo e della liturgia. Guida la comunità cristiana e promuove la cura dei poveri e la difesa degli ultimi. Quale principio visibile di unità, ha in particolare il compito di discernere e coordinare i diversi carismi e ministeri suscitati dallo Spirito per l’annuncio del Vangelo e il bene comune della comunità. Tale ministero viene realizzato in modo sinodale quando il governo è esercitato nella corresponsabilità, la predicazione dall’ascolto del Popolo fedele di Dio, la santificazione e la celebrazione liturgica dall’umiltà e dalla conversione.

c) Il Vescovo ha un ruolo insostituibile nell’avviare e animare il processo sinodale nella Chiesa locale, promuovendo la circolarità tra “tutti, alcuni e uno”. Il ministero episcopale (l’uno) valorizza la partecipazione di “tutti” i fedeli, grazie all’apporto di “alcuni” più direttamente coinvolti in processi di discernimento e di decisione (organismi di partecipazione e di governo). La convinzione con cui il Vescovo assume la prospettiva sinodale e lo stile con cui esercita l’autorità influenzano in modo determinante la partecipazione di preti e diaconi, laici e laiche, consacrate e consacrati. Per tutti, il Vescovo è chiamato a essere esempio di sinodalità.

d) Nei contesti in cui la Chiesa è percepita come famiglia di Dio, il Vescovo è considerato come il padre di tutti; nelle società secolarizzate invece si sperimenta una crisi della sua autorità. È importante non perdere il riferimento alla natura sacramentale dell’episcopato, per non assimilare la figura del Vescovo a un’autorità civile.

e) Le attese nei confronti del Vescovo spesso sono molto alte, e molti Vescovi lamentano un sovraccarico di impegni amministrativi e giuridici, che rende difficile realizzare in pieno la loro missione. Anche il Vescovo deve fare i conti con la propria fragilità e i propri limiti e non sempre trova sostegno umano e supporto spirituale. Non è rara l’esperienza sofferta di una certa solitudine. Per questo è importante da un lato tornare a mettere al centro dell’attenzione gli aspetti essenziali della missione del Vescovo, dall’altro coltivare un’autentica fraternità fra Vescovi e con il presbiterio.

Questioni da affrontare

f) Sul piano teologico, va maggiormente approfondito il significato del legame di reciprocità tra il Vescovo e la Chiesa locale. Egli è chiamato a guidarla e, nello stesso tempo, a riconoscere e custodire la ricchezza della sua storia, della sua tradizione e dei carismi in essa presenti.

g) Va approfondita la questione del rapporto tra sacramento dell’Ordine e giurisdizione, alla luce del magistero conciliare di Lumen gentium e degli insegnamenti più recenti, come la Costituzione apostolica Praedicate Evangelium, per precisare i criteri teologici e canonici che sono alla base del principio di condivisione delle responsabilità del Vescovo e determinare ambiti, forme e implicazioni della corresponsabilità.

h) Alcuni Vescovi manifestano disagio quando viene loro richiesto di intervenire su questioni di fede e di morale su cui nell’episcopato non c’è pieno accordo. È necessario riflettere ulteriormente sulla relazione tra collegialità episcopale e diversità di vedute teologiche e pastorali.

i) Una cultura della trasparenza e il rispetto delle procedure previste per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili sono parte integrante di una Chiesa sinodale. è necessario sviluppare ulteriormente strutture dedicate alla prevenzione degli abusi. La questione delicata della gestione degli abusi pone molti Vescovi nella difficoltà di conciliare il ruolo di padre e quello di giudice. Si chiede di valutare l’opportunità di affidare il compito giudiziale a un’altra istanza, da precisare canonicamente.

Proposte

j)

abusi. k)

l)

m)

13. Il Vescovo di Roma nel Collegio dei Vescovi

Convergenze

a)  La dinamica sinodale getta nuova luce anche sul ministero del Vescovo di Roma. La sinodalità, infatti, articola in modo sinfonico le dimensioni comunitaria (“tutti”), collegiale (“alcuni”) e personale (“uno”) della Chiesa a livello locale, regionale e universale. In tale visione, il ministero petrino del Vescovo di Roma è intrinseco alla dinamica sinodale, come lo sono pure l’aspetto comunitario che include tutto il Popolo di Dio e la dimensione collegiale del ministero episcopale. Per questo, sinodalità, collegialità e primato si richiamano a vicenda: il primato presuppone l’esercizio della sinodalità e della collegialità, così come entrambe implicano l’esercizio del primato.

b)  La promozione dell’unità di tutti i cristiani è un aspetto essenziale del ministero del Vescovo di Roma. Il cammino ecumenico ha permesso di approfondire la comprensione del ministero del Successore di Pietro e deve continuare a farlo anche in futuro. Le risposte all’invito rivolto da S. Giovanni Paolo II nell’enciclica Ut unum sint, come pure le conclusioni dei dialoghi ecumenici, possono aiutare alla comprensione cattolica del primato, della collegialità, della sinodalità e delle loro relazioni reciproche.

c)  La riforma della Curia Romana è un aspetto importante del percorso sinodale della Chiesa cattolica. La Costituzione apostolica Praedicate evangelium insiste sul fatto che «la Curia Romana non si colloca tra il Papa e i Vescovi, piuttosto si pone al servizio di entrambi secondo le modalità che sono proprie della natura di ciascuno» (PE I.8). Promuove una riforma basata

Proposte

j) Siano attivati, in forme giuridicamente da definire, strutture e processi di verifica regolare dell’operato del Vescovo, con riferimento allo stile della sua autorità, all’amministrazione economica dei beni della diocesi, al funzionamento degli organismi di partecipazione e alla tutela nei confronti di ogni tipo di abuso. La cultura del rendiconto è parte integrante di una Chiesa sinodale che promuove la corresponsabilità, oltre che un possibile presidio contro gli abusi

k) Si richiede di rendere obbligatorio il Consiglio episcopale (can. 473 §4) e il Consiglio pastorale diocesano o eparchiale (CIC can. 511, CCEU can. 272) e di rendere più operativi, anche a livello di diritto, gli organismi diocesani di corresponsabilità.

l) L’Assemblea chiede di avviare una verifica dei criteri di selezione dei candidati all’episcopato, equilibrando l’autorità del Nunzio apostolico con la partecipazione della Conferenza Episcopale. Si richiede anche di ampliare la consultazione del Popolo di Dio, ascoltando un maggior numero di laici e laiche, consacrate e consacrati e avendo cura di evitare pressioni inopportune.

m) Molti Vescovi manifestano l’esigenza di ripensare il funzionamento e rafforzare la struttura delle Metropolie (province ecclesiastiche) e delle Regioni, perché siano espressione concreta di collegialità in un territorio e ambiti in cui i Vescovi possano fare esperienza di fraternità, sostegno reciproco, trasparenza e più ampia consultazione.

13. Il Vescovo di Roma nel Collegio dei Vescovi

Convergenze

a)  La dinamica sinodale getta nuova luce anche sul ministero del Vescovo di Roma. La sinodalità, infatti, articola in modo sinfonico le dimensioni comunitaria (“tutti”), collegiale (“alcuni”) e personale (“uno”) della Chiesa a livello locale, regionale e universale. In tale visione, il ministero petrino del Vescovo di Roma è intrinseco alla dinamica sinodale, come lo sono pure l’aspetto comunitario che include tutto il Popolo di Dio e la dimensione collegiale del ministero episcopale. Per questo, sinodalità, collegialità e primato si richiamano a vicenda: il primato presuppone l’esercizio della sinodalità e della collegialità, così come entrambe implicano l’esercizio del primato.

b)  La promozione dell’unità di tutti i cristiani è un aspetto essenziale del ministero del Vescovo di Roma. Il cammino ecumenico ha permesso di approfondire la comprensione del ministero del Successore di Pietro e deve continuare a farlo anche in futuro. Le risposte all’invito rivolto da S. Giovanni Paolo II nell’enciclica Ut unum sint, come pure le conclusioni dei dialoghi ecumenici, possono aiutare alla comprensione cattolica del primato, della collegialità, della sinodalità e delle loro relazioni reciproche.

c)  La riforma della Curia Romana è un aspetto importante del percorso sinodale della Chiesa cattolica. La Costituzione apostolica Praedicate evangelium insiste sul fatto che «la Curia Romana non si colloca tra il Papa e i Vescovi, piuttosto si pone al servizio di entrambi secondo le modalità che sono proprie della natura di ciascuno» (PE I.8). Promuove una riforma basata

Siano attivati, in forme giuridicamente da definire, strutture e processi di verifica regolare dell’operato del Vescovo, con riferimento allo stile della sua autorità, all’amministrazione economica dei beni della diocesi, al funzionamento degli organismi di partecipazione e alla tutela nei confronti di ogni tipo di abuso. La cultura del rendiconto è parte integrante di una Chiesa sinodale che promuove la corresponsabilità, oltre che un possibile presidio contro gli

Si richiede di rendere obbligatorio il Consiglio episcopale (can. 473 §4) e il Consiglio pastorale diocesano o eparchiale (CIC can. 511, CCEU can. 272) e di rendere più operativi, anche a livello

di diritto, gli organismi diocesani di corresponsabilità.

L’Assemblea chiede di avviare una verifica dei criteri di selezione dei candidati all’episcopato, equilibrando l’autorità del Nunzio apostolico con la partecipazione della Conferenza Episcopale. Si richiede anche di ampliare la consultazione del Popolo di Dio, ascoltando un maggior numero di laici e laiche, consacrate e consacrati e avendo cura di evitare pressioni inopportune.

Molti Vescovi manifestano l’esigenza di ripensare il funzionamento e rafforzare la struttura delle Metropolie (province ecclesiastiche) e delle Regioni, perché siano espressione concreta di collegialità in un territorio e ambiti in cui i Vescovi possano fare esperienza di fraternità, sostegno reciproco, trasparenza e più ampia consultazione.

c)  La riforma della Curia Romana è un aspetto importante del percorso sinodale della Chiesa cattolica. La Costituzione apostolica Praedicate evangelium insiste sul fatto che «la Curia Romana non si colloca tra il Papa e i Vescovi, piuttosto si pone al servizio di entrambi secondo le modalità che sono proprie della natura di ciascuno» (PE I.8). Promuove una riforma basata  sulla «vita di comunione» (PE I.4) e su una “salutare decentralizzazione” (EG 16, cit. in PE II.2). Il fatto che molti membri dei Dicasteri romani siano Vescovi diocesani esprime la cattolicità della Chiesa e dovrebbe favorire la relazione tra la Curia e le Chiese locali. L’effettiva attuazione della Praedicate evangelium potrà favorire una maggiore sinodalità in seno alla Curia, sia tra i diversi Dicasteri sia in ognuno di essi.

Questioni da affrontare

d)  Viene richiesto un approfondimento sul modo in cui una rinnovata comprensione dell’episcopato all’interno di una Chiesa sinodale incida sul ministero del Vescovo di Roma e sul ruolo della Curia Romana. Tale questione ha significative ricadute sul modo di vivere la corresponsabilità nel governo della Chiesa. A livello universale, il Codice di Diritto Canonico e il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali offrono disposizioni per un esercizio più collegiale del ministero papale. Queste potrebbero essere ulteriormente sviluppate nella pratica e rafforzate in un futuro aggiornamento di entrambi i testi.

e)  La sinodalità può fare luce sulle modalità di collaborazione del collegio dei Cardinali al ministero petrino e sulle forme attraverso cui promuovere il loro discernimento collegiale nei Concistori ordinari e straordinari.

f)  È importante per il bene della Chiesa studiare i modi più opportuni per favorire la mutua conoscenza e i legami di comunione tra i membri del Collegio dei Cardinali, tenuto conto anche della loro diversità di provenienza e di cultura.

Proposte

g)  Le Visite ad limina Apostolorum sono il momento più alto delle relazioni dei Pastori delle Chiese locali con il Vescovo di Roma e con i suoi più stretti collaboratori nella Curia Romana. Si riveda la forma in cui si realizzano in modo da renderle sempre di più occasioni di uno scambio aperto e reciproco che favorisca la comunione e un vero esercizio di collegialità e sinodalità.

h)  Alla luce della configurazione sinodale della Chiesa, è necessario che i Dicasteri della Curia Romana valorizzino la consultazione dei Vescovi, per una maggiore attenzione alla diversità di situazioni e un ascolto più attento della voce delle Chiese locali.

i)  Appare opportuno prevedere forme di valutazione dell’operato dei Rappresentanti Pontifici da parte delle Chiese locali dei Paesi dove svolgono la loro missione, al fine di agevolare e perfezionare il loro servizio.

j)  Si propone di valorizzare e rafforzare l’esperienza del Consiglio dei Cardinali (C-9) come consiglio sinodale a servizio del ministero petrino.

k)  Alla luce dell’insegnamento del Concilio Vaticano II, occorre esaminare attentamente se è opportuno ordinare i prelati della Curia romana Vescovi.

PARTE III – TESSERE LEGAMI, COSTRUIRE COMUNITÀ

14. Un approccio sinodale alla formazione

Convergenze

a)  Prendersi cura della propria formazione è la risposta che ogni battezzato è chiamato a dare ai doni del Signore, per far fruttificare i talenti ricevuti e metterli a servizio di tutti. Il tempo che il Signore ha dedicato alla formazione dei discepoli rivela l’importanza di questa azione ecclesiale, spesso poco appariscente ma decisiva per la missione. Sentiamo di esprimere una parola di ringraziamento e incoraggiamento a tutti coloro che sono impegnati in questo ambito e li invitiamo a cogliere gli elementi di novità che emergono dal cammino sinodale della Chiesa.

b)  Il modo in cui Gesù ha formato i discepoli costituisce il modello a cui riferirci. Egli non si è limitato a impartire qualche insegnamento, ma ha condiviso con loro la vita. Con la sua preghiera ha suscitato la domanda: “Insegnaci a pregare”; sfamando le folle ha insegnato a non congedare i bisognosi; camminando verso Gerusalemme, ha indicato la via della Croce. Dal Vangelo impariamo che la formazione non è solo né primariamente un potenziamento delle proprie capacità: essa è conversione alla logica del Regno che può rendere feconde anche le sconfitte e i fallimenti.

c)  Il Santo Popolo di Dio non è solo oggetto, ma è prima di tutto soggetto corresponsabile della formazione. La prima formazione, di fatto, avviene in famiglia. È lì che non di rado riceviamo il primo annuncio della fede, nella lingua – anzi nel dialetto – dei nostri genitori e dei nostri nonni. L’apporto di coloro che svolgono un ministero nella Chiesa deve dunque intrecciarsi con la sapienza dei semplici in un’alleanza educativa che è indispensabile alla comunità. È questo il primo segno di una formazione intesa in senso sinodale

d)  Nell’iniziazione cristiana troviamo le grandi linee direttrici per i percorsi formativi. Al centro della formazione c’è l’approfondimento del kerygma, cioè dell’incontro con Gesù Cristo che ci offre il dono di una nuova vita. La logica catecumenale ci ricorda che siamo tutti peccatori chiamati alla santità. Per questo ci impegniamo in cammini di conversione che il sacramento della Riconciliazione porta a compimento e alimentiamo il desiderio della santità, sostenuti da un gran numero di testimoni.

e)  Gli ambi8 in cui la formazione del Popolo di Dio si declina sono mol8. Oltre alla formazione teologica, è stata menzionata quella rela8va a una serie di competenze specifiche: esercizio della corresponsabilità, ascolto, discernimento, dialogo ecumenico e interreligioso, servizio ai poveri e cura della casa comune, impegno come “missionari digitali”, facilitazione dei processi di discernimento e conversazione nello Spirito, costruzione del consenso e risoluzione dei conflix. Va dedicata par8colare aWenzione alla formazione cateche8ca dei bambini e dei giovani, che dovrebbe comportare la partecipazione axva della comunità.

f)  La formazione per una Chiesa sinodale richiede di essere intrapresa in modo sinodale: tutto il Popolo di Dio si forma insieme mentre cammina insieme. Occorre superare la mentalità di delega che si ritrova in tanti ambiti della pastorale. Una formazione in chiave sinodale ha lo scopo di permettere al Popolo di Dio di vivere pienamente la propria vocazione battesimale, in famiglia, nei luoghi di lavoro, in ambito ecclesiale, sociale e intellettuale, e di rendere ciascuno capace di partecipare attivamente alla missione della Chiesa secondo i propri carismi e la propria vocazione.

Questioni da affrontare
g)  Raccomandiamo di approfondire il tema dell’educazione affettiva e sessuale, per accompagnare i giovani nel loro cammino di crescita e per sostenere la maturazione affettiva di coloro che sono chiamati al celibato e alla castità consacrata, La formazione in questi ambiti è un aiuto necessario in tutte le stagioni della vita.

h)  È importante approfondire il dialogo tra le scienze umane, soprattutto la psicologia, e la teologia, per una comprensione dell’esperienza umana che non si limiti a giustapporre i loro apporti, ma li integri in una sintesi più matura.

i)  Il Popolo di Dio deve essere ampiamente rappresentato nella formazione dei ministri ordinati, come già richiesto da Sinodi precedenti. Serve un’ampia revisione dei programmi formativi, con particolare attenzione al modo di valorizzare l’apporto femminile e il contributo delle famiglie.

j)  Le Conferenze Episcopali sono incoraggiate a lavorare a livello regionale per creare insieme una cultura della formazione permanente, utilizzando tutte le risorse disponibili, compreso lo sviluppo di opzioni digitali.

Proposte

k)  Alla luce della sinodalità, proponiamo di privilegiare, per quanto possibile, proposte formative congiunte rivolte a tutto il Popolo di Dio (laici, consacrati e ministri ordinati). Tocca alle diocesi incoraggiare questi progetti a livello locale. Incoraggiamo le Conferenze Episcopali a lavorare insieme a livello regionale per creare insieme una cultura della formazione permanente, utilizzando tutte le risorse disponibili, compreso lo sviluppo di opzioni digitali.

l)  Le diverse componenti del Popolo di Dio siano rappresentate nei percorsi di formazione al ministero ordinato, secondo quanto già richiesto da Sinodi precedenti. Di particolare importanza è il coinvolgimento di figure femminili.

m)  Servono adeguati processi di selezione dei candidati al ministero ordinato e si rispettino i requisiti relativi ai programmi propedeutici.

n)  La formazione dei ministri ordinati va pensata in coerenza con una Chiesa sinodale, nei diversi contesti. Ciò richiede che i candidati al ministero, prima di intraprendere cammini specifici, abbiano maturato una reale, sebbene iniziale, esperienza di comunità cristiana. Il cammino formativo non dovrà creare un ambiente artificiale, separato dalla vita comune dei fedeli. Salvaguardando le esigenze della formazione al ministero, favorirà un autentico spirito di servizio al Popolo di Dio nella predicazione, nella celebrazione dei sacramenti e nell’animazione della carità. Ciò potrà richiedere una revisione della Ratio Fundamentalis per i sacerdoti e i diaconi permanenti.

o)  In vista della prossima Sessione dell’Assemblea, si propone di realizzare una consultazione dei responsabili della formazione iniziale e permanente dei presbiteri per valutare la ricezione del processo sinodale e proporre i cambiamenti necessari per promuovere l’esercizio dell’autorità in uno stile appropriato a una Chiesa sinodale.

15. Discernimento ecclesiale e questioni aperte

Convergenze

a)  L’esperienza della conversazione nello Spirito è stata arricchente per tutti coloro che vi hanno preso parte. In particolare si è apprezzato uno stile di comunicazione che privilegia la libertà nell’espressione dei propri punti di vista e l’ascolto reciproco. Ciò evita di passare troppo rapidamente a un dibattito basato sulla reiterazione dei propri argomenti, che non lascia lo spazio e il tempo per rendersi conto delle ragioni dell’altro.

b)  Questo atteggiamento di fondo crea un contesto favorevole per approfondire questioni che risultano controverse anche all’interno della Chiesa, quali gli effetti antropologici delle tecnologie digitali e dell’intelligenza artificiale, la non violenza e la legittima difesa, le problematiche relative al ministero, i temi connessi con la corporeità e la sessualità e altri ancora.

c)  Per sviluppare un autentico discernimento ecclesiale in questi e altri ambiti, è necessario integrare, alla luce della Parola di Dio e del Magistero, una base informativa più ampia e una componente riflessiva più articolata. Per evitare di rifugiarsi nella comodità di formule convenzionali, va istruito un confronto con il punto di vista delle scienze umane e sociali, della riflessione filosofica e della elaborazione teologica.

d)  Tra le questioni su cui è importante continuare la riflessione, vi è quella della relazione tra amore e verità e le ricadute che essa ha su molte questioni controverse. Tale relazione, prima di essere una sfida, è in realtà una grazia che abita la rivelazione cristologica. Gesù infatti ha portato a compimento la promessa che si legge nei salmi: «Amore e verità si incontreranno, giustizia e pace si baceranno. Verità germoglierà dalla terra e giustizia si affaccerà dal cielo» (Sal 85,11-12).

e)  Le pagine del Vangelo mostrano che Gesù incontra le persone nella unicità della loro storia e situazione. Egli non parte mai da pregiudizi o etichette, ma da una relazione autentica in cui si coinvolge con tutto se stesso, anche al prezzo di esporsi all’incomprensione e al rifiuto. Gesù ascolta sempre il grido di aiuto di chi ha bisogno, anche quando rimane inespresso; compie gesti che trasmettono amore e restituiscono fiducia; rende possibile con la sua presenza una nuova vita: chi lo incontra ne esce trasformato. Ciò avviene perché la verità di cui Gesù è portatore non è un’idea, ma la stessa presenza di Dio in mezzo a noi; e l’amore con cui agisce non è solo un sentimento, ma la giustizia del Regno che cambia la storia.

f)  La difficoltà che incontriamo nel tradurre questa limpida visione evangelica in scelte pastorali è segno della nostra incapacità di vivere all’altezza del Vangelo e ci ricorda che non possiamo sostenere chi ha bisogno di aiuto se non attraverso la nostra conversione, personale e comunitaria. Se utilizziamo la dottrina con durezza e con atteggiamento giudicante, tradiamo il Vangelo; se pratichiamo una misericordia a buon mercato, non trasmettiamo l’amore di Dio. L’unità di verità e amore implica di farsi carico delle difficoltà dell’altro fino a farle proprie, come avviene tra veri fratelli e sorelle. Per questo tale unità può essere realizzata soltanto seguendo con pazienza la strada dell’accompagnamento.

g)  Alcune questioni, come quelle relative all’identità di genere e all’orientamento sessuale, al fine vita, alle situazioni matrimoniali difficili, alle problematiche etiche connesse all’intelligenza artificiale, risultano controverse non solo nella società, ma anche nella Chiesa, perché pongono domande nuove. Talora le categorie antropologiche che abbiamo elaborato non sono sufficienti a cogliere la complessità degli elementi che emergono dall’esperienza o dal sapere delle scienze e richiedono affinamento e ulteriore studio. È importante prendere il tempo necessario per questa riflessione e investirvi le energie migliori, senza cedere a giudizi semplificatori che feriscono le persone e il Corpo della Chiesa. Molte indicazioni sono già offerte dal magistero e attendono di essere tradotte in iniziative pastorali appropriate. Anche dove siano necessari ulteriori chiarimenti, il comportamento di Gesù, assimilato nella preghiera e nella conversione del cuore, ci indica la strada da seguire.

