i musulmani a Sassuolo costretti a pregare in strada

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Cari vescovi, la moschea di Sassuolo riguarda anche noi. Lettera di una comunità cristiana

 

 

niente più moschea per i musulmani di Sassuolo. E così i cattolici del gruppo Camminare insieme scrivono al vescovo e ai parroci chiedendo anche a loro di attivarsi per tentare di trovare una soluzione

così L. Kocci ricostruisce la questione di una comunità che vede chiusa ora la Moschea e l’anno scorso il proprio centro culturale:

“Adista” n. 3, 25 gennaio 2014

Luca Kocci

La questione non è nuova. Già diversi anni fa venne chiuso dal Comune un locale che la comunità islamica utilizzava come moschea. Alla fine dello scorso anno, poi, è stato chiuso anche il secondo luogo di culto cittadino dei musulmani, il Centro culturale El Medina di via Cavour, per questioni relative all’agibilità degli spazi (anche se la faccenda è piuttosto controversa). Da allora la comunità islamica prega in strada. «Egregi concittadini di Sassuolo, è con grande rammarico che ci troviamo, nostro malgrado, a dovervi porgere le nostre più sentite scuse, per gli eventuali disagi che vi dovessimo involontariamente arrecare in questi giorni», hanno scritto i musulmani in una lettera aperta ai sassuolesi. «Cogliamo l’occasione per informarvi che il Centro ha sempre dato la sua completa disponibilità a valutare collocazioni diverse da quella attuale, con la sola condizione di poter mantenere la destinazione dell’immobile ad uso di luogo di culto, per la quale abbiamo già dovuto pagare una somma ingente. Purtroppo, questa disponibilità non è stata mai presa in considerazione dalla giunta comunale, che sembra mirare ad una chiusura totale del centro, piuttosto che ad una collocazione più adatta, ed eventualmente più distante da una zona densamente abitata. Speriamo – conclude la lettera – nella vostra comprensione, auspicando che la situazione si risolva nel più breve tempo possibile».

A solidarizzare con la comunità islamica è il gruppo di dialogo interreligioso Camminare insieme –composto da famiglie cattoliche e musulmane – che ha scritto una lettera indirizzata «ai vescovi di Modena e Reggio Emilia, ai sacerdoti e alle loro comunità cristiane». Chiediamo «che quello che sta avvenendo non sia seguìto da parte di tutti da un silenzio che riteniamo potrebbe diventare “assordante”, ma possa scuotere le coscienza di tanti. Noi tutti sappiamo quale valore possa, per una persona credente, religiosa, avere la possibilità di incontrasi con altri fratelli e sorelle nella fede, per lodare insieme Dio, per far festa, per vivere momenti di formazione e studio. È vero che è importante la lode e l’adorazione personale, è vero che consideriamo momento molto utile ed edificante il pregare in famiglia, ma conosciamo anche la bellezza e l’intensità del trovarsi in assemblea a pregare tra fratelli».

«Non vogliamo entrare nello specifico degli aspetti tecnici e delle questioni burocratiche», si legge nella lettera di Camminare insieme, «ma sentiamo il bisogno di alzare la voce e chiedere a tutti e in particolare a chi professa e cerca di vivere al meglio la propria fede in Cristo, un surplus di impegno affinché si trovi una soluzione a questo problema. Ci rivolgiamo a voi sacerdoti e alle vostre comunità, perché possiate contribuire, per quello che vi è possibile, con gli strumenti e le opportunità di cui disponete, affinché la numerosa comunità musulmana che vive nel nostro territorio, uomini e donne che incontriamo ogni giorno al lavoro, o a fianco dei nostri figli a scuola, o a far la spesa nei supermercati, o seduti sulle panchine nei parchi dei nostri paesi, possa superare questo momento di tristezza e di grande precarietà».

