il messaggio dei vescovi italiani in questo tempo di pandemia

 
questo tempo di pandemia è tempo di speranza e rinascita

Consiglio permanente della Cei

Dire “con affetto” una “parola di speranza e di consolazione in questo tempo che rattrista i cuori”. È l’intento dichiarato – fin dalle prime righe – del Messaggio alle comunità cristiane in tempo di pandemia, diffuso oggi, martedì 24 novembre, dal Consiglio Permanente della Cei.
È un testo rivolto alle comunità ecclesiali proprio per sostenere un cammino di Chiesa in un periodo che può sembrare sospeso, ma che può divenire di rinascita. Scrivono infatti i vescovi che “la Parola di Dio ci chiama a reagire rimanendo saldi nella fede, fissando lo sguardo su Cristo per non lasciarci influenzare o, persino, deprimere dagli eventi”. Il testo, invitando anche i laici a un impegno a 360 gradi, sottolinea che questo, oltre che un tempo di “tribolazione” è anche un “tempo di preghiera” nelle sue diverse forme e un “tempo di speranza”. “Non possiamo ritirarci e aspettare tempi migliori, ma continuiamo a testimoniare la risurrezione”, si legge nel Messaggio, che conclude additando la prospettiva di “un tempo di possibile rinascita sociale”, anche perché la Chiesa sta impegnando le “migliori energie nella cura delle persone più fragili ed esposte”. “E’ sulla concreta carità verso chi è affamato, assetato, forestiero, nudo, malato, carcerato – ricordano i vescovi – che tutti verremo giudicati, come ci ricorda il Vangelo”. 

 di seguito il testo completo del Messaggio

“Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione,perseveranti nella preghiera” (Rm 12,12)

