il vangelo, Salvini e la religiosità degli italiani – una bella ‘foto’ di M. Serra

i comfort della religione

di Michele Serra

 

Sarebbe bello se davvero, tra i cattolici italiani, si aprisse una discussione sul “bivio” indicato dalla nostra prima pagina di ieri: stai con il Papa o con Salvini? Se fossi un bookmaker darei comunque per favorito Salvini. Se si eccettua una valorosa e nutrita minoranza di persone per le quali la fede cristiana è testimonianza di carità, per l’evidente maggioranza dei cattolici italiani la religione è soprattutto un omaggio alle tradizioni; un’abitudine sociale; un comfort identitario (il cattolico Michele Straniero citava, beffardo, «i comfort della religione»); una difesa pret-à-porter contro “gli altri”, il mondo ignoto che preme alle frontiere e ci impiccia per la strada.

Sono formalmente cattolici moltissimi leghisti. Si può essere cattolici come il ministro Fontana e Matteo Salvini, e cattolici come Bergoglio, o Luigi Ciotti, o Enzo Bianchi. C’è forse un nesso? Si può baciare un rosario o inalberare una croce per invocare la protezione divina sulla Nazione e i suoi sacri confini; si possono pregare lo stesso Dio e la stessa Vergine perché i disgraziati sui barconi arrivino salvi in porto: c’è forse un nesso? Anche per esperienza personale, non ho dubbi: la sensibilità di ogni singola persona e le sue opinioni politiche (ivi compresi i pur logori concetti di “destra” e “sinistra”) orientano gli animi ben più dell’appartenenza religiosa. Ho conosciuto cattolici praticanti che erano ben poco cristiani, e miscredenti più cristiani di loro. Dalle chiese escono ogni domenica persone magnifiche e farabutti, carabinieri e mafiosi, grandi spiriti e spiriti mediocri. Chi preferisce Salvini non lo fa perché è cattolico, ma perché non vuole scocciature. Chi preferisce Bergoglio non lo fa per fedeltà alla Chiesa, ma perché alle scocciature è un poco più disposto. È per questo che Salvini parte avvantaggiato.

una società narcisista dalla pericolosa ‘cultura del selfie’

tra Narciso e selfie

la società vista da Michele Serra

di Simone Vazzana

Digitambuli, ego e sindrome dello sguardo basso. Michele Serra, firma di La Repubblica e L’Espresso, ha incontrato gli alunni del liceo classico “Gioberti”, dialogando con loro sui temi trattati nel suo ultimo romanzo, Qualcuno potrebbe (edito da Feltrinelli).

“La società contemporanea – ha sottolineato l’autore – è l’evoluzione del mito di Narciso. La cultura del selfie è pericolosa, perché rimanda alla catena di montaggio. Tutto è ripetitivo e, fondamentalmente, il continuo aggiornare il prossimo sui nostri spostamenti e le nostre attività non è poi così interessante”.

Una condanna ai social network di fronte a decine di adolescenti? Non proprio.

“È impossibile integrarsi senza un pc o uno smartphone – ammette Serra –. Io stesso non saprei come lavorare e come informarmi. Però, devono restare dei mezzi al nostro servizio. Tutto quello che diventa compulsivo è dipendenza: non se ne deve fare un uso autistico. È necessario essere indipendenti, è necessario tenere il timone”.

Ma “Qualcuno potrebbe” non parla solamente dell’abuso della tecnologia. Racconta la vita di Giulio, un trentenne che per lavoro archivia meccanicamente le esultanze dei calciatori. Non ha sbocchi professionali, non ha un’identità. Il suo è un viaggio senza partenza e senza arrivo, che tocca molte delle stazioni di una società in piena crisi. Una società sprofondata in una voragine provocata dall’assenza di tutto, soprattutto dalla morte del lavoro. Giulio, che Serra non descrive mai fisicamente all’interno del romanzo, è un eroe dell’insofferenza che si sente fuori posto e fuori tempo, come tanti suoi coetanei. Vive in un non-luogo, nell’hinterland di una provincia del Nord, nell’attesa che accada qualcosa.

