p.Maggi e p.Pagola commentano il vangelo della domenica

p. Maggi

BATTESIMO DEL SIGNORE 

12 gennaio 2014

 Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi

Mt 3,13-17

In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui.
Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare.
Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».

L’attività di Gesù nel vangelo di Matteo si apre e si chiude all’insegna del battesimo. Nel brano che adesso vedremo Gesù viene battezzato e con il battesimo Gesù diventa manifestazione visibile della presenza del Padre nell’umanità e le ultime parole di Gesù ai suoi discepoli, una volta risuscitato, sarà di mandarli a battezzare nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Cioè essere manifestazione visibile della pienezza dell’amore di Dio e farla sperimentare ad ogni persona. Nel vangelo di Matteo, appena Gesù entra in scena, iniziano subito i problemi. Scrive infatti l’evangelista al capitolo 3, versetto 13, “Allora Gesù dalla Galilea venne…”. Qui l’evangelista adopera lo stesso verbo adoperato per l’apparizione di Giovanni Battista.
Con questo stratagemma letterario l’evangelista vuole indicare che in Gesù c’è il prolungamento e il compimento dell’attività del Battista. “… Al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui”, da sempre nella chiesa ha creato problema il battesimo di Gesù. Se il battesimo di Gesù, come annunciava Marco, era mirato ad ottenere il perdono dei peccati, perché Gesù è andato a farsi battezzare?
Se il battesimo di Gesù, come nel vangelo di Matteo, è mirato alla conversione, cioè ad un cambiamento del proprio comportamento, da un comportamento sbagliato a uno orientato verso il bene degli uomini. Perché Gesù fa a farsi battezzare?  Lui aveva bisogno di conversione?
Il battesimo è un simbolo di morte, morte a quello che si è e che si è stati, per accogliere la vita nuova. Anche per Gesù il battesimo è un simbolo di morte, ma non al passato, poiché lui non ha un passato ingiusto da dover cancellare, ma morte nel senso di accettazione di morte al futuro per essere fedele alla volontà del Padre e manifestare il suo volto d’amore. Gesù parlerà di questo battesimo proprio come simbolo di morte. Nel vangelo di Marco dirà: “Potete ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?”
Quindi il battesimo è un simbolo di morte. Se per il popolo è un simbolo di morte al passato, per Gesù lo è al futuro. Ebbene Matteo scrive: “Giovanni voleva però impedirglielo”, perché questo Gesù che va a farsi battezzare come se fosse anche lui bisognoso di conversione non è in linea con il messia che Giovanni Battista ha annunziato, il messia giustiziere, il messia che viene a giudicare, a premiare e castigare, che viene a battezzare in Spirito Santo, ma anche col fuoco, quello che viene a bruciare la pula.
E quindi Giovanni Battista protesta e dice: “«Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me? » Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia»”. Il termine ‘giustizia’ nell’Antico e nel Nuovo ha il significato di fedeltà, fedeltà all’alleanza. La giustizia di Dio consiste nella sua fedeltà all’alleanza, anche se gli uomini possono abbandonarla, anche se il popolo può tradirla, Dio è sempre fedele all’alleanza e al suo popolo.
E l’uomo è giusto, cioè la giustizia dell’uomo, quando è fedele a questa alleanza. Quindi Gesù invita ad essere fedeli all’alleanza, cioè a compiere la volontà di Dio. E qui l’evangelista colloca un’espressione strana che si trova solo due volte nel vangelo di Matteo, qui e alla fine delle tentazioni nel deserto, quando si legge che i”l diavolo allora lo lasciò”. E’ la stessa frase.
“Allora egli lo lasciò”, Giovanni Battista lo lasciò. Non è “lasciò fare”, come alcuni traduttori cercano poi di completare la frase. “Allora egli lo lasciò”, esattamente come il diavolo.  L’evangelista vuole indicare che questa per Gesù è la prima tentazione: essere il messia atteso dalla popolazione, il messia annunziato dalla tradizione. Sarebbe stato subito riconosciuto, accolto e acclamato.
Invece Gesù dovrà liberare il popolo da questa idea del messia per presentarne una completamente diversa, non un messia di potenza, ma un messia d’amore, non un messia di dominio, ma un messia di servizio.
Ebbene, “Appena battezzato Gesù immediatamente uscì dall’acqua”, l’acqua è simbolo di morte, quindi l’evangelista anticipa quella che sarà la risurrezione di Gesù, “ed ecco si aprirono per lui i cieli”, i cieli sono la dimora di Dio, “ed egli vide lo Spirito” – lo, articolo determinativo indica la totalità – “Spirito di Dio”, ad indicare la pienezza dell’amore, dell’energia, della vita di Dio, “scendere come una colomba e venire sopra di lui”.
Qual è il significato del simbolo della colomba? E’ duplice.  Uno è il riferimento al libro del Genesi, nel racconto della creazione, dove si legge che “lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque”, quindi l’evangelista vede in Gesù la vera nuova definitiva creazione voluta da Dio. E l’altro si rifà a un proverbio nel quale si richiamava l’amore della colomba al suo nido.
La colomba è fedele al suo nido, anche se le viene cambiato, fatto più bello, più nuovo, lei è sempre fedele al suo nido originario. Quindi Gesù è il nido dello Spirito, è la dimora dello Spirito, lì risiede la pienezza dell’amore di Dio.
“Ed ecco una voce dal cielo”, il cielo indica la dimora divina, e qui l’evangelista  fonde tre testi dell’Antico Testamento. Fonde il salmo 2, il libro del Genesi al capitolo 22 e Isaia al capitolo 42. “«Questi è il figlio mio»”, è l’intronizzazione del messia, quindi Gesù viene confermato da Dio quale il messia, questa è la citazione del salmo.
“«L’amato»”, indica il figlio unico, colui che eredita tutto, ed è un’allusione a Isacco, al figlio di Abramo, che Abramo voleva sacrificare per la divinità, “«In lui ho posto il mio compiacimento»”, che è una citazione del profeta Isaia, nella quale si vede l’attività del messia voluta da Dio. Quindi in Gesù si manifesta completamente e pienamente la volontà di Dio che vede in lui e nella sua attività il messia. In lui non c’è una contrapposizione con Dio perché lui è il figlio, cioè colui che assomiglia in tutto al Padre e lui è l’amato, il figlio unico, colui che eredita tutto dal Padre.
Non si può distinguere Gesù da Dio, ma, vedendo Gesù, si comprenderà chi è Dio, un Dio completamente diverso da quello che la tradizione si aspettava.

UNA NUOVA TAPPA
commento al vangelo di p. Pagola:
Prima di narrare l’attività profetica di Gesù, gli evangelisti ci parlano di un’esperienza che trasforma radicalmente la vita del Maestro.
Dopo essere stato battezzato da Giovanni, Gesù si sente il Figlio caro di Dio, abitato pienamente dal suo Spirito, e incoraggiato da quello Spirito, Gesù si mette in moto per annunciare a tutti, con la sua vita ed il suo messaggio, la Buona …Notizia di un Dio amico e salvatore dell’essere umano.   Non è strano che, invitandoci a vivere nei prossimi anni “una nuova tappa evangelizzante”, il Papa ci ricordi che la Chiesa necessita ora più che mai “evangelizzatori con lo Spirito”. Sa molto bene che solo lo Spirito di Gesù in noi può infondere forza per mettere in moto la conversione radicale che ha bisogno della Chiesa.   Questo rinnovamento della Chiesa può nascere solo dalla novità del Vangelo. Il Papa vuole che la gente di oggi ascolti lo stesso messaggio che Gesù proclamava per le strade di Galilea, niente di diverso. Dobbiamo “ritornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo”. Solo di questa maniera, “potremo rompere schemi noiosi noi che pretendiamo di rinchiudere Gesù Cristo.”   Il Papa sta pensando ad un rinnovamento radicale “che non può lasciare le cose come stanno; non serve oramai una semplice amministrazione”. per questo motivo, ci chiede “abbandonare il comodo criterio pastorale di sempre, il si, è fatto così” ed insiste una ed un’altra volta: “Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile ed i metodi evangelizzanti delle proprie comunità.”   Francesco cerca una Chiesa nella quale solo ci preoccupi comunicare la Buona Notizia di Gesù al mondo attuale. “Più che la paura di non sbagliare, egli spera che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa sicurezza, nelle norme che ci fanno giudici implacabili, nelle abitudini dove ci sentiamo tranquilli, mentre   c’è fuori una moltitudine affamata, e Gesù ci ripete senza stancarsi: Date a loro voi da mangiare.”   Il Papa vuole che costruiamo una Chiesa con le porte “aperte”, perché la gioia del Vangelo è per tutti e non deve escludersi nessuno. Che gioia poter ascoltare dalle sue labbra una visione di Chiesa che recupera lo Spirito più genuino di Gesù, rompendo atteggiamenti molto radicati nei secoli! “Spesso ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori di essa. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa del Padre dove c’è posto per ognuno con la sua vita sulle spalle.”   Mettiti in moto dunque per iniziare una nuova tappa evangelizzante.
José Antonio Pagola

 

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papa Francesco in fumetto

papa Francesco spiegato ai bambini

 

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Prima un’app per gli smartphone, ora un album per bambini. La personalità di Papa Francesco tocca chiunque e quindi ora si è deciso di creare qualcosa anche per i più piccoli: Papa Francesco a fumetti. La nuova rivista, arricchita con figurine e illustrazioni da colorare è stata ideata da Edizioni Master ed ha lo scopo di avvicinare i più piccoli al pontefice attraverso parole semplici e disegni accattivanti. Dalla casa editrice spiegano: “L’obiettivo è esporre il messaggio del Santo padre in vista del periodo natalizio in un modo accessibile ai bambini. Abbiamo cercato di rendere l’album il più interattivo possibile, introducendo illustrazioni da completare con adesivi, figurine da collezionare e pagine da colorare”

per vedere la continuazione:

Papa Francesco comunica… con i fumetti!.

 

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‘case in legno per i nomadi’: marcia in dietro dell’amministrazione

finisce male il progetto delle ‘casette in legno per i nomadi’ da realizzare nell’area tra il cimitero urbano e il Campo Coni a Lucca così come dall’Assessore al Sociale Vietina era stato pensato nei mesi scorsi (nei veri link rimando alle varie ‘tappe’ di questo progetto ora negato dall’Assessore stesso

riporto qui sotto la pagine de ‘la Nazione’ che ricostruisce e discute, alla sua maniera, questa ultima tappa in Consiglio Comunale:

Progetto case di legno per i nomadi: “E’ tutta un’invenzione dei giornali”

Lo sfogo dell’assessore Vietina che nega l’evidenza

Lucca, 8 gennaio 2013 –

Un problema che non esiste, un’ipotesi che non è mai nata. Sul dibattito del consiglio comunale di ieri sera inerente la questione della costruzione di casette in legno per i nomadi di via delle Tagliate scende il sipario. Almeno per ora. E scende in un clima di apparente ricompattamento della maggioranza di centrosinistra su di un tema che nelle scorse settimane ha diviso duramente i gruppi che sostengono il sindaco Tambellini. Al punto che per evitare ulteriori divisioni, la maggioranza ha preferito non proporre ordini del giorno, un modo per evitare di dividersi sugli aggettivi e gli avverbi su di un tema che incontra, riprendendo le parole amare espresse dall’assessore Vietina ai consiglieri a fine anno, diverse sensibilità culturali. Il lungo dibattito richiesto dalle opposizioni è finito, in sostanza, con un nulla di fatto. Respinti gli ordini del giorno proposti dalle minoranze che chiedevano la riqualificazione dell’area e l’allontanamento dei nomadi dal parco Fluviale, come pure una stretta ai soldi delle casse comunali investiti sul complicato tema dell’assistenza ai nomadi.

