va bene tradizionalisti e ultracattolici ma così non è da delirio?

quando la bussola perde l’orientamento

gli ultratradizionalisti, la tradizione e la Chiesa

di  

Allibito. !

Non trovo termine migliore per esprimere il mio sentimento di fronte a quanto riportato da certi siti di ultra-tradizionalisti “cattolici”. Una accozzaglia di espressioni colme di presunzione di possesso esclusivo (escludente!) della verità, di arroganza e di malcelata cattiveria. È decisamente interessante che autori che si pongono come difensori della fede cattolica autentica si permettano certe affermazioni.

Una visione esclusiva, escludente di verità

Lascio qualche assaggio di cotanta “saggezza”: Monsignor Mario Delpini, arcivescovo di Milano, definito “ambro-luterano” per aver affermato la necessità, dal mio punto di vista sacrosanta, di diminuire il numero delle Messe a favore di un maggior ascolto della Parola. Poi, a proposito del dialogo ecumenico nel quinto centenario della riforma luterana, uno studioso, riferendosi a Lutero, dice: “le cui letture spirituali protestanti declamate in una basilica cattolica farebbero il pari della lettura del Mein Kampf in una sinagoga”.

Alla faccia del dialogo ecumenico alla luce del Concilio! Poi, diversi attacchi a vescovi e studiosi, tra i quali stimati docenti nelle facoltà pontificie, tacciati di essere persone “a favore delle innovazioni che si battono contro la tradizione”.

Permettete, egregi signori. Io voglio bene alla Chiesa

Ora, signori “difensori della tradizione”, mi permetto il mio parere da semplice curato: non sono uno studioso eccelso; non ho nemmeno la licenza in Teologia… avevo quella da pesca ma è scaduta pure quella. Ma voglio bene alla Chiesa, pur con tutti i miei limiti e i tanti peccati! Non offendetevi, ma credo sia la Chiesa che ha disperato bisogno di difendersi da voi!

Perché se la tradizione è il “si è sempre fatto così”, se i vescovi da difendere perché paladini della tradizione autentica sono quelli che vanno vestiti da alberi di Natale, con chiroteche e mantelli purpurei lunghi metri e metri con tanto di chierici in tricorno che li sostengono, c’è qualcosa che non va.

La nostra non è la Tradizione

Non mi soffermo poi, anche se avrei molto da dire (e da ridire) sulle esternazioni riguardanti Amoris Laetitia e il suo tentativo di aprire mente e cuore alle ferite di molti fratelli e sorelle: un concentrato di fariseismo contemporaneo. No, signori, la vostra non è la tradizione autentica. La Tradizione è la trasmissione di quel Vangelo che sa parlare alle donne e agli uomini di ogni tempo, con l’aiuto dello Spirito del Signore. La Tradizione della Chiesa è viva e richiede un cuore aperto, non rigido.

Certo, per comprendere questo, abbiamo bisogno di una continua e quotidiana conversione, che ci permetta di ricordare e credere alle parole di Gesù: “io sono la via, la Verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. È il Signore che dobbiamo seguire, non una bussola che ha perso l’orientamento. Le chiroteche, guanti preziosi utilizzati dai vescovi molti decenni fa, lasciamole nei musei: noi sporchiamoci le mani nella storia dell’uomo, che è anche storia di Dio.

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a 500 anni dalla Riforma di Lutero – dichiarazione comune della chiesa protestante e cattolica italiane