Questioni da affrontare

h)  Riconosciamo la necessità di proseguire la riflessione ecclesiale sull’intreccio originario di amore e verità testimoniato da Gesù, in vista di una prassi ecclesiale che ne onori l’ispirazione.

i)  Incoraggiamo gli esperti nei diversi campi del sapere a maturare una sapienza spirituale che consenta alla loro competenza specialistica di divenire un vero servizio ecclesiale. La sinodalità in questo ambito si esprime come disponibilità a pensare insieme a servizio della missione, nella diversità delle impostazioni, ma nell’armonia degli intenti.

j)  Occorre identificare le condizioni che rendono possibile una ricerca teologica e culturale che sappia partire dall’esperienza quotidiana del Popolo Santo di Dio e si metta a suo servizio.

Proposte

k) Proponiamo di promuovere iniziative che consentano un discernimento condiviso su questioni dottrinali, pastorali ed etiche che sono controverse, alla luce della Parola di Dio, dell’insegnamento della Chiesa, della riflessione teologica e, valorizzando l’esperienza sinodale. Ciò può essere realizzato attraverso approfondimenti tra esperti di diverse competenze e provenienze in un contesto istituzionale che tuteli la riservatezza del dibattito e promuova la schiettezza del confronto, dando spazio, quando appropriato, anche alla voce delle persone direttamente toccate dalle controversie menzionate. Tale percorso dovrà essere avviato in vista della prossima Sessione sinodale.

16. Per una Chiesa che ascolta e accompagna

Convergenze

a)  Ascolto è il termine che meglio esprime l’esperienza più intensa che ha caratterizzato i primi due anni del percorso sinodale e anche i lavori dell’Assemblea. Lo fa nel duplice significato di ascolto dato e ricevuto, di mettersi in ascolto e di essere ascoltati. L’ascolto è un valore profondamente umano, un dinamismo di reciprocità, in cui offre un contributo al cammino dell’altro e ne riceve uno per il proprio.

b)  Essere invitati a prendere la parola ed essere ascoltati nella Chiesa e dalla Chiesa è stata un’esperienza intensa e inattesa per molti di coloro che hanno partecipato al processo sinodale a livello locale, specie tra quanti subiscono forme di emarginazione nella società e anche nella comunità cristiana. Ricevere ascolto è un’esperienza di affermazione e riconoscimento della propria dignità: questo è uno strumento potente di attivazione delle risorse della persona e della comunità.

c)  Mettere Gesù Cristo al centro della nostra vita richiede una certa abnegazione. In questa prospettiva, dare ascolto richiede la disponibilità a decentrarsi per lasciare spazio all’altro. Lo abbiamo sperimentato nella dinamica della conversazione nello Spirito. Si tratta di un esercizio ascetico esigente, che obbliga ciascuno a riconoscere i propri limiti e la parzialità del proprio punto di vista. Per questo apre una possibilità all’ascolto della voce dello Spirito di Dio che parla anche oltre i confini dell’appartenenza ecclesiale e può mettere in moto un cammino di cambiamento e di conversione.

d)  Mettersi in ascolto ha una valenza cristologica: significa assumere l’atteggiamento di Gesù nei confronti delle persone che incontrava (cfr. Fil 2, 6-11); ha anche una valenza ecclesiale, poiché a mettersi in ascolto è la Chiesa, attraverso l’operato di alcuni battezzati che non agiscono in nome proprio, ma della comunità.

e)  Lungo il processo sinodale, la Chiesa ha incontrato molte persone e molti gruppi che chiedono di essere ascoltati e accompagnati. In promo luogo menzioniamo i giovani, la cui domanda di ascolto e accompagnamento è risuonata con forza nel Sinodo a loro dedicato (2018) e in questa Assemblea, che conferma la necessità di una opzione preferenziale per i giovani.

f)  La Chiesa deve ascoltare con particolare attenzione e sensibilità la voce delle vittime e dei sopravvissuti agli abusi sessuali, spirituali, economici, istituzionali, di potere e di coscienza da parte di membri del clero o di persone con incarichi ecclesiali. L’ascolto autentico è un elemento fondamentale del cammino verso la guarigione, il pentimento, la giustizia e la riconciliazione.

g)  L’Assemblea esprime la propria vicinanza e il proprio sostegno a tutti coloro che vivono una condizione di solitudine come scelta di fedeltà alla tradizione e al magistero della Chiesa in materia matrimoniale e di etica sessuale, in cui riconoscono una fonte di vita. Le comunità cristiane sono invitate a essere loro particolarmente vicine, ascoltandole e accompagnandole nel loro impegno.

h)  In modi diversi, anche le persone che si sentono emarginate o escluse dalla Chiesa, a causa della loro situazione matrimoniale, identità e sessualità chiedono di essere ascoltate e accompagnate, e che la loro dignità sia difesa. Nell’Assemblea si è percepito un profondo senso di amore, misericordia e compassione per le persone che sono o si sentono ferite o trascurate dalla Chiesa, che desiderano un luogo in cui tornare “a casa” e in cui sentirsi al sicuro, essere ascoltate e rispettate, senza temere di sentirsi giudicate. L’ascolto è un prerequisito per camminare insieme alla ricerca della volontà di Dio. L’Assemblea riafferma che i cristiani non possono mancare di rispetto per la dignità di nessuna persona.

i)  Si rivolgono alla Chiesa in cerca di ascolto e accompagnamento anche persone che patiscono diverse forme di povertà, esclusione ed emarginazione all’interno di società in cui la disuguaglianza cresce inesorabilmente. Ascoltarle consente alla Chiesa di rendersi conto del loro punto di vista e di mettersi concretamente al loro fianco, ma soprattutto di lasciarsi evangelizzare da loro. Ringraziamo e incoraggiamo coloro che sono impegnati nel servizio dell’ascolto e dell’accompagnamento di quanti si trovano in carcere e hanno particolarmente bisogno di sperimentare l’amore misericordioso del Signore e di non sentirsi isolati dalla comunità. A nome della Chiesa essi realizzano le parole del Signore «ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,36).

j)  Molte persone vivono una condizione di solitudine che spesso è vicina all’abbandono. Anziani e persone malate sono spesso invisibili nella società. Incoraggiamo le parrocchie e le comunità cristiane a farsi loro prossime ed ascoltarle. Le opere di misericordia ispirate alle parole evangeliche «ero […] malato e mi avete visitato» (Mt 25,39), hanno un profondo significato per le persone coinvolte e anche per fomentare i legami comunitari.

k)  La Chiesa vuole ascoltare tutti, non solo coloro che sanno far sentire la propria voce con maggiore facilità. In alcune regioni, per motivi culturali e sociali, i membri di alcuni gruppi, come i giovani, le donne e le minoranze. possono trovare più difficile esprimersi con libertà. Anche l’esperienza di vivere in regimi oppressivi e dittatoriali erode la fiducia necessaria per parlare liberamente. Lo stesso può accadere quando l’esercizio dell’autorità all’interno della comunità cristiana diventa oppressivo anziché liberatorio.

Questioni da affrontare

l) L’ascolto richiede un’accoglienza incondizionata. Questo non significa abdicare alla chiarezza nel presentare il messaggio di salvezza del Vangelo, né avallare qualsiasi opinione o posizione. Il Signore Gesù apriva nuovi orizzonti a coloro che ascoltava senza condizioni e siamo chiamati a fare altrettanto per condividere la Buona Notizia con coloro che incontriamo.

m) Diffuse in molte parti del mondo, le comunità di base o piccole comunità cristiane favoriscono le pratiche di ascolto dei e tra i battezzati. Siamo chiamati a valorizzarne il potenziale, esplorando anche come sia possibile adattarle ai contesti urbani.

Proposte

n)  Che cosa dovremmo cambiare perché coloro che si sentono esclusi possano sperimentare una Chiesa più accogliente? L’ascolto e l’accompagnamento non sono solo iniziative individuali, ma una forma di agire ecclesiale. Per questo devono trovare posto all’interno della programmazione pastorale ordinaria e della strutturazione operativa delle comunità cristiane ai diversi livelli, valorizzando anche l’accompagnamento spirituale. Una Chiesa sinodale non può rinunciare a essere una Chiesa che ascolta e questo impegno deve tradursi in azioni concrete.

o)  La Chiesa non parte da zero, ma dispone già di numerose istituzioni e strutture che svolgono questo compito prezioso. Pensiamo ad esempio al capillare lavoro di ascolto e accompagnamento di poveri, emarginati, migranti e rifugiati realizzato dalle Caritas e da molte altre realtà legate alla vita consacrata o all’associazionismo laicale. Occorre operare per potenziare il loro legame con la vita della comunità, evitando che siano percepite come attività delegate ad alcuni.

p)  Le persone che svolgono il servizio dell’ascolto e dell’accompagnamento, nelle sue diverse forme, hanno bisogno di una formazione adeguata, anche in base al tipo di persone con cui vengono a contatto, e di sentirsi sostenute dalla comunità. Dal canto sua, le comunità hanno bisogno di prendere piena consapevolezza del valore di un servizio esercitato a loro nome e di poter ricevere il frutto di questo ascolto. Allo scopo di dare maggiore evidenza a questo servizio, si propone l’istituzione di un ministero dell’ascolto e dell’accompagnamento fondato sul Battesimo, adattato ai diversi contesti. Le modalità del suo conferimento promuoveranno un maggiore coinvolgimento della comunità.

q)  Si incoraggia il SECAM (Simposio delle Conferenze Episcopali dell’Africa e del Madagascar) a promuovere un discernimento teologico e pastorale sul tema della poligamia e sull’accompagnamento delle persone in unioni poligamiche che si avvicinano alla fede.

17. Missionari nell’ambiente digitale

Convergenze

a)  La cultura digitale rappresenta un cambiamento fondamentale nel modo in cui concepiamo la realtà e ci relazioniamo con noi stessi, tra di noi, con l’ambiente che ci circonda e anche con Dio. L’ambiente digitale modifica i nostri processi di apprendimento, la percezione del tempo, dello spazio, del corpo, delle relazioni interpersonali e il nostro intero modo di pensare. Il dualismo tra reale e virtuale non descrive adeguatamente la realtà e l’esperienza di tutti noi, soprattutto dei più giovani, i cosiddetti “nativi digitali”.

b)  La cultura digitale, quindi, non è tanto un’area distinta della missione, quanto una dimensione cruciale della testimonianza della Chiesa nella cultura contemporanea. Per questo riveste un significato particolare in una Chiesa sinodale.

c)  I missionari sono sempre partiti con Cristo verso nuove frontiere, preceduti e spinti dall’azione dello Spirito. Oggi tocca a noi raggiungere la cultura attuale in tutti gli spazi in cui le persone cercano senso e amore, compresi i loro telefoni cellulari e tablet.

d)  Non possiamo evangelizzare la cultura digitale senza averla prima compresa. I giovani, e tra di loro i seminaristi, i giovani preti e i giovani consacrati e consacrate, che spesso ne hanno una esperienza diretta profonda, sono i più adatti per portare avanti la missione della Chiesa nell’ambiente digitale, oltre che per accompagnare il resto della comunità, compresi i pastori, a una maggiore familiarità con le sue dinamiche.

e)  All’interno del processo sinodale, le iniziative del Sinodo digitale (Progetto “La Chiesa ti ascolta”), mostrano le potenzialità dell’ambiente digitale in chiave missionaria, la creatività e la generosità di coloro che vi si impegnano e l’importanza di offrire loro formazione, accompagnamento, possibilità di confronto tra pari e collaborazione.

Questioni da affrontare

f)  Internet è sempre più presente nella vita dei ragazzi e delle famiglie. Sebbene abbia un grande potenziale per migliorare la nostra vita, può anche causare danni e ferite, ad esempio attraverso bullismo, disinformazione, sfruttamento sessuale e dipendenza. È urgente riflettere su come la comunità cristiana possa sostenere le famiglie nel garantire che lo spazio online sia non solo sicuro, ma anche spiritualmente vivificante.

g)  Ci sono molte iniziative online legate alla Chiesa di grande valore e utilità, che forniscono un’eccellente catechesi e formazione alla fede. Purtroppo ci sono anche siti in cui i le tematiche legate alla fede sono affrontate in modo superficiale, polarizzato e persino carico di odio. Come Chiesa e come singoli missionari digitali abbiamo il dovere di chiederci come garantire che la nostra presenza online costituisca un’esperienza di crescita per coloro con cui comunichiamo.

h)  Le iniziative apostoliche online hanno una portata e un raggio d’azione che si estende oltre i confini territoriali tradizionalmente intesi. Questo solleva importanti quesiti su come possano essere regolamentate e a quale autorità ecclesiastica competa la vigilanza.

i)  Dobbiamo anche considerare le implicazioni della nuova frontiera missionaria digitale per il rinnovamento delle strutture parrocchiali e diocesane esistenti. In un mondo sempre più digitale, come evitare di rimanere prigionieri della logica della conservazione e liberare invece energie per nuove forme di esercizio della missione?

j)  La pandemia da COVID-19 ha stimolato la creatività pastorale online, contribuendo a ridurre gli effetti dell’esperienza di isolamento e solitudine vissuta in particolare da anziani e membri vulnerabili delle comunità. Anche le istituzioni educative cattoliche hanno utilizzato efficacemente le piattaforme online per continuare a offrire formazione e catechesi durante i lockdown. È bene che valutiamo che cosa questa esperienza ci ha insegnato e quali possano essere i benefici duraturi per la missione della Chiesa nell’ambiente digitale.

k) Molti giovani, che pure cercano la bellezza, hanno abbandonato gli spazi fisici della Chiesa in cui cerchiamo di invitarli a favore degli spazi online. Ciò implica la ricerca di modi nuovi per coinvolgerli e offrire loro formazione e catechesi. Si tratta di un tema su cui riflettere pastoralmente.

Proposte

l) Proponiamo che le Chiese offrano riconoscimento, formazione e accompagnamento ai missionari digitali già operanti, facilitando anche l’incontro tra di loro.

m) È importante creare reti collaborative di influencer che includano persone di altre religioni o che non professano alcuna fede, ma collaborano a cause comuni per la promozione della dignità della persona umana, della giustizia e della cura della casa comune.

18. Organismi di partecipazione

Convergenze

a)  In quanto membri del Popolo fedele di Dio, tutti i battezzati sono corresponsabili della missione, ciascuno secondo la sua vocazione, con la sua esperienza e competenza; pertanto, tutti contribuiscono a immaginare e decidere passi di riforma delle comunità cristiane e della Chiesa tutta, così che essa viva “la dolce e confortante gioia di evangelizzare”. La sinodalità, nella composizione e nel funzionamento degli organismi in cui prende corpo, ha come finalità la missione. La corresponsabilità è per la missione: questo attesta che si è davvero riuniti nel nome di Gesù, questo affranca gli organismi di partecipazione da involuzioni burocratiche e da logiche mondane di potere, questo rende fruttuoso il riunirsi.

b)  Alla luce del magistero recente (in particolare Lumen gentium e Evangelii gaudium), questa corresponsabilità di tutti nella missione deve essere il criterio alla base della strutturazione delle comunità cristiane e dell’intera Chiesa locale con tutti i suoi servizi, in tutte le sue istituzioni, in ogni suo organismo di comunione (cfr. 1Cor 12,4-31). Il giusto riconoscimento della responsabilità dei laici per la missione nel mondo non può diventare il pretesto per attribuire ai soli Vescovi e preti la cura della comunità cristiana.

c)  L’autorità per eccellenza è quella della Parola di Dio, che deve ispirare ogni incontro degli organismi di partecipazione, ogni consultazione e ogni processo decisionale. Perché questo accada è necessario che, ad ogni livello, il riunirsi attinga senso e forza dall’Eucaristia e si svolga alla luce della Parola ascoltata e condivisa nella preghiera.

d)  La composizione dei vari Consigli per il discernere e il decidere di una comunità missionaria sinodale deve prevedere la presenza di uomini e donne che vantino un profilo apostolico; che si distinguano anzitutto non per una frequentazione assidua di spazi ecclesiali, ma per una genuina testimonianza evangelica nelle realtà più ordinarie della vita. Il Popolo di Dio è tanto più missionario, quanto più capace di far risuonare in sé, anche negli organismi di partecipazione, le voci di quanti già vivono la missione abitando il mondo e le sue periferie.

Questioni da affrontare

e)  Alla luce di quanto abbiamo condiviso, riteniamo importante riflettere su come promuovere la partecipazione nei vari Consigli, soprattutto quando i praticanti ritengono di non essere all’altezza del compito. La sinodalità cresce nel coinvolgimento di ogni membro in processi di discernimento e decisione per la missione della Chiesa: in tal senso ci edificano e incoraggiano molte piccole comunità cristiane nelle Chiese emergenti, che vivono un quotidiano “corpo a corpo” fraterno intorno alla Parola e all’Eucaristia,

f)  Nella composizione degli organismi di partecipazione non possiamo ulteriormente procrastinare il compito affidato da Papa Francesco in Amoris laetitia. La partecipazione di uomini e donne che vivono vicende affettive e coniugali complesse «può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate» (n. 299). Il discernimento in questione riguarda anche l’esclusione da organismi di partecipazione della comunità parrocchiale e diocesana, praticata in non poche Chiese locali.

g)  Nella prospettiva dall’originalità evangelica della comunione ecclesiale: come possiamo intrecciare l’aspetto consultivo e quello deliberativo della sinodalità? Sulla base della configurazione carismatica e ministeriale del Popolo di Dio: come integriamo nei vari organismi di partecipazione i compiti di consigliare, discernere, decidere?

Proposte

h)  Sulla base della comprensione del Popolo di Dio quale soggetto attivo della missione di evangelizzazione, si codifichi l’obbligatorietà dei Consigli Pastorali nelle comunità cristiane e nelle Chiese locali. Insieme, si potenzino gli organismi di partecipazione, con un’adeguata presenza di laici e laiche, con l’attribuzione di funzioni di discernimento in vista di decisioni realmente apostoliche.

i)  Gli organismi di partecipazione rappresentano il primo ambito in cui vivere la dinamica del rendiconto di chi esercita compiti di responsabilità. Mentre li incoraggiamo nel loro impegno, li invitiamo a praticare la cultura del rendiconto nei confronti della comunità di cui sono espressione.

19. I raggruppamenti di Chiese nella comunione di tutta la Chiesa

Convergenze

a)  Siamo persuasi che ogni Chiesa, all’interno della comunione delle Chiese, abbia molto da offrire, perché lo Spirito Santo distribuisce con abbondanza i suoi doni per l’u8lità comune. Se guardiamo alla Chiesa come Corpo di Cristo, comprendiamo più facilmente che le varie membra sono interdipenden8 e condividono la stessa vita: «se un membro soffre, tuWe le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tuWe le membra gioiscono con lui» (1Cor 12,26). Vogliamo pertanto sviluppare gli aWeggiamen8 spirituali che nascono da questo sguardo: l’umiltà e la generosità, il rispeWo e la condivisione. Importan8 sono anche la disponibilità a crescere nella conoscenza reciproca e a predisporre le struWure necessarie perché lo scambio di ricchezze spirituali, discepoli missionari e beni materiali possa diventare una realtà concreta

b)  Il tema dei raggruppamen8 di Chiese locali si è rivelato fondamentale per un pieno esercizio della sinodalità nella Chiesa. Nel rispondere alla domanda su come configurare le istanze di sinodalità e collegialità che coinvolgono raggruppamen8 di Chiese locali, l’Assemblea ha convenuto sull’importanza del discernimento ecclesiale compiuto dalle Conferenze Episcopali e dalle Assemblee con8nentali per un correWo svolgimento della prima fase del processo sinodale.

c) Il processo sinodale ha mostrato come gli organismi previs8 dal Codice di DiriQo Canonico e dal Codice dei Canoni per le Chiese Orientali dispieghino con più efficacia la loro funzione quando sono compresi a par8re dalle Chiese locali. Il faWo che la Chiesa (Ecclesia tota) sia una comunione di Chiese richiede che ogni Vescovo percepisca e viva la sollecitudine per tuWe le Chiese (sollicitudo omnium Ecclesiarum) come aspeWo cos8tu8vo del suo ministero di pastore di una Chiesa.

d) La prima fase del processo sinodale ha messo in evidenza il ruolo determinante delle Conferenze Episcopali e ha fatto emergere la necessità di una istanza di sinodalità e collegialità a livello con8nentale. Gli organismi che operano a ques8 livelli concorrono all’esercizio della sinodalità nel rispeWo delle realtà locali e dei processi di inculturazione. L’Assemblea ha espresso fiducia nella possibilità di evitare in questo modo il rischio di uniformità e di centralismo nel governo del Chiesa.