QUANTO all’ipotesi delle casette in legno, l’assessore Vietina ha negato che vi fosse un’ipotesi del genere allo studio. Incredibilmente, visto che la proposta di costruire casette in legno nel campo di via delle Tagliate aveva trovato conferme non solo nelle dichiarazioni dell’assessore regionale al Sociale Allocca, ma, indirettamente, anche dalle dichiarazioni ufficiali del sindaco Tambellini, che aveva precisato che non c’erano le condizioni economiche e urbanistiche per realizzare strutture. Eppure, per l’assessore Vietina, si parla del nulla. E per nulla. Visibilmente tesa, voce secca, piglio accigliato, tono a tratti molto seccato. L’assessore Vietina non ha proprio digerito il fatto che l’ipotesi della costruzione di casette in legno per i nomadi sia finita sui giornali. Tutto falso, tutto montato ad arte sulla stampa per screditare, sulla pelle dei nomadi, l’amministrazione comunale. Una sorta di lezione, infarcita di citazioni. «Questa convocazione si è basata esclusivamente su dati diffusi in modo improprio della stampa, sono delusa per il mancato riconoscimento del lavoro delle Commissioni – ha detto – . Mai posto in discussione l’ipotesi di dare vita a queste casette, come ha confermato il sindaco nei giorni scorsi».

«QUANTO all’ipotesi di aiutare prioritariamente le famiglie lucchesi – ha concluso la Vietina – è inammissibile: un territorio deve disporre politiche sociali non deve creare dei sistemi delle domande dei residenti e della provenienza: tutte le famiglie hanno esattamente la stessa possibilità di accedere ai servizi sociali. La riqualificazione dell’area? Una città come la nostra non può sopportare una situazione di degrado, ci assumeremo la responsabilità che questo degrado non sia procrastinato. Come? Non è il momento di dirlo. Di azzerare l’esistente non se parla nemmeno. Grande amarezza per le polemiche di una campagna di stampa tesa a presentare in modo scorretto la vicenda». Dure le opposizioni. A partire da Pietro Fazzi (Liberi e responsabili): «L’amministrazione ha preferito imporci una lezioncina fatta di citazioni e avverbi, senza spostare i termine del problema e percorrendo la via della polemica. Mi lascia indignato sentire dire dall’assessore che si sono inventati tutto i giornalisti. Se si mette in discussione una cosa che grida vendetta sembra che si sia contro l’inclusione sociale: incredibile. I nomadi non vanno allontanati, ma nemmeno parlare di una realtà intoccabile». Duro anche Lido Fava del solito gruppo: «E’ una maggioranza pasticciona e confusionaria. In via delle Tagliate ci sono problemi anche di ordine pubblico, se il progetto delle casette fosse andato in porto, si sarebbero parlato di una struttura permanente. I lucchesi non vogliono siano spesi altri soldi pubblici su simili progetti».

IN FAVORE dell’amministrazione si è spesa Valentina Mercanti (Pd): «E’ un argomento sensibile che va trattato con massima delicatezza, evitando strumentalizzazioni: quello delle casette è un progetto che è decaduto a fine novembre».Questa vicenda mostra la considerazione che l’amministrazione ha del Consiglio: una mera appendice di decisioni prese altrove. Secco Roberto Lenzi (Idv): «Abbiamo appreso dai giornali tutta vicenda: è l’ennesima dimostrazione di quanto l’amministrazione tenga d conto il Consiglio. L’intervento della Vietina è stato infarcito di retorica, ma non si amministra con la retorica». Marco Martinelli (Forza Italia) contesta le affermazioni dell’assessore: «Vietina è stata sconfessata politicamente sulla vicenda e sta provando a negare tutto, mistificando la realtà. Si palesano le divisioni dell’amministrazione». Caustico Battistini (Pd): «Questa gente dell’opposizione che fa questi discorsi sarà alle celebrazioni per don Franco Baroni. Che tristezza». Per ora finisce qui. Domani è un altro giorno.

ma per l’opposizione la cosa non può finire qui, e parte all’attacco (così nella ricostruzione de ‘lo Schermo’ odierno:

Giorgi attacca «Consiglio espropriato. Sulla questione nomadi ha già deciso la Giunta insediando autonomamente un gruppo di lavoro»

LUCCA, 8 gennaio – Non si sono sopite le polemiche e le tensioni consumate nel Consiglio comunale di ieri sera che di nuovo la questione dei campi nomadi torna a far discutere la politica lucchese dopo che il consigliere del Movimento 5 Stelle Laura Giorgi ha appreso dall’albo pretorio la delibera della Giunta comunale con la quale già lo scorso 30 dicembre è stata insediata una commissione di lavoro, senza che le commissioni ne il consiglio ne fossero partecipi.

Il consigliere Giorgi, assente nella seduta di ieri sera, aveva presentato un proprio ordine del giorno e inviato un intervento scritto «Noi avevamo chiesto in consiglio la lettura di quanto sottoscritto ossia se corrisponda a vero la notizia che un gruppo di lavoro sia già stato approvato con delibera di Giunta, nel qual caso noi  valutiamo nulla o da rivedere tale decisione. I poteri del consiglio e delle commissioni consiliari non possono essere espropriati: questo è il punto importante ma sono talmente sicuri di sé che continuano a fare quello che vogliono ed il Consiglio Comunale che esprime i cittadini è ignorato».

La delibera 275 del 2013 parte analizzando i dati aggiornati al 2013: «la Regione Toscana ha 3.745.786 abitanti sul proprio territorio e i ‘nomadi’ Rom e Sinti presenti sono circa 2.600, di cui 1.200 nei campi con una percentuale sulla popolazione toscana pari allo 0,07% (dati anno 2012 Fondazione Michelucci); attualmente a Lucca sono presenti 3 insediamenti denominati ‘campi nomadi’, situati in via delle Tagliate, in via di Fregionaia e in via della Scogliera; l’insediamento del campo delle Tagliate – situato tra il campo Coni, il cimitero ed il parcheggio bus turistici nel quartiere di S. Anna – con una estensione di 10.162 metri quadrati, è composto da etnie Sinti e Rom, è nato alla fine degli anni ’90 ed attualmente è composto da 23 piazzole, con una presenza di 132 persone a comporre 33 nuclei familiari (dati aggiornati ad agosto 2013); le altre due realtà, entrambe composte da soggetti Sinti, sono quelle del campo di via della Scogliera n. 1411 (n. 55 persone – dati del maggio 2013) e il campo di Maggiano/Fregionaia (n. 25 persone – dati maggio 2013), per un totale di complessivo di 212 persone».

L’amministrazione Fazzi con atto n. 128 del 24 marzo 1999 attivò un protocollo d’intesa per interventi a favore delle popolazioni Rom e Sinti con il contributo della Caritas Diocesana e coordinato dal Servizio Sociale Professionale;

I progetti attivi dal documento dell’esecutivo comunale sono:  interventi di sostegno – a cura del Servizio Sociale Professionale – «progettazione condivisa ed erogazione sostegno scolastico/educativo presso il campo, esenzione servizi scolastici, sostegno economico; tutela sui minori come definiti dall’autorità giudiziaria del Tribunale per i Minorenni di Firenze con provvedimenti di affido al servizio sociale e/o monitoraggio e controllo sul nucleo familiare; azioni di affiancamento su percorsi di formazione professionale e di inserimento sociale; collaborazione con le istituzioni scolastiche, con particolare attenzione alla frequenza scolastica ed allo scambio reciproco di informazioni».

Il progetto «In campo» attuato «con convenzione con le Cooperative La Cerchia e Odissea e la Caritas; quattro educatori, presenti sul campo per 60 ore settimanali per 35 minori coinvolti, e la coordinatrice attuano un sostegno scolastico ed educativo individualizzato e di gruppo».

Il progetto Donne al Lavoro  che prevede «un percorso di accompagnamento e inclusione sociale/lavorativa gestito dalla Caritas attraverso varie cooperative (per Lucca l’Impronta e Odissea) che si concretizza in borse lavoro (di circa 400 euro/mese) per esperienze qualificanti di lavoro presso aziende».

Attività estive – laboratorio-gioco intitolato «Fuori Gioco» consistente in «due incontri settimanali presso gli spazi esterni della struttura Carlo del Prete (presso struttura comunità per minori in viale Carlo del Prete), con orario 15,30-19,30 con attività di gioco finalizzate alla socializzazione, conoscenza del sé, senso e rispetto delle regole, espressività e valorizzazione delle capacità individuali, per 20 ragazzi delle scuole elementari».

I risultati di tutte queste attività sono valutati positivamente dell’amministrazione e sono efficaci «ma necessitano di una implementazione di carattere organizzativo, economico e professionale, anche per affrontare e risolvere le aree critiche che pure permangono». Per questo la Giunta comunale definisce l’obiettivo «di implementare la presenza di un presidio dei servizi sul campo attraverso la dotazione di una struttura polivalente utilizzabile per le iniziative di sostegno».

La Giunta il 30 dicembre scorso ha deliberato quindi di «attivarsi attraverso lo strumento del protocollo di intesa tra tutti gli attori istituzionali che con l’Amministrazione comunale hanno operato ed operano nel campo con l’obiettivo di meglio definire compiti e ruoli nell’ambito delle azioni progettuali programmate per il campo delle Tagliate; di sostenere tutte le iniziative – pubbliche e private – che attuano i vari interventi di sostegno alle comunità sinti e rom, con indicazione prioritaria alla soluzione delle problematiche più urgenti relative alla condizione degli ospiti sulle aree di sosta;

Di esplicitare nella sede della Conferenza Zonale dei Sindaci … la necessità di confermare ed implementare le linee di attenzione ed intervento già previste dal Piano di Salute in favore di dette comunità;

Di ufficializzare la costituzione di un Tavolo di Lavoro istituzionale e tecnico denominato “Gruppo Nomadi”, costituito dai rappresentanti istituzionali e tecnici dei seguenti soggetti: Comune di Lucca: assessore con delega a Politiche Formative Politiche Sociali e di Genere del Comune di Lucca; assessore con delega alle Politiche Abitative del Comune di Lucca; dirigente Settore Dipartimentale 02 Politiche Sociali del Comune di Lucca; responsabile del coordinamento della U.O. 2.1 ‘Area Minori, Famiglia, Disabili, Emarginazione’; responsabile del coordinamento della U.O. 2.3 ‘Area housing sociale’; assistente sociale comunale con specifica attribuzione relativa alla problematica dei nomadi; comandante o suo referente del Servizio di Staff D Polizia Municipale; dirigente o suoi referenti del Settore Dipartimentale 05 ‘Opere e Lavori Pubblici, Urbanistica’ , dirigente o suo referente del Settore Dipartimentale 03 ‘Servizi Educativi e a Tutela del Territorio’;  Fondazione Casa, attraverso un proprio referente;  Caritas Diocesana, attraverso un proprio referente;  Comunità di S. Egidio, attraverso un proprio referente».

LEGGI ANCHE – Vietina sul campo nomadi: «No a discriminazioni, sì a integrazione e responsabilità». Bocciati gli ordini del giorno Martinelli-Macera, ma l’opposizione stigmatizza il «progetto casette»

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polizia italiana violenta!

polizia violenta

pregevole e meritevole, oltre che seria professionalmente, la puntata di ‘presadiretta’ sulla violenza impunita e anche ‘protetta’ da parte di molti membri della polizia di stato italiana

aggiungo solo questo: in tanti anni che seguo diversi segmenti del mondo sinto o rom, quante ne ho sentite, quanti occhi neri ho visto, quanti segni di violenza sulla loro carne ho costatato!

così un articolo de ‘il Fattoquotidiano’ ricostruisce i contenuti della puntata:

“PRESADIRETTA” MANDA SU RAI TRE LE STORIE DI ABUSI E VIOLENZE SU SEMPLICI CITTADINI EMOZIONE E SDEGNO TRA GLI UTENTI, IL SINDACATO CONSAP: “FANGO SU DI NOI”.

