il messaggio ‘antirazzista’ di Gesù

 un cristiano autentico non può essere razzista

rifugiati migranti

‘ero straniero e mi avete accolto’

la grande attualità del messaggio ‘antirazzista’ di Gesù

 

L’AUTORE –Alberto Maggi, frate dell’Ordine dei Servi di Maria, ha studiato nelle Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana di Roma e all’École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme. Fondatore del Centro Studi Biblici«G. Vannucci» a Montefano (Macerata), cura la divulgazione delle sacre scritture interpretandole sempre al servizio della giustizia, mai del potere. Ha pubblicato, tra gli altri: Chi non muore si rivede – Il mio viaggio di fede e allegria tra il dolore e la vita, Roba da preti; Nostra Signora degli eretici;Come leggere il Vangelo (e non perdere la fede); Parabole come pietre; La follia di Dio e Versetti pericolosi. E’ da poco uscito per Garzanti L’ultima beatitudine – La morte come pienezza di vita.

 

“Prima noi”, è il mantra con il quale si mascherano spietati egoismi e si giustificano inaudite durezze di cuore. È la formula magica di quanti chiariscono subito “non sono razzista, però…”, un “però” eretto come un invalicabile muro a difesa del “noi”, pronome che include, a secondo degli interessi, un popolo o la famiglia, una religione o un quartiere. Mentre per “prima” s’intende l’accesso e l’esclusiva precedenza a tutto quel che permette alla vita di essere dignitosa, dalla casa al lavoro, dall’assistenza sanitaria alla scuola; beni e valori che, sono fuori discussione, devono essere riservati per primi a chi ne ha pienamente diritto per questioni di lignaggio. Ovviamente, al “noi” si contrappone il “loro”, che include per escluderli, tutti quelli che non appartengono allo stesso popolo, alla stessa cultura, società, religione, o famiglia.
“Prima noi”, poi, eventualmente, se proprio ci avanza, si possono dare le briciole a chi ne ha bisogno, ovvero all’estraneo che attenta al nostro benessere economico, ai valori civili e religiosi della nostra società e alle nostre sacrosante tradizioni. “Loro” sono gli stranieri, i barbari. In ogni cultura chi proviene da fuori, incute paura. Lo straniero è un barbaro, colui cioè che emette suoni incomprensibili, (dal sanscrito barbara = balbuziente), colui che parla una lingua incomprensibile e che nel mondo greco passò a significare quel che è selvaggio, rozzo, feroce, incivile, indigeno.
Nonostante nella Scrittura si trovino indicazioni che mirano alla protezione dello straniero (“Non maltratterai lo straniero e non l’opprimerai, perché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto”, Es 22,21), Gesù si è trovato a vivere in una realtà dove il forestiero andava evitato, e persino dopo la morte veniva seppellito a parte, in un luogo considerato impuro (“Il Campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri” Mt 27,7). Al tempo di Gesù vige una separazione totale tra giudei e stranieri, come riconosce Pietro: “Voi sapete come non sia lecito a un giudeo di aver relazioni con uno straniero o di entrar in casa sua” (At 10,28).
In questo ambiente stupisce il comportamento del Cristo che da una parte arriva a identificarsi con gli ultimi della società (“Ero straniero e mi avete accolto”, Mt 25,35.43), e proclama benedetti quanti avranno ospitato lo straniero (“Venite benedetti del Padre mio”¸ Mt 25,34), dall’altra, Gesù accusa con parole tremende quelli che non lo fanno (“Via, lontano da me, maledetti… perché ero straniero e non mi avete accolto”, Mt 25,41.43), con una maledizione che richiama quella del primo assassino della Bibbia, il fratricida Caino (“Ora sii maledetto”, Gen 4,11). Se la risposta alle altrui necessità era un fattore di vita, la mancata risposta è causa di morte. Per Gesù negare l’aiuto all’altro è come ucciderlo.Gesù non solo si identifica nello straniero, ma nei vangeli il suo elogio va proprio per i pagani, personaggi tutti positivi (eccetto Pilato in quanto incarnazione del potere) e portatori di ricchezza. Si teme sempre cosa e quanto si debba dare allo straniero e non si riconosce quel che si riceve dallo stesso. Nella sua attività Gesù si troverà di fronte ottusità e incredulità persino da parte della sua famiglia e dei suoi stessi paesani, ma resterà ammirato dalla fede di uno straniero, il Centurione, e annuncerà che mentre i pagani entreranno nel suo regno, gli israeliti ne resteranno esclusi (Mt 8,5-13; Mt 27,54).