Questioni da affrontare

e)  Prima di creare nuove struWure, avver8amo l’esigenza di rafforzare e rivitalizzare quelle già esisten8. Occorre inoltre studiare, sul piano ecclesiologico e canonico, le implicazioni di una riforma delle struWure rela8ve ai raggruppamenti di Chiese perché assumano un caraWere più compiutamente sinodale.

f)  Guardando alle pra8che sinodali della Chiesa del primo millennio, si propone di studiare come si possano recuperare nell’ordinamento canonico aWuale le is8tuzioni an8che, armonizzandole con quelle di nuova creazione, come le Conferenze Episcopali.

g)  Consideriamo necessario un ulteriore approfondimento della natura doWrinale e giuridica delle Conferenze Episcopali, riconoscendo la possibilità di un’azione collegiale anche rispeWo a ques8oni di doWrina che emergono in ambito locale, riaprendo così la riflessione sul motuproprio Apostolos suos.

h)  Si rivedano i canoni riferi8 ai concili par8colari (plenari e provinciali), per realizzare aWraverso di essi una maggiore partecipazione del Popolo di Dio, sull’esempio della dispensa oWenuta nel caso del recente concilio plenario dell’Australia.

Proposte

i)  Tra le strutture già previste dal Codice, proponiamo di rafforzare la provincia ecclesiastica o metropolia, come luogo di comunione delle Chiese locali di un territorio.

j)  Sulla base degli approfondimen8 richies8 circa la configurazione dei raggruppamenti di Chiese, si dia attuazione all’esercizio della sinodalità a livello regionale, nazionale e continentale.

k)  Dove necessario suggeriamo la creazione di province ecclesias8che internazionali, a beneficio dei Vescovi che non appartengono ad alcuna conferenza episcopale e per promuovere la comunione tra Chiese al di là dei confini nazionali.

l)  Nei Paesi di rito la8no in cui è presente anche una gerarchia delle Chiese orientali caWoliche, si includano i Vescovi orientali nelle Conferenze Episcopali nazionali, rimanendo integra la loro autonomia governativa stabilita dal proprio Codice.

m) Si elabori una configurazione canonica delle Assemblee con8nentali che, nel rispetto della peculiarità di ogni continente, tenga nel dovuto conto la partecipazione delle Conferenze Episcopali e quella delle Chiese, con propri delegati che rendano presente la varietà del Popolo fedele di Dio.

20. Sinodo dei Vescovi e Assemblea ecclesiale

Convergenze

a)  Anche quando ha sperimentato la fatica di “camminare insieme”, l’Assemblea ha percepito la gioia evangelica di essere Popolo di Dio. Le novità proposte per questo momento del cammino sinodale sono state accolte generalmente con favore. Le più evidenti sono: il passaggio della celebrazione del Sinodo da evento a processo (come indicato dalla costituzione apostolica Episcopalis communio); la presenza di altri membri, donne e uomini, accanto ai Vescovi; la presenza attiva dei delegati fraterni; il ritiro spirituale in preparazione all’Assemblea; le celebrazioni dell’Eucaristia in San Pietro; il clima di preghiera e il metodo della conversazione nello Spirito; la disposizione stessa dell’Assemblea nell’Aula Paolo VI.

b)  L’Assemblea del Sinodo dei Vescovi, conservando il proprio carattere eminentemente episcopale, ha manifestato bene in questa occasione il legame intrinseco fra la dimensione sinodale della vita della Chiesa (la partecipazione di tutti), la dimensione collegiale (la sollecitudine dei Vescovi per la Chiesa intera), la dimensione primaziale (il servizio del Vescovo di Roma, garante di comunione).

c)  Il processo sinodale è stato ed è un tempo di grazia che ci ha incoraggiati. Dio ci sta offrendo l‘occasione di sperimentare una nuova cultura della sinodalità, capace di orientare la vita e la missione della Chiesa. È stato ricordato però che non basta creare strutture di corresponsabilità se manca la conversione personale a una sinodalità missionaria. Le istanze sinodali, a ogni livello, non riducono la responsabilità personale di coloro che sono chiamati a prendervi parte, in forza del loro ministero e dei loro carismi, ma la sollecitano ulteriormente.

Questioni da affrontare

d)  La presenza di altri membri, oltre ai Vescovi, in qualità di testimoni del cammino sinodale è stata apprezzata. Resta tuttavia aperta la domanda circa l’incidenza della loro presenza come membri a pieno titolo sul carattere episcopale dell’Assemblea. Alcuni vedono il rischio che non sia adeguatamente compreso il compito specifico dei Vescovi. Andranno anche chiariti in base a quali criteri i membri non Vescovi possono essere chiamati a far parte dell’Assemblea.

e)  Sono state segnalate esperienze come la Prima Assemblea Ecclesiale di America Latina e Caraibi, gli Organismi del Popolo di Dio in Brasile, il Concilio plenario australiano. Resta da individuare e approfondire come articolare in futuro sinodalità e collegialità, distinguendo (senza indebite separazioni) l’apporto di tutti i membri del Popolo di Dio all’elaborazione delle decisioni e il compito specifico dei Vescovi. L’articolazione di sinodalità, collegialità, primato non va interpretata in forma statica o lineare, ma secondo una circolarità dinamica, in una corresponsabilità differenziata.

f)  Se a livello regionale è possibile pensare a passaggi successivi (un’assemblea ecclesiale seguita da un’assemblea episcopale), si ritiene opportuno chiarire come ciò possa essere proposto in riferimento alla Chiesa cattolica nel suo insieme. Alcuni ritengono che la formula adottata in questa Assemblea risponda a questa esigenza, altri prospettano di far seguire a un’assemblea ecclesiale un’assemblea episcopale per concludere il discernimento, altri ancora preferiscono di riservare ai Vescovi il ruolo di membri dell’assemblea sinodale.

g)  Andrà anche approfondito e chiarito il modo in cui esperti di diverse discipline, in particolare teologi e canonisti, possono dare il loro apporto ai lavori dell’assemblea sinodale e ai processi di una Chiesa sinodale.

h)  Occorrerà anche riflettere sul modo in cui Internet e la comunicazione mediatica agiscono sui processi sinodali.

Proposte

i) Si assicuri una valutazione dei processi sinodali a tutti i livelli della Chiesa.

j) Si valutino i frutti della Prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi.

PER PROSEGUIRE IL CAMMINO

«A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio, o con quale parabola possiamo descriverlo?» (Mc 4,30)

La Parola del Signore viene prima di ogni parola della Chiesa. Le parole dei discepoli, anche quelle di un Sinodo, sono solo un’eco di ciò che Egli stesso dice.

Per annunciare il Regno, Gesù ha scelto di parlare in parabole. Ha trovato nelle esperienze fondamentali della vita dell’uomo – nei segni della natura, nei ges8 del lavoro, nei fax della quo8dianità – le immagini per rivelare il mistero di Dio. Così ci ha deWo che il Regno ci trascende, ma non ci è estraneo. O lo vediamo nelle cose del mondo o non lo vedremo mai.

In un seme che cade nella terra Gesù ha visto rappresentato il suo des8no. Apparentemente un nulla des8nato a marcire, eppure abitato da un dinamismo di vita inarrestabile, imprevedibile, pasquale. Un dinamismo des8nato a dare vita, a diventare pane per mol8. Des8nato a diventare Eucaristia.

Oggi, in una cultura della loWa per la supremazia e dell’ossessione per la visibilità, la Chiesa è chiamata a ripetere le parole di Gesù, a farle rivivere in tutta la loro forza. «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio, o con quale parabola possiamo descriverlo?». Questa domanda del Signore illumina il lavoro che ora ci aspetta. Non si tratta di disperdersi su molti fronti, inseguendo una logica efficien8s8ca e procedurale. Si tratta piuttosto di cogliere, tra le molte parole e proposte di questa Relazione, ciò che si presenta come un seme piccolo, ma carico di futuro, e immaginare come consegnarlo alla terra che lo farà maturare per la vita di molti.

«Come avverrà questo?», si domandava Maria a Nazaret (Lc 1,34) dopo aver ascoltato la Parola. La risposta è una sola: restare all’ombra dello Spirito e lasciarsi avvolgere dalla sua potenza. Nel rivolgere lo sguardo al tempo che ci separa dalla Seconda Sessione ringraziamo il Signore per il cammino fin qui svolto e per le grazie con cui lo ha benedeWo. Affidiamo la fase successiva all’intercessione della Beata Vergine Maria, segno di sicura speranza e di consolazione nel cammino del Popolo fedele di Dio, e dei San8 Apostoli Simone e Giuda, di cui oggi ricorre la festa.

Adsumus Sancte Spiritus!

Roma, 28 ottobre 2023, Festa dei SS. Simone e Giuda

il sinodo scrive al popolo di Dio

la lettera al popolo di Dio:

«la chiesa ha bisogno di ascoltare tutti»


Gianni Cardinale

nel testo i partecipanti al Sinodo, la cui prima fase termina domenica, sottolineano l’importanza di lasciarsi interpellare da tutti, a partire dai più poveri e dalle vittime di abusi nella Chiesa

Un momento dei lavori sinodali

La Chiesa deve ascoltare tutti. In particolare i più poveri, le vittime del razzismo e, soprattutto, quelle degli abusi commessi da membri del corpo ecclesiale. È questo uno dei messaggi che i membri del Sinodo sulla sinodalità in corso in Vaticano hanno voluto inviare a tutto il Popolo di Dio in forma di Lettera.

L’Assemblea, in questa particolare missiva il cui originale è scritto in francese (segno che l’autore materiale è un francofono), riconosce che quella in corso «per molti versi, è stata un’esperienza senza precedenti». Infatti «per la prima volta, su invito di Papa Francesco, uomini e donne sono stati invitati, in virtù del loro Battesimo, a sedersi allo stesso tavolo per prendere parte non solo alle discussioni ma anche alle votazioni di questa Assemblea del Sinodo dei vescovi». La Lettera riconosce che l’Assemblea «si è svolta nel contesto di un mondo in crisi, le cui ferite e scandalose disuguaglianze hanno risuonato dolorosamente nei nostri cuori e hanno dato ai nostri lavori una peculiare gravità, tanto più che alcuni di noi venivano da paesi dove la guerra infuria». Di qui la preghiera «per le vittime della violenza omicida, senza dimenticare tutti coloro che la miseria e la corruzione hanno gettato sulle strade pericolose della migrazione». Di qui la solidarietà e l’impegno «a fianco delle donne e degli uomini che in ogni luogo del mondo si adoperano come artigiani di giustizia e di pace».

Ora i lavori di questa sessione sinodale stanno finendo. E la Lettera esprime l’’auspicio che i mesi che ci separano dalla seconda, nell’ottobre 2024, «permettano a ognuno di partecipare concretamente al dinamismo della comunione missionaria indicata dalla parola “Sinodo”». Avvertendo che «non si tratta di un’ideologia ma di un’esperienza radicata nella Tradizione apostolica». Le sfide sono “molteplici” e le domande “numerose”. La relazione di sintesi della prima sessione, che verrà approvata sabato, «chiarirà i punti di accordo raggiunti, evidenzierà le questioni aperte e indicherà come proseguire il lavoro».

Ma per progredire nel suo discernimento, sottolinea la Lettera, la Chiesa ha assolutamente bisogno di ascoltare tutti, a cominciare dai più poveri. Si tratta in pratica «di ascoltare coloro che non hanno diritto di parola nella società o che si sentono esclusi, anche dalla Chiesa». Di ascoltare «le persone vittime del razzismo in tutte le sue forme, in particolare, in alcune regioni, dei popoli indigeni le cui culture sono state schernite». E «soprattutto, la Chiesa del nostro tempo ha il dovere di ascoltare, in spirito di conversione, coloro che sono stati vittime di abusi commessi da membri del corpo ecclesiale, e di impegnarsi concretamente e strutturalmente affinché ciò non accada più».

La Chiesa ha anche bisogno di ascoltare i laici, donne e uomini, «tutti chiamati alla santità in virtù della loro vocazione battesimale». Di ascoltare i catechisti, i bambini, i giovani, gli anziani. Poi le famiglie, e le voci «di coloro che desiderano essere coinvolti in ministeri laicali o in organismi partecipativi di discernimento e di decisione». La Chiesa ha poi particolarmente bisogno, di ascoltare i sacerdoti, i diaconi, e la voce della vita consacrata. E deve ascoltare anche la voce di coloro che «non condividono la sua fede ma cercano la verità, e nei quali è presente e attivo lo Spirito».

la grande ‘delusione donna’ nella chiesa di papa Francesco

papa Francesco gela il mondo cattolico femminile che chiede parità di genere

«donne prete non previste»

di Franca Giansoldat

 Colpo basso di Papa Francesco alle donne cattoliche tedesche e a quella ampia fetta di sacerdoti e vescovi favorevoli al diaconato femminile, tra cui anche i vertici della conferenza episcopale. «Il principio petrino non prevede che una donna possa accedere al ministero ordinato» ha chiarito il Papa in una intervista ad America, il mensile dei gesuiti americani. Esattamente come hanno fatto i suoi predecessori – da Wojtyla a Ratzinger – anche Bergoglio ha sbarrato la strada ad ogni tipo di riforma, gelando le tante attese che le donne cattoliche tedesche si aspettavano dal pontefice definito sin dall’inizio un riformatore.

Papa Francesco gela il mondo cattolico femminile che chiede parità: «Donne prete non previste»

Sacerdozio femminile nella Chiesa cattolica, «E’ solo questione di tempo» dice il vescovo di Magonza

Papa Francesco ha anche motivato: «La Chiesa è donna. La Chiesa è una sposa. Non abbiamo sviluppato una teologia della donna che rifletta questo. Il principio petrino è quello del ministero. Ma c’è un altro principio ancora più importante, di cui non parliamo, che è il principio mariano, che è il principio della femminilità nella Chiesa, della donna nella Chiesa, dove la Chiesa vede uno specchio di se stessa perché è donna e sposa».

Donne prete, in Germania cresce il fronte cattolico contro il divieto Vaticano, stavolta sono i francescani tedeschi a pronunciarsi

Da tempo in Germania diversi vescovi, teologi, associazioni di cattolici sono decisi a portare avanti questa istanza all’interno del processo di riforma avviato tre anni fa con il cammino sinodale.  

Il presidente dei vescovi tedeschi, monsignor Georg Baetzing ha rassicurato che continuerà a fare pressioni affinchè il ruolo della donna nella Chiesa si possa rafforzare. Si tratta, ha detto, di una questione centrale per il futuro. «Ammettere le donne ai ministeri ordinati dovrà essere facilitato in qualche modo altrimenti il futuro della Chiesa in Germania è difficile da immaginare». Il riferimento di Baetzing riguarda l’emorragia dei cattolici che ogni anno lasciano la Chiesa, motivando questa decisione per la scarsa trasparenza delle strutture ecclesiali, per come sono finora stati affrontati i casi di abusi e per come vengono marginalizzate le donne senza che sia stata una vera parità.

In questo contesto piuttosto acceso c’è anche chi non ha mancato di fare affiorare le contraddizioni di questo pontificato. Per esempio la responsabile dell’organizzazione cattolica Bibelwerk, la teologa Katrin Brockmoeller, che analizzando il modo di predicare di Francesco e i suoi interventi non ha dubbi sulla sua misoginia di fondo. Brokmoeller, per esempio, ha ricordato che spesso il Papa, quando si rivolge al mondo religioso, tira in ballo le donne in modo che da far risuonare «automaticamente un’associazione negativa nei confronti del genere femminile».

Vaticano, match tra Papa e vescovi tedeschi finisce in pareggio: la rivoluzione per donne prete e coppie gay in Germania continua

«Siete uomini, comportatevi da uomini, non da zitelle». Un «linguaggio sprezzante nei confronti delle donne» ha affermato la teologa Brockmoeller. «Il pettegolezzo non è una caratteristica specifica del genere, ma ha a che fare con il carattere personale. Se voleva essere divertente, lo scherzo funzionava attraverso la svalutazione e la discriminazione e quindi non era divertente. Questo paragone è patriarcale e indegno del ruolo del Papa».

A dare manforte al mondo femminile tedesco c’è anche il vicepresidente della Conferenza episcopale tedesca, monsignor Franz-Josef Bode. L’obiettivo a lungo termine è di aprire il dibattito sull’ordinazione sacerdotale delle donne, ha aggiunto il vescovo.

una secca bacchettata di papa Francesco ai vescovi italiani – speriamo che questa volta capiscano davvero

il papa bacchetta la Cei:

“bisogna fare un sinodo”

messaggio a tradizionalisti e ultra progressisti: il Concilio va seguito

Papa Francesco

papa Francesco

La bacchettata del Papa ai vescovi è secca: in questi cinque anni la Chiesa italiana non si è mossa. Verso che cosa? Una maggiore apertura da raggiungere attraverso un sinodo. Parola, questa, indigesta a non pochi presuli al di qua del Tevere, magari abituati a gestire le proprie diocesi con modalità poco collegiali. La Conferenza episcopale italiana (Cei) da anni fa resistenza a un’assemblea, anche per il timore di tensioni, scontri e spaccature, considerate le varie anime e sensibilità che si registrano tra i prelati.

Il dibattito sull’opportunità di un’assise nelle Sacre Stanze era stato lanciato il 2 febbraio 2018 dalla rivista dei Gesuiti La Civiltà Cattolica, con un articolo del direttore padre Antonio Spadaro. E poi il 21 settembre 2019 padre Bartolomeo Sorge (scomparso a novembre), nel suo ultimo articolo per il quindicinale dei Gesuiti, aveva ragionato sul Sinodo dando le premesse storiche: uno scritto molto apprezzato da Papa Bergoglio. 

Ieri Francesco – nel discorso all’ufficio catechistico nazionale della Cei – ha lasciato trapelare il suo disappunto: i prelati non hanno messo in pratica le indicazioni da lui ricevute al Convegno nazionale di Firenze, nel novembre 2015. Messaggio forte e chiaro. «Dopo cinque anni – ha scandito Bergoglio – la Chiesa italiana deve incominciare un processo di Sinodo nazionale, comunità per comunità, diocesi per diocesi. Nel Convegno di Firenze c’è proprio l’intuizione della strada da fare in questo Sinodo», momento di confronto sui grandi temi. «Adesso, riprenderlo: è il momento. E incominciare a camminare». Dopo un promemoria del maggio 2019, sotto forma di invito, questa volta il Pontefice usa il verbo «dovere». E rinfresca la memoria sull’obiettivo più grande: «Una Chiesa sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti». La «Chiesa in uscita» che predica fin dalla prima ora.