La verità più indicibile diventa semplice se si raccontano i fatti, uno dopo l’altro. Lunedì sera Presa-diretta ha messo in fila gli episodi accertati dalla cronaca negli ultimi anni: tutte le volte che un poliziotto, un carabiniere, un agente penitenziario hanno negato il diritto alla dignità di un cittadino; tutte le volte che, invece di applicare la legge, gli uomini di Stato hanno schiaffeggiato, bastonato, preso a calci e pugni una persona affidata alla loro responsabilità. 

Chi legge il Fatto Quotidiano conosce molte di quelle storie, perché ha seguìto nel tempo la fatica delle famiglie, la rabbia di chi ha disperatamente lottato per veder riconosciuta la violenza inferta ai propri cari. Riccardo Iacona e Giulia Bo-setti, autori della puntata, hanno mostrato le foto dei morti insanguinati, i video delle aggressioni registrati fortunosamente da qualche testimone, gli sguardi persi di chi ha vissuto un abuso. E gli italiani hanno capito. Hanno lanciato allarmi via Facebook e Twitter: guardate che cosa sta andando in onda, accendete su Rai3, è un dovere civile. Bisogna per forza guardare la mamma di Federico Aldrovandi, la sorella di Stefano Cucchi, gli amici di Giuseppe Uva, la faccia di chi ha temuto di non poter mai arrivare alla verità sul proprio dolore.

SONO STATI LORO lo strumento più efficace per far prendere a tutti coscienza piena di un fenomeno su cui nessuno può tacere. Soprattutto quando i dettagli spiegano la banalità del trattamento riservato a esseri umani strapazzati come bambole. “A Federico gli sono saltati addosso, sulla schiena, gli hanno fermato il cuore, si sono rotti due manganelli su quattro” ha detto la mamma di Aldrovandi. “In Italia non esiste la pena di morte, non la possono fare loro. Io madre te l’ho dato sano, me l’hai dato morto” piange ancora Rita Cucchi.

Ma il valore più riconoscibile per i “Morti di Stato” è la sequenza meccanica delle storie meno famose, di chi è arrivato con la sua pena scandalosa fino ai giornali locali, ai dubbi di un cronista blandito dalle rassicurazioni ufficiali: nessun abuso, il problema è stato il soggetto violento, ubriaco, fanatico, malato di mente.

A VOLTE BASTA essere fratelli e mettersi a litigare un po’ più forte del normale per essere portati in Questura e rimediare una scarica di legnate (Tommaso e Niccolò De Michiel). Basta rispondere storto a un poliziotto durante un controllo per finire ammanettato e stramazzare al suolo senza che un solo testimone voglia spiegare come e perché (Michele Ferrulli). Oppure, vai allo stadio, finisci in un pestaggio alla stazione e resti disabile per tutta la vita (Paolo Scaroni).

“Dedichiamo Presadiretta a uomini delle Forze dell’ordine che ogni giorno cercano di essere all’altezza della divisa e della Costituzione” ha twittato Iacona a fine serata. “Una trasmissione vergognosa che infanga la professionalità: invitiamo tutti i colleghi a non pagare il canone” ha risposto il sindacato Consap. Nessuna reazione ufficiale è arrivata dal governo, dalle forze politiche, da carabinieri e polizia. Il silenzio, ancora.

Da Il Fatto Quotidiano

del 08/01/2014

sullo stesso numero de ‘il Fattoquotidiano’ A. Caporale, pur con i dovuti distinguo per non generalizzare, sottolinea che non a caso si chiamano forze dell’ordine e non del disordine:

IL CESTO E LE MELE MARCE

Si chiamano forze dell’ordine, non del disordine. E l’uso delle armi, della forza fisica è consentito per far rispettare la legge quando essa è violata, non per violarla. Nella terribile sequenza visiva che lunedì sera Presadiretta ha illustrato su Rai3 con la virtù del migliore giornalismo d’inchiesta, abbiamo avuto la prova di come questa elementare verità, fondamento della democrazia, risulti bugiarda. Assistere a poliziotti che manganellano con ferocia, e in alcuni casi portano la loro azione alla morte altrui, apre il registro della violenza di Stato che qui appare smisurata per la varietà e la vastità dei comportamenti di vera e propria sopraffazione. Eravamo abituati alle clip poliziesche sudamericane e invece ci ritroviamo, nel silenzio umiliante del governo e di quasi tutta la classe politica, a fare i conti con questo tipo di violenza domestica “legalizzata”.

Certo che non si deve fare di una mela marcia tutto un cesto di frutta. Ed è sicuro che la maggioranza degli uomini in divisa servano lo Stato per pochi quattrini al mese, e lo facciano con ammirevole senso di abnegazione e indubbio spirito civile. Ma qui, è terribile dirlo, non sembra che si sia in presenza di casi isolatissimi quanto piuttosto di un apparente menu espressivo di polizia e carabinieri nei confronti di target definiti (tifosi, tossici, giovani esuberanti) e in genere coincidenti con classi sociali poco agiate. Se ci fosse un ministro dell’Interno e non una figurina di plastica, questo documento visivo sarebbe già agli atti di una severa inchiesta interna. E se ci fosse un Parlamento non da oggi sarebbe approvata la norma che impone la tracciabilità di quei manganelli, l’identificazione di ogni singolo poliziotto (non va bene il nome? basterebbe un codice di riconoscibilità) perché sia chiara e pubblica l’identità di chi è chiamato a imporre il rispetto della legge e a fare un uso prudente, equilibrato, sempre soggetto a verifica, della forza che quella stessa legge gli consente di esercitare. È infine disarmante la sequela di connivenze, di opacità e vere e proprie omissioni di atti d’ufficio che ogni inchiesta giudiziaria subisce quando si trova di fronte a casi simili.

Cosa aspetta il capo della Polizia a rendere finalmente pubblico il codice di comportamento a cui ogni azione dev’essere ispirata e le sanzioni per chi varca, in nome della legge, il confine dell’illecito?

Antonello Caporale

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internet violento?

odio

L’ODIO SUL WEB

 l’web, specie nei ‘social’, sembra diventare ogni giorno di più un luogo franco perché spesso anonimo, comunque poco normato, dove molti sfogano liberamente la propria generica o specifica rabbia

De Rita ha parlato di ‘rabbia contro la casta’ dei politici, senonché sembra un fenomeno non solo legato a problematiche politiche, anzi sembra più un modo per esprimere finalmente quegli istinti più inconfessabili che ognuno porta dentro nel suo più profondo, controllato solo dalla ‘civilizzazione’ cui siamo stati ‘educati’, che per molti però non regge più, non è più sufficiente,  e l’espressione dell’odio e della violenza diventa il modo ‘liberante’ per reprimere, cancellare, uccidere ciò che ci dà noia, ciò che è diverso da noi, chi pensa diversamente, l’ ‘altro’ comunque non riconducibile ai nostri criteri di pensiero e di vita

S. Bartezzaghi così descrive il quadro dell’uso dell’ web da parte di molti e in modo sempre più frequente:

social web

Quantcast

Finalmente una bella notizia». La notizia è l’ictus che ha colpito Pierluigi Bersani e questo è il più soave e frequente fra i commenti malevoli che la notizia stessa ha ricevuto in rete ancora prima che l’ex segretario Pd fosse sotto i ferri, per un intervento chirurgico dagli esiti oltremodo incerti. Ad Angela Merkel, vittima di un incidente sciistico non gravissimo, è ancora andata bene: ma qualcuno ha rimpianto che non le sia toccata la sorte di Michael Schumacher. Per l’ischemia di Bersani si sono invece registrati messaggi di esultanza, insulti, auguri di morte lenta, incitamenti al male pari a quelli al Vesuvio e all’Etna quando minacciano eruzioni. Commenti apparsi dappertutto, sul blog di Beppe Grillo, sulla pagina Facebook del Fatto quotidiano, ma anche su quelle di altri giornali, fra cui Repubblica: atrocità.

Dopo l’esperimento che fece Radio Radicale mandando in onda i messaggi ricevuti nella sua segreteria telefonica (nel 1986 e poi nel 1993) ogni sgomento su quanto un cittadino possa dire, quando sente di poter parlare liberamente e avere ascolto, risulterebbe se non ipocrita almeno di maniera. Le interpretazioni possibili sono variegate: volontà di sfregio, goliardia, satira, occasione di dirla grossa, sfogo di «vera rabbia » (da comprendere, se non giustificare), fino all’ovvio «colpa di Internet».

Ma il problema non è Internet, per quanto la rete dia visibilità immediata e a fare notizia sia ovviamente solo la categoria dei messaggi estremi (in verità molti altri grillini hanno contestato gli sciacalli, e ieri mattina anche Beppe Grillo ha scritto un post di auguri). La rete è semplicemente sempre aperta e sempre visibile, i controlli e la moderazione non sono facili e a volte sembrano maliziosamente tardivi.

Il vero salto di qualità, però, consiste nel coro di invocazioni di morte su un avversario, nel momento in cui egli rischia effettivamente la vita. Lì siamo arrivati, qualche gradino sopra ai «devi morire» per il centravanti che mugola in area falciato da un difensore, o ai cappi sventolati in Parlamento. Oggi siamo alla morte augurata a chi la sta effettivamente rischiando, e il fatto è che il caso di Bersani non è neppure il primo. Di poco lo ha preceduto, ed è forse ancora più impressionante, quello di Caterina Simonsen, la giovane studentessa di veterinaria che una settimana fa ha difeso le ragioni di una corretta sperimentazione animale (a cui, malata, deve personalmente svariati anni di vita) e di conseguenza ha ricevuto insulti e soprattutto schiette dichiarazioni il cui senso era: meglio che morissi tu, piuttosto che innocenti cavie di laboratorio. In questo caso opera un rancore puro e impersonale. Questo significa che oggi, in Italia, l’augurio di morte può saettare, e da un numero significativo di tastiere, in maniera paradossalmente spassionata.

Siamo puri nomi, o nomignoli. Molti di questi commenti sono tranquillamente firmati: non ci curiamo di nasconderci dietro all’anonimato perché non vediamo più la persona, la carne e la vita, dietro ad alcun nome proprio. Non l’altrui ma neppure il nostro. Bersani, anzi “Gargamella”: una parola. Angela Merkel, due parole. Schumacher, un brand. Il nostro nome-e-cognome, un account. Inventare la battuta più efficace, o l’insulto, vale al massimo come sfogo, non ci si preoccupa neppure delle conseguenze penali che possono derivarne. Nell’epoca che magnifica l’empatia come suprema qualità umana, cosa davvero sia il dolore a cui alludono con precisione le parole di una diagnosi, o quelle di una maledizione (comunque, di una condanna), non pare interessante né pertinente.

In un immaginario spaventosamente monocorde siamo tutti vittime di soprusi, il potente che cade ha finalmente avuto il fatto suo. «Anche mio nonno è stato in ospedale ma nessuno se n’è fregato», ha scritto un tizio a proposito di Bersani. Nel suo pauroso candore, la protesta indica la soglia che si è varcata, anno 2014. La nostra morte sarebbe indifferente a chiunque e quindi la morte di chiunque ci è indifferente, anzi ben venga. Questo è il limite che abbiamo raggiunto oggi. Il prossimo?