Fratelli e sorelle,
vorremmo accostarci a ciascuno di voi e rivolgervi con grande affetto una parola di speranza e di consolazione in questo tempo che rattrista i cuori. Viviamo una fase complessa della storia mondiale, che può anche essere letta come una rottura rispetto al passato, per avere un disegno nuovo, più umano, sul futuro. «Perché peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi» (Papa Francesco, Omelia nella Solennità di Pentecoste, 31 maggio 2020).
Ai componenti della Comunità cristiana cattolica, alle sorelle e ai fratelli credenti di altre Confessioni cristiane e di tutte le religioni, alle donne e agli uomini tutti di buona volontà, con Paolo ripetiamo: «Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera» (Rm 12,12).
Inviamo questo messaggio mentre ci troviamo nel pieno della nuova ondata planetaria di contagi da Covid-19, dopo quella della scorsa primavera. L’Italia, insieme a molti altri Paesi, sta affrontando grandi limitazioni nella vita ordinaria della popolazione e sperimentando effetti preoccupanti a livello personale, sociale, economico e finanziario. Le Chiese in Italia stanno dando il loro contributo per il bene dei territori, collaborando con tutte le Istituzioni, nella convinzione che l’emergenza richieda senso di responsabilità e di unità: confortati dal magistero di Papa Francesco, siamo certi che per il bene comune occorra continuare in questa linea di dialogo costante e serio.
1. Non possiamo nascondere di trovarci in un tempo di tribolazione. Dietro i numeri apparentemente anonimi e freddi dei contagi e dei decessi vi sono persone, con i loro volti feriti e gli animi sfigurati, bisognose di un calore umano che non può venire meno. La situazione che si protrae da mesi crea smarrimento, ansia, dubbi e, in alcuni casi, disperazione. Un pensiero speciale, di vicinanza e sostegno, va in particolare a chi si occupa della salute pubblica, al mondo del lavoro e a quello della scuola che attraversano una fase delicata e complessa: da qui passa buona parte delle prospettive presenti e future del Paese. «Diventa attuale la necessità impellente dell’umanesimo, che fa appello ai diversi saperi, anche quello economico, per una visione più integrale e integrante» (Laudato si’, n. 141).
Anche in questo momento la Parola di Dio ci chiama a reagire rimanendo saldi nella fede, fissando lo sguardo su Cristo (cfr. Eb 12,2) per non lasciarci influenzare o, persino, deprimere dagli eventi. Se anche non è possibile muoversi spediti, perché la corrente contraria è troppo impetuosa, impariamo a reagire con la virtù della fortezza: fondati sulla Parola (cfr. Mt 13,21), abbracciati al Signore roccia, scudo e baluardo (cfr. Sal 18,2), testimoni di una fede operosa nella carità (cfr. Gal 5,6), con il pensiero rivolto alle cose del cielo (cfr. Gal 3,2), certi della risurrezione (cfr. 1Ts 4; 1Cor 15). Dinanzi al crollo psicologico ed emotivo di coloro che erano già più fragili, durante questa pandemia, si sono create delle “inequità”, per le quali chiedere perdono a Dio e agli esseri umani. Dobbiamo, singolarmente e insieme, farcene carico perché nessuno si senta isolato!
2. Questo tempo difficile, che porta i segni profondi delle ferite ma anche delle guarigioni, vorremmo che fosse soprattutto un tempo di preghiera. A volte potrà avere i connotati dello sfogo: «Fino a quando, Signore…?» (Sal 13). Altre volte d’invocazione della misericordia: «Pietà di me, Signore, sono sfinito, guariscimi, Signore, tremano le mie ossa» (Sal, 6,3). A volte prenderà la via della richiesta per noi stessi, per i nostri cari, per le persone a noi affidate, per quanti sono più esposti e vulnerabili: «Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio» (Sal 16,1). Altre volte, davanti al mistero della morte che tocca tanti fratelli e tante sorelle e i loro familiari, diventerà una professione di fede: «Tu sei la risurrezione e la vita. Chi crede in te, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in te, non morirà in eterno» (Gv 11,25-26). Altre, ancora, ritroverà la confidenza di sempre: «Signore, mia forza e mia difesa, mio rifugio nel giorno della tribolazione» (Ger 16,19).
Le diverse e, talvolta, sofferte condizioni di molte famiglie saranno al centro delle preghiere individuali e comunitarie: questo “tempo sospeso” rischia, infatti, di alimentare fatiche e angosce, specialmente quando si acuiscono le tensioni tra i coniugi, per i problemi relazionali con i figli, per la mancanza di lavoro, per il buio che si prospetta per il futuro. Sappiamo che il bene della società passa anzitutto attraverso la serenità delle famiglie: auspichiamo, perciò, che le autorità civili le sostengano, con grande senso di responsabilità ed efficaci misure di vicinanza, e che le comunità cristiane sappiano riconoscerle come vere Chiese domestiche, esprimendo attenzione, sostegno, rispetto e solidarietà.
Anche le liturgie e gli incontri comunitari sono soggetti a una cura particolare e alla prudenza. Questo, però, non deve scoraggiarci: in questi mesi è apparso chiaro come sia possibile celebrare nelle comunità in condizioni di sicurezza, nella piena osservanza delle norme. Le ristrettezze possono divenire un’opportunità per accrescere e qualificare i momenti di preghiera nella Chiesa domestica; per riscoprire la bellezza e la profondità dei legami di sangue trasfigurati in legami spirituali. Sarà opportuno favorire alcune forme di raccoglimento, preparando anche strumenti che aiutino a pregare in casa.
3. La crisi sanitaria mondiale evidenzia nettamente che il nostro pianeta ospita un’unica grande famiglia, come ci ricorda Papa Francesco nella recente Enciclica Fratelli tutti: «Una tragedia globale come la pandemia del Covid-19 ha effettivamente suscitato per un certo tempo la consapevolezza di essere una comunità mondiale che naviga sulla stessa barca, dove il male di uno va a danno di tutti. Ci siamo ricordati che nessuno si salva da solo, che ci si può salvare unicamente insieme» (n. 32). Occorre, quindi, rifiutare la logica del “si salvi chi può”, perché, come afferma ancora Papa Francesco, «il “si salvi chi può” si tradurrà rapidamente nel “tutti contro tutti”, e questo sarà peggio di una pandemia» (n. 36). In tale contesto i cristiani portano anzitutto il contributo della fraternità e dell’amore appresi alla scuola del Maestro di Nazareth, morto e risorto.
Tutto questo sta avvenendo nelle nostre comunità. Se i segni di morte balzano agli occhi e s’impongono attraverso i mezzi d’informazione, i segni di risurrezione sono spesso nascosti, ma reali ancor più di prima. Chi ha occhi per vedere può raccontare, infatti, d’innumerevoli gesti di dedizione e generosità, di solidarietà e amore, da parte di credenti e non credenti: essi sono, comunque, “frutto dello Spirito” (cfr. Gal 5,22). Vi riconosciamo i segni della risurrezione di Cristo, sui quali si fonda la nostra fiducia nel futuro. Al centro della nostra fede c’è la Pasqua, cioè l’esperienza che la sofferenza e la morte non sono l’ultima parola, ma sono trasfigurate dalla risurrezione di Gesù. Ecco perché riteniamo che questo sia un tempo di speranza. Non possiamo ritirarci e aspettare tempi migliori, ma continuiamo a testimoniare la risurrezione, camminando con la vita nuova che ci viene proprio dalla speranza cristiana. Un invito, questo, che rivolgiamo in modo particolare agli operatori della comunicazione: tutti insieme impegniamoci a dare ragione della speranza che è in noi (cfr. 1Pt 3,15-16).
4. Le comunità, le diocesi, le parrocchie, gli istituti di vita consacrata, le associazioni e i movimenti, i singoli fedeli stanno dando prova di un eccezionale risveglio di creatività. Insieme a molte fatiche pastorali, sono emerse nuove forme di annuncio anche attraverso il mondo digitale, prassi adatte al tempo della crisi e non solo, azioni caritative e assistenziali più rispondenti alle povertà di ogni tipo: materiali, affettive, psicologiche, morali e spirituali. I presbiteri, i diaconi, i catechisti, i religiosi e le religiose, gli operatori pastorali e della carità stanno impegnando le migliori energie nella cura delle persone più fragili ed esposte: gli anziani e gli ammalati, spesso prime vittime della pandemia; le famiglie provate dall’isolamento forzato, da disoccupazione e indigenza; i bambini e i ragazzi disabili e svantaggiati, impossibilitati a partecipare alla vita scolastica e sociale; gli adolescenti, frastornati e confusi da un clima che può rallentare la definizione di un equilibrio psico-affettivo mentre sono ancora alla ricerca della loro identità. Ci sembra di intravedere, nonostante le immani difficoltà che ci troviamo ad affrontare, la dimostrazione che stiamo vivendo un tempo di possibile rinascita sociale.
È questo il migliore cattolicesimo italiano, radicato nella fede biblica e proiettato verso le periferie esistenziali, che certo non mancherà di chinarsi verso chi è nel bisogno, in unione con uomini e donne che vivono la solidarietà e la dedizione agli altri qualunque sia la loro appartenenza religiosa. A ogni cristiano chiediamo un rinnovato impegno a favore della società lì dove è chiamato a operare, attraverso il proprio lavoro e le proprie responsabilità, e di non trascurare piccoli ma significativi gesti di amore, perché dalla carità passa la prima e vera testimonianza del Vangelo. È sulla concreta carità verso chi è affamato, assetato, forestiero, nudo, malato, carcerato che tutti infatti verremo giudicati, come ci ricorda il Vangelo (cfr. Mt 25, 31-46).
Ecco il senso dell’invito di Paolo: «Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera» (Rm 12,12). Questo è il contributo dei cattolici per la nostra società ferita ma desiderosa di rinascere. Per noi conta testimoniare che l’unico tesoro che non è destinato a perire e che va comunicato alle generazioni future è l’amore, che deriva dalla fede nel Risorto.Noi crediamo che questo amore venga dall’alto e attiri in una fraternità universale ogni donna e ogni uomo di buona volontà.