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p. Maggi e p. Pagola commentano il vangelo

p. Maggi

così p. Maggi commenta il vangelo della terza domenica del tempo ordinario (26 gennaio 2014):

VENNE A CAFARNAO PERCHE’ SI COMPISSE CIO’ CHE ERA STATO DETTO PER MEZZO DEL PROFETA ISAIA

Mt 4,12-23

Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa: «Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta». Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, rché il regno dei cieli è vicino». Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, eAndrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre,  aravano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono.

Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.

L’evangelista Matteo presenta in questo brano l’inizio dell’attività di Gesù. Una volta venuto a sapere che Giovanni è stato arrestato e quindi l’aria si fa pesante e difficile in Giudea, Gesù sale al nord, nella Galilea, nella regione che vedremo abbastanza disprezzata ,“lascia Nazareth, il suo paese natale, e va ad abitare a Cafarnao”. E’ interessante il fatto che né Nazareth né Cafarnao vengono mai nominate nell’Antico Testamento, comunque Cafarnao era una città di frontiera, importante posto di dogana. L’evangelista scrive poi “sulla riva del mare”, ma in realtà è un lago. Perché l’evangelista parla di mare? Perché con questo sotterfugio, sostituendo lago con mare, l’evangelista vuol dare un’indicazione teologica; il mare era quello che separava Israele dai pagani, ma soprattutto il mare era quello che il popolo di Israele aveva attraversato per fuggire dalla schiavitù egiziana. Quindi indicava la piena liberazione. Tutta la tematica dell’evangelista è in chiave di Esodo e Gesù è il nuovo Mosè che viene a liberare il suo popolo. E qui l’evangelista vede, nell’attività di Gesù, nella scelta di Gesù di salire in Galilea, la realizzazione della promessa di liberazione messianica da una situazione di oppressione a una di salvezza, di un territorio che era stato devastato dagli Assiri e cita il profeta Isaia al capitolo 8, versetto 23, dove si parla di Galilea delle genti. Mentre la Giudea deve il suo nome a Giuda, uno dei patriarchi più importanti, questa regione al nord era talmente disprezzata – era una regione abitata da poveri, da bifolchi, da gente violenta – era talmente disgustata la popolazione della Giudea da quelli del nord, che lo stesso Isaia non sa come definire questa regione e usa un termine dispregiativo, la chiama ‘la provincia o il distretto dei non ebrei’. Il distretto in ebraico è Gelil da cui il termine Galilea, quindi mentre Giudea deriva da Giuda, Galilea deriva da questo termine dispregiativo col quale il profeta indica questa regione al nord. Ebbene proprio questa regione disprezzata a nord, dove il popolo abita nelle tenebre, proprio lì è sorta la luce. E qui l’evangelista anticipa quella che poi l’azione di Gesù, luce del mondo, di comunicare ai suoi stessi discepoli la possibilità di essere luce del mondo. E Gesù inizia la sua attività. 

“Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi …»”. Il verbo ‘convertire’ nel testo greco dei vangeli si trova in due maniere, una che indica un ritorno religioso a Dio, l’altra, che è quella che adopera l’evangelista, significa un cambio di mentalità che indice sul comportamento. Gli evangelisti, Matteo in particolare, evitano il primo termine, quello che indica il ritorno religioso a Dio. Con Gesù, il Dio con noi, non c’è più da tornare verso Dio, ma accogliere questo e con lui e come lui andare verso gli altri, per cui la conversione significa orientare diversamente la propria esistenza. Se fino ad adesso si è vissuto per sé, da ora in poi si vive per gli altri. Questa conversione è  finalizzata al fatto che “ «il regno dei cieli è vicino»”. Non è ancora realtà perché il regno dei cieli si realizzerà con l’accoglienza delle beatitudini. La prima beatitudine permetterà la realizzazione del regno dei cieli. Ma cosa si intende per ‘regno dei cieli’? Gesù non parla di un regno nei cieli, cioè l’aldilà. Regno dei cieli, espressione che troviamo soltanto nel vangelo di Matteo, indica il regno di Dio. Matteo, che scrive per una comunità di ebrei, evita di usare il termine ‘Dio’ tutte le volte che gli è possibile, per non offendere la sensibilità dei suoi lettori e, quando gli è possibile, usa dei sostituti. Uno di questi era ‘cieli’, quindi regno dei cieli non significa l’aldilà, ma il regno di Dio, cioè Dio  che diventa il re del popolo, si permette a Dio di governare il suo popolo. Allora la conversione, il cambiamento della propria esistenza, è per permettere questa realizzazione del regno, che diventerà realtà con l’accoglienza della prima beatitudine. Il regno dei cieli, il regno di Dio, non cade dall’alto ma richiede la collaborazione dell’uomo. Ebbene, “mentre camminava lungo il mare ”, di nuovo torna questo termine mare, l’evangelista scrive che Gesù vide Simone e Andrea. Questi due personaggi hanno nomi greci, quindi significa che provengono da una famiglia abbastanza aperta. Simone in particolare è conosciuto per la sua testardaggine, infatti ha un suo soprannome ‘pietra’ che significa la sua caparbietà, la durezza, che poi verrà scoperta lungo tutto il vangelo. “Gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori”. Il richiamo dell’evangelista è alla profezia contenuta nel libro di Ezechiele, capitolo 47, versetto 10, dove  “il tempo del messia sarà un tempo di abbondanza per i pescatori”. Ebbene “Gesù disse loro: «Venite dietro a me»”. E’ interessante, Gesù per iniziare la sua comunità, il gruppo con il quale inaugurare questo regno di Dio, non va in cerca di monaci – c’erano gli esseni – non chiama le persone pie, i farisei, non chiama neanche gli appartenenti al clero, i sacerdoti, neanche le persone potenti, i benestanti, quelli erano i sadducei, né tanto meno i teologi, gli scribi, ma chiama gente normale, dei pescatori. Dice, «Vi farò pescatori di uomini»”. E’ interessante che questo titolo, la missione alla quale Gesù chiama i suoi poi verrà abbandonato presto dalla chiesa. Preferiranno farsi chiamare pastori, titolo che Gesù non ha dato a nessuna persona – lui è l’unico pastore – anziché pescatori di uomini, che è quello che Gesù chiede ai suoi di fare. Che significa pescatori di uomini? Mentre pescare il pesce significa tirar fuori il pesce dal suo habitat naturale per dargli la morte, pescare gli uomini significa tirarli fuori dall’acqua, simbolo del male, imbolo della morte, per salvarli, per dare loro vita. Quindi la proposta di Gesù è di andare dietro di lui per comunicare vita a tutta l’umanità. “Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono”. C’è poi la chiamata di altri due fratelli, Giacomo e Giovanni, questi hanno nomi giudaici, nomi ebrei, e si vedrà poi nel corso del vangelo il loro atteggiamento che rispecchia il loro nome e qui sottolinea l’evangelista che c’è la presenza del padre, Zebedeo. Gesù li chiama, “Essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono”. Per seguire Gesù bisogna abbandonare il padre. Il padre indica l’autorità e per seguire Gesù bisogna abbandonare il padre, perché l’unico Padre che c’è all’interno della comunità dei credenti è il Padre che è nei cieli, che non governa gli uomini emanando leggi che questi devono osservare, ma comunicando loro la sua stessa capacità d’amore. “Gesù percorreva tutta la Galilea”, quindi questa regione disprezzata, “insegnando nelle loro sinagoghe e annunziando il vangelo del Regno”. L’evangelista adopera due verbi differenti per l’azione di Gesù. Nelle sinagoghe insegna, e insegnare significa prendere dal patrimonio dell’Antico Testamento per poi proporlo. Quindi nelle sinagoghe Gesù prende quella che è la ricchezza del popolo, contenuta nell’Antico Testamento, e gliela propone. ma, per annunziare la buona notizia del Regno, Gesù non insegna, ma annunzia o predica. Quindi sono due verbi differenti. Quando si rivolge agli ebrei Gesù insegna, quando si rivolge a persone miscredenti o fuori della legge, non ebrei, Gesù annunzia o predica. E questo significa cogliere il nuovo senza il bisogno di andare a ripescare l’antico. E, per la prima volta in questo vangelo appare il termine ‘vangelo’ che significa ‘buona notizia’. E qual è la buona notizia? La buona notizia è quella del Regno. E infatti Gesù non si limita a parlare, ma agisce. Come? “Guarendo ogni sorta di malattie e infermità nel popolo”. Notate che non sono ‘del popolo’, ma ‘nel popolo’, cioè Gesù libera da quegli impedimenti che ostacolano l’accoglienza del suo messaggio di pienezza di vita nel popolo, e quindi inizia così a dilagare l’attività di Gesù e inizia il nuovo, inarrestabile esodo.