Stefano Bartezzaghi

 

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il fanatismo di certi animalisti

Animalisti contro Ricerca.In Rete è un derby senza fine

Contro la vivisezione

UN ARTICOLO DI 8 MESI FA SUL SITO DEL FATTO È DIVENTATO IL PIÙ CONDIVISO DI SEMPRE.

Cnr, blitz degli animalisti. “Distrutti anni di ricerca su Parkinson e autismo”. Non è cronaca di ieri, ma il titolo di un articolo de ilfattoquotidiano.it  di otto mesi fa. Da una settimana è il pezzo più letto del sito ed è diventato l’articolo più condiviso su Facebook. Un cortocircuito che mette insieme il potere della Rete con il dibattito sulla sperimentazione animale nato dopo il caso degli insulti a Caterina Simonsen, la giovane affetta da quattro malattie rare, diventata bersaglio o paladina a seconda che si legga la storia dal versante animalista o da quello di chi con gli animali cerca, attraverso la sperimentazione, di curare malattie oggi incurabili.

“ARGOMENTO VIRALE” si dice nel gergo 2.0. E chissà se la protagonista di questa storia poteva immaginare cosa sarebbe accaduto dopo il 21 dicembre, giorno in cui tutto è iniziato. Caterina, studentessa di Veterinaria nell’ateneo di Bologna, quattro giorni prima di Natale posta su Facebook una sua foto. Ha il respiratore artificiale, ma ride. E scrive, nero su bianco: “Io, Caterina S., ho 25 anni grazie alla vera ricerca, che include la sperimentazione animale. Senza la ricerca sarei morta a 9 anni. Mi avete regalato un, seppur breve, futuro. Sono stata adolescente”. La sua bacheca viene presa d’assalto dagli animalisti più intransigenti, che non le risparmiano insulti e ‘auguri a morire’. Il motivo? Aver difeso e sponsorizzato la sperimentazione animale “strumentalizzando” la sua esperienza personale. È la settimana di Telethon, sono i giorni del caso Stamina e delle polemiche sulla discussa cura di Davide Vannoni.

La vicenda di Caterina crea discussione. Al suo fianco si schierano in tanti, compreso il neo segretario del Pd Matteo Renzi. Tutti in Rete, sempre in Rete. Con fotomessaggi, con un hashtag su Twitter (#iostoconcaterina), con la campagna #denunciateancheme a cura della pagina Facebook “A favore della sperimentazione animale”.

DALL’ALTRA PARTE della barricata, invece, ci sono gli animalisti più convinti, tra questi anche l’onorevole berlusconiana Michela Vittoria Brambilla. Nasce #iostocongiovanna (dal nome di una ragazza, anch’essa malata gravemente, che un anno fa fece un video contro la sperimentazione) in risposta all’hashtag a favore di Caterina. La Brambilla lo promuove sulla sua pagina Facebook. E anche lei viene sommersa. Da applausi e insulti. E da un link sulla sua bacheca. Si tratta dell’articolo del Fatto . È stato pubblicato il 29 aprile scorso. Lo postano “anti-animalisti”, qualche biologo, alcuni ricercatori. Che lo condividono, lo ritwittano, lo fanno diventare virale. Risultato? L’articolo diventa il più letto de il  fattoquotidiano.it  . Più degli avvenimenti politici, più dei casi di cronaca, compreso il grave incidente di Michael Schumacher, breaking news in tutto il mondo. I numeri: 200 mila visualizzazioni (170 mila nell’ultima settimana), 102 mila condivisioni (numeri aggiornati alle 19:30 di ieri ), per un articolo mai più apparso nella home page del sito. Impossibile capire quali circuiti abbia intercettato né chi lo abbia fatto volare sui social network (il 90 per cento dei lettori arriva da Facebook). Inutile, perché non c’è una operazione pianificata e non c’è né inizio né governo. Solo l’attenzione trasversale che la storia di Caterina e il dibattito sulla sperimentazione animale sono riusciti a convogliare. Fenomeno virale.

SUL WEB lo è tutto ciò che riguarda gli amici a 4 zampe. Vale come paradosso al contrario il caso di Dudù, il cane di Silvio Berlusconi e della sua compagna Francesca Pascale, con tanto di pagina facebook, appelli contro i botti e persino attacchi hacker. L’ex premier, del resto, in occasione del lancio dei nuovi circoli di Forza Italia (8 dicembre) era stato chiaro, seppur tra il serio e il faceto: avrebbe lanciato un sito dedicato al suo cane. L’impresa non è andata a buon fine a causa dello sgambetto di Diego Volpe Pasini, imprenditore allontanato dal centrodestra, che ha subito comprato il dominio Forzadudù.

Resta però l’obiettivo: convogliare l’animalismo militante e provare a racimolare qualche voto in più in vista delle prossime elezioni

Pierluigi G. Cardone

da Il Fatto Quotidiano del 05/01/2014.

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l’Italia e la questione dei diritti civili

P. Zanca fa un utilissimo punto della situazione su ‘il Fatto quotidiano’ e C. Saraceno in una chiarissima riflessione da par suo, su ‘la Repubblica’, aiuta a capire che metter in contrasto politiche per la famiglia e diritti civili è semplicemente fuori di ogni logica e politicamente fuorviante; di seguito una significativa intervista al ministro M. Cecilia Guerro e, per finire, una riflessione su tutto questo di C. Sardo:

IL PAESE INCIVILE: SUI DIRITTI È TUTTO FERMO DA DIECI ANNI

 

Ceccato

CON GLI ANNI DUEMILA SEMBRAVA APRIRSI UNA NUOVA STAGIONE DI LIBERAZIONE MA SU DIVORZIO, FECONDAZIONE, UNIONI ED EUTANASIA NON SI MUOVE UNA FOGLIA.

L’unica volta che ci si era avvicinato, era riuscito perfino a portare a casa un risultato storico: con un decreto, addio per sempre alla distinzione tra figli nati dentro e fuori dal matrimonio. Ma per il governo Letta, sul tema dei diritti civili, doveva ancora arrivare la grana Renzi e i suoi “trattiamo con chi ci sta”. O meglio, dopo le toppe al bilancio, a Palazzo Chigi doveva ancora capitare la sventura di trovarsi di fronte ai buchi di civiltà. Non che fosse un imprevisto: dalle unioni civili al divorzio, dalla fecondazione assistita al testamento biologico, dall’omofobia allo ius soli, quando si è trattato di assicurare la possibilità di piena realizzazione delle libertà individuali, lo Stato italiano si è dimostrato sempre più ingombrante del solito. Ecco come siamo messi, nel Paese in cui non sembra mai il momento buono per cambiare registro.

Pacs, Dico, Cus e niente più

L’accidentato percorso dei contratti tra persone che vivono stabilmente insieme si avvicina a festeggiare il suo ottavo compleanno. E oggi, alcuni parlamentari sono ancora lì a tentare di rimediare al tentativo fallito dal governo Prodi di regolamentare il settore delle unioni di fatto. In Parlamento ci sono una serie di proposte depositate, da quella dei Pd Andrea Marcucci e Luigi Man-coni, a quella di Alessia Petra-glia (Sel) fino alle proposte del Nuovo centrodestra (Giovanardi) e di Forza Italia (Alberti Casellati). Non si tratta di un riconoscimento sociale e simbolico: il patto tra conviventi serve soprattutto in momenti difficili come la malattia o la morte. Sulle varie proposte (se ne contano 8) si sta valutando l’esame congiunto in commissione al Senato. Il presidente Nitto Palma ha chiesto al Pd di “conoscere l’orientamento definitivo del gruppo”. Ha risposto Giuseppe Lumia: “Da un lato va considerata l’opportunità di disciplinare la condizione delle coppie di fatto – si legge nel resoconto – dall’altro occorre valutare se vi siano le condizioni per l’estensione in favore delle coppie composte da persone dello stesso sesso”. Spiega che bisogna confrontarsi con l’esecutivo. Chiarisce Lucio Barani di Gal: sui matrimoni omosessuali esiste “una maggioranza numerica in Commissione che non corrisponde a quella che sostiene attualmente l’azione di governo”. Il centrodestra conferma. “La Commissione prende atto”. E rimanda a fine gennaio.

Se ti lascio non ti cancello

La legge è ferma al 1970. E anche qui sono dieci anni che si cerca di portare l’intervallo obbligatorio tra separazione e divorzio da 3 anni a 1. Ma niente da fare. Ora, a Montecitorio, ci riprovano il 5 Stelle Alfonso Bonafede e la Pd Alessandra Moretti. Se ne discuterà in commissione Giustizia, sperando sia la volta buona.

La fuga delle provette

Anche la legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, quest’anno ne compie dieci. In mezzo c’è un referendum (senza quorum) e una serie di sentenze della Corte Costituzionale. Adesso è la deputata Pd Michela Marzano a tentare di mettere fine al calvario di migliaia di coppie in cerca di un figlio. L’obiettivo – già sollecitato dalla Consulta – è quello di stabilire che “la regola di fondo” è “la autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali”. Sono loro, e non qualche centinaio di parlamentari , a dover stabilire il numero di impianti necessari, la tempistica, le diagnosi da fare se il problema non è l’infertilità ma una malattia genetica. Visto che in Italia non si può, solo nel 2011 sono 4 mila le coppie fuggite all’estero. Rosetta e Walter hanno scelto di restare qui a combattere contro una legge ingiusta. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato lo Stato italiano a risarcirli per danni morali.

Il testamento di Marino

Ci vorrà – ahinoi – un altro caso Englaro o un altro Welby per rimettersi a parlare di fine vita e di testamento biologico. Il documento del comitato nazionale di bioetica porta di nuovo la data di dieci anni fa, il 2003. Già allora di parlava di Dat, la dichiarazione anticipata di trattamento. Ma al Senato la proposta che porta la firma di Ignazio Marino (nel frattempo diventato sindaco di Roma) è ancora lì che si dimena tra i pareri delle commissioni.

La cicogna non parla straniero

Tutto fermo anche in materia di cittadinanza ai figli degli stranieri nati in Italia. Gli autorevolissimi appelli – da Napolitano in giù – sono rimasti nei cassetti. Ci sono una quindicina di proposte depositate in commissione, compresa quella del Cinque Stelle Giorgio Sorial: prevede uno ius soli temperato, dove la cittadinanza si acquista se si è nati da almeno un genitore straniero residente legalmente in Italia da non meno di tre anni. Per Grillo però una legge del genere non può non passare da un referendum popolare: “Una decisione che può cambiare nel tempo la geografia del Paese – ha detto a maggio – non può essere lasciata a un gruppetto di parlamentari e di politici in campagna elettorale permanente”.

Da Il Fatto Quotidiano del 05/01/2014.