Nell’udienza di ieri papa Francesco ha anche colto l’occasione per avvertire tradizionalisti e ultra progressisti, i due estremi del «recinto cattolico» che – rispettivamente – rifiutano le riforme del Concilio Vaticano II o al contrario promuovono «fughe in avanti» con sacerdozio femminile e preti sposati: «Il Concilio è magistero della Chiesa. Se non lo segui o l’interpreti a modo tuo, tu non stai con la Chiesa». 

torna in auge il ‘patto delle catacombe’ – un buon segno per la nostra chiesa

a Roma 150 vescovi del Sinodo rinnovano il “Patto delle Catacombe” per una Chiesa povera

Un gruppo di partecipanti all’assise sull’Amazzonia e di altre iniziative parallele, guidati da monsignor Kräutler, si ritroveranno nelle Catacombe di Santa Domitilla per rinnovare le promesse fatte nel 1965 da 42 Padri Conciliari

di Salvatore Cernuzio

 Circa 150 partecipanti al Sinodo dell’Amazzonia si incontreranno questa domenica 20 ottobre per rinnovare il cosiddetto “Patto delle Catacombe”, il documento che quarantadue vescovi e cardinali, soprattutto latinoamericani, firmarono il 16 novembre 1965, a pochi giorni dalla conclusione del Concilio Vaticano II, per impegnarsi a vivere in povertà e servizio e mettere i poveri al centro del loro ministero. Si pensa che fu proprio questo atto ad aver ispirato la Teologia della Liberazione, sorta poi negli anni seguenti.
L’incontro avvenne nelle Catacombe di Santa Domitilla, sulla via Ardeatina a Roma. È lì che si recheranno in carovana domenica mattina, intorno alle 7, i Padri del Sinodo – principalmente brasiliani e colombiani – insieme ai partecipanti di altre iniziative concomitanti all’assise come “Amazzonia, Casa Comune” con base nella parrocchia di Santa Maria in Traspontina.
Nella basilica semi sotterranea dedicata ai martiri Nereo e Achilleo, sarà firmato un nuovo documento che, secondo il sito brasiliano Dom Total, avrà il titolo di “Patto delle Catacombe per la Casa comune”. In esso confluiranno quindi i temi trattati dal Sinodo per la Regione pan-Amazzonica in corso in Vaticano.
Quello di domenica sarà, dunque, un evento parallelo. A guidarlo sarà l’arcivescovo austriaco naturalizzato brasiliano, Erwin Kräutler, pastore emerito della prelatura di Xingu, tra i protagonisti di questo Sinodo. La messa verrà presieduta invece dal cardinale Claudio Hummes. La celebrazione come pure l’atto della firma si svolgeranno in forma privata e non sarà consentita la partecipazione della stampa.
L’iniziativa è stata preparata «alcuni mesi prima» dell’inizio del Sinodo, come spiega a Vatican Insider l’organizzatore padre José Oscar Beozzo. «Il 16 novembre 2015, abbiamo celebrato i 50 anni del “Patto” firmato nelle Catacombe di Santa Domitilla. Con il Sinodo, alcuni vescovi di Brasile, Colombia, Ecuador hanno voluto riprendere il “Patto” e rinnovarlo nel contesto amazzonico alla luce delle sfide di oggi».
I presuli firmatari hanno quindi tenuto diverse riunioni per comporre il nuovo testo che trae le mosse da quello del 1965. In esso gli allora Padri riuniti nel Concilio si impegnavano a rinunciare a tutti i simboli, i beni materiali o ai privilegi del potere, e a mettere i poveri al centro del ministero pastorale. Una sfida, dunque, da parte dei «fratelli nell’Episcopato» per dar vita, attraverso tredici promesse concrete, a quella Chiesa «serva e povera» auspicata all’epoca da Papa Giovanni XXIII e, cinquant’anni dopo, dal successore Francesco.
A firmare il “Patto” furono 42 prelati e tra coloro che collaborarono alla stesura si segnala la presenza di dom Helder Câmara (1909-1999), l’arcivescovo di Olinda e Recife, servo di Dio, scomparso vent’anni fa a 90 anni. Detto «o bispinho» per la bassa statura, Câmara – del quale si è conclusa la fase diocesana della causa di beatificazione – ha lasciato una traccia pastorale profonda nel suo Paese sapendo coniugare il Vangelo e le lotta per la giustizia e percorrendo sempre la strada della pacificazione.
Il suo insegnamento risalta nel “Patto delle Catacombe” dal quale, come detto, ha tratto ispirazione quella corrente di pensiero teologico sviluppatasi con la riunione del Consiglio episcopale latinoamericano (Celam) di Medellín del 1968, come diretta estensione delle idee e dei principi riformatori messi in moto in Roma dal Concilio, che passò alla storia con il nome di “Teologia della Liberazione”.
Nel documento si leggono promesse come «dare tutto il tempo, la riflessione, il cuore, i mezzi» al «servizio apostolico e pastorale del lavoro e dei gruppi economicamente deboli e sottosviluppati». In altri passaggi i vescovi assicurano: «Cercheremo di vivere secondo il modo ordinario della popolazione, per quanto riguarda l’alloggio, il cibo e i mezzi di trasporto», «affideremo la gestione finanziaria nella nostra diocesi a una commissione laica», «eviteremo ciò che può sembrare conferire privilegi», «saremo aperti a tutti, qualunque sia la loro religione».
Tutti impegni che ora i partecipanti al Sinodo vogliono rinnovare per il loro ministero nelle terre dell’Amazzonia sfruttate dalle grandi multinazionali nelle sue risorse e umiliate per il trattamento riservato ai suoi popoli, depredati dei loro territori e, in alcuni casi, condannati ad un lento annientamento.

PATTO DELLE CATACOMBE PER LA CASA COMUNE

per una Chiesa dal volto amazzonico, povera e serva, profetica e samaritana

Noi, partecipanti al Sinodo panamazzonico, condividiamo la gioia di vivere tra numerosi popoli indigeni, quilombos, costieri, migranti, comunità alla periferia delle città di questo immenso territorio del Pianeta. Con loro abbiamo sperimentato la forza del Vangelo che agisce nei piccoli. L’incontro con queste persone ci sfida e ci invita a una vita più semplice di condivisione e di gratuità. Influenzati dall’ascolto delle loro grida e lacrime, accogliamo di cuore le parole di papa Francesco: “Molti fratelli e sorelle in Amazzonia portano pesanti croci e attendono il conforto liberatore del Vangelo, la carezza amorevole della Chiesa. Per loro, con loro camminiamo insieme”.

Ricordiamo con gratitudine i vescovi che alla fine del Concilio Vaticano II nelle Catacombe di Santa Domitilla firmarono Il Patto per una Chiesa serva e povera. Ricordiamo con riverenza tutti i martiri membri delle comunità ecclesiali di base, delle comunità pastorali e dei movimenti popolari; leader indigeni, missionarie e missionari, laici, preti e vescovi, che hanno versato il loro sangue a causa di quest’opzione per i poveri, per difendere la vita e lottare per la salvaguardia della nostra Casa Comune. Al ringraziamento per il loro eroismo uniamo la nostra decisione di continuare la loro lotta con fermezza e coraggio. È un sentimento di urgenza che si impone di fronte alle aggressioni che oggi devastano il territorio amazzonico, minacciato dalla violenza di un sistema economico predatore e consumistico.

Di fronte alla Santissima Trinità, le nostre Chiese particolari, le Chiese dell’America Latina e dei Caraibi e di quelle che sono solidali in Africa, Asia, Oceania, Europa e nel nord del continente americano, ai piedi degli apostoli Pietro e Paolo e della moltitudine di martiri di Roma, dell’America Latina e in particolare della nostra Amazzonia, in profonda comunione con il successore di Pietro invochiamo lo Spirito Santo e ci impegniamo personalmente e comunitariamente a quanto segue:

1. Assumere, di fronte all’estrema minaccia del riscaldamento globale e dell’esaurimento delle risorse naturali, un impegno a difendere la giungla amazzonica nei nostri territori e con i nostri atteggiamenti. Da essa provengono il dono dell’acqua per gran parte del territorio sudamericano, il contributo al ciclo del carbonio e la regolazione del clima globale, una biodiversità incalcolabile e una ricca socio-diversità per l’umanità e l’intera Terra.

2. Riconoscere che non siamo padroni della madre terra, ma suoi figli e figlie, formati dalla polvere della terra (Gen 2, 7-8), ospiti e pellegrini (1 Pt 1, 17b e 1 Pt 2, 11), chiamati ad essere suoi gelosi custodi (Gen 1,26). Pertanto ci impegniamo per un’ecologia integrale, in cui tutto è interconnesso, il genere umano e tutta la creazione perché tutti gli esseri sono figlie e figli della terra e su di loro aleggia lo Spirito di Dio (Gen 1,2).

3. Accogliere e rinnovare ogni giorno l’alleanza di Dio con tutto il creato: “Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi, con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e animali selvatici, con tutti gli animali che sono usciti dall’arca, con tutti gli animali della terra”. (Gen 9, 9-10; Gen 9, 12-17).

4. Rinnovare nelle nostre chiese l’opzione preferenziale per i poveri, in particolare per i popoli originari, e insieme a loro garantire il diritto ad essere protagonisti nella società e nella Chiesa. Aiutarli a preservare le loro terre, culture, lingue, storie, identità e spiritualità. Crescere nella consapevolezza che devono essere rispettati a livello locale e globale e, di conseguenza, con tutti i mezzi alla nostra portata promuovere la loro accoglienza su un piano di parità nel concerto mondiale di altri popoli e culture.

5. Abbandonare, di conseguenza, nelle nostre parrocchie, diocesi e gruppi ogni tipo di mentalità e posizione colonialista, accogliendo e valorizzando la diversità culturale, etnica e linguistica in un dialogo rispettoso con tutte le tradizioni spirituali.

6. Denunciare tutte le forme di violenza e di aggressione contro l’autonomia e i diritti delle popolazioni indigene, la loro identità, i loro territori e i loro modi di vita.

7. Annunciare la novità liberante del Vangelo di Gesù Cristo, nell’accogliere l’altro e il diverso, come accadde a Pietro nella casa di Cornelio: “Voi sapete che a un Giudeo non è lecito aver contatti o recarsi da stranieri; ma Dio mi ha mostrato che non si deve chiamare profano o impuro nessun uomo”. (At 10,28).

8. Camminare ecumenicamente con altre comunità cristiane nell’annuncio inculturato e liberante del Vangelo, e con altre religioni e persone di buona volontà, in solidarietà con i popoli originari, i poveri e i piccoli, in difesa dei loro diritti e nella preservazione della Casa Comune.

9. Stabilire nelle nostre chiese particolari uno stile di vita sinodale, in cui i rappresentanti dei popoli originari, i missionari, i laici, a causa del loro battesimo e in comunione con i loro pastori, abbiano voce e voto nelle assemblee diocesane, nei consigli pastorali e parrocchiali, in breve, in tutto ciò che compete loro nel governo delle comunità.

10. Impegnarsi nell’urgente riconoscimento dei ministeri ecclesiali già esistenti nelle comunità, portati avanti da agenti pastorali, catechisti indigeni, ministre e ministri della Parola, valorizzando soprattutto la loro attenzione per i più vulnerabili ed esclusi.

11. Rendere effettivo nelle comunità che ci hanno affidato il passaggio da una pastorale di visita a una pastorale di presenza, assicurando che il diritto alla mensa della Parola e alla mensa dell’Eucaristia diventi effettivo in tutte le comunità.

12. Riconoscere i servizi e la reale diaconia della grande quantità di donne che oggi gestiscono comunità in Amazzonia e cercano di consolidarle con un adeguato ministero di donne leader di comunità.

13. Cercare nuovi percorsi di azione pastorale nelle città in cui agiamo, con il protagonismo di laici e giovani, con attenzione alle loro periferie e ai migranti, ai lavoratori e disoccupati, agli studenti, agli educatori, ai ricercatori e al mondo della cultura e della comunicazione.

14. Assumere contro la valanga del consumismo uno stile di vita gioiosamente sobrio, semplice e solidale con coloro che hanno poco o niente; ridurre la produzione di rifiuti e l’uso di materie plastiche, favorire la produzione e la commercializzazione di prodotti agro-ecologici e utilizzare i trasporti pubblici, se possibile.

15. Porsi accanto a coloro che sono perseguitati per il servizio profetico di denuncia e di riparazione di ingiustizie, di difesa della terra e dei diritti dei piccoli, di accoglienza e sostegno dei migranti e dei rifugiati. Coltivare vere amicizie con i poveri, visitare i più semplici e i malati, esercitando il ministero dell’ascolto, della consolazione, del sostegno e dell’appoggio, cose che portano incoraggiamento e rinnovano la speranza.

Consapevoli delle nostre debolezze, della nostra povertà e piccolezza di fronte a sfide così grandi e serie, ci affidiamo alla preghiera della Chiesa. Possano le nostre comunità ecclesiali, soprattutto, aiutarci con la loro intercessione, con il loro affetto nel Signore e, quando necessario, con la carità della correzione fraterna.

Accogliamo con favore l’invito del cardinale Hummes a essere guidati dallo Spirito Santo in questi giorni del Sinodo e al nostro ritorno alle nostre chiese: “Lasciatevi avvolgere dal manto della Madre di Dio e della Regina dell’Amazzonia. Non lasciamo che ci vinca l’autoreferenzialità, ma la misericordia davanti al grido dei poveri e della terra. Saranno necessarie molta preghiera, meditazione e discernimento, nonché una pratica concreta di comunione ecclesiale e spirito sinodale. Questo sinodo è come una mensa che Dio ha preparato per i suoi poveri e ci chiede di essere quelli che servono alla mensa”.

Celebriamo quest’Eucaristia del Patto come “un atto di amore cosmico”. “Sì, cosmico! Perché anche quando si svolge sul piccolo altare di una chiesa di un villaggio, l’Eucaristia è sempre celebrata, in un certo senso, sull’altare del mondo.” L’Eucaristia unisce cielo e terra, abbraccia e penetra tutta la creazione. Il mondo uscito dalle mani di Dio ritorna a Lui in felice e piena adorazione: nel Pane Eucaristico “la creazione tende alla divinizzazione, alle sante nozze, all’unificazione con il Creatore stesso”. Per questa ragione, l’Eucaristia è anche fonte di luce e di motivazione per le nostre preoccupazioni per il medio ambiente e ci porta a essere custodi di tutta la creazione”.

Roma, 20 ottobre 2019
Catacombe di Santa Domitilla

 

 

termina l’anno giubilare e papa Francesco ribadisce che Dio è più grande del peccato dell’uomo … ma diversi cardinali la sanno più lunga

una piccola rassegna stampa sulla chiusura dell’anno giubilare e il documento di chiusura di papa Francesco ‘misericordia et misera’

 

«È il tempo della misericordia» di Gianni Cardinale in Avvenire del 22 novembre 2016

Il Giubileo si è concluso domenica, ma papa Francesco continua ad auspicare la «conversione pastorale» delle «nostre comunità » in modo da «guardare avanti e di comprendere come continuare con fedeltà, gioia ed entusiasmo a sperimentare la ricchezza della misericordia divina». Lo fa con con la Lettera apostolica
“Non finisce il tempo della Misericordia. Francesco pubblica la lettera apostolica «Misericordia et misera» e annuncia di voler mantenere anche dopo la chiusura del Giubileo la facoltà per tutti i sacerdoti del mondo di assolvere l’aborto, rendendola così definitiva. Il Papa ha poi annunciato una Giornata mondiale dei poveri”
“«Al pentimento finora si rispondeva con una procedura: la richiesta al vescovo. Ed era come frenare il soffio dello spirito. Essere costrette a fermarsi nel proprio percorso, dover chiedere appuntamento ad un vescovo accentuava la condizione di debolezza. Molte si sono perse in questo passaggio, si sono sentite imperdonabili finendo per ripiegarsi su se stesse»
Il perdono di Dio può estendersi anche alle donne che hanno abortito e ai medici e agli infermieri, ai familiari che le hanno aiutate. E i sacerdoti, che di quel perdono sono tramite e non titolari, devono mettersi in ascolto di chiunque intenda riconciliarsi e «accedere all’amore del Padre», a cominciare appunto da chi ha peccato.

Udienza Generale del mercoledì di Papa Francesco

«Continueremo ad agire secondo coscienza» In Italia sono obiettori 7 ginecologi su dieci di Carla Massi in Il Messaggero del 22 novembre 2016

Tra i ginecologi, sono molti che ieri, dopo le parole di Francesco, hanno pensato al dolore delle pazienti cattoliche costrette, per i motivi più diversi, ad interrompere una gravidanza. Per loro, un gesto di comprensione e di vicinanza capace di sollevare la donna credente dal senso di colpa
Fin dai primi secoli la Chiesa ha «dichiarato la malizia morale di ogni aborto provocato, e questo insegnamento non è mutato. L’aborto diretto, cioè voluto come fine o come un mezzo, è gravemente contrario alla legge morale» si legge nel Catechismo.
Vietato chiamarla depenalizzazione perché naturalmente – si tratta di ben altra cosa.. Tuttavia il mutamento della Chiesa di Papa Francesco a proposito di aborto è radicale. Da oggi in poi qualsiasi prete, di qualsiasi parrocchia nel mondo, potrà assolvere qualsiasi cattolico dal peccato mortale dell’aborto senza ricevere, com’era necessario prima, speciali dispense da parte del vescovo
L’aborto cessa quindi di essere un peccato così grave da poter essere assolto solo da un vescovo, o da un prete appositamente designato dal vescovo. Non si tratta però di un declassamento della gravità del peccato – Francesco non fa che denunciarlo come uno dei più gravi di questo tempo appena ne ha l’occasione – ma del suo svincolamento da una prassi complicata
Che si sia religiosi o laici, credenti o non credenti, è sempre un fatto positivo che nessun essere umano venga messo fuori dalla legge civile o religiosa.
Papa Francesco lo espone con il suo stile chiaro nella Lettera apostolica Misericordia et misera, pubblicata ieri a conclusione del Giubileo: «Niente di quanto un peccatore pentito pone dinanzi alla misericordia di Dio può rimanere senza l’abbraccio del suo perdono». Niente. Nemmeno un peccato grave come l’aborto
Tutti i preti potranno assolvere dal peccato di aborto, sia le madri, sia i medici e gli infermieri. Cambiano le norme del diritto canonico: l’apertura arriva da Papa Francesco all’indomani della chiusura del Giubileo sulla misericordia. La disposizione è contenuta nella Lettera «Misericordia et misera» presentata in Vaticano.
È una misura che non cancella il «peccato di aborto» («l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente», puntualizza Francesco) – quindi non c’è nessuna modifica dottrinale -, ma introduce un profondo aggiornamento pastorale e giuridico

FRANCESCO

a quanti leggeranno questa Lettera Apostolica

misericordia e pacegiubileo1

giubileo

Misericordia et misera sono le due parole che sant’Agostino utilizza per raccontare l’incontro tra Gesù e l’adultera (cfr Gv 8,1-11). Non poteva trovare espressione più bella e coerente di questa per far comprendere il mistero dell’amore di Dio quando viene incontro al peccatore: «Rimasero soltanto loro due: la misera e la misericordia».[1] Quanta pietà e giustizia divina in questo racconto! Il suo insegnamento viene a illuminare la conclusione del Giubileo Straordinario della Misericordia, mentre indica il cammino che siamo chiamati a percorrere nel futuro.

1. Questa pagina del Vangelo può a buon diritto essere assunta come icona di quanto abbiamo celebrato nell’Anno Santo, un tempo ricco di misericordia, la quale chiede di essere ancora celebrata e vissuta nelle nostre comunità. La misericordia, infatti, non può essere una parentesi nella vita della Chiesa, ma costituisce la sua stessa esistenza, che rende manifesta e tangibile la verità profonda del Vangelo. Tutto si rivela nella misericordia; tutto si risolve nell’amore misericordioso del Padre.

Una donna e Gesù si sono incontrati. Lei, adultera e, secondo la Legge, giudicata passibile di lapidazione; Lui, che con la sua predicazione e il dono totale di sé, che lo porterà alla croce, ha riportato la legge mosaica al suo genuino intento originario. Al centro non c’è la legge e la giustizia legale, ma l’amore di Dio, che sa leggere nel cuore di ogni persona, per comprenderne il desiderio più nascosto, e che deve avere il primato su tutto. In questo racconto evangelico, tuttavia, non si incontrano il peccato e il giudizio in astratto, ma una peccatrice e il Salvatore. Gesù ha guardato negli occhi quella donna e ha letto nel suo cuore: vi ha trovato il desiderio di essere capita, perdonata e liberata. La miseria del peccato è stata rivestita dalla misericordia dell’amore. Nessun giudizio da parte di Gesù che non fosse segnato dalla pietà e dalla compassione per la condizione della peccatrice. A chi voleva giudicarla e condannarla a morte, Gesù risponde con un lungo silenzio, che vuole lasciar emergere la voce di Dio nelle coscienze, sia della donna sia dei suoi accusatori. I quali lasciano cadere le pietre dalle mani e se ne vanno ad uno ad uno (cfr Gv 8,9). E dopo quel silenzio, Gesù dice: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata? … Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più» (vv. 10-11). In questo modo la aiuta a guardare al futuro con speranza e ad essere pronta a rimettere in moto la sua vita; d’ora in avanti, se lo vorrà, potrà “camminare nella carità” (cfr Ef 5,2). Una volta che si è rivestiti della misericordia, anche se permane la condizione di debolezza per il peccato, essa è sovrastata dall’amore che permette di guardare oltre e vivere diversamente.

2. Gesù d’altronde lo aveva insegnato con chiarezza quando, invitato a pranzo da un fariseo, gli si era avvicinata una donna conosciuta da tutti come una peccatrice (cfr Lc 7,36-50). Lei aveva cosparso di profumo i piedi di Gesù, li aveva bagnati con le sue lacrime e asciugati con i suoi capelli (cfr v. 37-38). Alla reazione scandalizzata del fariseo, Gesù rispose: «Sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco» (v. 47).

Il perdono è il segno più visibile dell’amore del Padre, che Gesù ha voluto rivelare in tutta la sua vita. Non c’è pagina del Vangelo che possa essere sottratta a questo imperativo dell’amore che giunge fino al perdono. Perfino nel momento ultimo della sua esistenza terrena, mentre viene inchiodato sulla croce, Gesù ha parole di perdono: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34).

Niente di quanto un peccatore pentito pone dinanzi alla misericordia di Dio può rimanere senza l’abbraccio del suo perdono. È per questo motivo che nessuno di noi può porre condizioni alla misericordia; essa rimane sempre un atto di gratuità del Padre celeste, un amore incondizionato e immeritato. Non possiamo, pertanto, correre il rischio di opporci alla piena libertà dell’amore con cui Dio entra nella vita di ogni persona.

La misericordia è questa azione concreta dell’amore che, perdonando, trasforma e cambia la vita. È così che si manifesta il suo mistero divino. Dio è misericordioso (cfr Es 34,6), la sua misericordia dura in eterno (cfr Sal 136), di generazione in generazione abbraccia ogni persona che confida in Lui e la trasforma, donandole la sua stessa vita.

3. Quanta gioia è stata suscitata nel cuore di queste due donne, l’adultera e la peccatrice! Il perdono le ha fatte sentire finalmente libere e felici come mai prima. Le lacrime della vergogna e del dolore si sono trasformate nel sorriso di chi sa di essere amata. La misericordia suscita gioia, perché il cuore si apre alla speranza di una vita nuova. La gioia del perdono è indicibile, ma traspare in noi ogni volta che ne facciamo esperienza. All’origine di essa c’è l’amore con cui Dio ci viene incontro, spezzando il cerchio di egoismo che ci avvolge, per renderci a nostra volta strumenti di misericordia.