Nella sinagoga di Nazaret, il suo paese, Gesù rischierà il linciaggio per aver avuto l’ardire di tirare fuori dal dimenticatoio due storie che gli ebrei preferivano ignorare: Dio in casi di emergenza e di bisogno non fa distinzione tra il popolo eletto e i pagani, ma dirige il suo amore a chi più lo necessita. Così nel caso di una grande carestia che colpì tutto il paese, aiutò una straniera, una pagana, “una vedova a Sarepta di Sidone” (Lc 4,26), e con tutti i lebbrosi che c’erano al tempo del profeta Eliseo, il signore guarì uno straniero: “Naamàn, il Siro” (Lc 4,27).Prima noi? Gesù, manifestazione vivente dell’amore universale del Padre, vuole condividere i pani in terra pagana così come ha fatto in Israele (Mt 14,13-21). La resistenza dei discepoli di portare anche agli stranieri la buona notizia, viene dagli evangelisti raffigurata nell’incontro di Gesù con una donna straniera, cananea (fenicia) che invoca la liberazione della figlia da un demonio (Mt 15,22). La donna, succube dell’ideologia nazional religiosa che faceva ritenere i pagani inferiori ai Giudei, si accontenterebbe di poco, anche delle briciole (“Sì, Signore, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro signori”, Mt 15,27). Nella tradizione biblica i figli di Israele sono chiamati a dominare le nazioni pagane, mentre i pagani sono destinati ad essere dominati. Non c’è uguaglianza tra gli appartenenti al popolo eletto e gli esclusi. Gli uni sono figli, e gli altri cani, animali ritenuti impuri e portatori del demonio. Per questo non si può dare il pane a quanti, per la loro condizione di pagani, sono veicolo di impurità e contaminazione.Sarà una donna, per giunta pagana, a impartire una lezione ai discepoli del Cristo. Costei ha infatti compreso che non ci sono dei figli e dei cani, quelli che meritano e gli esclusi, quelli che hanno diritto e quelli no, un prima (noi) e un dopo (gli altri), ma tutti possono cibarsi insieme, e allo stesso tempo, dell’unico pane che alimenta la vita. Essa comprende quello che i discepoli fanno fatica a capire e ad accettare, cioè, che la compassione e l’amore vanno al di là delle divisioni razziali, etniche e religiose.La reazione di Gesù è di grande ammirazione: “Allora Gesù le replicò: Donna, grande è la tua fede! Ti sia fatto come vuoi”. (Mt 15,28), e ai pagani Gesù non concederà le briciole, ma anche in terra straniera ci sarà l’abbondante condivisione dei pani, segni della benedizione divina (Mt 15,32-39).
L’esperienza e il messaggio di Gesù verranno poi raccolti dagli altri autori del Nuovo Testamento, in particolare da Paolo, che in occasione di un naufragio, si stupirà per la “rara umanità” con cui lui e gli altri naufraghi sono stati ospitati dai barbari di Malta (At 28,2), e arriverà a capire una verità importante: “Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti” (Col 3,11; Gal 3,28).La Chiesa ha compreso e annuncia che con Gesù non si possono innalzare barriere, ma solo abbattere tutti i muri che gli uomini hanno costruito (“Egli infatti è la nostra pace, colui che dei due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che ci divideva…”, Ef 2,14), non solo i muri esteriori (mattoni), forse i più facili da demolire, ma quelli interiori (pregiudizi), mentali, teologici, morali, religiosi, i più difficili da estirpare perché li crediamo buoni o di provenienza divina.