 

FAMIGLIA E DIRITTI NON SONO NEMICI

 

Prima il sostegno alla famiglia e poi eventualmente, si può discutere dei diritti degli omosessuali a veder riconosciuti i propri legami di coppia e le proprie famiglie. È ormai un riflesso condizionato. Ogni volta che si parla del diritto al riconoscimento sociale e giuridico delle coppie omosessuali, chi è contrario evoca una gerarchia di priorità, quando non di mutua esclusione, tra i “diritti della famiglia” e quelli delle coppie omosessuali e delle loro famiglie, senza, peraltro, chiarire dove starebbe la contrapposizione tra l’una e l’altra cosa e perché riconoscere le coppie omosessuali indebolirebbe la possibilità di fornire sostegni alle famiglie. Questi, infatti, riguardano politiche abitative e di trasferimenti monetari e di servizi, principalmente, anche se non esclusivamente, a favore di chi ha famigliari a carico — figli minori, persone non autosufficienti e bisognose di cura. Proprio quelle politiche di cui sono stati molto avari tutti i governi italiani dal dopoguerra a oggi, nonostante siano stati per lo più retti da maggioranze in cui prevalevano i “difensori della famiglia” che si sono fin qui opposti a ogni riconoscimento delle coppie omosessuali e delle loro famiglie. Quelle politiche che negli ultimi anni sono state ulteriormente ridotte, proprio quando i bilanci delle famiglie erano in maggiore sofferenza, con i tagli drastici effettuati a carico della spesa sociale. Per non parlare delle politiche economiche, che hanno reso sempre più difficile ai giovani formare una famiglia — di qualsiasi tipo — se lo desiderano e a chi ne ha formata una di riuscire a mantenerla adeguatamente. L’evocazione della “priorità della famiglia”, sembra servire solo come paravento per nascondere quanto poco si faccia a favore delle famiglie concretamente esistenti, mostrandosi come campioni dei “valori”, purché a costo zero. O meglio, a costo dei diritti di libertà e del riconoscimento di un pluralismo etico e nel modo di definire e realizzare progetti di solidarietà, intimità, amore. Questi difensori a oltranza dei “valori” e della “famiglia” univocamente e monoliticamente intesi, tuttavia, rischiano di essere spiazzati proprio da chi riconoscono come guida in questo campo o, più prosaicamente, vogliono compiacere per un qualche calcolo politico. Le chiese cristiane, infatti, stanno mostrando un forte dinamismo riflessivo. Il fenomeno è più evidente, e più consolidato, nelle chiese protestanti, anche italiane, che hanno ormai riconosciuto che non esiste una “famiglia naturale”, bensì forme storico-culturali di intendere famiglia e matrimonio. Perciò parlano di concetto plurale di famiglia, ove tutte le varie forme, incluse quelle basate su una coppia omosessuale, sono ugualmente dotate di valore. La chiesa cattolica si addentra con maggiore lentezza e prudenza in questo terreno, almeno sul piano dei documenti ufficiali (anche se il dibattito teologico non è in realtà molto distante dalle posizioni protestanti richiamate sopra). Tuttavia sta manifestando crescenti aperture alla varietà delle forme famigliari, innanzitutto sul piano pastorale, soprattutto per merito di papa Francesco e della sua insistenza su una chiesa inclusiva piuttosto che giudicante ed esclusiva. Si è anche aperto un piccolo varco a chi, nella chiesa cattolica, sarebbe disponibile ad accettare una qualche forma di riconoscimento giuridico delle coppie di fatto, etero e omosessuali. Certo, siamo molto lontani dalla accettazione che il matrimonio sia consentito anche alle coppie omosessuali. E c’è spesso una insistenza quasi ossessiva nel sottolineare che la famiglia è una sola, quella fondata sul matrimonio tra uomo e donna, salvo dover fare i conti con il fatto che molti genitori divorziano e si risposano e altri convivono, senza che per questo sia loro che i figli siano “senza famiglia”. Tuttavia, a differenza degli Alfano e dei Lupi, non solo singoli parroci, o teologi più o meno marginali, ma anche parte della gerarchia cattolica, incluso il responsabile della Pastorale per la famiglia, non escludono che sia venuto il momento di dare un qualche riconoscimento a queste coppie, se non altro per cercare di frenare la richiesta di matrimonio. Questa, piccola, apertura, può non bastare alle persone omosessuali, che legittimamente chiedono pari opportunità anche nel fare famiglia. Ma segnala che anche nei piani alti della gerarchia della Chiesa cattolica italiana le posizioni non sono più così monolitiche come un tempo. E infatti le controversie e gli attacchi dei conservatori dell’ortodossia non sono mancati. Sarebbe tuttavia singolare che i difensori a oltranza nostrani della famiglia unica e della insanabile opposizione tra questa difesa e l’allargamento dei diritti sostenessero la propria posizione con argomentazioni che sono messe in dubbio anche nelle sedi che tradizionalmente le hanno elaborate e divulgate.

Da La Repubblica del 06/01/2014.

«Coppie etero o gay: stessi diritti»

intervista a Maria Cecilia Guerra

a cura di Alessandra Arlachi

in “Corriere della Sera” del 9 gennaio 2014

«L’intervento di Renzi sulle unioni civili anche omosessuali deve essere ascoltato. Questo non è un

problema che deve aspettare, non più».

Maria Cecilia Guerra, viceministro per il Lavoro, ha tra le mani la delicata delega per le Pari

opportunità. Non ha intenzione di lasciarla sulla carta.

Cosa intende fare per dar seguito alle parole del segretario Matteo Renzi sulle unioni civili

omosessuali, un decreto del governo?

«No, il governo è maggioranza. E questo non è un tema che deve essere affrontato da una

maggioranza o da una parte politica. Non deve essere un tema da campagna elettorale. Deve essere

un dibattito trasversale, sereno. Il Paese è maturo per questo. Ci sono leggi già in Parlamento sulle

unioni civili, bisogna dare seguito a quelle».

Quali? Ce ne sono tante…

«Lo deciderà il Parlamento».

Ma lei quale legge vorrebbe?

«Esprimo un parere personale. E dico che non ci sono motivi per trattare in modo diverso una

coppia omosessuale rispetto ad una coppia eterosessuale. Siamo sempre davanti a due persone che

hanno un rapporto d’amore e sono disponibili ad una relazione di reciprocità fatta di diritti e doveri,

di responsabilità rispetto alla società. Del resto in molti Paesi d’Europa i due tipi di coppie sono già

equiparate».

Intende quei Paesi dove sono leciti i matrimoni fra omosessuali?

«Già. Sono tanti. La Gran Bretagna, la Francia, l’Olanda, la Svezia, il Belgio, la Danimarca. Poi ci

sono anche la Germania e il Portogallo, lì però ci sono dei distinguo che riguardano le adozioni per

le coppie omosessuali».

Lei pensa che sarebbe giusto concedere anche la possibilità di adozione alle coppie

omosessuali?

«Personalmente penso di sì perché sono a favore di una piena equiparazione. Ma intanto penso si

debba convenire sul fatto che se all’interno della coppia omosessuale c’è un genitore naturale

single, credo che il partner debba avere la possibilità di adottare quel figlio. E non vedo che tipo di

obiezioni potrebbero esserci a una cosa simile».

Si rende conto che le prime obiezioni potrebbero arrivare proprio dall’interno del suo partito,

il Pd?

«Non è un problema di partito. Un tema di questo genere, l’ho già detto, non deve essere

appannaggio di un partito o di un altro. È un tema talmente sensibile che deve essere affidato alla

coscienza di ognuno. E io vorrei che con coscienza ognuno mi spiegasse qual è il problema a

trattare gli esseri umani alla stessa maniera. Del resto anche la Corte costituzionale ci ha sollecitato,

fin dal 2010, a legiferare in tema di diritti alle coppie omosessuali. E il Paese è maturo per questo.

Lo dicono i sondaggi».

Quali? E cosa dicono?

«L’Istat ha scoperto che il 62,8% degli italiani pensa che sia giusto che una coppia di omosessuali

che convive possa avere per legge gli stessi diritti di una coppia sposata. Il 43,9% pensa sia

addirittura giusto che si sposino. Non crede che il Paese sia maturo? Non pensa sia giusto smetterla

con gli alibi che dare i diritti alle coppie omosessuali costa?».

Se parliamo di concedere la pensione di reversibilità un costo in effetti c’è…

«Ma ci può essere anche un risparmio se parliamo di assegni familiari o di detrazioni fiscali: se non

si riconosce una famiglia omosessuale qui lo Stato ci va a rimettere. Questo per anticipare alcune

obiezioni che, comunque, in un momento così sembrano fuori luogo. Del resto anche il Papa ha

fatto grandi aperture in tal senso».

Allude alle frasi di papa Francesco di pochi giorni fa di bambine con due madri?

«È una grande apertura di ascolto, molto importante».

Ma lei si rende conto che siamo stati bocciati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di

Strasburgo anche per una cosa semplice come il diritto della madre a dare il cognome in

esclusiva al proprio figlio?

«Questo è un problema relativamente semplice al quale il governo sta lavorando per trovare una

soluzione. E presto formalizzeremo una proposta. Anche su questo la Corte costituzionale aveva

invitato il legislatore ad occuparsi del tema. In questo caso possiamo essere veloci».

Nell’altro caso meno…

«Dobbiamo essere una società inclusiva. E capire che questo problema delle coppie omosessuali

non può davvero più aspettare. Non dico che devono essere tutti d’accordo con me, ma porsi il

problema del rispetto delle persone sì».

Famiglia e unioni gay

di Claudio Sardo

in “l’Unità” del 9 gennaio 2014

È insopportabile la continua contrapposizione tra le politiche a sostegno della famiglia e il

riconoscimento giuridico delle unioni gay. Anche perché i risultati di queste polemiche sono i tristi

primati italiani: ultimi nelle politiche familiari, ultimi nei diritti delle persone omosessuali. E si

parla ancora di rinvii, come esito inesorabile di una reciproca elisione.

Invece si potrebbe persino approfittare di un governo, eccezionalmente formato da antagonisti

politici, per cambiare direzione di marcia e togliere l’ipoteca dei pregiudizi ideologici.

A questo Paese servono politiche per la famiglia, perché il suo potenziale di solidarietà resta, al di là

delle trasformazioni economiche e culturali che ne hanno mutato la fisionomia, una risorsa

insostituibile per la coesione sociale e per la trasmissione di relazioni improntate alla gratuità. E a

questo Paese serve una disciplina di carattere pubblico, che dia stabilità alle unioni omosessuali e

che realizzi così la disposizione dell’articolo 2 della nostra Carta costituzionale, quello che

garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, non solo come singolo ma nelle formazioni sociali «ove si

svolge la sua personalità».

Scontiamo ritardi storici. Il riflesso delle politiche demografiche attuate dal fascismo ha frenato nel

tempo le misure legislative, fiscali, sociali a favore delle famiglie, e in special modo delle donne

che lavorano e dei nuclei più numerosi. Un deficit che ha prodotto diseguaglianza sostanziale, dal

momento che il carico familiare è diventato causa di povertà in misura assai maggiore che nel resto

dell’Europa. E ora paghiamo anche con gli interessi perché l’Italia è al tempo stesso la nazione con

la più bassa natalità e con la più alta inoccupazione femminile. Se non bastasse il buon senso, sono

proprio i dati reali a smentire clamorosamente i pregiudizi. Le famiglie sono oggi più forti dove è

maggiore l’occupazione delle donne e dove migliori sono gli asili-nido, i servizi per i non

autosufficienti e le politiche di conciliazione tra i tempi di lavoro e quelli di cura. Le famiglie sono

più forti – e i giovani più incoraggiati a costituirle – dove il fisco tiene in maggiore considerazione il

numero dei componenti della famiglia anagrafica. In Francia il sostegno economico alle famiglie

con bambini tra zero e tre anni è tra i più alti dell’Unione.

E sempre in Francia funziona un quoziente familiare corretto (nel senso della progressività fiscale)

che costituisce una significativa integrazione al reddito per i nuclei numerosi. Il risultato è che si

formano più famiglie, che le donne generano più figli e che l’occupazione femminile è ben

maggiore che in Italia. Ancora più evidenti sono in tal senso gli effetti del welfare dei Paesi nordici,

dove i giovani sono in grado di promuovere il loro progetto familiare molto prima che da noi. Oggi

migliori politiche familiari possono diventare anche vettori di ripresa economica dopo la crisi.

I cattolici italiani, in questo caso, devono fare autocritica. E la sinistra italiana deve porsi il

problema di migliorare quel welfare, che è nato dalle grandi lotte sindacali degli anni 70 ma che è

modellato sulla figura del lavoratore maschio e adulto. Le politiche per la famiglia, fuori da ogni

ideologia, sono le politiche redistributive più giuste e concrete. E possono favorire, oltre alla

solidarietà, un’alleanza generazionale che sconfigga la retorica liberista dei padri contro i figli.