protestanti e cattolici, sempre più vicini

di Gian Mario Gillio
in “www.riforma.it” del 2 novembre 2017

L’Ufficio filatelico e numismatico dello Stato della Città del Vaticano ha mandato alle stampe un francobollo commemorativo della Riforma protestante che ritrae il dipinto del timpano della chiesa di Wittenberg con in primo piano Gesù crocifisso e, sullo sfondo, la città di Wittenberg (il luogo in cui il riformatore tedesco, e frate agostiniano, il 31 ottobre 1517 affisse le sue 95 tesi sulla porta della chiesa del castello della città sassone per contrastare il mercimonio delle indulgenze). La raffigurazione «pittorica» del francobollo fotografa, in atteggiamento di penitenza e inginocchiati, rispettivamente a sinistra e destra della Croce, Martin Lutero che sostiene la Bibbia, fonte e meta della sua dottrina e Filippo Melantone, teologo e amico di Martin Lutero – uno dei maggiori protagonisti della riforma – che, invece, tiene in mano la prima esposizione ufficiale dei principi del protestantesimo da lui redatta: la Confessione di Augusta «Confessio Augustuana». «È la prima volta – dice a Riforma.it il pastore Heiner Bludau, decano della Chiesa evangelica luterana in Italia (Celi) – che il Vaticano decide di dare alle stampe un francobollo celebrativo dedicato a Lutero e alla Riforma protestante. Proprio a Wittenberg abbiamo festeggiato ufficialmente il 31 ottobre, alla presenza delle più alte cariche dello Stato e religiose, la ricorrenza del Cinquecentenario della riforma. Nella città di Lutero è giunta notizia della riproduzione su carta filigranata delle immagini di Lutero e Melantone ritratti accanto a Gesù con lo sfondo della città sassone. Una notizia, per noi luterani, lieta, inaspettata e importante. Devo ammettere che non ancora avuto modo di vedere il francobollo, ma reputo questa iniziativa importante. Proprio come sono state le dichiarazioni congiunte tra luterani e cattolici; in questo caso, il Vaticano, o meglio il suo Ufficio filatelico e numismatico, ha deciso in autonomia di lanciare un segnale importante e di vicinanza, utilizzando un’immagine molto chiara, eloquente e esaustiva, e che ben spiega e raffigura il significato, direi il senso della Riforma innescata da Lutero». A Wittenberg (la città di Lutero e sfondo del francobollo) ricorda ancora Bludau, si sono tenute le celebrazioni per la «Festa della Riforma» con un culto solenne nella chiesa del castello di Wittenberg curato dal presidente della Ekd, Heinrich Bedford-Strohm ed anche un ricevimento ufficiale al quale ha partecipato, tra agli altri, anche la cancelliera Angela Merkel; tutti eventi promossi dalla Chiesa evangelica luterana tedesca – Evangelische Kirche in Deutschland (Ekd) martedì scorso– «occasioni importanti – prosegue Bludau –, nelle quali è emersa, e con forza, la necessità di proseguire il lavoro ecumenico e interreligioso. Un tema dirimente è quello della libertà religiosa. Bedford-Strohm nel suo prezioso sermone ha parlato anche dell’attualità della Riforma e guardando al futuro, un futuro all’insegna della responsabilità, sia collettiva sia personale; la cancelliera Merkel, poi, accostando la libertà religiosa alla Riforma protestante ha ribadito che le libertà non possono però prescindere dai doveri; segnalando altresì l’importanza della presenza religiosa e interreligiosa nel tessuto istituzionale, sociale, politico e comunitario della Germania». Il presidente del Consiglio della Chiesa evangelica tedesca, il vescovo Heinrich Bedford-Strohm, di fronte al presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier, alla cancelliera Angela Merkel, al presidente del Bundestag Wolfgang Schäuble, oltre a numerosi altri ospiti del mondo politico ed ecumenico e a centinaia di fedeli, ha voluto ricordare: «Siamo seduti qui, 500 anni dopo» e poi ha indirizzato un messaggio a papa Francesco: «Fratello in Cristo, ringraziamo Dio per la tua testimonianza di amore e misericordia, che per noi protestanti significa anche testimonianza a Cristo». Parole importanti di riconoscenza dirette al papa, prosegue Bludau «perché, anche se è vero che il percorso di vicinanza e di aperture ecumeniche iniziò grazie al Concilio Vaticano II, è altrettanto vero che l’impulso più significativo al dialogo e alla riconciliazione in questi ultimi anni è partito
dalle mosse di papa Francesco. Un avvicinamento verso tutte le chiese protestanti ed evangeliche. Certamente, importanti sono le dichiarazioni firmate in passato, come quella cattolico-luterana sulla dottrina della giustificazione nel 1999, o quella del 2103 “Dal conflitto alla comunione”, tutti documenti dogmatici importanti. Credo, però, che la visita di papa Francesco a Lund – per aprire le commemorazioni per il Cinquecentenario della Riforma – sia stata la vera scintilla che ha tatto cambiare radicalmente l’atmosfera e la percezione comune: una mossa visibile a tutti, in particolar modo in Italia, dove l’informazione generalista e secolare racconta spesso e spasmodicamente la vita del papa, le sue opere, i suoi viaggi e i suoi pensieri. Il papa aprendo le celebrazioni della Riforma ha mostrato a tutti che non siamo delle “sette”, ma chiese cristiane. Un messaggio che ha saputo entrare anche negli interstizi più irraggiungibili della stessa chiesa cattolica». Dopo i convegni condivisi tra le chiese protestanti ed evangeliche e i vertici della chiesa cattolica, come ad esempio quello realizzato qualche mese fa a Trento insieme all’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo (Unedi) della Cei e dal titolo «Cattolici e protestanti a 500 anni dalla Riforma, è possibile avere uno sguardo comune, così come è avvenuto in occasione della «Festa della riforma» a Roma lo scorso 28 ottobre grazie alla presenza del cardinale Ravasi e alla diretta di Rai Due trasmessa per più di un’ora. Insieme alla Cei – Unedi, ricorda infine Bludau, «è nata l’dea di promuovere anche la dichiarazione congiunta uscita solo lo scorso 31 ottobre. I rapporti che intercorrono tra la chiesa luterana e la chiesa cattolica sono parte, certamente significativa, di un percorso ecumenico ben più ampio. Un percorso intrapreso da molto tempo insieme alla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) della quale siamo federati, e con la quale, grazie al loro impegno, abbiamo potuto condividere lo scorso 28 ottobre una giornata davvero ricca e importante che, amplificata dalla Rai, ha permesso di poter far vivere l’evento non come una cosa “intra-protestante” ma di tutti e per tutti gli italiani. Questi rapporti ecumenici e queste attenzioni sono il segnale importante di un percorso in continua evoluzione».