Ai ragazzi del “Gioberti”, Serra ha raccontato anche il suo modo di intendere la scrittura: “Chi scrive ha grandi difficoltà a rimandare al testo. Se Melville fosse vivo, oggi verrebbe invitato a un talk show e gli si chiederebbe il motivo del suo odio per le balene. Sì, la scrittura  ha sicuramente una dimensione intellettuale ed emotiva, ma anche inconscia. Per esempio, il titolo del libro l’ho sognato prima della stesura”. Così come il cinghiale antropomorfizzato, presente nella copertina disegnata da Gipi: “L’ho interpretato come un segno. Nel libro, non ho volutamente mai descritto Giulio. Non ha un volto. Se ci sarà un sequel, vedrò se dargliene uno”.

la rivolta ‘liquida’ dei ‘forconi’

‘forconi liquidi’

funerali

forcone

una acuta, arguta e appropriata riflessione di M. Serra (su l ‘amaca’ odierna) sulla protesta confusa, sbriciolata e anche sgangherata rappresentata dai ‘forconi’:

Si rassicurino i tutori dell’ordine repubblicano: nella famosa società liquida, è liquida anche la rivolta. A pochi giorni dalla nascita del movimento i capi dei Forconi (sedicenti o eterodiretti) già temono infiltrazioni, litigano, uno va a Roma l’altro per ripicca resta a Cadoneghe, uno caldeggia un golpe dei Carabinieri l’altro dice che anche i Carabinieri fanno parte della Casta, uno vuole uscire dall’Europa e un paio d’altri vogliono invaderla, uno ha votato Grillo un altro non è mai andato a votare un terzo si è soffiato il naso con la scheda. Uno gli hanno chiuso la fabbrica perché non pagava i contributi, un altro era un operaio che non gli pagavano i contributi. Uno piace al Giornale, l’altro al Fatto.
Uno vuole impiccare i banchieri ebrei, un altro anche i banchieri non ebrei.
Nemmeno l’ultrasinistra degli anni Settanta, divisa in una dozzina di partiti che al primo punto del programma avevano la distruzione degli altri undici, era così impreparata alla rivoluzione. Questo non muta di una virgola il malumore, la paura, la solitudine e la rabbia di qualche milione di italiani. Diciamo, però, che perfino per fare l’antipolitica un poco di politica aiuta.

Da La Repubblica del 17/12/2013.

 

una tragedia e … tante chiacchiere

IL CICLONE FA STRAGE IN SARDEGNA, 16 MORTI E UN DISPERSO. 2.700 SFOLLATI, STATO D’EMERGENZA. POLEMICA SULL’ALLARME

Ciclone

 

Isola in ginocchio, in 24 ore pioggia di 6 mesi. Colpite Olbia e il Nuorese. Trovato vivo un disperso. Vittime in auto e cantine. Governo, 20 milioni per emergenza. Letta sul posto: ‘Stato c’è e fa il massimo’. Aiuti, si muovono Ue e Papa. Sfollati: ‘Nessun avviso’. Gabrielli: ‘Falso’. Orlando: ‘Allarme 12 ore prima’.

Sono 16 i morti provocati dal ciclone che ha investito il nord-est della Sardegna. Tra le vittime due bambini. Un disperso. Olbia e Torpe’ le zone piu’ colpite. “Sono circa 2700 le persone fuori casa ospitate in strutture o da parenti”. In 24 ore caduta la pioggia di sei mesi. Il CdM decide lo stato di emergenza, Letta parla di tragedia nazionale. E si reca a Olbia. Stanziati 20 milioni. Il prefetto Franco Gabrielli: tanta acqua quanta in 6 mesi. Polemiche per il funzionamento della Protezione Civile. “Il sistema di allertamento nazionale ha fatto il suo dovere” e “chi ha lanciato false accuse ne risponderà”, ha detto il capo della Protezione civile in conferenza stampa. In base alla classificazione dei livelli di criticità, le previsioni del maltempo erano ritenute dagli esperti, di ”massimo rischio”», ha spiegato nelle sue comunicazioni alla Camera il ministro dell’Ambiente Andrea Orlando. Previsioni che comprendevano l’esondazione dei corsi d’acqua e “fenomeni di rigurgito dei sistemi di smaltimento”, associati a inondazioni. “I possibili effetti associati a tale evento – ha detto il ministro dell’Ambiente – prevedono possibili perdite di vite umane e danni alle persone, oltre che allagamenti e danni a locali