Certo, non si cambiano le cose con un colpo di bacchetta magica. Ma si può avviare una nuova

strategia decennale. E non c’è motivo perché queste scelte vengano opposte al riconoscimento dei

diritti e dei doveri delle persone omosessuali. La società in carne e ossa non è un congresso, o un

concilio, in cui si disputa il modello ideale di famiglia. L’ordinamento non può non tener conto

della libertà, della molteplicità, del pluralismo culturale e religioso. Ed è bene che valorizzi ciò che

produce coesione, stabilità negli affetti, solidarietà umana: le derive individualiste riducono le

libertà più delle norme restrittive. La moratoria dovrebbe scattare sui pregiudizi anziché su una

nuova legge: ciò che le unioni civili tra omosessuali devono tutelare è anzitutto la centralità della

persona, la sua irriducibile dignità. E la persona, a differenza dell’individuo, si esprime attraverso

relazioni non esclusivamente economiche e attraverso i mondi vitali che riesce a costruire.

La Corte costituzionale nel 2010 ha invitato il Parlamento a dare pieno riconoscimento legislativo

alle coppie omosessuali: ci auguriamo che non si ripeta quanto è accaduto con la legge elettorale.

La stessa Corte ha sottolineato che non è necessario equiparare le unioni gay al matrimonio, definito

dall’art. 29 della Costituzione. Gli ostacoli possono e debbono essere superati. Come accadde nel

1975, quando personalità come Nilde Iotti, Maria Eletta Martini e Giglia Tedesco scrissero insieme

il nuovo diritto di famiglia. Era passato solo un anno dallo scontro epocale sul divorzio. Ma se la

politica si arrende quando sono in gioco valori costituzionali primari, allora si dà ragione a chi dice

che la politica non serve

 

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il giudizio pesantemente negativo dei vecovi portoghesi dell’ ‘ideologia del gender’

L’ideologia del gender spiegata dai vescovi portoghesi                                

la visione estremamente negativa e polemica dei vescovi portoghesi nei confronti della cultura del gender                                                                                                                                                                                                                                                                                                         lLa la conferenza episcopale del Portogallo spiega la nascita e la diffusione di  una cultura dalle «conseguenze drammatiche» 

gay-pride

propongo  in una  traduzione  di ‘tempi.it’ampi stralci della Lettera pastorale divulgata a  novembre dalla Conferenza episcopale del Portogallo e dedicata  alla ”Visione cristiana della sessualità”. Il testo descrive la  nascita e lo sviluppo della “nuova ideologia di genere”, indicandone  anche i possibili effetti negativi a livello sociale e  culturale

La chiamata ideologica del genere (o gender) si diffonde sempre di più.  Tuttavia, non tutti se ne rendono conto e molti non ne riconoscono la portata  sociale e culturale, che è stata già qualificata come vera e propria rivoluzione  antropologica. Non si tratta semplicemente di una moda intellettuale, bensì  comporta un movimento culturale con riflessi sul modo di pensare alla famiglia,  la sfera politico-legislativa, l’insegnamento, la comunicazione e la propria  lingua corrente (…). Questo documento nasce con l’obiettivo di rendere più  chiare le differenze tra queste due visioni. Ci muove il desiderio di presentare  la visione più solida e più fondante della persona, tramandata e valorizzata da  millenni, per la quale l’umanesimo cristiano ha molto contribuito. Crediamo che  proprio quest’umanesimo, oggi, sia chiamato a contribuire alla riscoperta della  profondità e della bellezza di una sessualità umana intesa in modo corretto.

1. LA PERSONA UMANA, SPIRITO INCARNATO Più che mai,  vorremmo chiarificare che, per la visione cristiana dell’uomo, non c’è spazio  per il dualismo: il disprezzo del corpo in nome dello spirito o vice-versa (…).  La corporeità è una dimensione strutturale della persona, non un accessorio; la  persona è corpo, non ha un corpo.

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2. A  CONFRONTO CON UN FORTE CAMBIAMENTO CULTURALE Riconosciamo  senz’ombra di dubbio che nel corso della storia non si è sempre attribuito lo  stesso valore e lo stesso peso sociale all’uomo e alla donna. La donna in  particolare è stata vittima non raramente di una grande soggezione (…). Nel  desiderio di oltrepassare questa condizione di inferiorità sociale della donna,  alcuni hanno portato avanti una distinzione radicale tra sesso biologico e  titoli che la società le ha tradizionalmente attribuito. Hanno affermato che  l’essere maschio o femmina riguarda una costruzione mentale, più o meno  artificiale. Di conseguenza, rigettano tutto quanto abbia a che vedere con i  dati biologici (…). E, per associazione di idee, si è passati a rifiutare la  validità di tutto quanto riguardi le norme naturali sulla sessualità  (eterosessualità, unione monogama, rispetto per la vita dell’embrione,  eccetera). (…) [L’ideologia del gender] nega che la differenza sessuale  iscritta nel corpo possa identificare la persona; rifiuta la complementarietà  naturale dei due sessi; dissocia la sessualità dalla procreazione; sottomette la  possibilità naturale di avere figli al desiderio di avere figli; pretende di  distruggere la matrice eterosessuale della società.

3. I PRESUPPOSTI DELL’IDEOLOGIA DEL GENERE Se la  differenza sessuale tra uomo e donna è alla base dell’oppressione femminile,  allora qualunque forma di definizione di una specificità femminile è sempre una  discriminazione ingiusta. Per superare quest’oppressione, si rifiuta la  distinzione che vi è in natura tra i sessi, e il genere diventa una scelta  individuale. Il genere, dunque, non deve più corrispondere al sesso, ma è una  scelta soggettiva (…) allora è indifferente anche la scelta di legarsi a persone  dell’altro o dello stesso sesso. Da qui viene l’equiparazione tra le unioni  eterosessuali e omosessuali (…). Allo stesso modo, si smette di parlare di  maternità e di paternità e si inizia a parlare esclusivamente di genitorialità,  creando un concetto astratto, slegato da fattori biologici.

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4.  RIFLESSI DELL’AFFERMAZIONE E DELLA DIFFUSIONE DELL’IDEOLOGIA DI  GENERE L’affermazione e la diffusione dell’ideologia di genere si  può notare in vari ambiti. Uno di questi è l’attuale ambito linguistico. A  cominciare dai documenti ufficiali, si va generalizzando l’espressione “genere”  in sostituzione del “sesso” (…), l’espressione “famiglie” invece che “famiglia”,  o “genitorialità” invece di “paternità” e “maternità”. Molte persone adesso  adottano queste espressioni per abitudine (…). Ma la generalizzazione di queste  espressioni non è per nulla innocua. Fa parte di una strategia di affermazione  ideologica che compromette la capacità di distinguere delle persone, con  conseguenze drammatiche: non si è più in grado di darsi una collocazione e  definire quello che c’è di più elementare. Il livello politico e quello  legislativo (…) le leggi che permettano l’adozione da parte di genitori dello  stesso sesso (si sta discutendo in Portogallo, attraverso la modalità di  adozione congiunta), le leggi che permettano il cambiamento di sesso (…). Altro  ambito della diffusione dell’ideologia del genere è quello scolastico, visto  come mezzo efficace di indottrinamento e trasformazione della mentalità  corrente. Questa strategia ha dato origine in vari paesi a movimenti di  protesta.

5. LA PORTATA IDEOLOGICA DELL’IDEOLOGIA DI GENERE È  importante approfondire la portata di questa ideologia, poiché rappresenta  un’autentica rivoluzione ideologica. Riflette un soggettivismo relativista  portato agli estremi, negando il significato della realtà oggettiva (…). È  contraria ad una certa forma di ecologia umana, scioccante in un periodo in cui  si esalta così tanto la necessità di rispettare l’armonia prestabilita che  sottintende l’equilibrio ecologico ambientale. Su un piano strettamente  scientifico, ovviamente, la pretesa di prescindere dai dati biologici nella  identificazione delle differenze tra maschi e femmine è a dir poco illusoria.  Queste differenze partono dalla struttura genetica delle cellule del corpo  umano, per le quali non basta un intervento chirurgico degli organi sessuali  esterni per cambiare.

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6.  UOMO E DONNA CHIAMATI ALLA COMUNIONE Questa comunione si costruisce  a partire dalla differenza. Quella più basilare e fondamentale dei sessi non è  un ostacolo alla comunione, non è una fonte di opposizione e di conflitto, ma  un’occasione di arricchimento reciproco. L’uomo e la donna sono chiamati alla  comunione perché solo questa li completa e permette la continuazione della  specie, attraverso la crescita di nuove vite. Fa parte della meraviglia del  disegno della creazione. La società si costruisce a partire da questa  collaborazione tra la dimensione maschile e femminile. In primis nella sua  cellula fondamentale, la famiglia (…).

7. COMPLEMENTARIETÀ DELL’ESSERE MASCHIO E FEMMINA È un  fatto che un determinato tipo di visione dell’essere maschio e femmina è servito  nel corso della storia a consolidare divisioni di compiti rigide e stereotipate  che hanno limitato la realizzazione della donna, rilegata alle faccende  domestiche (…) è una conseguenza del peccato. Questo dominio indica un disturbo  ed una perdita di stabilità della fondamentale uguaglianza tra uomo e donna.  L’ideologia di genere non si limita a denunciare tali ingiustizie, ma pretende  di eliminarle negando la specificità femminile. Ciò impoverisce la donna, che  perde la sua identità e indebolisce la società, privata di un contributo  prezioso e insostituibile come la femminilità e la maternità (…).

8. IL “GENIO FEMMINILE” In questa  prospettiva, bisogna mettere in luce quello che Papa Giovanni Paolo II ha  chiamato “genio femminile”. Non si tratta di qualcosa che si esprime solamente  all’interno della relazione sponsale (…). Passa attraverso la vocazione alla  maternità, senza che questa si esaurisca nella maternità biologica. In questa,  tuttavia, si dimostra una speciale sensibilità della donna alla vita. La  maternità non è un peso di cui la donna ha bisogno di liberarsi. Quello che si  esige è che tutta l’organizzazione sociale appoggi e non ostacoli la  concretizzazione di questa vocazione (…).

Francia, celebrato primo matrimonio gay

9.  L’INSOSTITUIBILE COMPITO DEL PADRE (…) L’ambito in cui più si nota  l’assenza di questo contributo è l’educazione, da cui si parla del padre come il  “grande assente”. Questo può dar inizio ad una serie di conseguenze, come il  disorientamento esistenziale dei giovani, la tossicodipendenza o la delinquenza  giovanile. Se la relazione con la madre è essenziale nei primi anni di vita,  allo stesso modo è essenziale la relazione con il padre, affinché il bambino e  il giovane si distacchino dalla madre e così crescano come persone autonome. Non  basta l’affetto per crescere: sono necessari regole e autorità, che si  accentuano grazie al ruolo del padre (…).