IL CONSIGLIO PERMANENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
Roma, 22 novembre 2020
Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo

anche i vescovi italiani temono l’imbarbarimento

l’accusa della Cei

sui migranti salvare la nostra stessa umanità dall’imbarbarimento

dura nota della Conferenza episcopale: ci sentiamo responsabili di questo esercito di poveri, vittime di guerre e fame, di deserti e torture

Madre e bambino morti portati a bordo della Open Arms

madre e bambino morti portati a bordo della Open Arms

Da una parte la cultura dell’odio, dello sfruttamento. Del razzismo. Dall’altra una società – anche se ultimamente messa un po’ all’angolo – che non arretra all’avanzare dell’intolleranza:

“Avvertiamo in maniera inequivocabile che la via per salvare la nostra stessa umanità dalla volgarità e dall’imbarbarimento passa dall’impegno a custodire la vita. Ogni vita. A partire da quella più esposta, umiliata e calpestata”.

Lo ha detto la Cei in una dichiarazione sulla questione dei migranti.

“Rispetto a quanto accade non intendiamo né volgere lo sguardo altrove, né far nostre parole sprezzanti e atteggiamenti aggressivi. Non possiamo lasciare che inquietudini e paure condizionino le nostre scelte, determino le nostre risposte, alimentino un clima di diffidenza e disprezzo, di rabbia e rifiuto”.

La Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana ha aggiunto:

“Gli occhi sbarrati e lo sguardo vitreo di chi si vede sottratto in extremis all’abisso che ha inghiottito altre vite umane sono solo l’ultima immagine di una tragedia alla quale non ci è dato di assuefarci. Ci sentiamo responsabili di questo esercito di poveri, vittime di guerre e fame, di deserti e torture. È la storia sofferta di uomini e donne e bambini che – mentre impedisce di chiudere frontiere e alzare barriere – ci chiede di osare la solidarietà, la giustizia e la pace”.
“Come Pastori della Chiesa non pretendiamo di offrire soluzioni a buon mercato. Rispetto a quanto accade non intendiamo, però, né volgere lo sguardo altrove, né far nostre parole sprezzanti e atteggiamenti aggressivi”, sottolineano i vescovi

“Animati dal Vangelo di Gesù Cristo continuiamo a prestare la nostra voce a chi ne è privo. Camminiamo con le nostre comunità cristiane, coinvolgendoci in un’accoglienza diffusa e capace di autentica fraternità. Guardiamo con gratitudine a quanti – accanto e insieme a noi – con la loro disponibilità sono segno di compassione, lungimiranza e coraggio, costruttori di una cultura inclusiva, capace di proteggere, promuovere e integrare. Avvertiamo in maniera inequivocabile che la via per salvare la nostra stessa umanità dalla volgarità e dall’imbarbarimento passa dall’impegno a custodire la vita”, conclude la nota.

una chiesa clericale e addormentata quella italiana – parola del card. Bassetti

il card. Bassetti scuote la Chiesa italiana:

“troppo clericale, dobbiamo svegliarci

sull’Osservatore Romano l’elogio di don Benzi: “Fu uno schiaffo a una società ipocrita”

ANDREA ACALI

Il cardinale Gualtiero Bassetti

Il cardinale Gualtiero Bassetti
“La Chiesa italiana è in una fase felice ma vedo anche un po’ di stanchezza. Il nuovo dell’Evangelii Gaudium tarda a spuntare perché quella italiana è una Chiesa abbastanza clericale“. Lo ha detto il presidente della Conferenza episcopale italiana, il card. Gualtiero Bassetti, in un’intervista a InBlu Radio, il network delle radio cattoliche della Cei, ospite del programma ‘Pastori, incontri con i vescovi italiani’ condotto da Sergio Valzania in onda ogni sabato e domenica alle ore 18.30. L’arcivescovo di Perugia, che questa mattina è stato ricevuto da Papa Francesco, ha aggiunto che “Si viene da una mentalità pregressa in cui la Chiesa era il parroco o il vescovo. Anche le persone formate come collaboratori erano figli di questa mentalità. Se era clericale il parroco lo erano anche i suoi collaboratori. Ciascuno era terribilmente attaccato al proprio ruolo e al proprio ministero. Quando in passato cambiavo un parroco mi veniva detto: ‘Può cambiare anche il parroco ma qui si è sempre fatto così’. E proprio il conservatorismo è una nota tipica di noi italiani. In questo modo si fa più fatica a far emergere il nuovo. Le giovani generazioni hanno delle grandi difficoltà. Nel volontariato, infatti, ci sono tanti anziani ma pochi giovani”.

La sinodalità

“La parola sinodalità – ha ricordato il card. Bassetti – in greco significa ‘andare sulla stessa strada’ ed è il contrario del clericalismo. La mentalità clericale è ‘io ho il compito di parroco, vescovo, catechista, animatore e questo è il mio campo’. Sinodalità vuol dire condividere insieme i doni, carismi, ministeri. Le membra della Chiesa devono essere infatti in armonia tra di loro. Spesso è più facile racchiudersi nelle proprie idee. La sinodalità richiede dunque il superamento del clericalismo. In Italia serve una Chiesa non dove alcuni hanno molti ministeri, e purtroppo siamo ancora a questo livello, ma dove molti hanno pochi ministeri in modo da poterli fare bene e in armonia tra loro”.