Come sono significative anche per noi le parole antiche che guidavano i primi cristiani: «Rivestiti di gioia che è sempre gradita a Dio e gli è accetta. In essa si diletta. Ogni uomo gioioso opera bene, pensa bene e disprezza la tristezza […] Vivranno in Dio quanti allontanano la tristezza e si rivestono di ogni gioia».[2] Fare esperienza della misericordia dona gioia. Non lasciamocela portar via dalle varie afflizioni e preoccupazioni. Possa rimanere ben radicata nel nostro cuore e farci guardare sempre con serenità alla vita quotidiana.

In una cultura spesso dominata dalla tecnica, sembrano moltiplicarsi le forme di tristezza e solitudine in cui cadono le persone, e anche tanti giovani. Il futuro infatti sembra essere ostaggio dell’incertezza che non consente di avere stabilità. È così che sorgono spesso sentimenti di malinconia, tristezza e noia, che lentamente possono portare alla disperazione. C’è bisogno di testimoni di speranza e di gioia vera, per scacciare le chimere che promettono una facile felicità con paradisi artificiali. Il vuoto profondo di tanti può essere riempito dalla speranza che portiamo nel cuore e dalla gioia che ne deriva. C’è tanto bisogno di riconoscere la gioia che si rivela nel cuore toccato dalla misericordia. Facciamo tesoro, pertanto, delle parole dell’Apostolo: «Siate sempre lieti nel Signore» (Fil 4,4; cfr 1 Ts 5,16).

4. Abbiamo celebrato un Anno intenso, durante il quale ci è stata donata con abbondanza la grazia della misericordia. Come un vento impetuoso e salutare, la bontà e la misericordia del Signore si sono riversate sul mondo intero. E davanti a questo sguardo amoroso di Dio che in maniera così prolungata si è rivolto su ognuno di noi, non si può rimanere indifferenti, perché esso cambia la vita.

Sentiamo il bisogno, anzitutto, di ringraziare il Signore e dirgli: «Sei stato buono, Signore, con la tua terra […]. Hai perdonato la colpa del tuo popolo» (Sal 85,2-3). È proprio così: Dio ha calpestato le nostre colpe e gettato in fondo al mare i nostri peccati (cfr Mi 7,19); non li ricorda più, se li è buttati alle spalle (cfr Is 38,17); come è distante l’oriente dall’occidente così i nostri peccati sono distanti da lui (cfr Sal 103,12).

In questo Anno Santo la Chiesa ha saputo mettersi in ascolto e ha sperimentato con grande intensità la presenza e vicinanza del Padre, che con l’opera dello Spirito Santo le ha reso più evidente il dono e il mandato di Gesù Cristo riguardo al perdono. È stata realmente una nuova visita del Signore in mezzo a noi. Abbiamo percepito il suo soffio vitale riversarsi sulla Chiesa e, ancora una volta, le sue parole hanno indicato la missione: «Ricevete lo Spirito Santo: a coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20,22-23).

5. Adesso, concluso questo Giubileo, è tempo di guardare avanti e di comprendere come continuare con fedeltà, gioia ed entusiasmo a sperimentare la ricchezza della misericordia divina. Le nostre comunità potranno rimanere vive e dinamiche nell’opera di nuova evangelizzazione nella misura in cui la “conversione pastorale” che siamo chiamati a vivere[3] sarà plasmata quotidianamente dalla forza rinnovatrice della misericordia. Non limitiamo la sua azione; non rattristiamo lo Spirito che indica sempre nuovi sentieri da percorrere per portare a tutti il Vangelo che salva.

In primo luogo siamo chiamati a celebrare la misericordia. Quanta ricchezza è presente nella preghiera della Chiesa quando invoca Dio come Padre misericordioso! Nella liturgia, la misericordia non solo viene ripetutamente evocata, ma realmente ricevuta e vissuta. Dall’inizio alla fine della celebrazione eucaristica, la misericordia ritorna più volte nel dialogo tra l’assemblea orante e il cuore del Padre, che gioisce quando può effondere il suo amore misericordioso. Dopo la richiesta di perdono iniziale con l’invocazione «Signore pietà», veniamo subito rassicurati: «Dio onnipotente abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna». È con questa fiducia che la comunità si raduna alla presenza del Signore, particolarmente nel giorno santo della risurrezione. Molte orazioni “collette” intendono richiamare il grande dono della misericordia. Nel periodo della Quaresima, ad esempio, preghiamo dicendo: «Dio misericordioso, fonte di ogni bene, tu ci hai proposto a rimedio del peccato il digiuno la preghiera e le opere di carità fraterna; guarda a noi che riconosciamo la nostra miseria e poiché ci opprime il peso delle nostre colpe, ci sollevi la tua misericordia».[4] Siamo poi immersi nella grande preghiera eucaristica con il prefazio che proclama: «Nella tua misericordia hai tanto amato gli uomini da mandare il tuo Figlio come Redentore a condividere in tutto, fuorché nel peccato, la nostra condizione umana».[5] La quarta preghiera eucaristica, inoltre, è un inno alla misericordia di Dio: «Nella tua misericordia a tutti sei venuto incontro, perché coloro che ti cercano ti possano trovare». «Di noi tutti abbi misericordia»,[6] è la richiesta impellente che il sacerdote compie nella preghiera eucaristica per implorare la partecipazione alla vita eterna. Dopo il Padre Nostro, il sacerdote prolunga la preghiera invocando la pace e la liberazione dal peccato grazie all’«aiuto della tua misericordia». E prima del segno di pace, scambiato come espressione di fratellanza e di amore reciproco alla luce del perdono ricevuto, egli prega di nuovo: «Non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa».[7] Mediante queste parole, con umile fiducia chiediamo il dono dell’unità e della pace per la santa Madre Chiesa. La celebrazione della misericordia divina culmina nel Sacrificio eucaristico, memoriale del mistero pasquale di Cristo, da cui scaturisce la salvezza per ogni essere umano, per la storia e per il mondo intero. Insomma, ogni momento della celebrazione eucaristica fa riferimento alla misericordia di Dio.

In tutta la vita sacramentale la misericordia ci viene donata in abbondanza. Non è affatto senza significato che la Chiesa abbia voluto fare esplicitamente il richiamo alla misericordia nella formula dei due sacramenti chiamati “di guarigione”, cioè la Riconciliazione e l’Unzione dei malati. La formula di assoluzione dice: «Dio, Padre di misericordia, che ha riconciliato a sé il mondo nella morte e risurrezione del suo Figlio, e ha effuso lo Spirito Santo per la remissione dei peccati, ti conceda, mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la pace»[8] e quella dell’Unzione recita: «Per questa santa Unzione e la sua piissima misericordia ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito Santo».[9] Dunque, nella preghiera della Chiesa il riferimento alla misericordia, lungi dall’essere solamente parenetico, è altamente performativo, vale a dire che mentre la invochiamo con fede, ci viene concessa; mentre la confessiamo viva e reale, realmente ci trasforma. È questo un contenuto fondamentale della nostra fede, che dobbiamo conservare in tutta la sua originalità: prima di quella del peccato, abbiamo la rivelazione dell’amore con cui Dio ha creato il mondo e gli esseri umani. L’amore è il primo atto con il quale Dio si fa conoscere e ci viene incontro. Teniamo, pertanto, aperto il cuore alla fiducia di essere amati da Dio. Il suo amore ci precede sempre, ci accompagna e rimane accanto a noi nonostante il nostro peccato

6. In tale contesto, assume un significato particolare anche l’ascolto della Parola di Dio. Ogni domenica, la Parola di Dio viene proclamata nella comunità cristiana perché il giorno del Signore sia illuminato dalla luce che promana dal mistero pasquale.[10] Nella celebrazione eucaristica sembra di assistere a un vero dialogo tra Dio e il suo popolo. Nella proclamazione delle Letture bibliche, infatti, si ripercorre la storia della nostra salvezza attraverso l’incessante opera di misericordia che viene annunciata. Dio parla ancora oggi con noi come ad amici, si “intrattiene” con noi[11] per donarci la sua compagnia e mostrarci il sentiero della vita. La sua Parola si fa interprete delle nostre richieste e preoccupazioni e risposta feconda perché possiamo sperimentare concretamente la sua vicinanza. Quanta importanza acquista l’omelia, dove «la verità si accompagna alla bellezza e al bene»,[12] per far vibrare il cuore dei credenti dinanzi alla grandezza della misericordia! Raccomando molto la preparazione dell’omelia e la cura della predicazione. Essa sarà tanto più fruttuosa, quanto più il sacerdote avrà sperimentato su di sé la bontà misericordiosa del Signore. Comunicare la certezza che Dio ci ama non è un esercizio retorico, ma condizione di credibilità del proprio sacerdozio. Vivere, quindi, la misericordia è la via maestra per farla diventare un vero annuncio di consolazione e di conversione nella vita pastorale. L’omelia, come pure la catechesi, hanno bisogno di essere sempre sostenute da questo cuore pulsante della vita cristiana.

7. La Bibbia è il grande racconto che narra le meraviglie della misericordia di Dio. Ogni pagina è intrisa dell’amore del Padre che fin dalla creazione ha voluto imprimere nell’universo i segni del suo amore. Lo Spirito Santo, attraverso le parole dei profeti e gli scritti sapienziali, ha plasmato la storia di Israele nel riconoscimento della tenerezza e della vicinanza di Dio, nonostante l’infedeltà del popolo. La vita di Gesù e la sua predicazione segnano in modo determinante la storia della comunità cristiana, che ha compreso la propria missione sulla base del mandato di Cristo di essere strumento permanente della sua misericordia e del suo perdono (cfr Gv 20,23). Attraverso la Sacra Scrittura, mantenuta viva dalla fede della Chiesa, il Signore continua a parlare alla sua Sposa e le indica i sentieri da percorrere, perché il Vangelo della salvezza giunga a tutti. È mio vivo desiderio che la Parola di Dio sia sempre più celebrata, conosciuta e diffusa, perché attraverso di essa si possa comprendere meglio il mistero di amore che promana da quella sorgente di misericordia. Lo ricorda chiaramente l’Apostolo: «Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia» (2 Tm 3,16).

Sarebbe opportuno che ogni comunità, in una domenica dell’Anno liturgico, potesse rinnovare l’impegno per la diffusione, la conoscenza e l’approfondimento della Sacra Scrittura: una domenica dedicata interamente alla Parola di Dio, per comprendere l’inesauribile ricchezza che proviene da quel dialogo costante di Dio con il suo popolo. Non mancherà la creatività per arricchire questo momento con iniziative che stimolino i credenti ad essere strumenti vivi di trasmissione della Parola. Certamente, tra queste iniziative vi è la diffusione più ampia della lectio divina, affinché, attraverso la lettura orante del testo sacro, la vita spirituale trovi sostegno e crescita. La lectio divina sui temi della misericordia permetterà di toccare con mano quanta fecondità viene dal testo sacro, letto alla luce dell’intera tradizione spirituale della Chiesa, che sfocia necessariamente in gesti e opere concrete di carità.[13]

8. La celebrazione della misericordia avviene in modo del tutto particolare con il Sacramento della Riconciliazione. È questo il momento in cui sentiamo l’abbraccio del Padre che viene incontro per restituirci la grazia di essere di nuovo suoi figli. Noi siamo peccatori e portiamo con noi il peso della contraddizione tra ciò che vorremmo fare e quanto invece concretamente facciamo (cfr Rm 7,14-21); la grazia, tuttavia, ci precede sempre, e assume il volto della misericordia che si rende efficace nella riconciliazione e nel perdono. Dio fa comprendere il suo immenso amore proprio davanti al nostro essere peccatori. La grazia è più forte, e supera ogni possibile resistenza, perché l’amore tutto vince (cfr 1 Cor 13,7).

Nel Sacramento del Perdono Dio mostra la via della conversione a Lui, e invita a sperimentare di nuovo la sua vicinanza. È un perdono che può essere ottenuto iniziando, anzitutto, a vivere la carità. Lo ricorda anche l’apostolo Pietro quando scrive che «L’amore copre una moltitudine di peccati» (1 Pt 4,8). Solo Dio perdona i peccati, ma chiede anche a noi di essere pronti al perdono verso gli altri, così come Lui perdona i nostri: «Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12). Quanta tristezza quando rimaniamo chiusi in noi stessi e incapaci di perdonare! Prendono il sopravvento il rancore, la rabbia, la vendetta, rendendo la vita infelice e vanificando l’impegno gioioso per la misericordia.

9. Un’esperienza di grazia che la Chiesa ha vissuto con tanta efficacia nell’Anno giubilare è stato certamente il servizio dei Missionari della Misericordia. La loro azione pastorale ha voluto rendere evidente che Dio non pone alcun confine per quanti lo cercano con cuore pentito, perché a tutti va incontro come un Padre. Ho ricevuto tante testimonianze di gioia per il rinnovato incontro con il Signore nel Sacramento della Confessione. Non perdiamo l’opportunità di vivere la fede anche come esperienza di riconciliazione. «Lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor 5,20) è l’invito che ancora ai nostri giorni l’Apostolo rivolge per far scoprire ad ogni credente la potenza dell’amore che rende una «creatura nuova» (2 Cor 5,17).

Esprimo la mia gratitudine ad ogni Missionario della Misericordia per questo prezioso servizio offerto per rendere efficace la grazia del perdono. Questo ministero straordinario, tuttavia, non si conclude con la chiusura della Porta Santa. Desidero, infatti, che permanga ancora, fino a nuova disposizione, come segno concreto che la grazia del Giubileo continua ad essere, nelle varie parti del mondo, viva ed efficace. Sarà cura del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione seguire in questo periodo i Missionari della Misericordia, come espressione diretta della mia sollecitudine e vicinanza e trovare le forme più coerenti per l’esercizio di questo prezioso ministero.

10. Ai sacerdoti rinnovo l’invito a prepararsi con grande cura al ministero della Confessione, che è una vera missione sacerdotale. Vi ringrazio sentitamente per il vostro servizio e vi chiedo di essere accoglienti con tutti; testimoni della tenerezza paterna nonostante la gravità del peccato; solleciti nell’aiutare a riflettere sul male commesso; chiari nel presentare i principi morali; disponibili ad accompagnare i fedeli nel percorso penitenziale, mantenendo il loro passo con pazienza; lungimiranti nel discernimento di ogni singolo caso; generosi nel dispensare il perdono di Dio. Come Gesù davanti alla donna adultera scelse di rimanere in silenzio per salvarla dalla condanna a morte, così anche il sacerdote nel confessionale sia magnanimo di cuore, sapendo che ogni penitente lo richiama alla sua stessa condizione personale: peccatore, ma ministro di misericordia.

11. Vorrei che tutti noi meditassimo le parole dell’Apostolo, scritte verso la fine della sua vita, quando a Timoteo confessa di essere stato il primo dei peccatori, «ma appunto per questo ho ottenuto misericordia» (1 Tm 1,16). Le sue parole hanno una forza prorompente per provocare anche noi a riflettere sulla nostra esistenza e per vedere all’opera la misericordia di Dio nel cambiare, convertire e trasformare il nostro cuore: «Rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia» (1 Tm 1,12-13).

Ricordiamo con sempre rinnovata passione pastorale, pertanto, le parole dell’Apostolo: «Dio ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione» (2 Cor 5,18). Noi per primi siamo stati perdonati in vista di questo ministero; resi testimoni in prima persona dell’universalità del perdono. Non c’è legge né precetto che possa impedire a Dio di riabbracciare il figlio che torna da Lui riconoscendo di avere sbagliato, ma deciso a ricominciare da capo. Fermarsi soltanto alla legge equivale a vanificare la fede e la misericordia divina. C’è un valore propedeutico nella legge (cfr Gal 3,24) che ha come fine la carità (cfr 1 Tm 1,5). Tuttavia, il cristiano è chiamato a vivere la novità del Vangelo, «la legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù» (Rm 8,2). Anche nei casi più complessi, dove si è tentati di far prevalere una giustizia che deriva solo dalle norme, si deve credere nella forza che scaturisce dalla grazia divina.

Noi confessori abbiamo esperienza di tante conversioni che si manifestano sotto i nostri occhi. Sentiamo, quindi, la responsabilità di gesti e parole che possano giungere nel profondo del cuore del penitente, perché scopra la vicinanza e la tenerezza della Padre che perdona. Non vanifichiamo questi momenti con comportamenti che possano contraddire l’esperienza della misericordia che viene ricercata. Aiutiamo, piuttosto, a illuminare lo spazio della coscienza personale con l’amore infinito di Dio (cfr 1 Gv 3,20).

Il Sacramento della Riconciliazione ha bisogno di ritrovare il suo posto centrale nella vita cristiana; per questo richiede sacerdoti che mettano la loro vita a servizio del «ministero della riconciliazione» (2 Cor 5,18) in modo tale che, mentre a nessuno sinceramente pentito è impedito di accedere all’amore del Padre che attende il suo ritorno, a tutti è offerta la possibilità di sperimentare la forza liberatrice del perdono.

Un’occasione propizia può essere la celebrazione dell’iniziativa 24 ore per il Signore in prossimità della IV domenica di Quaresima, che già trova molto consenso nelle Diocesi e che rimane un richiamo pastorale forte per vivere intensamente il Sacramento della Confessione.

12. In forza di questa esigenza, perché nessun ostacolo si interponga tra la richiesta di riconciliazione e il perdono di Dio, concedo d’ora innanzi a tutti i sacerdoti, in forza del loro ministero, la facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto. Quanto avevo concesso limitatamente al periodo giubilare[14] viene ora esteso nel tempo, nonostante qualsiasi cosa in contrario. Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente. Con altrettanta forza, tuttavia, posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi con il Padre. Ogni sacerdote, pertanto, si faccia guida, sostegno e conforto nell’accompagnare i penitenti in questo cammino di speciale riconciliazione.

Nell’Anno del Giubileo avevo concesso ai fedeli che per diversi motivi frequentano le chiese officiate dai sacerdoti della Fraternità San Pio X di ricevere validamente e lecitamente l’assoluzione sacramentale dei loro peccati.[15] Per il bene pastorale di questi fedeli, e confidando nella buona volontà dei loro sacerdoti perché si possa recuperare, con l’aiuto di Dio, la piena comunione nella Chiesa Cattolica, stabilisco per mia propria decisione di estendere questa facoltà oltre il periodo giubilare, fino a nuove disposizioni in proposito, perché a nessuno venga mai a mancare il segno sacramentale della riconciliazione attraverso il perdono della Chiesa.

13. La misericordia possiede anche il volto della consolazione. «Consolate, consolate il mio popolo» (Is 40,1) sono le parole accorate che il profeta fa sentire ancora oggi, perché possa giungere a quanti sono nella sofferenza e nel dolore una parola di speranza. Non lasciamoci mai rubare la speranza che proviene dalla fede nel Signore risorto. È vero, spesso siamo messi a dura prova, ma non deve mai venire meno la certezza che il Signore ci ama. La sua misericordia si esprime anche nella vicinanza, nell’affetto e nel sostegno che tanti fratelli e sorelle possono offrire quando sopraggiungono i giorni della tristezza e dell’afflizione. Asciugare le lacrime è un’azione concreta che spezza il cerchio di solitudine in cui spesso veniamo rinchiusi.

Tutti abbiamo bisogno di consolazione perché nessuno è immune dalla sofferenza, dal dolore e dall’incomprensione. Quanto dolore può provocare una parola astiosa, frutto dell’invidia, della gelosia e della rabbia! Quanta sofferenza provoca l’esperienza del tradimento, della violenza e dell’abbandono; quanta amarezza dinanzi alla morte delle persone care! Eppure, mai Dio è lontano quando si vivono questi drammi. Una parola che rincuora, un abbraccio che ti fa sentire compreso, una carezza che fa percepire l’amore, una preghiera che permette di essere più forte… sono tutte espressioni della vicinanza di Dio attraverso la consolazione offerta dai fratelli.

A volte, anche il silenzio potrà essere di grande aiuto; perché a volte non ci sono parole per dare risposta agli interrogativi di chi soffre. Alla mancanza della parola, tuttavia, può supplire la compassione di chi è presente, vicino, ama e tende la mano. Non è vero che il silenzio sia un atto di resa, al contrario, è un momento di forza e di amore. Anche il silenzio appartiene al nostro linguaggio di consolazione perché si trasforma in un’opera concreta di condivisione e partecipazione alla sofferenza del fratello.

14. In un momento particolare come il nostro, che tra tante crisi vede anche quella della famiglia, è importante che giunga una parola di forza consolatrice alle nostre famiglie. Il dono del matrimonio è una grande vocazione a cui, con la grazia di Cristo, corrispondere nell’amore generoso, fedele e paziente. La bellezza della famiglia permane immutata, nonostante tante oscurità e proposte alternative: «La gioia dell’amore che si vive nelle famiglie è anche il giubilo della Chiesa».[16] Il sentiero della vita che porta un uomo e una donna a incontrarsi, amarsi, e davanti a Dio a promettersi fedeltà per sempre, è spesso interrotto da sofferenza, tradimento e solitudine. La gioia per il dono dei figli non è immune dalle preoccupazioni dei genitori riguardo alla loro crescita e formazione, riguardo a un futuro degno di essere vissuto intensamente.