10. LA RISPOSTA ALL’AFFERMAZIONE E ALLA DIFFUSIONE DELL’IDEOLOGIA DI  GENERE L’ideologia di genere non si contrasta solo con la visione  biblica e cristiana, ma anche con la verità della persona e della sua vocazione.  Quest’ideologia pregiudica la realizzazione personale e, a medio termine,  defrauda la società (…). I cambiamenti legislativi che riflettono la mentalità  dell’ideologia di genere – concretamente, la legge che ha ridefinito il  matrimonio – non sono irreversibili. E i cittadini e i legislatori (…) sono  chiamati a fare tutto quanto in loro potere per revocare questi cambiamenti.  Se dovremo assistere all’utilizzo del sistema di insegnamento per  affermare e diffondere questa ideologia, è bene tenere presente il primato dei  diritti di padri e madri sulla orientamento e sull’educazione dei proprio figli.  L’articolo 26 n.3 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo ha  stabilito che «ai genitori spetta la priorità del diritto di scelta sul tipo di  educazione dei propri figli». E l’articolo 43, n.2 della nostra Costituzione  stabilisce che «lo Stato non si può attribuire il diritto di programmare  l’educazione e la cultura secondo qualunque guida filosofica, estetica,  politica, ideologica o religiosa». Ad ogni modo, la risposta più efficace alle  affermazioni e alla diffusione dell’ideologia di genere deve riflettersi in una  nuova evangelizzazione. Si tratta di annunciare il Vangelo come questo è: una  buona novella di vita, dell’amore umano, del matrimonio e della famiglia, il che  corrisponde alle esigenze più profonde e autentiche di tutte le persone. A  questo annuncio sono chiamate, in particolare, le famiglie cristiane, prima di  tutto attraverso la propria testimonianza di vita.

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schiaffo ai vescovi italiani

Vaticano, i primi cardinali di Bergoglio: schiaffo a Bertone e Bagnasco

Secondo le indiscrezioni, le nomine che Francesco farà saranno a sorpresa: niente nomi di potere e ritorno al cardinalato ad personam:

diplomazia vaticana

da sussurri, indiscrezioni, veline sembra questo il panorama che si delinea nelle prime scelte di papa Francesco:

Grandi manovre in casa Bergoglio. Se le indiscrezioni delle ultime ore saranno confermate, all’Angelus dell’Epifania Papa Francesco annuncerà i nomi dei suoi primi cardinali che riceveranno la berretta rossa nel concistoro del 22 febbraio. Nella lista clamorosamente non ci sarà il patriarca di Venezia Francesco Moraglia, considerato troppo legato all’ex Segretario di Stato Tarcisio Bertone. Al suo posto, ancor più clamorosamente, ci sarà l’arcivescovo di Perugia Gualtiero Bassetti. Una scelta che stupisce sia perché il capoluogo umbro non è sede cardinalizia, sia perché è stato proprio Bassetti, in qualità di vicepresidente della Cei, a prendere il posto del cardinale Angelo Bagnasco nella potentissima Congregazione per i vescovi.

Una scelta, quella di Papa Francesco, che se da un lato equivale a un doppio “schiaffo” per Bertone e per Bagnasco, dall’altro lato manifesta la volontà del Pontefice latinoamericano di tornare al “cardinalato ad personam“, come era anticamente, facendo prevalere gli uomini da insignire con la porpora sulle sedi da loro occupate e non viceversa. In futuro quindi, soprattutto in Italia, saranno rimescolate le carte delle tradizionali sedi cardinalizie (Milano, Torino, Napoli, Palermo, Bologna, Firenze, Genova e Venezia). La scelta di Bassetti ha, però, anche altri due significati agli occhi del Papa. Da un lato si tratta di dare un riconoscimento particolare all’arcivescovo del capoluogo umbro, regione nella quale è nato e vissuto San Francesco d’Assisi di cui Bergoglio ha voluto prendere il nome dopo la fumata bianca. Dall’altro lato è anche un’indicazione agli oltre duecento vescovi italiani per la successione al presidente della Cei Bagnasco, da affiancare all’altra candidatura considerata molto forte nell’episcopato della Penisola, ovvero quella dell’arcivescovo di Chieti-Vasto Bruno Forte, nominato dal Papa segretario speciale del Sinodo dei vescovi sulla famiglia che si terrà nell’ottobre prossimo in Vaticano.

Sicura la porpora per l’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia, uomo legato al cardinale Camillo Ruini di cui è stato vescovo ausiliare a Roma. Giunto ormai alla soglia dei settantaquattro anni, Nosiglia riceverà finalmente la berretta rossa dopo essere stato osteggiato da Bertone che, sotto il pontificato di Benedetto XVI, gli ha fatto saltare ben tre concistori. L’ex Segretario di Stato, infatti, voleva far nominare alla guida dell’arcidiocesi di Torino Giuseppe Versaldi, suo vicario generale quando era vescovo di Vercelli. Ma in quel caso Ruini ebbe la meglio. Bertone non si perse d’animo e riuscì a far nominare da Benedetto XVI Versaldi presidente della Prefettura degli affari economici della Santa Sede e poi a farlo creare cardinale nel concistoro del febbraio 2012, togliendo di fatto il posto a Nosiglia.

Scontate le nomine dei cardinali di Curia. Ad aprire la lista sarà sicuramente il Segretario di Stato Pietro Parolin, subito seguito dal prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Gerhard Ludwig Müller. Gli altri curiali dovrebbero essere Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il clero, Jean-Louis Bruguès, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa, e Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei vescovi, al quale Bergoglio, subito dopo l’elezione nella Cappella Sistina, ha donato il suo zucchetto rosso

la prima grande sorpresa di papa Francesco per la chiesa italiana è la nomina del segretario della Cei nella persona di mons. Galantini preso da una delle più piccole diocesi italiane:

Segreteria Cei, spunta il jolly: è monsignor Galantini, parroco di

frontiera, studioso di Bonhoeffer

di Luca Kocci

in “Adista” – Notizie – n. 1 del 11 gennaio 2014

È arrivata alla fine dell’anno la prima nomina di papa Francesco che riguarda la Conferenza

episcopale italiana. Si tratta di mons. Nunzio Galantino, vescovo di Cassano allo Jonio (Cs),

prescelto come nuovo segretario generale della Cei in sostituzione di mons. Mariano Crociata, dal

19 novembre alla guida della diocesi di Latina dopo aver rifiutato l’incarico di ordinario militare per

l’Italia.

La nomina, piuttosto a sorpresa sia per i tempi rapidi che per il nome inaspettato, è stata

ufficializzata il 30 dicembre, con un comunicato della Cei e con la contestuale diffusione di una

lettera (datata 28 dicembre), dai contenuti decisamente inusuali, che il papa ha indirizzato «ai

sacerdoti, consacrati e fedeli della diocesi di Cassano allo Jonio». «Per una missione importante

nella Chiesa italiana ho bisogno che mons. Galantino venga a Roma almeno per un periodo. So

quanto voi amiate il vostro vescovo e so che non vi farà piacere che vi venga tolto, e vi capisco. Per

questo ho voluto scrivervi direttamente come chiedendo il permesso», si legge nel testo di

Bergoglio, in cui si chiarisce che si tratta di una nomina ad interim, e che Galantino, per il

momento, continuerà a mantenere anche l’incarico di guida della diocesi di Cassano. «Chiederò a

mons. Galantino – scrive il papa – che, almeno per un certo tempo, pur stando a Roma, viaggi

regolarmente alcuni giorni per continuare ad accompagnarvi nel cammino di fede». Come del resto

richiesto dallo stesso neosegretario della Cei: «Ho chiesto esplicitamente al Santo Padre di poter

continuare a camminare con la Chiesa alla quale, come uomo e come credente, sono stato affidato e

che, come vescovo, mi è stata affidata», si legge in un’intervista a mons. Galantino pubblicata sul

sito internet della diocesi di Cassano allo Jonio. «Certo, Roma è un po’ lontana da Cassano. Ma

questo non mi spaventa. Ho sempre viaggiato e continuerò a farlo. La scelta di rimanere vescovo

residenziale penso che mi aiuterà a rendere il mio servizio senza perdere mai di vista tutta la

bellezza, ma anche tutta la fatica che comporta la vita ordinaria di una Chiesa diocesana. Mi aiuterà

certamente a dare più senso a quanto andrò dicendo e facendo», «finché avrò le energie e finché

potrò contare sull’aiuto di chi mi circonda, io sarò qui».

«Sono particolarmente grato a Papa Francesco per avere designato mons. Nunzio Galantino a

colmare il vuoto creatosi dopo l’elezione di mons. Crociata a vescovo di Latina», dichiara il

presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, appena appresa la nomina. «Conosco personalmente il

nuovo segretario generale per la sua lunga esperienza in qualità di responsabile del Servizio

nazionale per gli studi superiori di teologia e di scienze religiose della Cei e, prima ancora, per la

sua intensa attività accademica e il generoso impegno di pastore, sempre presente sulle frontiere

dell’educazione e del riscatto sociale. Ho avuto pure la gioia di consacrarlo vescovo di Cassano allo

Jonio nel 2012. Sono certo che darà un contributo qualificato al servizio dei vescovi italiani nel

quotidiano impegno per l’evangelizzazione».

Nato il 16 agosto del 1948 a Cerignola – grosso comune agricolo del foggiano, che diede i natali

anche al primo segretario nazionale della Cgil, il leader delle lotte contadine Giuseppe Di Vittorio –,

Galantino è stato ordinato prete nel 1972 e, dopo essere stato vicerettore del seminario di Foggia e

docente al seminario di Benevento, dal 1977 ha rivestito l’incarico di parroco di San Francesco

d’Assisi, parrocchia di un quartiere molto popolare di Cerignola, dove fra l’altro aveva direttamente

in carico diverse situazioni difficili di persone disabili e di detenuti. All’impegno pastorale mons.

Galantino ha sempre affiancato quello culturale e di studioso: laureato in Filosofia all’Università

Statale di Bari (tesi su “L’antropologia di Bonhoeffer come premessa al suo impegno politico”) e

addottorato in Teologia dogmatica (relatore il gesuita p. Piersandro Vanzan, continuando le ricerche

su Bonhoeffer e successivamente su Rosmini) alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia

meridionale, dove ha poi insegnato Antropologia, con qualche intervallo, dal 1978 al 2012,

mettendo come condizione, ricordano dalla Facoltà, di continuare a fare il parroco a Cerignola. Dal

2004 segue per la Cei l’attuazione del Progetto di riordino della formazione teologica in Italia e dal

2008 è responsabile del Servizio nazionale per gli studi superiori di teologia e di scienze religiose

della Cei, un incarico di grande importanza che lo porta spesso a Roma. Il 9 dicembre 2011 viene

nominato vescovo di Cassano allo Jonio – nel suo sito internet (www.nunziogalantino.it) è scritto «è

stato eletto»: refuso o auspicio per una riforma delle nomine episcopali nella Chiesa? – dove

comincia il suo ministero il 10 marzo 2012, dopo la consacrazione episcopale, dalle mani del card.

Bagnasco, il 25 febbraio 2012 nella cattedrale di Cerignola. A Cassano, racconta chi lo ha

conosciuto in questi quasi due anni di episcopato, si fa chiamare don Nunzio, ha scelto di abitare

non nel palazzo vescovile ma nel seminario e di rinunciare a segretario, autista e automobile di

lusso. Ha inoltre scritto la prefazione alla raccolta di omelie di don Cosimo Scordato (Libertà di

Parola, Cittadella, Assisi, 2013), animatore della Comunità di San Francesco Saverio

all’Albergheria di Palermo.