Immigrazione

Il cardinale poi ha parlato dell’immigrazione che a suo avviso “non è solo un problema ma soprattutto una risorsa. Presenta degli aspetti di problematicità perché siamo di fronte ad un fenomeno di masse umane in movimento. Non dobbiamo però fermarci alla corteccia del fatto. Dobbiamo cogliere più che la problematicità, l’aspetto di novità e risorsa. Il fenomeno migratorio – ha ricordato il card. Bassetti – c’è sempre stato nell’umanità, fin dai tempi di Abramo. I quattro verbi che ci ha dato Papa Francesco parlando dell’immigrazione sono quattro azioni da mettere in pratica: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Sono le sfide del mondo di oggi. L’accoglienza e la protezione della persona umana sono il pulsante del cuore della carità cristiana. La promozione e l’integrazione di una persona sono il fulcro vitale di una società che non si dimentica di nessuno. Il fenomeno dell’immigrazione va accolto. Allo stesso modo capisco che una società civile che ha delle regole da rispettare, deve anche proteggere queste persone dai luoghi di provenienza attraverso corridoi umanitari e favorendo delle condizioni per cui non tutti siano costretti a partire. L’Italia – ha sottolineato – è un Paese accogliente e si sta distinguendo da tutto il resto dell’Europa. Di questo non possiamo fare altro che ringraziare la Provvidenza”.

Secolarizzazione

Il presidente dei vescovi italiani ha quindi affrontato il tema della secolarizzazione: “E’ un fenomeno che in parte è ancora in atto ma non credo che oggi sia il principale dei problemi. Il principale problema è quello dell’annuncio della fede. Trovare i canali giusti per portare la buona notizia del Vangelo. È vero che è un mondo secolarizzato ma è anche un mondo che rischia di chiudersi nelle sue povertà. Oggi ci sono anche delle condizioni nuove per annunciare il Vangelo, in situazioni inaspettate. Vedo che si avvicinano delle persone che erano in conflitto con la Chiesa, vengono perché sentono come una sete che li porta a ricercare il bene e il meglio. È una sete di Dio. Viviamo dunque in un mondo secolarizzato ma anche assetato di Dio. Dobbiamo svegliarci tutti dal sonno – ha concluso il card. Bassetti – e metterci in cammino. Non si deve avere paura di sporcarsi le mani. Bisogna affrontare tutte le situazioni. Tutto ciò che riguarda, nel bene e nel male, gli uomini è benedetto da Dio”.

Il ricordo di don Benzi

Lo stesso cardinale Bassetti ha anche ricordato in un articolo per la rubrica “Dialoghi” sul Settimanale dell’Osservatore Romano in edicola oggi l”impegno di don Oreste Benzi per le donne vittime della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione, “le nuove schiave”. E’ stato “uno schiaffo in pieno volto a una società ipocrita, che non solo chiude gli occhi davanti a un tale scempio, ma ne fa un mercimonio nel buio, nel segreto inconfessabile di una passione avida e ricattatoria”: così il presidente della Cei ha ricordato il fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII a dieci anni dalla morte.  “Come diceva don Oreste – ha scritto ancora – ‘nessuna donna nasce prostituta, ma c’è sempre qualcuno che ce la fa diventare’. Incontrandole con il suo rosario in mano, ha salvato dal racket della prostituzione circa settemila donne”. Per il cardinale Bassetti, don Oreste Benzi, è stato “il prete degli ultimi, il sacerdote ‘dalla tonaca lisa’, un Filippo Neri dei nostri tempi”. Una nota della diocesi di Perugia spiega anche il significato del titolo dell’articolo, il “legno di Gesù“. E’ un diretto riferimento al regalo “inaspettato” che i ragazzi della cooperativa sociale “Ro’ la formichina” della Comunità Papa Giovanni XXIII hanno fatto a Bassetti, un pastorale fatto con il legno recuperato dalle carcasse dei barconi dei migranti che porta la scritta “È un legno che ha portato tanta sofferenza, tanta speranza, proprio come il legno della croce di Gesù”. Don Benzi – ha sostenuto ancora il cardinale – “ha conosciuto questa sofferenza e questa speranza, abbracciando gli ultimi e poveri, per amore a Cristo”. In quel pastorale vi sono dunque “due grandi messaggi: il primo riguarda l’eredità spirituale di don Benzi; il secondo si riferisce al ruolo della Chiesa nell’Italia odierna”.

la campagna dei vescovi italiani a favore dei migranti

migrazioni

al via la campagna Cei

«liberi di partire, liberi di restare»


Luca Liverani 
È online il sito dell’iniziativa della Chiesa italiana per il sostegno ai migranti nei paesi di partenza, di transito e di accoglienza, finanziato con 30 milioni di euro dell’8 per mille