dopo un primo momento di quasi silenzio e sottovalutazione del fatto (nessun giornale ha ritenuto di doverci aprire come notizia di primissimo rilievo) è scoppiata una di quelle giornate in cui si è parlato molto e tutti hanno detto di tutto ( si sono perfino sentiti membri autorevoli del pdl inveire contro i condoni!), meno che prendere coscienza che il territorio ha bisogno di un’altra politica: così amaramente commenta M. Serra:

Come sono noiosi i commenti alle catastrofi italiane, identici da anni, da decenni: l’incuria del territorio, il dissesto idrogeologico, la cementificazione demente… Si potrebbero scrivere con il “copia e incolla”, magari aggiungendo qualche nota peggiorativa sul riscaldamento causato dai gas serra, altra piaga arcinota e arcimaledetta, e vanamente medicata da quei congressi-placebo nei quali le potenze industriali giurano solennemente che in un paio di secoli ridurranno del niente per cento le emissioni nocive. La verità è che, seppelliti i morti, è comodo e conveniente lasciare che le cose continuino come prima. Ai vivi serve dimenticare in fretta e ritornare ai propri piccoli interessi quotidiani, ai soldi da guadagnare, alle delibere da firmare per fare contento chi ti ha votato. Un paio di anni fa il sindaco di un piccolo paese lombardo decise che il territorio del suo comune non poteva più permettersi un solo metro quadrato di cemento. Finì su tutti i giornali, come se avesse preso una decisione straordinaria, rivoluzionaria. Era, semplicemente, una decisione saggia e lungimirante. Lo si capirà, purtroppo, solo quando le catastrofi assumeranno dimensioni genocide. Pensarlo è triste. Ma è realistico.

Da La Repubblica del 20/11/2013.

 

nella desolazione qualche miracolo … anche da noi

 

nel desolante e glaciale e lacerante silenzio della morte consola l’animo accogliere un bambino vivo come piccolissimo squarcio per immaginare  un possibile nuovo futuro … ma non solo nei luoghi disastrati, anche proprio nelle nostre case!

in modo meraviglioso riflette su questo M. Serra ne ‘l’amaca’ odierna:

Filippine

In termini di devastazione e di morte, la catastrofe delle Filippine rimanda ai giorni terribili dello tsunami di nove anni fa nel Sud dell’Asia. Ma lì c’era il turismo, ci furono molte vittime europee e americane, l’impatto mediatico in Occidente fu enorme e duraturo, negli anni successivi su quell’onda spaventosa vennero scritti libri, girati film. Nelle Filippine invece ci sono “solamente” i filippini, pochissimo turismo, ed è assai possibile che in pochi giorni il tifone Hayan diventi, da questa parte del mondo, solamente un ricordo da archiviare. A meno che – accadono anche i miracoli – si allarghi il piccolo grande varco che alcuni media hanno aperto sulla numerosa, silenziosa, discretissima comunità filippina in Italia. Persone che lavorano tanto, parlano poco, puliscono le nostre case, badano ai nostri vecchi e alle quali in questi giorni molti domandano, spesso per la prima volta, notizie di casa loro, delle loro famiglie lontane, delle loro case forse scoperchiate, di una città cancellata dal vento, come se solo nell’emergenza ci accorgessimo che le persone sono sempre persone, le case sempre case, le vite sempre vite.