La grazia del Sacramento del Matrimonio non solo fortifica la famiglia perché sia luogo privilegiato in cui vivere la misericordia, ma impegna la comunità cristiana, e tutta l’azione pastorale, a far emergere il grande valore propositivo della famiglia. Questo Anno giubilare, comunque, non può far perdere di vista la complessità dell’attuale realtà familiare. L’esperienza della misericordia ci rende capaci di guardare a tutte le difficoltà umane con l’atteggiamento dell’amore di Dio, che non si stanca di accogliere e di accompagnare.[17]

Non possiamo dimenticare che ognuno porta con sé la ricchezza e il peso della propria storia, che lo contraddistingue da ogni altra persona. La nostra vita, con le sue gioie e i suoi dolori, è qualcosa di unico e irripetibile, che scorre sotto lo sguardo misericordioso di Dio. Ciò richiede, soprattutto da parte del sacerdote, un discernimento spirituale attento, profondo e lungimirante perché chiunque, nessuno escluso, qualunque situazione viva, possa sentirsi concretamente accolto da Dio, partecipare attivamente alla vita della comunità ed essere inserito in quel Popolo di Dio che, instancabilmente, cammina verso la pienezza del regno di Dio, regno di giustizia, di amore, di perdono e di misericordia.

15. Particolare rilevanza riveste il momento della morte. La Chiesa ha sempre vissuto questo passaggio drammatico alla luce della risurrezione di Gesù Cristo, che ha aperto la strada per la certezza della vita futura. Abbiamo una grande sfida da accogliere, soprattutto nella cultura contemporanea che spesso tende a banalizzare la morte fino a farla diventare una semplice finzione, o a nasconderla. La morte invece va affrontata e preparata come passaggio doloroso e ineludibile ma carico di senso: quello dell’estremo atto di amore verso le persone che ci lasciano e verso Dio a cui si va incontro. In tutte le religioni il momento della morte, come quello della nascita, è accompagnato da una presenza religiosa. Noi viviamo l’esperienza delle esequie come preghiera carica di speranza per l’anima del defunto e per dare consolazione a quanti soffrono il distacco dalla persona amata.

Sono convinto che abbiamo bisogno, nell’azione pastorale animata da fede viva, di far toccare con mano quanto i segni liturgici e le nostre preghiere siano espressione della misericordia del Signore. È Lui stesso che offre parole di speranza, perché niente e nessuno potranno mai separare dal suo amore (cfr Rm 8,35). La condivisione di questo momento da parte del sacerdote è un accompagnamento importante, perché permette di vivere la vicinanza alla comunità cristiana nel momento di debolezza, solitudine, incertezza e pianto.

16. Termina il Giubileo e si chiude la Porta Santa. Ma la porta della misericordia del nostro cuore rimane sempre spalancata. Abbiamo imparato che Dio si china su di noi (cfr Os 11,4) perché anche noi possiamo imitarlo nel chinarci sui fratelli. La nostalgia di tanti di ritornare alla casa del Padre, che attende la loro venuta, è suscitata anche da testimoni sinceri e generosi della tenerezza divina. La Porta Santa che abbiamo attraversato in questo Anno giubilare ci ha immesso nella via della carità che siamo chiamati a percorrere ogni giorno con fedeltà e gioia. È la strada della misericordia che permette di incontrare tanti fratelli e sorelle che tendono la mano perché qualcuno la possa afferrare per camminare insieme.

Voler essere vicini a Cristo esige di farsi prossimo verso i fratelli, perché niente è più gradito al Padre se non un segno concreto di misericordia. Per sua stessa natura, la misericordia si rende visibile e tangibile in un’azione concreta e dinamica. Una volta che la si è sperimentata nella sua verità, non si torna più indietro: cresce continuamente e trasforma la vita. È un’autentica nuova creazione che realizza un cuore nuovo, capace di amare in modo pieno, e purifica gli occhi perché riconoscano le necessità più nascoste. Come sono vere le parole con cui la Chiesa prega nella Veglia Pasquale, dopo la lettura del racconto della creazione: «O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti».[18]

La misericordia rinnova e redime, perché è l’incontro di due cuori: quello di Dio che viene incontro a quello dell’uomo. Questo si riscalda e il primo lo risana: il cuore di pietra viene trasformato in cuore di carne (cfr Ez 36,26), capace di amare nonostante il suo peccato. Qui si percepisce di essere davvero una “nuova creatura” (cfr Gal 6,15): sono amato, dunque esisto; sono perdonato, quindi rinasco a vita nuova; sono stato “misericordiato”, quindi divento strumento di misericordia.

17. Durante l’Anno Santo, specialmente nei “venerdì della misericordia”, ho potuto toccare con mano quanto bene è presente nel mondo. Spesso non è conosciuto perché si realizza quotidianamente in maniera discreta e silenziosa. Anche se non fanno notizia, esistono tuttavia tanti segni concreti di bontà e di tenerezza rivolti ai più piccoli e indifesi, ai più soli e abbandonati. Esistono davvero dei protagonisti della carità che non fanno mancare la solidarietà ai più poveri e infelici. Ringraziamo il Signore per questi doni preziosi che invitano a scoprire la gioia del farsi prossimo davanti alla debolezza dell’umanità ferita. Con gratitudine penso ai tanti volontari che ogni giorno dedicano il loro tempo a manifestare la presenza e vicinanza di Dio con la loro dedizione. Il loro servizio è una genuina opera di misericordia, che aiuta tante persone ad avvicinarsi alla Chiesa.

18. È il momento di dare spazio alla fantasia della misericordia per dare vita a tante nuove opere, frutto della grazia. La Chiesa ha bisogno di raccontare oggi quei «molti altri segni» che Gesù ha compiuto e che «non sono stati scritti» (Gv 20,30), affinché siano espressione eloquente della fecondità dell’amore di Cristo e della comunità che vive di Lui. Sono passati più di duemila anni, eppure le opere di misericordia continuano a rendere visibile la bontà di Dio.

Ancora oggi intere popolazioni soffrono la fame e la sete, e quanta preoccupazione suscitano le immagini di bambini che nulla hanno per cibarsi. Masse di persone continuano a migrare da un Paese all’altro in cerca di cibo, lavoro, casa e pace. La malattia, nelle sue varie forme, è un motivo permanente di sofferenza che richiede aiuto, consolazione e sostegno. Le carceri sono luoghi in cui spesso, alla pena restrittiva, si aggiungono disagi a volte gravi, dovuti a condizioni di vita disumane. L’analfabetismo è ancora molto diffuso e impedisce ai bambini e alle bambine di formarsi e li espone a nuove forme di schiavitù. La cultura dell’individualismo esasperato, soprattutto in occidente, porta a smarrire il senso di solidarietà e di responsabilità verso gli altri. Dio stesso rimane oggi uno sconosciuto per molti; ciò rappresenta la più grande povertà e il maggior ostacolo al riconoscimento della dignità inviolabile della vita umana.

Insomma, le opere di misericordia corporale e spirituale costituiscono fino ai nostri giorni la verifica della grande e positiva incidenza della misericordia come valore sociale. Essa infatti spinge a rimboccarsi le maniche per restituire dignità a milioni di persone che sono nostri fratelli e sorelle, chiamati con noi a costruire una «città affidabile».[19]

19. Tanti segni concreti di misericordia sono stati realizzati durante questo Anno Santo. Comunità, famiglie e singoli credenti hanno riscoperto la gioia della condivisione e la bellezza della solidarietà. Eppure non basta. Il mondo continua a generare nuove forme di povertà spirituale e materiale che attentano alla dignità delle persone. È per questo che la Chiesa dev’essere sempre vigile e pronta per individuare nuove opere di misericordia e attuarle con generosità ed entusiasmo.

Poniamo, dunque, ogni sforzo per dare forme concrete alla carità e al tempo stesso intelligenza alle opere di misericordia. Quest’ultima possiede un’azione inclusiva, per questo tende ad allargarsi a macchia d’olio e non conosce limiti. E in questo senso siamo chiamati a dare volto nuovo alle opere di misericordia che conosciamo da sempre. La misericordia, infatti, eccede; va sempre oltre, è feconda. È come il lievito che fa fermentare la pasta (cfr Mt 13,33) e come un granello di senape che diventa un albero (cfr Lc 13,19).

Pensiamo solo, a titolo esemplificativo, all’opera di misericordia corporale vestire chi è nudo (cfr Mt 25,36.38.43.44). Essa ci riporta ai primordi, al giardino dell’Eden, quando Adamo ed Eva scoprirono di essere nudi e, sentendo avvicinarsi il Signore, ebbero vergogna e si nascosero (cfr Gen 3,7-8). Sappiamo che il Signore li punì; tuttavia, Egli «fece all’uomo e a sua moglie tuniche di pelle e li vestì» (Gen 3,21). La vergogna viene superata e la dignità restituita.

Fissiamo lo sguardo anche su Gesù al Golgota. Il Figlio di Dio sulla croce è nudo; la sua tunica è stata sorteggiata e presa dai soldati (cfr Gv 19,23-24); Lui non ha più nulla. Sulla croce si rivela all’estremo la condivisione di Gesù con quanti hanno perso dignità perché privati del necessario. Come la Chiesa è chiamata ad essere la “tunica di Cristo”[20] per rivestire il suo Signore, così è impegnata a rendersi solidale con i nudi della terra perché riacquistino la dignità di cui sono stati spogliati. «(Ero) nudo e mi avete vestito» (Mt 25,36), pertanto, obbliga a non voltare lo sguardo davanti alle nuove forme di povertà e di emarginazione che impediscono alle persone di vivere dignitosamente.

Non avere il lavoro e non ricevere il giusto salario; non poter avere una casa o una terra dove abitare; essere discriminati per la fede, la razza, lo stato sociale…: queste e molte altre sono condizioni che attentano alla dignità della persona, di fronte alle quali l’azione misericordiosa dei cristiani risponde anzitutto con la vigilanza e la solidarietà. Quante sono oggi le situazioni in cui possiamo restituire dignità alle persone e consentire una vita umana! Pensiamo solo a tanti bambini e bambine che subiscono violenze di vario genere, che rubano loro la gioia della vita. I loro volti tristi e disorientati sono impressi nella mia mente; chiedono il nostro aiuto per essere liberati dalle schiavitù del mondo contemporaneo. Questi bambini sono i giovani di domani; come li stiamo preparando a vivere con dignità e responsabilità? Con quale speranza possono affrontare il loro presente e il loro futuro?

Il carattere sociale della misericordia esige di non rimanere inerti e di scacciare l’indifferenza e l’ipocrisia, perché i piani e i progetti non rimangano lettera morta. Lo Spirito Santo ci aiuti ad essere sempre pronti ad offrire in maniera fattiva e disinteressata il nostro apporto, perché la giustizia e una vita dignitosa non rimangano parole di circostanza, ma siano l’impegno concreto di chi intende testimoniare la presenza del Regno di Dio.

20. Siamo chiamati a far crescere una cultura della misericordia, basata sulla riscoperta dell’incontro con gli altri: una cultura in cui nessuno guarda all’altro con indifferenza né gira lo sguardo quando vede la sofferenza dei fratelli. Le opere di misericordia sono “artigianali”: nessuna di esse è uguale all’altra; le nostre mani possono modellarle in mille modi, e anche se unico è Dio che le ispira e unica la “materia” di cui sono fatte, cioè la misericordia stessa, ciascuna acquista una forma diversa.

Le opere di misericordia, infatti, toccano tutta la vita di una persona. E’ per questo che possiamo dar vita a una vera rivoluzione culturale proprio a partire dalla semplicità di gesti che sanno raggiungere il corpo e lo spirito, cioè la vita delle persone. È un impegno che la comunità cristiana può fare proprio, nella consapevolezza che la Parola del Signore sempre la chiama ad uscire dall’indifferenza e dall’individualismo in cui si è tentati di rinchiudersi per condurre un’esistenza comoda e senza problemi. «I poveri li avete sempre con voi» (Gv 12,8), dice Gesù ai suoi discepoli. Non ci sono alibi che possono giustificare un disimpegno quando sappiamo che Lui si è identificato con ognuno di loro.

La cultura della misericordia si forma nella preghiera assidua, nella docile apertura all’azione dello Spirito, nella familiarità con la vita dei santi e nella vicinanza concreta ai poveri. È un invito pressante a non fraintendere dove è determinante impegnarsi. La tentazione di fare la “teoria della misericordia” si supera nella misura in cui questa si fa vita quotidiana di partecipazione e condivisione. D’altronde, non dovremmo mai dimenticare le parole con cui l’apostolo Paolo, raccontando il suo incontro con Pietro, Giacomo e Giovanni, dopo la conversione, mette in risalto un aspetto essenziale della sua missione e di tutta la vita cristiana: «Ci pregarono soltanto di ricordarci dei poveri, ed è quello che mi sono preoccupato di fare» (Gal 2,10). Non possiamo dimenticarci dei poveri: è un invito più che mai attuale che si impone per la sua evidenza evangelica.

21. L’esperienza del Giubileo imprima in noi le parole dell’apostolo Pietro: «Un tempo eravate esclusi dalla misericordia; ora, invece, avete ottenuto misericordia» (1 Pt 2,10). Non teniamo gelosamente solo per noi quanto abbiamo ricevuto; sappiamo condividerlo con i fratelli sofferenti perché siano sostenuti dalla forza della misericordia del Padre. Le nostre comunità si aprano a raggiungere quanti vivono nel loro territorio perché a tutti giunga la carezza di Dio attraverso la testimonianza dei credenti.

Questo è il tempo della misericordia. Ogni giorno del nostro cammino è segnato dalla presenza di Dio che guida i nostri passi con la forza della grazia che lo Spirito infonde nel cuore per plasmarlo e renderlo capace di amare. È il tempo della misericordia per tutti e per ognuno, perché nessuno possa pensare di essere estraneo alla vicinanza di Dio e alla potenza della sua tenerezza. È il tempo della misericordia perché quanti sono deboli e indifesi, lontani e soli possano cogliere la presenza di fratelli e sorelle che li sorreggono nelle necessità. È il tempo della misericordia perché i poveri sentano su di sé lo sguardo rispettoso ma attento di quanti, vinta l’indifferenza, scoprono l’essenziale della vita. È il tempo della misericordia perché ogni peccatore non si stanchi di chiedere perdono e sentire la mano del Padre che sempre accoglie e stringe a sé.

Alla luce del “Giubileo delle persone socialmente escluse”, mentre in tutte le cattedrali e nei santuari del mondo si chiudevano le Porte della Misericordia, ho intuito che, come ulteriore segno concreto di questo Anno Santo straordinario, si debba celebrare in tutta la Chiesa, nella ricorrenza della XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, la Giornata mondiale dei poveri. Sarà la più degna preparazione per vivere la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, il quale si è identificato con i piccoli e i poveri e ci giudicherà sulle opere di misericordia (cfr Mt 25,31-46). Sarà una Giornata che aiuterà le comunità e ciascun battezzato a riflettere su come la povertà stia al cuore del Vangelo e sul fatto che, fino a quando Lazzaro giace alla porta della nostra casa (cfr Lc 16,19-21), non potrà esserci giustizia né pace sociale. Questa Giornata costituirà anche una genuina forma di nuova evangelizzazione (cfr Mt 11,5), con la quale rinnovare il volto della Chiesa nella sua perenne azione di conversione pastorale per essere testimone della misericordia.

22. Su di noi rimangono sempre rivolti gli occhi misericordiosi della Santa Madre di Dio. Lei è la prima che apre la strada e ci accompagna nella testimonianza dell’amore. La Madre della Misericordia raccoglie tutti sotto la protezione del suo manto, come spesso l’arte l’ha voluta rappresentare. Confidiamo nel suo materno aiuto e seguiamo la sua perenne indicazione a guardare a Gesù, volto raggiante della misericordia di Dio.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 20 novembre,
Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo,
dell’Anno del Signore 2016, quarto di pontificato.

FRANCESCO

 


[1] In Joh 33,5.

[2] Il Pastore di Erma, XLII, 1-4.

[3] Cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 27.

[4] Messale Romano, III Domenica di Quaresima.

[5] Ibid., Prefazio delle domeniche del Tempo Ordinario VII.

[6] Ibid., Preghiera eucaristica II.

[7] Ibid., Riti di comunione.

[8] Rito della Penitenza, n. 46.

[9] Sacramento dell’Unzione e cura pastorale degli infermi, n. 76.

[10] Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 106.

[11] Id., Cost. dogm. Dei Verbum, 2.

[12] Esort. ap. Evangelii gaudium, 142.

[13] Cfr Benedetto XVI, Esort. ap. postsin. Verbum Domini, 86-87.

[14] Cfr Lettera con la quale si concede l’indulgenza in occasione del Giubileo della Misericordia, 1 settembre 2015.

[15] Cfr ibid.

[16] Esort. ap. postsin. Amoris laetitia, 1.

[17] Cfr ibid., 291-300.

[18] Messale Romano, Veglia Pasquale, Orazione dopo la Prima Lettura.

[19] Lett. enc. Lumen fidei, 50.

[20] Cfr Cipriano, L’unità della Chiesa cattolica, 7.

 

ce la farà il sinodo panortodosso a vedere la luce dopo 60anni di preparazione?

il sinodo pan (?) -ortodosso

di Ioannis Maragós
in “SettimanaNews”

sinodo

Mancano pochi giorni all’inizio del Santo e grande sinodo della Chiesa ortodossa. Il suo presidente, il patriarca ecumenico, ha programmato il suo arrivo a Kolymbari Chania, sede del Sinodo, per mercoledì 15 giugno. Lo si stava preparando da circa 60 anni, e finalmente si saprà quale sarà il suo approdo. Un Sinodo avrebbe dovuto ridare vigore e presenza concreta a ciò che la Chiesa ortodossa intende per “sinodalità” (unità nella pluralità), e avrebbe chiamato la Chiesa a dare la sua testimonianza e il suo carisma nel mondo contemporaneo, poliedrico sotto tutti i punti di vista. L’aspirazione – come ha dichiarato il metropolita Ignazio di Volo – è «di dare testimonianza dell’unità e celebrarla nel Sinodo. Il Santo sinodo si tiene per affermare e confermare l’esistenza dell’unità nel sacramento dell’eucaristia, la fede comune, i sacri canoni e la tradizione teologica»

Il metropolita però è ben conscio dei problemi esistenti, perciò ha aggiunto: «Nell’Ortodossia non abbiamo questioni di primazie. Non dobbiamo lasciarci vincere dalle divisioni dei nazionalismi». Tutto questo impegno e questo sforzo ora rischiano di rivelarsi una spina dolorante nel fianco e una frattura nel profondo dell’unità della Chiesa ortodossa.

In attesa di vedere l’esito definitivo, diamo un piccola rassegna sulle diverse posizioni – così oserei chiamarle – di politica ecclesiastica.

Il Patriarcato delle Russie è a capo delle Chiese che si augurano si rimandi il tutto a tempi più propizi. Il Patriarcato russo ha chiesto al Patriarcato ecumenico di rimandare il Sinodo se nel frattempo non si fossero rimossi gli ostacoli che già dividono alcune Chiese locali, come per es. la Chiesa di Antiochia e la Chiesa di Gerusalemme; non trovandosi in comunione, ciò impedirà loro di compartecipare all’eucaristia durante i lavori del Sinodo. In seguito, hanno avanzato riserve anche le Chiese di Georgia, di Bulgaria e della Serbia, arrivando alla conclusione che, anche se un tale Sinodo si celebrasse, sarà comunque non legittimo perché contrario allo statuto che prevede il comune accordo nella convocazione. Quando è stato chiesto al metropolita Ilarione, incaricato per gli affari esteri del Patriarcato russo, perché, dopo aver sottoscritto tutto in fase preparatoria, ora ritrattassero, ha risposto che già nella fase preparatoria erano emerse divisioni che si sperava vedere superate nel frattempo. Quando la Chiesa di Antiochia ha dichiarato in modo chiaro e distinto le sue ragioni per non partecipare, si sono aggiunte le rinunce delle altre Chiese, Georgia, Bulgaria, Serbia. A quel punto la Chiesa Russa riunita in Sinodo ha chiesto al patriarca ecumenico di convocare una riunione preliminare per affrontare i problemi sorti per poter proseguire di comune accordo. Se questo non si fosse rivelato possibile, chiedeva di rimandare il tutto a un tempo più propizio. Intanto si cercherà di appianare le divergenze. Per il metropolita Ilarione il problema non è del Patriarcato ecumenico ma dell’intera Chiesa Ortodossa. Chiudendo, si è appellato alla prudenza, alla pacatezza e all’umiltà che caratterizzano il patriarca ecumenico, nel prendere la dovuta decisione.

sinodo

Le rinunce a partecipare sono cominciate dal Patriarcato di Antiochia, che non ha trovato all’ordine del giorno il suo contenzioso con il Patriarcato di Gerusalemme, il quale tre anni fa aveva istituito una metropolia a Qatar, tradizionalmente considerato territorio di Antiochia. Antiochia ha dichiarato la rottura della sua comunione con il Patriarcato di Gerusalemme. Dietro questa contesa alcuni non dubitano di vedervi una questione di politica internazionale sullo scacchiere mediorientale più ampio. Si sa che Antiochia si lascia influenzare volentieri da Mosca; si ricorda ancora che il patriarca, storicamente, è passato sotto l’influenza e il “dominio” della lingua araba per la spinta e il supporto della politica zarista in Medio Oriente sul finire dell’800. Si sa che il patriarca di Gerusalemme è grande amico degli emiri del Qatar, che ha costruito, a sue spese, la cattedrale ortodossa a Qatar. Tutti due sono sul versante filo USA.