 

500° dalla Riforma di Lutero

dichiarazione comune Chiesa Luterana e C.E.I.

Il testo integrale della Dichiarazione comune della Conferenza episcopale italiana e della Chiesa evangelica luterana in Italia per il 500° anniversario dell’inizio della Riforma

Pubblichiamo il testo integrale della Dichiarazione comune della Conferenza episcopale italiana e della Chiesa evangelica luterana in Italia per il 500° anniversario dell’inizio della Riforma. “Riconciliarsi per annunciare il Vangelo”, questo il titolo del documento che porta la firma di mons. Ambrogio Spreafico, presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Cei, e del pastore Heiner Bludau, decano della Chiesa evangelica luterana in Italia. “A inizio ottobre – spiegano Bludau e don Cristiano Bettega, direttore dell’Ufficio Cei per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso – si è svolto a Trento un breve ma significativo convegno, di cui sul sito dell’Ufficio Cei per l’ecumenismo e il dialogo ci sono le relazioni e che ha visto ugualmente coinvolti la Chiesa evangelica luterana in Italia e l’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Cei. A conclusione di quel convegno abbiamo pensato a questa comune dichiarazione. Si tratta di un comune impegno a prendere sul serio ciò che in quest’anno anniversario abbiamo più volte detto e scritto: che il cammino ecumenico ci riguarda e ci impegna tutti, che la passione ecumenica, alla fine, è passione per il Vangelo di Gesù Cristo, per la sua Chiesa, per le donne e gli uomini di oggi. È una dichiarazione che coinvolge tutti, non soltanto cattolici e luterani: perché il cammino di reciproca conoscenza, accoglienza, collaborazione e testimonianza dell’Evangelo è cosa di tutti noi”. Ecco il testo della dichiarazione:

«Piuttosto che i conflitti del passato, il dono divino dell’unità tra di noi guiderà la collaborazione e approfondirà la nostra solidarietà. Stringendoci nella fede a Cristo, pregando insieme, ascoltandoci a vicenda, vivendo l’amore di Cristo nelle nostre relazioni, noi, cattolici e luterani, ci apriamo alla potenza di Dio Uno e Trino. Radicati in Cristo e rendendo a Lui testimonianza, rinnoviamo la nostra determinazione ad essere fedeli araldi dell’amore infinito di Dio per tutta l’umanità» (Dichiarazione congiunta in occasione della Commemorazione cattolico-luterana della Riforma, Lund 31 ottobre 2016). Queste parole hanno guidato il cammino di riconciliazione e di condivisione che ha coinvolto cattolici e luterani in tanti luoghi, in questo anno, per vivere l’esperienza di una commemorazione comune del 500° anniversario dell’inizio della Riforma, nella linea indicata dal documento Dal conflitto alla comunione della Commissione luterano-cattolica per l’unità.