Alcuni dei 304 migranti salvati il 18 agosto dalla ong maltese Moas (foto Ansa - Croce Rossa Italiana)

alcuni dei 304 migranti salvati il 18 agosto dalla ong maltese Moas

Si chiama significativamente «Liberi di partire, liberi di restare» la campagna lanciata dalla Conferenza episcopale italiana per dare una risposta concreta al fenomeno, non di rado drammatico, delle migrazioni dai paesi in via di sviluppo. Una definizione che è anche l’indirizzo web dell’omonimo sito liberidipartireliberidirestare.it realizzato per seguire lo sviluppo delle iniziative. Per finanziarle la Cei ha assegnato 30 milioni di euro dell’8xmille

L’agenzia Sir, che lancia l’iniziativa, definisce la campagna «una finestra sul mondo, lo specchio di un impegno corale che va oltre i cori da stadio e l’indifferenza». Scopo del progetto è sensibilizzare la popolazione italiana sul tema, e allo stesso tempo realizzare progetti concreti nei Paesi di partenza, di transito e di accoglienza di quanti. Nei paesi cioè da cui, specialmente bambini e donne, fuggono da guerre, fame e violenza.

Perché dire «aiutiamoli a casa loro significa solo scaricare il problema». Occorre invece dare a tutti la possibilità di decidere. È questo il senso della Campagna della Cei “Liberi di partire, liberi di restare” che ha come tema centrale il diritto alla libertà, presupposto fondamentale per la pace e la giustizia. «Nessuno deve essere costretto a stare in un posto dove non può vivere una vita dignitosa o dove c’è violenza. Nello stesso tempo ognuno ha il diritto di muoversi perché la terra è di tutti, non di alcuni sì e di altri no», afferma don Leonardo Di Mauro, responsabile del Servizio degli interventi caritativi a favore dei Paesi del Terzo Mondo, sottolineando che con questa iniziativa «vorremmo che il concetto di libertà di partire, di emigrare, valesse a 360 gradi».

Il portale accompagnerà lo svolgersi della Campagna, raccontando le storie e le testimonianze delle persone coinvolte, sia dei promotori delle attività sia dei loro beneficiari. Al momento sono 6 i paesi coinvolti attraverso 4 progetti, finanziati con 600 mila euro. La grande mappa, che campeggia sulla home page, permette di visitare virtualmente i luoghi di intervento, per scoprire cosa vi si realizza e con quante risorse. La sezione news invece aiuta ad approfondire il significato e gli ambiti di questa iniziativa straordinaria della Cei grazie alle voci dei protagonisti e di quanti – uffici Cei, associazioni, diocesi e realtà locali- vi sono impegnati. Il sito, disponibile anche in inglese e francese, raccoglie infine tutti i materiali che l’agenzia Sir, il quotidiano Avvenire, RadioinBlu e Tv2000 pubblicano a riguardo.

Tra i progetti al momento attivati c’è a Catania «Semi di accoglienza», partito a giugno con un contributo di 86 mila euro. Si tratta di un laboratorio di sartoria etnica e uno di pasta fresca per aiutare l’inserimento nel mondo del lavoro delle ragazze che hanno vissuto il dramma della tratta. Il progetto, presentato dalle suore Serve della Divina Provvidenza di Catania, ha come obiettivo la formazione professionale delle ragazze ospiti delle diverse realtà di accoglienza de “la Casa di Agata”. I fondi saranno utilizzati per potenziare le attività già in atto, migliorando la qualità delle realizzazioni di sartoria, e per creare un negozio per la vendita diretta di prodotti di pasta fresca con un canale di commercializzazione di prenotazione e consegna domiciliare.

Poi c’è «Il diritto a non fuggire», avviato a maggio con 420 mila euro, che ha come obiettivo la formazione in Italia di giovani per sviluppare in Mali progetti che possano incidere nella realtà locale, innescando un cambiamento sociale, economico e politico. Grazie al progetto promosso dall’Associazione Rondine Cittadella della Pace, sei giovani maliani frequenteranno un master di primo livello o una scuola di alta professionalizzazione sui temi della gestione dei conflitti, della riconciliazione e delle abilità di comunicazione. Per dare un contributo concreto al processo di pace in Mali, un Paese ancora caratterizzato da instabilità e insicurezza.