Il Patriarcato Bulgaro viene considerato un satellite fedele della Russia e non solo nella politica – per cosi dire – ecclesiale. Esso contesta che le sue riserve non sono state recepite nei vari documenti. Le spese sono esorbitanti e si dichiara impossibilitato a conferire il proprio contributo. Sono presenti problemi procedurali, a proprio avviso non ancora presi in seria considerazione, per es. come saranno seduti intorno al tavolo, la procedura dei dibattimenti ecc., che tutelano la sinodalità. È una Chiesa ultraconservatrice, chiusa ad ogni apertura al mondo. Non partecipa al dialogo ecumenico né con la Chiesa cattolica, né con il Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC). È recente il suo riconoscimento come Chiesa autonoma. La sua autonomia dal Patriarcato ecumenico è stata riconosciuta nel 1945. Dopo la caduta del regime comunista, ha rischiato lo scisma interno tra collaborazionisti e non, contezioso ancora non del tutto assorbito.

Il Patriarcato di Georgia è anch’esso un satellite russo. Una Chiesa strettamente chiusa in se stessa. Il patriarca, una volta attivissimo membro del CEC, adesso rifiuta ogni discorso ecumenico. Dal Patriarcato si contesta e si ripudia il documento per le relazioni con il resto del mondo cristiano. Vecchi calendaristi a oltranza, per loro è una questione di fede. Il documento sui matrimoni è ritenuto molto liberale, specialmente quando tratta i matrimoni misti ecc. Il Patriarcato di Serbia è autonomo dal 1920. Il problema con la sua autocefalia è la modalità della sua concessione e del suo riconoscimento. Ha seri problemi con la Chiesa della ex Repubblica jugoslava di Macedonia, auto-dichiaratasi indipendente, e dunque considerata scismatica. Tradizionalmente ha buoni rapporti con il Patriarcato ecumenico e adesso anche con Mosca. Però ha dei problemi con il Patriarcato di Romania, perché questi ha ultimamente nominato dei vescovi per la cura pastorale della gente di lingua romena (vlacho) e risiede nei territori serbi confinanti con la Romania.

sinodo2

Il Patriarcato di Romania si propone come terzo polo dato che non è né di lingua greca né di lingua slava ma neolatina. Con Mosca è in continuo attrito, perché un suo territorio, l’Yperdnisteria, si è staccato dall’obbedienza Romena per avvicinarsi a Mosca.
Il blocco pro Sinodo insieme con il Patriarcato ecumenico

Il Patriarcato di Alessandria, il secondo per ordine d’onore, cerca di tenersi equidistante tra Costantinopoli e Mosca. È forte del suo prestigio di missionarietà in terra africana.

La Chiesa di Cipro ha buoni rapporti con tutti, però si considera il battistrada del Patriarcato ecumenico e il principale sostenitore delle missioni in Africa del Patriarcato di Alessandria, sia in termini di personale sia per i quantitativi di aiuti. Qualche lamento sul Sinodo lo avrebbe, ma non protesta più di tanto. Benché sia di origine apostolica, nella linea di onore la precedono altre Chiese molto più giovani. È una Chiesa estroversa e partecipa a tutte le manifestazioni ecumeniche. Il suo arcivescovo si comporta come paritetico al presidente della repubblica: si esprime in tutto e per tutto anche su temi di politica interna ed estera. Nel suo messaggio per l’imminente Sinodo ha scritto: «Partecipare (al Sinodo) è una dichiarazione di unità e di comune accordo, per questo consideriamo ogni altra presa di posizione o proposta dell’ultimo momento come minaccia per l’unità (della Chiesa) e la responsabilità sarà a carico di tutti coloro che, anche non volendo, contribuiranno alla sua rottura». La Chiesa della Grecia si considera custode della nazione greca, dell’ortodossia e del Patriarcato ecumenico. È vero che le sue relazioni col Patriarcato a volte appaiono burrascose, ma restano sostanzialmente buoni fratelli. Nei momenti difficili per il Patriarcato ecumenico, è sempre al suo fianco. I problemi si concentrano attorno alle cosiddette “nuove terre”, cioè il Nord della Grecia che, nel 1912, sono state annesse allo Stato greco allora esistente solo al Sud, dopo le guerre balcaniche contro l’allora Impero ottomano, ma non alla Chiesa della Grecia. Solo più tardi si è trovato un compromesso. Le metropolie del Nord sono state affidate alla cura pastorale della Chiesa della Grecia ma non giuridicamente alla Chiesa della Grecia. Altri problemi sono la presenza e la funzione dell’Ufficio di rappresentanza del Patriarcato in Atene. Per molti greci costituisce un grosso problema che il patriarca ecumenico debba essere per forza un cittadino turco. Negli ambienti conservatori non sono ben viste le aperture ecumeniche del Patriarcato. Quanto al Sinodo, contestano l’uso dei termini “Chiesa”, “Chiese”, “«comunità cristiane” e “confessioni”, e si sono riservati il compito di porre il problema in assemblea.

La Chiesa dell’Albania è una Chiesa piccola ma dinamica, malgrado le pressioni e le angherie che subisce ad ogni pie’ sospinto dallo Stato albanese. Attivissima in tutti i forum interortodossi, intercristiani, interreligiosi. L’arcivescovo di Albania Anastasios scrive: «È evidente che i problemi sono tanti. Appunto per questo si deve celebrare il Grande e santo sinodo. Altrimenti i problemi non si risolvono. Il rinvio ferirà profondamente l’autorevolezza internazionale della Chiesa ortodossa». La Chiesa autocefala di Polonia è già a Creta. I vescovi della Cechia, che in un primo momento hanno mostrato perplessità a partecipare, hanno ritrattato le loro precedenti prese di posizione contro il Patriarcato dichiarandosene pentiti, e parteciperanno.
Cosa sarà questa riunione, se si farà Per i russi e alleati sarà un’assemblea illegittima, se si lavorerà senza cinque Chiese, malgrado si autoproclami Grande e santo sinodo della Chiesa ortodossa. Altri, i più ottimisti, sostengono che sì, la mancanza di alcune Chiese sarà un disguido, ma la natura dell’assemblea si chiarificherà dal peso che assumerà nella coscienza ecclesiale. Il Sinodo successivo a quello di Creta deciderà del suo carattere ecclesiale. Non è un grande male che non siano presenti tutti i convocati, visto che nemmeno nei grandi sinodi ecumenici del passato erano tutti presenti. Se sarà o no considerato come vero sinodo, oppure qualcosa d’altro, dipenderà dalla ricezione nella coscienza del santo popolo fedele. Di certo si affrontano due linee, quella ecumenica, con la sua ansia di mostrare e testimoniare la presenza della Chiesa nel mondo contemporaneo, e la linea del particolarismo nazionale che coltiva lo star bene nei propri territori e la custodia di uno stile di vita tradizionale, cercando semmai di rinvigorirlo in qualche modo, perché sappiamo cosa sia il passato ma non il futuro, e questo fa paura. Sicuramente, un certo tipo di nazionalismo religioso – della nazione santa da Dio protetta – presente nella parte orientale del’Europa non è assente nemmeno in alcune Chiese cattoliche. La teoria della “terza Roma” e il mito della Roma città eterna sopravvivono eccome. Vi è qui un grosso problema da risolvere una volta per tutte, almeno nella Chiesa Ortodossa: la Chiesa nazionale, la sua natura, il suo territorio, il suo governo; non basterebbe un sinodo intero per risolverlo. Un altro concetto, sia teologico sia pratico, è illustrare, in qualche modo descrivere e regolamentare, la cosiddetta sinodalità di cui tutti parlano. Tutti la annunciano come fosse la medicina per ogni male. Sarebbe un’ottima occasione per la Chiesa ortodossa di dare una buona lezione a tutti gli altri – cattolici, protestanti, chiese libere ecc. – ma pare che tra il dire e il fare ci sia di mezzo il mare. Certo, si è creato il caso della non convergenza tra le Chiese sul da farsi. La questione è: ci si dati da fare per risolverlo o se si è approfittato per invitare chi di dovere – il primus inter pares – a non cercare di aumentare il proprio prestigio – si voglia o no, sarà in prima fila – e ricordargli che “ci siamo anche noi”? La sinodalità dovrà essere vissuta secondo forme paritarie. Il problema viene creato e alimentato per costringere il primus a interpellarli e risolverlo. In chiusura, avendo davanti gli occhi tanta violenza che serpeggia nel mondo, il nichilismo imperante, il dominio dell’economia, lo sfascio della famiglia, l’edonismo che avviliscono e annullano la persona umana, di che cosa ci occupiamo noi – cattolici, ortodossi, protestanti, Chiese libere – che ci onoriamo del nome cristiano? A chi assomigliamo: all’imperatore Costantino oppure al Nazareno pellegrino che ai suoi discepoli nomadi raccomandava «Chi vuole essere il primo sia il servo di tutti»?

l’opinione pessimista di don Farinella sull’inutilità del sinodo, con più di qualche ragione …

SINODO INUTILE PERCHÉ SUPERFLUO 

di Paolo Farinella, prete

Don-Farinella
  non mi sono affatto entusiasmato al 2° Sinodo sulla famiglia perché avevo il sentore che sarebbe stato un esercizio di prova di forza, come è stato e come gli ultimi avvenimenti maleodoranti stanno dimostrando

Premetto che un sinodo sulla famiglia avrebbe dovuto essere pieno di «famiglie» di ogni specie perché, come vuole il Papa, con «metodo sinodale» potessero riflettere sulla realtà alla luce del vangelo e non delle astrazioni dei principi, a loro volta evaporati da altre astrazioni. Parafrasando alla buona, «codesto» sinodo ha discusso del sesso degli angeli, per concludere che deve essere e restare competenza di uomini, celibi (si fa per dire!) e omosessuali attivi e passivi, purché non conclamati. Uomini che teoricamente dovrebbero essere celibi e/o vergini, quindi digiuni di sesso, per giunta vecchi prostatici con pannolone a seguito, che discutono di famiglia per dire chi e cosa deve essere, non fa ridere nessuno. Uomini che predicano la continenza come principio astratto, visto come va la realtà nel mondo – pedofilia generalizzata, scandali sessuali a tutti i livelli, il Vaticano covo di depravati compulsivi e ossessivi, vescovi africani e non con l’harem nei rispettivi episcopi, figli di preti e vescovi, che chiamano «zio» quello che tutti gli altri non figli chiamano «padre», ecc. – costoro hanno la presunzione di parlare di famiglia. Non sarebbe ora che tacessero? Viene voglia con Totò di liquidarli con un irriverente «Ma mi faccino il piacere!». Il vero tema di questo Sinodo non èné la fsamilgia né i divorziati né altro, ma uno solo:: «Bergoglio sì, Bergoglio no!». Divorziati, omosessuali e tutto il resto sono armi di distrazione di massa su cui il Sinodo non dirà nulla se non per rimescolare il brodo di sempre con la stessa arte mistificatoria del passato e del presente, nostante «questo» Papa ci provi, ma un Papa non ha mai fatto primavera come la rondine del proverbio. Ciò che conta è la volontà contraria a qualsiasi riforma della Chiesa, seppur timida che questo Papa sta cercando di fare, avendone coscienza certa.  Finché giocava al Francesco del III millennio, era anche divertente, ma ora che comincia a dire di riformare il papato, decentrando ai vescovi ciò che il Vaticano I ha usurpato, concentrandolo in una sola funzione, garantita dall’infallibilità per eliminare ogni forma di comunione ecclesiale, il rischio è grande e bisogna porvi rimedio. Francesco deve essere fermato, costi quel che costi.  Tutti sanno che il Papa infallibilmente sbaglia, ma nesusno deve saperlo, solo la curia romana che appunto si è assunta il ruolo di super garante papato, al di sopra di Dio, di Cristo e dello Spiritoso Santo, ameni ammennicoli per confondere chi crede di credere. Le lobby, i miscredenti in porpora cardinalizia, i puttanieri di ogni specie e risma si sono svegliati e ora usano le armi di sempre a disposizione dei cortigiani e degli individui senza onore e senza volto: la delazione, la falsità, le voci incontrollate. «À la guerre comme à la guerre, pecché ‘ccà nisciuno è fesso!». Il primo a essere mobilitato fu un monsignore polacco che si dichiarò omosessuale con compagno convivente, la vigilia del Sinodo, con libro della sua vita già pronto per la stampa (quando si dice l’improvvisazione!). Costui era alla Congregazione della Fede, cioè un commissario che riduceva allo stato laicale i preti che si dichiaravano omosessuali «visibili». Esilarante.  Il secondo fatto riguardò i tredici cardinalazzi prostatici e gelosi che in pieno Sinodo accusano il Papa di manovrarne la gestione, salvo poi rinnegare e scoprire che circolano diverse edizioni della stessa lettera che avrebbe dovuto essere riservata e che invece è più pubblica che mai. Il cardinale perde il pelo, ma non il vizio di rotolare nella sentina.  Il terzo colpo, che avrebbe dovuto essere il «colpo di grazia» a Bergoglio, è stata la falsa notizia del tumore benigno (bontà loro!) al cervello per dire che le scelte del papa sono frutto della sua malattia e quindi dell’instabilità razionale: un papà malato e fuori controllo, motivo sufficiente perché dia le dimissioni o si tolga di mezzo o si suicidi, magari con il conforto degli ultimi sacramenti, purché sia chiaro e garantito che siano veramente gli ultimi.
Teologia addomestica (e ridicola)  Tutti coloro che contestano il Papa, dai secoli dei secoli, hanno sempre sostenuto che egli è eletto per «ispirazione dello Spirito Santo» e, infatti, nei giorni del conclave, si sgolano a cantare il «Veni, creator Spiritus», venticinque ore al giorno. Il motivo è semplice: finché il Papa pensava come loro, lo Spirito santo sceglieva bene, ma se un Papa osa «venire dalla fine del mondo» e si discosta dal loro pensiero, lo Spirito Santo da colamba si trasforma in piccione che bisogna fucilare subito. Come osa lo Spirito Santo fare eleggere un Papa che non pensa come la curia? La legge divina è codificata da sempre nel principio che «I Papi passano, la Reverenda Curia resta». I Papi che dovessero dimenticare questo principio essenziale, non possono essere eletti da Dio, ma sono figli di satana che bisogna eliminare «fisicamente». Questo è attualmente lo stato dell’arte. Posso dire questo tranquillamente perché non ho mai creduto nella presenza dello Spirito Santo o di chiunque di pari grado a lui, nell’elezione del Papa, frutto di macchinazioni, trame, accordi più o meno immorali, di promesse e smentite, di ricatti e … di puttanate varie. Sono certo che al momento del conclave, lo Spirito Santo, messi sull’asino Maria, Gesù e Giuseppe, si trasferisce alle Settechelles, aspettando che passi la buriana e poter dire: «Guardate che io non c’entro, ero fuori in vacanza, e se per caso c’ero dormivo della grossa».   Nota letteraria. Nel mio penultimo libro «Cristo non abita più qui», ilSaggiatore, Milano 2013 documento con ampia dovizia la cloaca che fu il Vaticano al tempo del bieco cardinale Tarcisio Bertone e che continua ancora cercando di riprendersi dallo shock delle dimissioni di Benedetto XVI. Riporto anche nomi e cognomi dei caridnali che mandavano i servi «ad latrinas» al tempo del conclava in cui venne eletto Alessandro VI, a trattare denari, rpebende e scambi in cambio dei voti. Avevo consigliato l’editore il titolo per me più vero: «Vaticano, Dio è altrove», ma il laico editore non se l’è sentita, eppure è ancora attuale e vero.  Anche il conclave è cosa umana e come ogni cosa umana è sotto l’egida della Provvidenza che, infatti, ogni tanto rompe le uove e la frittata viene col buco. I difensori italiani dello Spirito Santo, grande elettore, devono spiegare come mai nell’ultimo conclave abbiamo deciso, «prima» di chiudersi dentro, che il papa sarebbe stato con certezza Angelo Scola, sangue di CL, uomo senza pensiero, ma garante di equilibri di potere e di affari. Un minuto dopo la fumata bianca e tre minuti prima che il protodiacono anunciasse la scelta di Bergoglio a Papa Francesco, la segreteria della Cei, guidata dal card. Angelo Bagnasco, inviò a nome della Chiesa Italiana (ma come si permettono?) gli auguri alla Diocesi di Milano con le congratulazioni per l’elezione a Papa di Angelo Scola. Dov’è in tutto questo lo Spirito Santo? Forse c’entra lo Spirito di Vino perché solo una manica di ubriachi può fare una cosa del genere. Immagino la folla inneggiante il nuovo papa amborsiano: «Scolapapa! Scolapapa!». Questa gente travestita da donna, se veramentre credesse in Dio e  nello Spirito santo, avrebbe trascorso i giorni dopo le dimissioni di Ratzinger e l’elezione di Bergoglio, chiusi nelle rispettive chiese in ginocchio, digiunando a pane e acqua (o anche senza e non avrebbero patito!) a pregare, pregare, pregare perché lo Spirito scegliesse un Papa secondo il suo cuore e non secondo le fisime di questo o quel cardinale da strapazzo, bacato nel cervello anche senza tumore.  In che mani siamo! Pochi hanno prestato attenzione, sinodo in corso, a un’intervista volante del «Corriere della Sera» (13 ottobre 2015) al Card. Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della Congrezione della Dottrina della Fede, la prima delle Congregazioni curiali a costante contatto con il Papa.  In gergo vaticano, la congregazione è chiamata «La Suprema», considerata la rilevanza che ha su tutta la curia. A quanto mi risulta, solo il fine e raro teologo liturgista Andrea Grillo ne ha colto la portata, pubblicandone il testo sul suo blog nello stesso giorno, con il titolo: «Il card. Mueller e “quel pasticciaccio brutto…”» (http://www.cittadellaeditrice.com/munera/il-card-mueller-e-quel-pasticciaccio-brutto/ ). Le affermazioni del cardinale, custode dell’ortodossia della fede cattolica, sono il vero «evento» prima, durante e dopo il Sinodo perché dicono «dove» e «in che» mani siamo. Leggendole, sono rimasto esterrefatto, capendo definitivamente, se mai ve ne fosse stato bisogno, che non ci sarà salvezza né per il Vaticano né per le congreghe, né tanto meno per la curia. Il Vaticano II è stato solo un piccolo incidente di percorso che occorre rimediare anche se ci si dovesse impiegare tre secoli.  La colpa di «questo Papa» è quella di volere riformare la struttura della Chiesa e d’imporre, almeno con il suo esempio, un modello di vita che s’ispira al vangelo, cposa del tutto estranea dall’orizzonte esistenziali di qyasi tutti i curiali e di molti prelati e pelati. Tutto ha un senso, perché non è possibile che il cardinale prefetto della «Dottrina della Fede cattolica» abbia detto quello che ha detto, solo perché è tradizionalista. Che discorsi sono codesti? Un concilio è un concilio che ha qualche elemento di superiorità su qualsiasi cardinaluccio avvizzito e tisicuccio.  Oltre le ovvietà sulla lettera dei tredici travestiti con la sottana color porpora, di cui egli è stato uno dei firmatari, l’eminente cardinale Müller fa affermazioni sull’Eucaristia che incutono brividi,
riportandoci indietro oltre gli anni ’50 del secolo scorso, come se dopo nulla fosse accaduto. Afferma il rubro cardinale:  «Le persone soffrono perché i loro matrimoni sono rotti, non perché non possano fare la comunione. PER NOI IL CENTRO DELL’EUCARISTIA È LA CONSACRAZIONE, OGNI CRISTIANO HA IL DOVERE DI VENIRE A MESSA MA NON DI FARE LA COMUNIONE» (sott.mia).  BVOcciato in teologia sacramentaria e liturgia. Il centro dell’Eucaristia-sacramento, è la Dossologia, cioè l’offerta alla fine della preghiera eucaristica: «Per Cristo, con Cristo e in Cristo» che è il vero offertorio di tutta l’Eucaristia. Solo lì abbiamo la certezza di offrire la Vita di Cristo al Padre che la riceve per ridarcela immeditamante come Comunione, pane e vino, per alimentare la nostra vita con «il pane della vita» (Gv 6,48) per affrontare l’Eucaristica dell’esistenza che inizia appena varcata la soglia dell’Assemblea eucaristica. Da sempre concludo l’Eucaristia con le parole: «Finisce qui la celebrarione del rito, comincia adesso l’Eucaristia del sacramento della testimonianza».
Centro e periferia Dire come fa il cardinale non-teologo che il centro dell’Eucaristia è la «consacrazione» è affermare la natura magica del rito, quasi che le parole dette sul pane e sul vino siano una formula tecnica all’abracadabra. Nel NT vi sono tre formule diverse di quello che Gesù ha detto (1Cor 11,24 [cf Lc 22,19]; Mc 14,22; Mt 26,26-29) e quelle parole non sono il centro del Sacramento eucaristico, ma sono solo parte di una «narrazione di quello che Gesù ha fatto» perché noi ne avessimo «memoriale» di generazione in generazione. Affermare che quelle parole hanno un’importanza esclusiva, significa pensare come si pensava ai tempi di Pio X che bastasse che un prete fosse andato in un forno o in un bar e avesse detto le fatidiche parole «Questo è il mio corpo», «questo è il mio sangue» che tutto il forno si trasformava in un deposito del Corpo di Cristo  e il bar in una cantina con Sangue di Cristo. È la tesi sostenuta nel romanzo Lo Spretato di Herve Le Boterf, Garzanti, Milano 1967. I preti, al momento della consacrazione, infatti, si sdraiavano sul pane e sul calice e pronunciavano le parole sil-la-ban-do-le per essere sicuri della loro efficacia immediata, senza rendersi conto che celebravano un «memoriale» nel senso dinamico di «zikkaròn» ebraico in quanto ciò che celebri è richiamo e simbolo di ciò che è accaduto; Dio è colui che è stato (il vero senso del nome Yhwh).  Nessuna consacrazione è possibile senza la proclamazione della Parola che dà senso ai gesti e alle parole. Posso andare in tutti i forni del mondo e dire tutte le parole della consacrazione in latino, in greco, in ebraico o come voglio, che non succede nulla, se non che tutto resta come prima. Il custode della fede dovrebbe custodire la fede che ci è stata consegnata dal Vaticano II che lui ha l’obbligo di difendere e obbedire. Il concilio ha sviluppato e approfondito il concetto di «sacramento» e di «Eucaristia»: tutti e due non si identificano con la comunione e il «sacramento» non è il Pane conservato nel tabernacolo, tradizione storicamente recente (sec. XVI), ma con la celebrazione comunitaria, alla fine della quale si conserva il Pane per chi è impossibilito ad accedere all’assemblea celebrante. Eucaristia è il processo che dalla mensa della Parola di Dio proclamata transita alla mesna del Pane e del Vino in forza di Gv 1,14: «Il Lògos carne/fragilità fu fatto». Dire che tutti hanno il dovere di andare a Messa è dire una sciocchezza che nessun catechista oggi insegna ai bambini perché tutti sanno che non è più sufficiente «assistere» fisicamente alla Messa per partecipare al «memoriale» del Signore, ma è indispensabile accostrasi da penitenti, ascoltare la Parola, attualizzare la stessa Parola, compiere gesti profetici di pace prima di presentare l’offerta all’altare, rivivere quello che Gesù ha detto e ha fatto (memoria della Cena), essere in comunione con i fratelli e le sorelle di tutto il mondo, misticamente rappresentati dall’assemblea, e infine tornare alla vita di ogni giorno e con la forza di quel pane affrontare tutte le difficoltà e l’onere della profezia che il sacramento esige (cf 1Re 19,8).  Due Comunioni  Poiché la Comunione è il rapporto d’intimità con il Cristo di Dio, Pane disceso dal cielo (cf Gv 6,41.58) il cardinale della fede non sa che nella Messa ognuno di noi fa la Comunione due volte:   a) La prima volta attraverso l’organo degli orecchi, ascoltando la Parola, il Lògos proclamato come irruzione di Dio nell’oggi della Chiesa: «Oggi si è compiuta questa parola nei vostri orecchi» (Lc 4,21, traduzione letterale). (Il profeta Ezechiele deve «mangiare il rotolo» (Ez 3,1-4) e come può farlo se non ascoltando?  Nel prologo della 1Gv noi «tocchiamo il Lògos della vita» (1Gv 1,1.4). b) La seconda volta facciamo la Comunione attraverso la bocca, mangiando il Pane/Corpo e bevendo il Vino/sangue che simboleggiano la Vita di Cristo. Ascoltare e mangiare, orecchi e bocca. È forse la bocca più privilegiata degli orecchi? Non sono forse strumenti ambedue allo stesso titolo, con soltanto una differenza modale?  Se avesse ragione il cardinale, allora i divorziati e chi non fa la comunione con la bocca, dovrebbe andarsene prima che cominci la proclamazione della Parola perché rischierebbe di fare la Comunione con gli orecchi. L’Eucaristia non è puzzle da comporre, ma un «unicum», un evento, un «kairòs», è l’invito a una mensa, non una rappresentazione rituale condizionata. Non vi sono alternative: o si partecipa a tutta l’Eucaristia o si sta a casa, rigettando la chiamata dello Spirito che convoca attorno al Cristo, proclamato sul mondo per dire a tutta l’umanità che Dio è il Padre di tutti e ciascuno ha diritto a incontrarlo e ad accedere alla sua paternità perché Gesù è il «Lògos/fragilità» che si offre gratuitamente e senza condizioni.  Il teologo Grillo coglie la portata dell’affermazione e commenta le parole del cardinale Müller:   «Sono almeno 100 anni – da Pio X in poi – che la “assistenza alla messa” come precetto non corrisponde più al “dovere” del cristiano cattolico. E il Cardinale sembra offrire come soluzione quello che è un problema forse ancora più grave: la separazione tra sacramento e sacrificio non può essere una soluzione per chi vive la separazione matrimoniale. Una separazione non cura l’altra. Per di più, che “per noi” il centro della Eucaristia sia la consacrazione – contrapposta alla comunione in una inattesa ripresa di spirito antiluterano – mi sembra francamente una soluzione peggiore del male».  La teologia del cardinale è ancora preconciliare e intrisa di spirito «antiluterano» che non è stata scalfita per niente dal concilio Vaticano II e costui è a capo della Congregazione che dovrebbe «custodire» la fede cattolica! In che mani siamo!  Non ha fatto alcuno sforzo per cercare di capir eche «sacramento» non è sinonimo di «rubrica», ma è «segno» dell’evento che ci obbliga a prendere posizione con al vita e non l’assistenza alla Messa. Costoro partono dal presupposto di essere «la Verità» e chiunque si discosta dal loro pensiero, è un diavolo da sprofondare nell’inferno.  Nota di folclore genovese. Fino ad alcuni anni dopo il concilio Vaticano II a Genova, nella parrocchia della N.S. delle Grazie e di San Girolamo di corso Firenze, il parroco, Mons. Francesco Urbano, aveva fatto installare due semafori sulla testa della porta, uno verde e uno rosso. Quando cominciava la Messa, dall’altare accendeva il verde, un momento prima di svelare il calice, accendeva il rosso. Da quetso momento «la Messa non era più valida» per cui i ritardatari erano avvertiti o di andare altrove o di essere certi di avere compiuto «un peccato grave». Quando si arriva a simili aberrazioni, è facile poi diventare cardinali alla Müller o similari.   A parte l’obbrobrio di definire la Messa come «un obbligo», ma mettere il semaforo prima dello spogliarello del calice è troppo anche per gli spiriti più mondani della terra! Eppure questa era la realtà e, a mio parere, una delle cause della scristianizzazione di oggi, di cui il card. Müller non sembra nemmneno accorgersi.   Matrimonio sacramento e Chiesa Non c’è testo di matrimonio o discorso clericale che non faccia i gargarismi con l’affernare la sacramentalità del matrimonio perché Gesù era presente alle nozze di Cana (cf Gv 2,1-11). Poveri illusi! Non si rendono conto che il racconto dello sposalizio di Cana con il matrimonio-sacramento non c’entra nulla, perché l’evangelista non parla affatto di matrimonio, visto che la sposa è assente e lo sposo è solo coreografico per essere rimproverato perché non ha calcolato bene la quantità e qualità di vino. Il racconto è un midràsh di Es 19 (arrivo al Sinai e dono della Toràh) in chiave di alleanza. Che un matrimonio senza sposa possa essere un sacramento nemmeno la Santa Trinità, unificando gli sforzi e le competenze dei tre, potrebbe realizzarlo.  Un Sinodo fuori tempo massimo Da 40 anni insegno che nessuno può abdicare dalla propria coscienza istruita e informata. Se il Sinodo si fosse tenuto negli anni ’60 o al massimo al più tardi nei ’70 del secolo scorso, avrebbe avuto senso, ma tenerlo oggi nel 2015, è fuori tempo massimo e i Padri Sinodali, come si dice a Genova, «pestano l’acqua nel mortaio». Paolo VI nel 1968 si fece impaurire dalla minoranza ex conciliare e s’impaurì da solo, pubblicando, contro il parere della maggioranza e di scienziati di ogni genere e specie, l’enciclica «Humanae vitae», lo spartiacque che inabissò la gerarchia in un buco nero da cui non si è più sollevata: il popolo di Dio si separò dalla gerarchia è cominciò a usare pillole e contraccettivi come fossero caramelle, con buona pace del Papa e dei cardilmerluzzi, soddisfatti di avere affermato il principio della «natura» (ohibò, la natura!), perdendo tutto il popolo. Uno scisma, ma ben chiaro: lo scisma della gerarchia dal proprio popolo, quello che conserva il «sensus fidei».  Fare un Sinodo oggi, dopo oltre mezzo secolo dall’«Humanae Vitae» e stare ancora a discutere «comunione sì, comunione no», mettendo anche da parte le parole inequivocabili del vangelo, significa perdere tempo, perché «la gente» va per conto suo, infischiandosene di cardinali, papi e preti che non hanno perso il vizio di gridare al peccato, salvo poi ritrovarsi a fare le più miserevole porcate, giustifcandosi in ogni modo.  Ammesso e non concesso che i divorziati siano «peccatori» (ma mai quanto i cardinali che scrivono lettere anonime, o sputano sullo Spirito Santo), Gesù nel vangelo dice di essere vneuto per i peccatori e ogni volta che ne incontra uno, si siede a tavola e mangia con lui (cf Mc 2,16), «amico dei peccatori e dei pubblicani» (Mt 11,19). Non solo, ma in Lc 15,1 l’evangelista ci tiene a sottolineare che «si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano» (Lc 15,1-2). Questa è la foto della chiesa di oggi: i pubblicani e i peccatori si avvicinano per merito anche di Papa Francesco, mentre scribi e farisei mormorano nell’oscuro e tramano nell’ombra da vigliacchi: lanciano sempre un sasso o una serie di sassi, ma ritirano subito la mano, assumendo l’aria degli gnorri.  Una testimonianza La mia chiesa è frequentata da molti separati e divorziati e risposati e tutti fanno la comunione e non da oggi. Non c’è voluto un sinodo per sapere ciò che la coscienza conosceva già. Tutti partecipano all’Eucaristia e concelebrano l’Eucaristia in forza del principio che i sacramenti sono per il popolo santo di Dio (cf Eb 5,1), popolo in ricerca e assetato di Dio, popolo di santi e di peccatori, «ecclèsia casta et meretrix» (Cf SANT’AMBROGIO, Commento al Vangelo di Luca, III, 17-23, PL XV: 1681; cf CESARIO DI ARLES, Sermo 116, PL XLVII: 759; SAN’AGOSTINO, Quaestionum in Heptateuchum libri septe, Lib. 6, Quaestio Iesu Nave, 2, PL XXXIV:775; San Girolamo, Tractatus LIX in Psalmos, Psalmus 86, PL XXVI:1150),  Da tempo, da molto tempo abbiamo superato l’aspetto legalistico esteriore e abbiamo portato tutto alla relazione della fede che non ha gli stessi obblighi della religione. Questa, la religione, ha il compito di nascondere Dio e di oscurarlo a favore della casta sacerdotale che non avrebbe senso se il popolo potesse incontrare Dio. Quella, la fede, ha bisogno di cuore e di amore, di ansia e di desiderio per realizzare l’incontro fisico tra Dio e il credente che mette in discussione la propria esistenza perché vale la pena scoprire l’amore di Dio. In 43 anni di vita da prete mi sono sempre preoccupato di rendere possibile l’incontro con Gesù e alimentare il desiderio di Dio, non mi sono mai preoccupato di condannare preventivamente o in forza di una legge canonica. Aiutare le persone a disporsi a una relazione d’amore è cosa ben diversa che volere che assistano alla Messa.  Consiglio non richiesto al card. Gerhard Ludwig Müeller: studi un po’ meglio la teologia cattolica e poi venga, e se vuole, possiamo cominciare a discutere anche di altro, anche di Comunione ed Eucaristia. Nel frattempo rassegni le dimissioni dalla Congregazione della Dottrina della Fede.