In Italia numerose sono state le iniziative, a vario livello, alle quali hanno preso parte cristiani e cristiane per commemorare la Riforma del XVI secolo in un spirito che, se non può essere considerato una novità alla luce dei passi compiuti negli ultimi decenni, ha sicuramente aperto una nuova stagione nel cammino per la costruzione dell’unità visibile della Chiesa con la quale mettere fine allo scandalo delle divisioni.

Proprio alla luce di queste iniziative, cattolici e luterani auspicano che sia possibile proseguire nell’approfondimento della conoscenza dell’opera e della figura di Martin Lutero per una migliore comprensione delle ricchezze spirituali, teologiche e liturgiche del XVI secolo per una riforma della Chiesa, radicata sulle Sacre Scritture e arricchita dalla tradizione dei concili ecumenici, in grado di rimuovere quei pregiudizi che ancora impediscono una lettura condivisa delle vicende storiche della Riforma in tutte le sue articolazioni.

Nella lettura congiunta delle Sacre Scritture, che costituisce un passaggio fondamentale, da anni, nella scoperta quotidiana di cosa unisce i cristiani, cattolici e luterani invitano a trovare nuove fonti per sviluppare il cammino ecumenico, anche grazie a un rinnovato rapporto con il popolo ebraico proprio a partire dalla comune radice biblica. Leggere insieme le Sacre Scritture illumina l’esperienza di fede con percorsi ecumenici di ascolto e commento della Parola di Dio in modo da condividere tradizioni esegetiche e formulazioni dottrinali, affidando al Signore i tempi e i modi della realizzazione dell’unità visibile della Chiesa.

Cattolici e luterani ritengono che questi percorsi vanno sostenuti e incoraggiati nella prospettiva di favorire un ripensamento della catechesi in chiave ecumenica, soprattutto in relazione alla celebrazione del battesimo e del matrimonio e, più in generale, alle liturgie ecumeniche di riconciliazione, così da aiutare a vivere questi momenti della vita delle comunità locali come opportunità per riaffermare che per cattolici e luterani l’ecumenismo costituisce una scelta irreversibile, quotidiana, non emergenziale, in grado di aiutare una migliore comprensione delle proprie identità, rendendo più vivace e pregnante la missione della Chiesa. Cattolici e luterani vogliono rendere sempre più dinamico il proprio impegno nella cura del creato, proponendo un modello di sviluppo economico che non sia interessato alla logica del profitto, che tanti danni ha fatto anche nel nostro paese con l’inquinamento dell’aria, delle acque e della terra, ma, superando gli interessi individuali o di gruppo, sappia utilizzare le risorse del creato nel rispetto dell’ambiente e avendo sempre di mira il bene comune e quello stesso della terra di cui siamo custodi e non padroni.

Per cattolici e luterani, le peculiarità del cammino ecumenico devono portare a moltiplicare le occasioni per testimoniare l’amicizia e l’aiuto verso i poveri, in particolare oggi verso i migranti che fuggono da guerre e calamità naturali. Davanti al bisogno loro e anche di un numero crescente di nostri concittadini, ci impegniamo a coinvolgere le nostre comunità in uno sforzo maggiore di solidarietà, avendo sempre come modello il Buon Samaritano, quel Gesù che si china sulle ferite dell’umanità sofferente. Siamo aperti a collaborare con tutti i nostri fratelli e sorelle a cui ci accomuna la fede nel Signore Gesù, ed anche con le donne e gli uomini di altre religioni e con tutti coloro che hanno a cuore il futuro del nostro paese e del mondo.