Con 66 mila euro infine è stato lanciato a Pozzallo in Sicilia il progetto «Tutori volontari per minori non accompagnati». L’inixiativa nasce dalla constatazione che sono stati oltre 17 mila i minori non accompagnati arrivati in Italia nel 2016. Si tratta di bambini e ragazzi vulnerabili che, per essere tutelati, hanno bisogno di un adulto che possa accompagnarli e rappresentarli legalmente negli adempimenti amministrativi. Per questo la cooperativa sociale Fo.Co, che coordina il Centro Mediterraneo di Studi e Formazione Giorgio La Pira di Pozzallo, promuove in Sicilia un progetto per sensibilizzare, informare e formare 300 tutori volontari per minori non accompagnati.

una mezza rivoluzione nell’episcopato italiano

 

 
VATICAN-SIRYA-POPE-PRAYER

ha scombussolato anche l’assetto istituzionale della Conferenza Episcopale Italiana papa Francesco, restituendo la CEI alla chiesa italiana e prendendo da una diocesi secondaria il suo segretario generale che non avendo intrallazzi di potere è libero di rivoluzionare al meglio la struttura gerarchica

in poche righe la bella e acuta penna di A. Melloni delinea la novità radicale rappresentata da questa nomina:

Nunzio Galantino Segretario Cei meno politica e più religiosità

 

di Alberto Melloni

in “Corriere della Sera” del 2 gennaio 2014

 

La nomina di monsignor Nunzio Galantino a segretario generale ad interim della Cei è il segno che

il papa vuole restituire la Conferenza episcopale ai vescovi. Una nomina era attesa da quando a

novembre, Francesco aveva «promosso» monsignor Crociata alla sede di Latina, senza la porpora

che avevano avuto i suoi predecessori Ruini, Tettamanzi e Betori al termine del loro servizio. Una

punizione, dicevano in molti, anche se onestamente non si capiva per cosa. La chiamata del vescovo

di Cassano, invece, ha chiarito che il Papa ha chiuso con morbida imperiosità la stagione della Cei

come volano della politica e volano delle carriere.

La politica era al cuore della Cei di Paolo VI, che vedeva nel segretario generale la valvola fra

società, episcopato, Santa Sede e partiti. Wojtyla cambiò linea e individuò in Camillo Ruini un

plenipotenziario titolare di quella mediazione politica che Moro aveva guadagnato ai tempi del

centrosinistra. Ratzinger e Bertone smontarono quel sistema, ma a prezzo di conflitti devastanti e di

quel collateralismo fai-da-te che si è messo all’opera con Monti un anno fa e di recente con Alfano.

Galantino è scelto per non occuparsi di questo. Francesco si fida dell’«heroísmo patriótico» di

Napolitano e capisce di non poter offrire nulla di più all’Italia di oggi (se la chiesa avesse formato

due persone l’anno, oggi avrebbe quaranta riserve per la repubblica, ma ha fatto altro e il Papa ne

prende atto). Galantino inoltre non è stato scelto per coronare la carriera di un ordinario di

antropologia fatto vescovo, ma proprio perché non ha cercato né voluto quel posto.

Se dopo l’interim il nuovo segretario sarà scelto così, se il nuovo presidente della Cei sarà eletto con

questi criteri molte ambizioni sono destinate a rimanere deluse e quel senso di spaesamento che

oggi si legge in volto ai vescovi che già pensavano a grandi sedi e a cappelli rossi è destinato ad

aumentare. Viceversa ci sono ottimi pastori di piccole diocesi che potrebbero sentirsi chiedere «per

favore» di assumere responsabilità anche più grandi di quelle date ora a monsignor Galantino

la CEI sente l’influenza di papa Francesco

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‘effetto Francesco’

Bagnasco cede al “nuovo corso”