L’amaca di Michele Serra
in “la Repubblica” del 12 novembre 2013

in solidarietà alle ‘ragazze al volante’

ragazze al volante

un piccolo grande gesto, una sfida delle ‘ragazze al volante’ ad un regime autoritario e oscurantista, destinato a dare frutti molto più ampi

così la bella riflessione di M. Serra (congiunta ad un bel video) ne l’ ‘amaca’ odierna:

Mette allegria, mette energia la coraggiosa ribellione delle saudite al volante. Siamo così immersi nella nostra piccola palude nazionale da dimenticarci che a pochissima distanza da noi, praticamente appena fuori dall’uscio, c’è un luogo chiamato “mondo”. E nel mondo succedono tante cose formidabili e importanti. Per esempio questa sfida a una delle tante amputazioni che le femmine non vogliono più subire. Non è un dettaglio, se pensate che la libertà di movimento determina la felicità degli umani quanto la libertà di parlare, di lavorare, di amare chi si preferisce amare, di scegliere il proprio destino. Il comunismo sovietico è caduto, prima ancora che per la sua penuria di beni, e di libertà individuali, per l’odioso divieto di viaggiare, muoversi, cambiare città, paese, vita. La potenza simbolica della caduta del Muro dipendeva dalla fine, tanto attesa, di quella assurda gabbia.
Festeggiamo dunque quelle ragazze (di ogni età) al volante. Sentiamole nostre sorelle. Rischiano qualcosa, forse rischiano molto, ma hanno da perdere, come si dice classicamente, soltanto le loro catene. E non perdetevi l’eccellente video satirico (di un maschio saudita, l’artista Hisham Fageeg) No woman no drive (clicca qui) , che sta facendo il giro del mondo. È un piccolo capolavoro.

riflessioni a margine del funerale di Priebke: cos’è più grave?

funerali

meravigliose parole, secche e giustamente indignate, di M. Serra nella ‘amaca’ odierna a margine della morte e del funerale di Priebke:

Bisogna essere grati alla piccola comunità lefebrvriana per il suo farsi carico (anche prima del caso Priebke) di un incommensurabile scandalo, così bene esposto dal loro portavoce: è più grave – dice – avere dato la comunione a Luxuria che celebrare i funerali di Priebke. E dunque un transessuale è più colpevole di un assassino; trasgredire la morale tradizionale è più grave che ordinare un eccidio di innocenti; fornicare è più grave che uccidere; accettare la libertà sessuale è più destabilizzante che accettare il genocidio, e dunque sul secondo si può anche chiudere un occhio, sulla prima bisogna essere inflessibili. Rovesciando il vecchio slogan: “Fate le guerra, non l’amore”. Su questo – ripeto – incommensurabile scandalo si regge, se non tutto, buona parte del dolore, del sangue e dell’odio che affliggono l’umanità. Il terrore del sesso è il motore primo di questa visione della vita, e della società, totalmente paranoica, e ancora bene attiva sebbene parecchio incrinata, negli ultimi due secoli, dalla potenza della libertà. Sono sicuro che non solamente il manipolo di catto-fascisti lefebrvriani (tal quali i talebani) ma anche molti insospettabili benpensanti provano più disagio di fronte a un “frocio” che di fronte a un nazista

la vergogna delle nostre carceri

nel bicchiere

le nostre carceri fanno vergogna, ci fanno vergogna, sono condannate anche dalla comunità europea: cosa fare, come evitare solo riforme epidermiche e affrontare una vera riforma strutturale è diventato un dibattito ormai pubblico, cavalcato politicamente soprattutto da chi è sempre stato sordo a queste problematiche e soprattutto ai problemi e alle sofferenze dei poveri diavoli

FOTO REPERTORIO DI CARCERI PER VOTO SU INDULTO

uno stimolo alla corretta riflessione è contenuto ne l’ ‘amaca’ odierna di M. Serra:

Nel dibattito molto emotivo sulla condizione carceraria non si capisce perché siano usati l’uno contro l’altro due argomenti ugualmente inoppugnabili come la certezza della pena e l’utilità/umanità della stessa. Un Paese che apre le sue carceri perché non è in grado di averne a misura di Costituzione, e si vergogna delle decrepite galere dove stipa i detenuti, non è un Paese serio. Indulto e amnistia, quand’anche servano (e servono) a far scendere la febbre delle carceri, e ad alleviare sofferenze, hanno il difetto “politico” di sembrare un espediente tanto quanto i giustamente detestati condoni edilizi e fiscali. In questo senso credo abbia ragione Matteo Renzi quando eccepisce sull’indulto. Lo avrà anche fatto per ragioni elettorali, ma il problema c’è e non vederlo vale a credere che basti, ogni tanto, un breve sussulto di unanime pietismo per affrontare una piaga strutturale, e considerata con giusta severità dall’Europa. All’orribile colpa di mantenere reclusi anche imputati non ancora passati in giudizio definitivo, o poveri cristi ingabbiati per reati minori, lo Stato somma quella, non meno grave, di non provvedere alla salute, alla dignità, ai diritti di chi sta in carcere anche per giusta pena. È facile commuoversi per gli innocenti in carcere, il problema vero è che bisogna commuoversi per i colpevoli.

Da La Repubblica del 15/10/2013.

la povertà non può mai essere una colpa!

povertà

non sappiamo più metterci nei panni di chi soffre la povertà ed è costretto ad emigrare per le più gravi varie situazioni: oggi che non abbiamo più bisogno di emigrare, guardiamo alla povertà degli emigranti con paura considerandola come colpa
una bella riflessione in questo senso da parte di M. Serra ne:
L’AMACA del 4 ottobre 2013 (Michele Serra)

Un flusso ininterrotto di persone povere verso i paesi ricchi, questa è sempre stata l’immigrazione. Se perfino dopo giornate come quella di ieri molti ne parlano con paura, ira, astio, è anche perché è cambiato fino a snaturarsi, negli anni, il concetto stesso di povertà. Per secoli la povertà è stata una piaga dalla quale guarire, una condanna alla quale ribellarsi. Oggi, nella società del benessere obbligatorio, è diventata una colpa. I poveri, per il nostro sguardo reso grasso e opaco dalla cessazione della fame, sono colpevoli di povertà. Non è solamente lo spirito del capitalismo ad avere generato questa colossale e molto funzionale mistificazione. È una scorciatoia morale, una comodità psicologica che ci rassicura tutti – mica solo quelli di destra, o i razzisti che ghignano, o i leghisti che latrano – perché se la povertà è un demerito (e non una condizione ingiusta, subita per debolezza e sovente inflitta con la prepotenza) allora i poveri fanno meno pena, e in quei barconi alla deriva, in quegli annegati, oltre a non riconoscere i nostri avi gracili e spaesati come eritrei che fuggivano dall’Italia, neppure riconosciamo la ribellione di nostri simili a una vita grama e infame, dalla quale fuggono esattamente come faremo noi se fossimo al loro posto.

 

 

Iforza-nuova

segni di deriva mentale dei nostri tempi

una amara riflessione su l’ ‘amaca’ odierna di M. Serra:

l militante di Forza Nuova che in mezzo alla strada strilla nel suo megafono slogan “contro la sodomia” più che alla violenza fascista fa pensare alla deriva mentale dei nostri anni, dal picchiatello che annuncia l’Apocalisse al ragioniere satanista che in birreria leva il calice ad Astarotte. Già la parola “sodomia” non aiuta, nella sua incomparabile ridicolaggine, a essere udita senza ridere. Poi c’è il contesto, in questo caso la periferia lombarda, con le rotonde e le villette a schiera, poco di biblico, molto di anonimo, improbabile che nel discount lì accanto qualcuno, cliente o commessa, sappia che cosa significa sodomia, compreso chi eventualmente l’abbia praticata. Chissà chi glielo ha detto, al ragazzotto con il megafono, che il mondo è messo a repentaglio, oltre che dai “giudei”, pure dai sodomiti. Chissà quali letture e catechismi nazi, quali pagine Facebook, e in quali camerette di oneste case operaie o piccolo borghesi dove si cresce soli e sprovveduti, come nell’America di quei tremendi romanzi dove è il nulla che genera i mostri. Chissà quella parola, “sodomia”, che effettone esotico deve fare, e che sensazione eccitante poterla scandire in mezzo alla gente che ti guarda neanche più disgustata o spaventata; più che altro smarrita.

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