Rafforzare l’amicizia nella fraternità, ai piedi della croce di Cristo, ci aiuterà a favorire una riconciliazione delle memorie in grado di sostenere cattolici e luterani nell’annuncio e nella testimonianza della Parola di Dio nella società contemporanea, per promuovere una riforma sempre più evangelica della vita quotidiana delle comunità locali.

Mons. Ambrogio Spreafico,

presidente della Commissione Episcopale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Conferenza Episcopale Italiana

Pastore Heiner Bludau,

Decano della Chiesa Evangelica Luterana in Italia

Roma, 31 ottobre 2017, nel quinto centenario dall’inizio della Riforma di Martin Lutero.

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il commento al vangelo della domenica

“chi tra voi è più grande, sarà vostro servo”

 

Mt  23,1-12

In quel tempo  Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli  dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei.  Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno.  Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange;  si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe,  dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati «rabbì» dalla gente.  Ma voi non fatevi chiamare «rabbì», perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli.  E non chiamate «padre» nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare «guide», perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.


il commento di ENZO BIANCHI al vangelo della domenica trentunesima del tempo ordinario (5 novembre 2017):

 

Nel vangelo secondo Matteo, dopo diversi scontri e controversie tra Gesù e scribi, sacerdoti, farisei (cf. Mt 21,23-22,46), durante il suo ultimo soggiorno a Gerusalemme, egli pronuncia un lungo discorso, il penultimo, prima di quello escatologico. Si tratta di una raccolta di invettive e di ammonizioni indirizzate da Gesù proprio a quei suoi avversari che tante volte lo avevano contraddetto, gli avevano teso tranelli, lo avevano messo alla prova, lo avevano calunniato e insidiato con giudizi e complotti. Questo discorso, registrato al capitolo 23, è duro, e può meravigliarci di trovarlo sulla bocca di chi con misericordia perdonava i peccatori, mangiava con loro e li faceva sentire amati da Dio, anche se non meritavano tale amore. Gesù – possiamo dire – attacca i legittimi pastori del suo popolo, i dirigenti, quelli che erano riconosciuti esperti delle sante Scritture, che erano ritenuti maestri e modelli esemplari per i credenti. Sia però chiaro che queste sue parole vanno a colpire vizi religiosi non solo giudaici ma anche cristiani!

E si faccia attenzione: Gesù non fa di tutta l’erba un fascio, non si scaglia contro i tutti i farisei, tutti i sacerdoti, tutti i maestri, ma contro coloro che in quel preciso tempo dominavano, erano al comando; contro quelli che lo accuseranno, lo perseguiteranno e, dopo averlo condannato, lo consegneranno ai pagani per l’esecuzione capitale. Dunque, questi rimproveri non vanno applicati generalizzando, ma vanno ripetuti per noi cristiani, noi che nella chiesa svolgiamo una funzione e sovente siamo ritenuti “uomini e donne di Dio”, secondo il linguaggio corrente.

Ma ascoltiamo con piena obbedienza le parole di Gesù, che così apre il suo discorso: “Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro azioni, perché parlano ma non realizzano ciò che predica”. C’è una cattedra del popolo di Dio, c’è un ministero, un servizio reso ai credenti, ossia il compito di proclamare la parola di Dio contenuta nella Torah data da Mosè a Israele nel deserto, dopo la liberazione dall’Egitto. Il Dio che ha liberato il suo popolo dalla schiavitù ha anche dato al suo popolo la Torah, l’insegnamento, affinché conoscesse la sua volontà e fosse dunque un popolo di testimoni capaci di proclamarla a tutte le genti.

Dopo Mosè, molti e diversi sono stati i maestri, dotati di un magistero per il popolo, ma quanti in quel momento storico (30 d.C.) erano i dirigenti e le guide religiose, abitualmente insegnavano in modo conforme alla tradizione ma in loro non c’era coerenza di comportamento, perciò mancavano di autorità (exousía). Predicavano ai fedeli ma in realtà non osservavano quanto dicevano. Erano persone divise, che con le labbra dicevano una cosa ma con il cuore ne pensavano altre (cf. Mt 15,8; Is 29,13). Fare e osservare sono le espressioni con cui il popolo ha scelto il Signore, ha ripudiato gli idoli e ha sancito con lui l’alleanza: “Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo e lo ascolteremo” (Es 24,7), ovvero “lo comprenderemo nella misura in cui lo metteremo in pratica”.