di Giacomo Galeazzi

Dal «J’accuse» per il dilagare della cultura del «gender» al grido d’allarme per la disoccupazione. Dalla battaglia a difesa dei ratzingeriani «principi non negoziabili» (vita, famiglia, scuola cattolica) all’afflato sociale verso gli immigrati. Dal fortino assediato della bioetica alle aperture provocate dal «Vangelo della solidarietà» di Francesco. Nel radicale passaggio da Benedetto XVI a Bergoglio, la prolusione Cei cambia toni e contenuti per sintonizzarsi con il «nuovo corso» d’Oltretevere.
Niente salti nel buio
Il leader dei vescovi, Angelo Bagnasco benedice le larghe intese avvertendo che «ogni atto irresponsabile – da qualunque parte provenga – passerà al giudizio della storia». La priorità numero uno diventa il lavoro. Certo, il porporato mette in guardia dall’approvazione di un provvedimento sull’omofobia, perché «nessuno dovrebbe discriminare, né tanto meno incriminare in alcun modo, chi sostenga ad esempio che la famiglia è solo quella tra un uomo e una donna fondata sul matrimonio». Però nei sacri palazzi il clima non è più da crociata. Nel confronto con la modernità, adesso si punta su ciò che unisce piuttosto che su ciò che divide. Senza fare più sconti a quelle istituzioni richiamate domenica da Francesco ad occuparsi realmente del bene comune.
Cambio di stile
Il cardinale apre il Consiglio con un giro d’orizzonte sui temi di attualità del nostro paese. Nell’era Bergoglio, però, il testo della prolusione è più breve, i toni un po’ meno insistiti sulle questioni di bioetica, densi i riferimenti ad interventi del Papa come a Lampedusa, in difesa dei migranti, o domenica a Cagliari, accanto ai lavoratori e ai disoccupati.
Ripresa lontana Nella situazione attuale di crisi «grande impegno viene profuso dai responsabili della cosa pubblica, ma i proclamati segnali di ripresa non sembrano dare, finora, frutti concreti sul piano dell’occupazione che è il primo, urgentissimo obiettivo», evidenzia Bagnasco. Nessun riferimento esplicito al governo Letta o ai malumori di Berlusconi, ma stavolta è chiaro che dalla Chiesa italiana non arriveranno «assoluzioni» per chi anteporrà i propri interessi a quelli generali. «L’ora esige una sempre più intensa e stabile concentrazione di energie, di collaborazioni, di sforzi congiunti senza distrazioni, notte e giorno». Più in generale, «il centro che deve ispirare e muovere il Paese è la famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e una donna, grembo della vita, cellula sorgiva di relazioni». Sui temi della bioetica, però, Bagnasco non si sofferma oltre. Anche in Parlamento, del resto, l’atmosfera è mutata rispetto agli anni dei Dico e del testamento biologico. La politica è concentrata sulla crisi economica e le riforme istituzionali.
Sulla scia di Bergoglio
Ma soprattutto sul Soglio di Pietro da sei mesi c’ è il Papa del dialogo a tutto campo. Le sue parole a Civiltà Cattoliche hanno segnato la svolta : «Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale. Questo non è possibile!». E anche la Cei (unica conferenza episcopale al mondo a non votare né il proprio presidente né il segretario generale e ad utilizzare lo strumento della prolusione in apertura dei lavori) cerca di sintonizzarsi con il Papa che sta rivoluzionando la Chiesa. Tra le riforme allo studio nel «laboratorio Bergoglio» c’è anche l’ipotesi di far eleggere ai vescovi italiani i loro vertici. La gigantesca presenza, sullo sfondo, del Papa
argentino, del resto, attraversa tutta la prolusione. Bagnasco, inoltre, fa riferimento a vari fatti di attualità, dal femminicidio alla necessità che la politica aiuti maggiormente le famiglie introducendo, a livello fiscale, il «fattore famiglia»; dal dilagare dell’individualismo alla persecuzione dei cristiani in vari paesi del mondo.
Meno bioetica, più sociale
Numerose sono le citazioni di Bergoglio, costante l’attenzione ai temi da lui sollevati, dalla povertà all’immigrazione. Nel «parlamentino» Cei siede anche Angelo Scola, arcivescovo di Milano, che verrà ricevuto dal Papa domani pomeriggio. E che ha subito fatto propria la sterzata «social», sintonizzandosi con il «Bergogliostyle». Bagnasco, da parte sua, promette che il consiglio permanente dedicherà fino a giovedì «largo spazio» per il «discernimento» su tre questioni che Francesco ha sollevato nell’incontro di maggio con i presuli.
Cei povera per i poveri
Si tratta in primo luogo del «dialogo con le istituzioni culturali, sociali e politiche» che Bergoglio ha confermato essere «compito di noi vescovi» (azzerando le velleità di egemonia della Segreteria di Stato sulla vita pubblica italiana) poi, di come «rendere forti le conferenze regionali perché siano voci delle diverse realtà» e infine del numero delle diocesi, tema sul quale ha lavorato un’apposita commissione, «su richiesta» del dicastero vaticano per i vescovi». Ma sul quale Francesco ha fatto chiaramente capire che il numero di diocesi italiane è eccessivo e che anche la Chiesa italiana è chiamata a divenire «povera e per i poveri». Insomma, i venti di riforma soffiano anche alla Cei. «Il filo diretto di Bergoglio con parecchi vescovi italiani sta dando i suoi frutti», osservano in Curia, dove si prepara la riunione d’ottobre degli 8 cardinali consiglieri che riformeranno l’intera «macchina».

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