 

QUALCOSA DI NUOVO E BUONO

Il primo scrittore che raccolse l’attuazione ed il messaggio di Gesù lo riassunse tutto dicendo che Gesù proclamava la “Buona Notizia di Dio”. più tardi, gli altri evangelisti utilizzeranno lo stesso termine greco (euanggelion) per esprimere la stessa convinzione: nel Dio annunciato da Gesù le genti trovavano qualcosa di “nuovo” e “buono.”   C’è ancora in questo Vangelo… qualcosa che possa essere letto, in mezzo alla nostra società indifferente e miscredente, come qualcosa di nuovo e buono per l’uomo e la donna dei nostri giorni? Qualcosa che possa trovarsi nel Dio annunciato da Gesù e che non proporziona facilmente la scienza, la tecnica o il progresso? Come è possibile vivere la fede in Dio nei nostri giorni?   Nel Vangelo di Gesù noi credenti ci troviamo con un Dio dal quale possiamo sentire e vivere la vita come un regalo che ha la sua origine nel mistero ultimo della realtà che è Amore. Per me è buono non sentirmi solo e perso nell’esistenza, né nelle mani del destino o nelle mani del caso. Ho Qualcuno al quale posso dire grazie per la vita.   Nel Vangelo di Gesù ci troviamo con un Dio che, nonostante le nostre goffaggini, ci dà forza per difendere la nostra libertà senza finire schiavi di qualunque idolo; per non vivere sempre a metà né essere dei “vitelloni”; per andare imparando forme nuove e più umane di lavorare e di gioire, di soffrire e di amare. Per me è buono poter contare sulla forza della mia piccola fede in quel Dio.   Nel Vangelo di Gesù ci troviamo con un Dio che sveglia la nostra responsabilità affinché noi non ci disinteressiamo degli altri. Non potremo fare grandi cose, ma sappiamo che dobbiamo contribuire ad una vita più degna e più felice per tutti pensando soprattutto ai più necessitati e ai più indifesi. Per me è buono credere in un Dio che mi domanda con   frequenza che faccio per i miei fratelli.   Nel Vangelo di Gesù ci troviamo con un Dio che c’aiuta ad intravedere che c’è male nell’ingiustizia, e che la morte non ha l’ultima parola. Un giorno tutto quello che non è potuto qui essere, quello che è rimasto a metà, i nostri aneliti più grandi ed i nostri desideri più intimi raggiungeranno in Dio la loro pienezza. A me  fa bene vivere ed aspettare la mia morte con questa fiducia.   Certamente, ognuno di noi deve decidere come vuole vivere e come vuole morire. Ognuno deve ascoltare la sua propria verità. Per me non è la stessa cosa credere in Dio che non credere. A me fa bene poter fare il mio percorso in questo mondo sentendomi accolto,  sentendomi fortificato, perdonato e salvato dal Dio rivelato in Gesù.   Annuncia la Buona Notizia di Dio.
José Antonio Pagola

 

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