PS. Nel mio ultimo libretto, appena edito, «Peccato e Perdono» (Gabrielli Editore, 2015), affronto dal punto di vista biblico e teologico la nozione di peccato come ci è arrivata da Sant’Agostino in poi per arrivare a mettere in discussione lo stesso «peccato originale» che non sta in piedi né dal punto di vista biblico, né da quello teologico; avanzo una proposta che mi riprometto di riprendere e approfondire. È un passaggio obbligato per respirare un minimo di libertà e operare il passaggio dalla religione alla fede. Quanto meno a facilitarlo.
Paolo Farinella, prete

il sinodo è chiuso: ma porterà frutto? papa Francesco è ottimista

papa Francesco chiude il sinodo

“è stato faticoso, ma porterà frutto”

dopo il voto dell’assemblea al documento, con il risicato placet sulla comunione ai divorziati risposati, Bergoglio ricorda: “Oggi è tempo di misericordia”. E mette in guardia dalla tentazione di “imporre tabelle di marcia al popolo”

di ANDREA GUALTIERI

Le parole di Bergoglio sembrano evocare lo spirito con il quale è stato redatto il documento finale del sinodo, al quale l’assemblea ha votato il placet con una maggioranza che però è stata risicatissima su due passaggi in particolare, quelli relativi ai divorziati risposati. Sono stati 178 i voti a favore del paragrafo che parla della comunione per chi vive seconde nozze, 187 quello che invita a una loro maggiore integrazione nella vita ecclesiale. Ampia invece la maggioranza sul passaggio che chiede attenzione e rispetto per gli omosessuali, ma solo perché si è evitato di far riferimento alle situazioni relative all’affettività e si è bocciata ogni possibile apertura alle unioni gay.

Le conclusioni del sinodo, affidate al Papa, chiedono comunque un intervento di Francesco con un documento dedicato alla famiglia. E c’è da attendersi che la richiesta verrà esaudita. Sin dall’inizio del pontificato, Bergoglio ha infatti portato alla ribalta i temi delle famiglie ferite. E anche nell’omelia di commiato dal sinodo ha invocato attenzione sulle situazioni concrete dei fedeli. “Gesù – ha detto – mostra di voler ascoltare le nostre necessità. Desidera con ciascuno di noi un colloquio fatto di vita, di situazioni reali, che nulla escluda davanti a Dio”. Tornando al mendicante del Vangelo ha poi aggiunto, riferendosi agli apostoli: “Se Bartimeo è cieco, essi sono sordi: il suo problema non è il loro problema. Può essere il nostro rischio: di fronte ai continui problemi, meglio andare avanti, senza lasciarci disturbare”.

 “Grazie fratelli, cerchiamo Dio nell’uomo vivente”

proposte dei teologi spagnoli al sinodo

DICHIARAZIONE  DEI MAGGIORI TEOLOGI SPAGNOLI SUL SINODO DEI VESCOVI

Vaticano

non appartiene alla Fede della Chiesa il fatto di mantenere intatto un determinato modello di famiglia, proprio di un tempo e di una cultura. Secondo i vangeli, Gesù di Nazareth fu profondamente critico col modello di famiglia del suo tempo e della sua cultura

 pertanto, l’ “Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII” considera necessario presentare al Sinodo dei Vescovi che si sta celebrando a Roma le seguenti proposte:

1. crediamo che bisogna rispettare le differenti identità, opzioni ed orientamenti sessuali come espressione della pluralità di forme di vivere la sessualità tra gli esseri umani. Di conseguenza, devono riconoscersi nella Chiesa cattolica l’omosessualità ed i matrimoni omosessuali in uguaglianza di condizioni dell’eterosessualità e dei matrimoni eterosessuali. Non devono essere escluse le persone cristiane omosessuali da nessun compito, attività e responsabilità ecclesiale come neanche dalla partecipazione nei sacramenti.
Non sembra armonizzarsi il rispetto alle persone non eterosessuali con la loro esclusione da determinate funzioni ecclesiali, come per esempio l’esercitare il diritto ad essere padrino o madrina in un battesimo o dall’esercitare il ministero sacerdotale e teologico. Esclusioni entrambe che si sono prodotte recentemente nella diocesi di Cádiz a danno di un transessuale e nella Congregazione per la Dottrina della Fede a danno di un sacerdote omosessuale, fatti questi che dimostrano una chiara discriminazione in ragione dell’orientamento sessuale e smentiscono l’idea tanto ripetuta nei documenti del magistero ecclesiastico di accoglienza verso le persone non eterosessuali.
2. crediamo che deve essere riveduta la condanna indiscriminata dell’interruzione volontaria della gravidanza da parte del magistero ecclesiastico. Consideriamo necessaria la deroga del canone 1398 del Codice del Diritto Canonico che decreta la scomunica per chi effettua l’aborto, se questo si effettua, e che è contraria all’assoluzione del peccato di aborto decretata da papa Francesco con motivo del Giubileo Straordinario della Misericordia. Ugualmente si deve rispettare il diritto delle donne a decidere in coscienza in questa materia.
3. non esistono ragioni bibliche, teologiche, storiche, pastorali, e meno ancora dogmatiche, per escludere uomini sposati né le donne da nessun ministero ecclesiale, ordinati o non ordinati. L’uguaglianza dei cristiani e cristiane nel battesimo deve tradursi in condizioni uguali per uomini e donne per l’accesso all’ambito della cosa sacra, nell’elaborazione della dottrina teologica e morale come nella partecipazione alle responsabilità ecclesiali e negli organi direttivi, senza discriminazione alcuna per ragioni di genere, etnia o classe sociale. Per questo chiediamo che vengano eliminati gli ostacoli ideologici, culturali e disciplinari di carattere sessista e si porti a termine la piena incorporazione delle donne negli ambiti indicati, compreso l’accesso al sacerdozio e all’episcopato.
4. in relazione al divorzio, non esiste dogma di fede che l’ostacoli, come neanche che proibisca l’accesso delle persone separate o divorziate volte a risposarsi all’eucaristia. L’attuale disciplina esclusoria in questa materia, comprensibile per il passato, oggi non ha giustificazioni ed è lontana dall’avvicinare la gente in queste circostanze alla comunità cristiana, la emargina, l’allontana e la stigmatizza. Inoltre, non ha fondamento evangelico. Crediamo pertanto che il Sinodo dei Vescovi deve eliminare tale proibizione, attualmente vigente, e deve facilitare l’accesso alla comunione eucaristica alle persone separate o divorziate intenti a sposarsi senza imporr loro esigenze correttive alcune. Le persone credenti sono soggetti morali con capacità per decidere liberamente in coscienza in questo ambito. Dette decisioni devono essere rispettate.
5. è necessario riconoscere gli importanti avanzamenti portati a compimento dal femminismo nell’uguaglianza tra uomini e donne e nella liberazione di queste.
Alla luce di questi avanzamenti deve essere riveduta la struttura patriarcale della dottrina e la pratica sul matrimonio cristiano.
6. il Sinodo non può ridursi alle questioni relative al matrimonio cristiano. Crediamo prioritario che faccia un’analisi della situazione della povertà e dell’esclusione sociale nella quale si trovano milioni di famiglie, il sinodo denunci profeticamente, esprima la sua solidarietà alle famiglie più vulnerabile e contribuisca all’eliminazione delle cause di detta situazione dall’opzione etica-evangelica delle persone povere ed emarginate.

firmano questa Dichiarazione:

Xavier Alegre. Asociación de Teólogos y Teólogas Juan XXIII. España
José Arregi. Teólogo. España
Olga Lucía Álvarez. Asociación Presbíteras Católicas Romanas. Colombia
Juan Barreto. Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII. España
Fernando Bermúdez, Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII. España
Leonardo Boff. Ecoteólogo, miembro del Comité de la Carta de la Tierra y escritor. Brasil
Ancizar Cadavid Restrepo. Teólogo. Colombia
José María Castillo. Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII. España
José Centeno. Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII, España
Juan Antonio Estrada. Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII. España.
Máximo García. Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII. España
Antonio Gil de Zúñiga. Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII. España
Ivone Gebara. Teóloga y filósofa. Brasil
Hernández Fajardo Axel. Profesor Jubilado de la Escuela Ecuménica de las Ciencias de Religiones. Universidad Nacional. Costa Rica
Rosa María Hernández. Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII. España
Mary Hunt. Teóloga. Women’s Alliance for Theology, Ethics and Ritual (WATER). Estados Unidos.
Gabriela Juárez Palacio. Teóloga. Socia Fundadora de Teólogas e Investigadoras. México
Rosa Leiva. Federación Latinoamericana de Presbíteros Casados. Ecuador
Juan Masiá. Teólogo. Japón.
Federico Mayor Zaragoza. Presidente de la Fundación Cultura de Paz y de la Comisión Internacional contra la Pena de Muerte. España
Cyprien Melibi. Teólogo Camerún.
Arnoldo Mora Rodríguez. Socio Fundador del Departamento Ecuménico de Investigaciones (DEI). Costa Rica.
Mario Mullo. Federación Latinoamericana de Sacerdotes Casados. Ecuador
Carmiña Navia. Teóloga. Colombia
Marisa Noriega. Teóloga. Socia Fundadora de la Asociación Mexicana de Reflexión Teológica Feminista. México.
Gladys Parentelli. Auditora en el Concilio Vaticano II. Venezuela
Federico Pastor. Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII. España.
Victorino Pérez Prieto. Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII. España
Suyapa Pérez Scapini. Teóloga. El Salvador
Margarita Mª Pintos. Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII. España
Javier Omar Ruiz Arroyave. Activista. Masculinidades Liberadoras. Colombia.
José Sánchez Suárez. Teólogo. Comunidad Teológica de México
Santiago Sánchez Torrado. Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII. España
Fernando Silva. Asociación de Teólogas y Teólogos de Juan XXIII. España
Aida Soto Bernal. Asociación Presbíteras Católicas Romanas. Colombia
Juan José Tamayo. Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII. España
Elsa Tamez. Teóloga y biblista. México
Andrea Toca. Teóloga. Socia Fundadora de la Asociación Mexicana de Reflexión Teológica Feminista. México.
Fernando Torres Millán. Teólogo. Coordinador de Kairós Educativo. Colombia
Olga Vasquez. Teóloga. El Salvador
Evaristo Villar. Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII. España
Juan Yzuel. Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII. España

Madrid, 12 ottobre 201

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