Tale promessa doveva valere tanto più per i capi del popolo del Signore, e invece costoro esaurivano la realtà nella sua proclamazione verbale. In profondità non ascoltavano, perché chi ascolta il Signore obbedisce. Ma essi preferivano sentire la parola del Signore per predicarla senza invece ascoltarla, senza fare l’esperienza della faticosa realizzazione della volontà di Dio attraverso un intelligente discernimento e un’azione piena di carità. Succede anche a noi di dire e poi di non agire conseguentemente, ma lo dobbiamo confessare ai fratelli e alle sorelle, senza pretendere di essere esemplari se non siamo coerenti nel nostro comportamento reale e quotidiano: siamo peccatori e ciò non va nascosto! Gesù definisce questo comportamento “ipocrisia” e lo condanna, perché di fatto favorisce una cecità su se stessi, fino a credere di vedere e addirittura a giudicare gli altri come ciechi (cf. Gv 9,41). Costoro fingono, recitano una parte senza essere né convinti né conseguenti.

Segue un’altra accusa: “Legano fardelli pesanti e difficili da portare e li impongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito”. Qui Gesù intravede la funzione assunta da scribi e farisei: spiegare la Legge, determinare il comportamento, interpretare il comando emanando precetti. E così la parola di Dio, data come Torah, insegnamento, diventava gravida di prescrizioni legali minuziosissime: in partenza lo scopo era quello di porre una siepe attorno alla Legge per custodirla, ma di fatto questi precetti umani finivano per essere pesi imposti sulle spalle soprattutto dei piccoli e dei semplici, pesi e fatiche che loro, i pretesi legislatori, non conoscevano e certamente non portavano. Di fatto, in tal modo si annullava la parola di Dio, la si eludeva con abilità, si svuotava il comando dato dal Signore (cf. Mc 7,8-13; Mt 15,3-6)…

Ma la lettura di Gesù va più a fondo: “Tutte le loro azioni le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange”. Questo è il vizio di chi pensa di avere un potere sugli altri e vuole dunque mostrarlo, per essere riconosciuto dalla gente: farsi vedere per testimoniare la fede, a fin di bene, per educare gli altri e dare il buon esempio… Quante volte questi atteggiamenti coprono intenzioni squallide e menzognere! Le testimonianze devono essere lette da chi vede e ascolta, non date da chi dovrebbe solo vivere, senza fare narrazioni di sé e delle proprie azioni: saranno gli altri, con il loro discernimento, a giudicare la verità o la falsità di chi deve parlare solo del Signore, non di se stesso. Questo esibizionismo religioso purtroppo è tanto presente, ancora oggi, nelle nostre chiese!

Di seguito Gesù menziona alcuni status symbol, tanto amati perché utili a creare consenso. Quelli che il Signore aveva chiesto come segni (’ot), diventati filatteri (tephillin, da tephillah, “preghiera”), anziché ricordare a chi li portava il Dio liberatore (cf. Es 13,9.16; Dt 6,8; 11,18), finivano per essere sempre più vistosi perché gli altri li ammirassero (come quelli che tirano fuori dalle tasche in mezzo agli altri un rosario, per essere considerati uomini o donne di preghiera!). Non solo, costoro allargavano anche le frange, cioè i fiocchi (tzitzit) nel loro mantello di preghiera, non per ricordarsi di Dio (cf. Nm 15,37-41), ma per farsi ammirare come uomini di preghiera. È la perversione di strumenti dati da Dio per confermare la fede e l’ascolto la sua parola e invece divenuti, attraverso un meccanismo perfido, strumenti per ricevere applausi e onori!