Insomma una nomina apparentemente molto significativa, che potrebbe essere il viatico a quella

riforma della Cei – dal ridimensionamento del numero delle diocesi e degli uffici all’elezione del

suo presidente, come lascia intendere anche il vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero,

in un’intervista al Quotidiano nazionale (2/1): «Se tutto andrà per il verso giusto, a novembre per la

prima volta eleggeremo i vertici dell’episcopato» – auspicata e attesa da molti

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la chiesa e il problema delle coppie di fatto

 

Le coppie di fatto scuotono la Chiesa: vescovi divisi tra favorevoli e contrari

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Il tema delle coppie di fatto oltre che scuotere il Parlamento italiano irrompe anche nella Chiesa:

”La legge non può ignorare centinaia di migliaia di conviventi. Senza creare omologazione tra coppie di fatto e famiglie, è giusto che anche in Italia vengano riconosciute le unioni di fatto”. questo è ciò che ha affermato, a “La Stampa”, il vescovo di Mazara del Vallo. Domenico Mogavero, ex sottosegretario Cei e attuale commissario per le migrazioni che poi ha aggiunto:

”Lo Stato può e deve rispettare e tutelare il patto che due conviventi hanno stretto tra loro. Contrasta con la misericordia cristiana e con i diritti universali il fatto che i conviventi per la legge non esistano. Oggi se uno dei due viene ricoverato in ospedale, all’altro viene negato persino di prestare assistenza o di ricevere informazioni mediche come se fosse una persona estranea. Mi pare legittimo riconoscere diritti come la reversibilità della pensione o il subentro nell’ affitto in virtù della centralità della persona”.

Per la chiesa ”su tutto ciò che riguarda la sfera civile e umanitaria si può arrivare ad un accordo. Senza equipararle alle coppie sposate, non ci sono ostacoli alle unioni civili”, ha ribadito il vescovo. Quanto ai figli,” in chiesa non possono esserci preclusioni in nulla per i figli di genitori non sposati. Le colpe dei padri, se di colpe si tratta, non possono mai ricadere sui figli. Perciò non si può negare il battesimo a un bambino, e non si possono indicare le coppie di fatto come persone che vivono nel peccato”. 

Ma l’opinione di Mogavero trova anche degli oppositori e tra questi il più attivo è sicuramente il vescovo di Parma Enrico Solmi, presidente della Commissione che si occupa della famiglia e della vita all’interno della Cei. Solmi, in un’intervista rilasciata a “La Repubblica” ha preso infatti una posizione diametralmente opposto affermando:

“Favorire attraverso sentenze soluzioni di fatto, in sostanza un riconoscimento delle unioni di fatto e anche delle unioni di persone omosessuali, è una deriva che non può essere accettata. Certo, diverso è se si vuole discutere e confrontarsi per arrivare a una tutela dei diritti e delle persone in quanto tali. Tali diritti vanno in considerazione anche della relazione che un uomo e una donna non sposati possono intessere, e che può essere arricchita anche dalla presenza di figli, o di una relazione di aiuto che comprenda l’assistenza sanitaria, i beni delle due persone, quindi il discorso dell’eredità”.

”Questo percorso è assolutamente fattibile facendo riferimento al codice civile e ai diritti della persona. Codice civile che può essere anche adeguatamente modificato per fare spazio a queste situazioni che da un punto di vista numerico sono significative. Le sentenze in merito alle coppie di fatto debbono considerare il dettato costituzionale degli articoli 30 e 31 della Costituzione. Una lettura serena e fruttuosa di questo consentirebbe quel dialogo che da più parti si sente come impellente”. 

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e papa Francesco cosa dice a questo proposito?

ha una sua particolare modalità di rapportarsi al problema che non può non risultare provocatoria ne confronti di tanta chiusura e immobilismo della gerarchia episcopale italiana: quello che era un tabù, soprattutto durante i pontificati di Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger, da quando Jorge Mario Bergoglio è salito

sulla cattedra di Pietro è diventato argomento di discussione e confronto:

Il Papa apre alle coppie gay “Da loro nuove sfide educative”

così in una ricostruzione di P. Rodari:

Unioni civili in Italia

 

Svolta nell’incontro con i Superiori generali: “Dobbiamo annunciare Gesù a una generazione che cambia”.

 

L’apertura a sorpresa di papa Francesco “Le coppie gay una sfida per chi educa non allontaniamo i loro figli dalla fede” L’esortazione: impariamo a parlare a una generazione che cambia Il caso.

 Papa Francesco apre inaspettatamente alle coppie gay. Nella conversazione con i Superiori generali Bergoglio ha messo in guardia dai pericoli di non considerare la grande novità sociale costituita dalle coppie omosessuali con figli. Coppie che, ha detto, pongono “sfide educative inedite”. Il rischio, ha insistito il pontefice, è che non comprendendo questa novità, si allontanino i figli di queste coppie dalla fede. La sfida da cogliere è saper parlare a una generazione che cambia, ha concluso.

«Ricordo il caso di una bambina molto triste che alla fine confidò alla maestra il motivo del suo stato d’animo: “La fidanzata di mia madre non mi vuol bene”. La percentuale di ragazzi che studia nelle scuole e che hanno i genitori separati è elevatissima. Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Come annunciare Cristo a questi ragazzi e ragazze? Come annunciare Cristo a una generazione che cambia?». Sono parole di Papa Francesco, pronunciate nella conversazione avuta in Vaticano il 29 novembre con i superiori generali e della quale ha dato una lunga sintesi La Civiltà Cattolica. Il Papa mostra come nella Chiesa esiste una consapevolezza non banale rispetto alla realtà familiare oggi. Accanto alle famiglie tradizionali, vi sono coppie formate da persone etero e omosessuali. E questo dato di fatto, dice in sostanza il Papa, non va eluso. È un po’ quanto da tempo ripete il primate di Vienna Christoph Schönborn: la Chiesa deve rendersi conto che «oggi la famiglia è patchwork, è una famiglia fatta di divorziati, risposati, eccetera». Dice Francesco ai superiori generali: «Bisogna stare attenti a non somministrare» ai figli di coppie di fatto «un vaccino contro la fede». Per Bergoglio «l’educatore deve essere all’altezza delle persone che educa, deve interrogarsi su come annunciare Gesù Cristo a una generazione che cambia». E ancora: «Il compito educativo oggi è una missione chiave, chiave, chiave!». Non ci sono margini, in merito, per dire che il Papa intende spingersi dove i suoi predecessori non sono mai arrivati. Ieri è stato il quotidiani a smorzare gli entusiasmi, scrivendo in un editoriale che «priorità sono lavoro e Il Papa comunque non sembra voler cedere sul leitmotiv del pontificato: la Chiesa deve accogliere tutti e non chiudere. Ha spiegato recentemente Víctor Manuel Fernández, rettore dell’Università cattolica d’Argentina e amico del Papa: «Ci deve essere una proporzione adeguata nella frequenza con la quale alcuni argomenti vengono inseriti nella predicazione. Se un parroco lungo l’anno liturgico parla dieci volte di morale sessuale e soltanto due o tre volte dell’amore fraterno o della giustizia, vi è una sproporzione. Ugualmente se parla spesso contro il matrimonio fra omosessuali e poco della bellezza del matrimonio». Dice non a caso padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica: «Papa Francesco ha voluto intendere che siamo davanti a un mondo in cambiamento e la Chiesa deve capire come annunciare il Vangelo davanti a un mondo che cambia. Il Papa non vuole definire ma aprire delle finestre. La situazione di una coppia gay deve essere vissuta come una sfida, perché il Vangelo va annunciato a tutti». E le parole del Papa trovano il plauso delle associazioni gay. Dice il portavoce del Gay Center Fabrizio Marrazzo: «Sarebbe un fatto storico se il Papa incontrasse le famiglie di coppie gay. Da Bergoglio viene una riflessione che contrasta la cultura figlia dell’omofobia. La sua è un’attenzione inedita per un pontefice a cui bisogna guardare con fiducia».

Da La Repubblica del 05/01/2014.

e così in un apprezzabile articolo di Luca Kocci in “il manifesto” del 5 gennaio 2014

La sfida di Francesco

Sul tema delle coppie omosessuali il dibattito è aperto anche nella Chiesa di papa Francesco.

La posizione del magistero ufficiale non è cambiata: le relazioni omosessuali sono «gravi

depravazioni», l’unica via di salvezza resta la «castità» («gli atti di omosessualità sono

intrinsecamente disordinati» e «contrari alla legge naturale», non sono il frutto di una vera

complementarietà affettiva e sessuale, in nessun caso possono essere approvati», ricorda il

Catechismo della Chiesa cattolica). Tuttavia è innegabile che quello che era un tabù, soprattutto

durante i pontificati di Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger, da quando Jorge Mario Bergoglio è salito

sulla cattedra di Pietro è diventato argomento di discussione e confronto.

Il tema lo ha rilanciato papa Francesco anche nel colloquio con i superiori delle congregazioni

religiose maschili pubblicato ieri da

Civilità Cattolica in un lungo articolo firmato dal direttore del

quindicinale dei gesuiti, padre Antonio Spadaro (anche se, siccome l’incontro è avvenuto il 29

novembre, interpretarlo come un inserimento papalino nel dibattito politico di questi giorni è

assolutamente fuori luogo).

Parlando dell’educatore che deve «essere all’altezza delle persone che educa» e interrogarsi su

come annunciare il Vangelo «a una generazione che cambia», Bergoglio rievoca un episodio

accaduto a Buenos Aires: «Ricordo il caso di una bambina molto triste che alla fine confidò alla

maestra il motivo del suo stato d’animo: la fidanzata di mia madre non mi vuole bene». Chiosa

Bergoglio: «Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono

persino difficili da comprendere. Come annunciare Cristo a questi ragazzi e ragazze? Bisogna stare

attenti a non somministrare ad essi un vaccino contro la fede».

Leggere queste parole come un’apertura alle coppie omosessuali — come pure qualcuno ha fatto —

pare forzato. Di sicuro però la questione viene affrontata in termini più problematici del passato.

Come del resto già papa Francesco aveva fatto in estate, di ritorno dalla Giornata mondiale della

gioventù a Rio de Janeiro, quando in aereo, parlando con i giornalisti, aveva pronunciato la frase

che innescò il dibattito: «Chi sono io per giudicare un gay?». Ribadita, e approfondita, nella lunga

conversazione con padre Spadaro pubblicata da

Civilità cattolica a settembre (e poi in un libro edito

da Rizzoli).

«Se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per

giudicarla. Dicendo questo io ho detto quello che dice il Catechismo», puntualizza Bergoglio. «Una

volta una persona mi chiese se approvavo l’omosessualità. Io allora — prosegue papa Francesco —

le risposi con un’altra domanda: Dio quando guarda a una persona omosessuale ne approva

l’esistenza con affetto o la respinge condannandola? Bisogna sempre considerare la persona» e

«accompagnarla a partire dalla sua condizione».

La linea sembra chiara: fermezza nella dottrina — del resto Bergoglio da vescovo di Buenos Aires

fu uno dei più strenui oppositori della legge che nel 2011 approvò le unioni tra persone dello stesso

sesso, definendola frutto della «invidia del demonio» — ma atteggiamento pastorale meno rigido e

più inclusivo.

Nel questionario preparato dal Vaticano per interpellare i cattolici di tutto il mondo su temi caldi

come le coppie omosessuali e i divorziati in vista del Sinodo straordinario dei vescovi sulla famiglia

in programma per ottobre 2014, un intero blocco di domande è dedicato alle «unioni di persone

dello stesso sesso». «Qual è l’atteggiamento delle Chiese locali di fronte alle persone coinvolte in

questo tipo di unioni? Quale attenzione pastorale è possibile avere» nei loro confronti?», viene

chiesto. E molti di coloro che hanno inviato le risposte ai loro vescovi e in Vaticano — parrocchie,

gruppi di base, singoli fedeli — hanno espresso pareri in netta difformità rispetto alle posizioni

ufficiali.

Allora proprio il Sinodo potrà essere l’occasione per verificare se le parole problematiche di papa

Bergoglio, oltre a manifestare le buone intenzioni di una prassi pastorale più inclusiva ma in un

quadro dottrinale di condanna immutato, comporteranno anche un aggiornamento delle

ermeneutiche bibliche e soprattutto del magistero. Senza questi passaggi le aperture resteranno

dimezzate.

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