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il commento al vangelo della domenica

ECCO LO SPOSO! ANDATEGLI INCONTRO!

commento al vangelo della trentaduesima domenica del tempo ordinario (12 novembre 2017) di p. Alberto Maggi:

Mt, 25,1-13

 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”. Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».

Il capitolo 25 del vangelo di Matteo si apre con l’ultimo dei cinque discorsi che suddividono la sua opera, a imitazione dei cinque libri della legge ritenuti scritti da Mosè. Ebbene questo capitolo contiene l’ultimo accenno, l’ultima volta, in cui l’evangelista parla del regno dei cieli, che, va ricordato, non è un regno nei cieli, ma significa il regno di Dio. E l’evangelista lo fa ricollegando questo discorso del regno dei cieli con questa parabola, alla fine del discorso della montagna, al capitolo settimo. In particolare quando Gesù afferma che “non chi dice signore signore”, non bastano gli attestati di ortodossia per essere in comunione con lui, ma chi collabora all’azione creatrice del Padre, “chi compie la volontà del Padre mio”. E Gesù aveva concluso il discorso della montagna con l’immagine di un uomo pazzo che va a costruire la casa sulla sabbia e al primo maltempo la casa crolla, e la persona saggia, intelligente che invece la costruisce sulla roccia. Era immagine di chi ascolta la sua parola, ma poi non la mette in pratica e quindi la sua vita va in rovina, e chi invece l’ascolta e poi la pratica. Leggiamo allora il capitolo 25 di Matteo. “Allora”, l’evangelista si collega alla venuta del Signore nelle sue manifestazioni nella storia umana, “il regno dei cieli”, che ricordo significala società alternativa che Gesù è venuto a realizzare, “sarà simile a dieci vergini”, vergini s’intende ragazze ancora non sposate, quindi in età da matrimonio “che presero le loro lampade”, per lampade non si deve intendere la piccola lampada di uso domestico, ma qui si tratta di torce, “e uscirono incontro allo sposo”, una immagine di Dio, dal profeta Osea in poi, era che lui era lo sposo e il suo popolo la sposa. “Cinque di esse erano stolte”, letteralmente pazze, e qui l’evangelista adopera lo stesso termine che Gesù proibisce di usare nella sua comunità, dice “chiunque dice pazzo al proprio fratello”, e questo termine era stato usato appunto alla conclusione del discorso della montagna per il pazzo che va a costruire la sua casa sulla sabbia e va in rovina. “E cinque sagge”, sagge come l’uomo che invece costruisce sulla roccia. “Le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio. Le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono”, il tema non è quello della vigilanza perché tutte quante si addormentano, ma si tratta di avere la capacità o no di andare incontro allo sposo. “A mezzanotte si alzò un grido: ecco lo sposo! Andategli incontro”, qui Gesù non si rifa agli usi matrimoniali del tempo, ma anzi li inverte, perché non erano le ragazze che andavano incontro allo sposo, ma era la sposa che, accompagnata dalle sue amiche, entrava nella causa dello sposo. Perché questa diversità? Appunto per attirare l’attenzione dell’uditorio. “Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade”, e qui c’è il problema. “Le stolte dissero alle sagge: dateci un po’ del vostro olio perché le nostre lampade si spengono”, può sembrare strana ora la risposta negativa delle sagge che dicono “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”, ma agiscono con raziocinio perché meglio in poche con le lampade per andare incontro allo sposo, piuttosto che in tanti però al buio. Quindi quest’olio rappresenta qualcosa che tutti possono avere, però che non può essere prestato e vedremo di capirlo andando avanti. “Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo”, l’evangelista ci dà l’immagine dell’incontro nuziale, la vita del credente non è fatta di chissà quali penosi sacrifici, ma è un crescendo di gioia nel rapporto con lo sposo, “e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa”, anche questa è un’altra incongruenza. Nel matrimonio, nelle nozze tutto il paese era invitato e le porte non si chiudevano, ma l’evangelista appunto ricalca queste stranezze per attirare l’attenzione dell’uditorio, e infatti si rifà a quanto Gesù aveva espresso al termine del discorso della montagna. “Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”, esattamente come coloro che hanno gridato “signore signore” e il Signore dice io non vi conosco, e gli aveva detto “non vi conosco operatori di iniquità”, letteralmente costruttori del niente. Non basta il credere, non basta l’attestato di ortodossia, non basta la fedeltà alla dottrina, il Signore ci chiede di essere collaboratori alla sua azione creatrice e l’azione creatrice di Dio si fa comunicando vita. Ecco cos’è l’immagine di questo olio. Nel vangelo, sempre nel vangelo di Matteo, Gesù dirà “così risplenda la vostra luce davanti agli altri uomini perché vedano le vostre opere buone e rendono gloria al vostro Padre che è nei cieli”. Ecco questa luce, questo olio che dà la luce sono le opere buone e le opere buone uno non è che le può prestare all’altro, o ci sono o non ci sono. E quindi lo sposo qui risponde esattamente come Gesù agli operatori di iniquità, “Ma egli rispose: In verità io vi dico: non vi conosco”. Gesù, il Signore, non conosce chi ha una relazione con lui basata sull’ortodossia, sugli attestati di fedeltà, ma chi questa ortodossia, questi attestati di fedeltà li traduce in atteggiamenti pienamente umani, andando incontro ai bisogni e alle necessità, alle sofferenze degli altri. E poi l’invito finale “Vegliate dunque”, qui vegliare non significa restare svegli la notte perché di fatto tutti quanti dormono, ma significa essere pienamente consapevoli e attenti di quello che accade, vivere con pienezza qualunque istante della propria vita per essere capaci di collaborare all’azione creatrice del Signore.

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