E così ecco la conseguenza: “Amano i posti d’onore nei banchetti, i primi seggi nelle sinagoghe, i saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati ‘maestri’ dalla gente”. Quando si esercita l’autorità, si è facilmente preda di queste tentazioni: si è ossessionati dalle vesti, si è abbigliati come quelli che stanno nei palazzi del potere (cf. Mt 11,8; Lc 7,25), e magari si afferma di comportarsi così solo per dare gloria a Dio e prestigio alla chiesa, professando una falsa umiltà. Sappiamo che sotto vestiti ricercati e orpelli sontuosi si nascondono ecclesiastici umilissimi o poveri: non si tratta dunque di dare giudizi sulle persone, ma di indicare dati oggettivamente in contraddizione con il modo di vivere di Gesù, richiesto a chi fa riferimento al suo Nome. D’altra parte, è sempre valida l’osservazione di Yves Congar:

Si può beneficiare ordinariamente di privilegi senza arrivare a pensare che sono dovuti? O vivere in un certo lusso esteriore senza contrarre certe abitudini? E essere onorati, adulati, trattati in forme solenni e prestigiose, senza mettersi moralmente su un piedistallo? È possibile comandare e giudicare, ricevere uomini in atteggiamento di richiesta, pronti a complimentarci, senza prendere l’abitudine di non più veramente ascoltare? Si può trovare davanti a sé dei turiferari senza prendere un po’ il gusto dell’incenso?

E qual è il luogo migliore per apparire se non i pranzi e le cene con quelli che in questo mondo contano? Cene e ricevimenti che forniscono un autocompiacimento egocentrico, occasioni nelle quali risuonano grandi e altisonanti titoli onorifici, svolazzanti fasce colorate… Allora il titolo era “rabbi”, “maestro” (non ancora termine tecnico per indicare gli attuali rabbini); oggi ce ne sono molti di più, mediati dalla mondanità più banale: si pensi per esempio a “eccellenza”, titolo estraneo nella chiesa fino al secolo scorso e poi mutuato dal fascismo, che chiamava “eccellenza” i prefetti…

Dobbiamo dirlo: sovente siamo caduti nel ridicolo, e oggi molti leggono tante ostentazioni ecclesiastiche come vuote e controproducenti; ma la cecità è tale che tutto sembra continuare come nelle corti bizantine o rinascimentali, se si esclude qualche eccezione. E invece nella comunità cristiana ogni titolo deve significare ciò che viene realmente vissuto, non deve essere un orpello onorifico. Per questo Gesù avverte i suoi discepoli: “Ma voi non così, non fatevi chiamare ‘rabbi’, perché uno solo è il vostro Maestro (didáskalos) e voi siete tutti fratelli. E non chiamate ‘padre’ nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre (patér) vostro, quello nei cieli. E non fatevi chiamare ‘guide’, perché uno solo è la vostra Guida (katheghétes), il Cristo”. Il discepolo di Gesù è avvertito: rabbi e guida sono titoli che vanno applicati solo a lui, il Cristo di Dio, così come solo Dio va invocato quale Padre. Parole nette, chiare, alle quali però raramente si è rimasti fedeli, perché già nella chiesa antica si sono definiti padri quelli che hanno generato a Cristo nella fede fratelli e sorelle e sono stati chiamati maestri e guide quanti erano incaricati dell’insegnamento e del discernimento spirituale nella comunità cristiana.

Ciò che è decisivo in questo avvertimento di Gesù si trova alla fine del nostro brano: chi è più grande o chi è il primo della comunità cristiana – e ci deve essere chi è più grande, chi presiede i fratelli e le sorelle – sia servo di tutti, si abbassi e si spogli di ogni potere e arroganza, sull’esempio di Gesù, il Servo del Signore, e così sarà innalzato (cf. Fil 2,5-11). Altrimenti sarà abbassato, deposto dal trono, retrocesso nel banchetto celeste. A questo punto Gesù continua ad ammonire scribi e farisei fino alla fine di questo capitolo, pronunciando i sette “guai”, che non sono maledizioni ma avvertimenti, aspri richiami in vista della conversione, invettive e lamenti pronunciati da chi continua a sperare che i destinatari di queste parole possano fare ritorno a Dio. In ogni caso, dovremmo leggerli facendo memoria del commento di Girolamo: “Guai a noi, miserabili, che abbiamo ereditato i vizi degli uomini religiosi!”.

 

di seguito il video del commento al vangelo di p. Maggi:

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