‘case in legno per i nomadi’: marcia in dietro dell’amministrazione

finisce male il progetto delle ‘casette in legno per i nomadi’ da realizzare nell’area tra il cimitero urbano e il Campo Coni a Lucca così come dall’Assessore al Sociale Vietina era stato pensato nei mesi scorsi (nei veri link rimando alle varie ‘tappe’ di questo progetto ora negato dall’Assessore stesso

riporto qui sotto la pagine de ‘la Nazione’ che ricostruisce e discute, alla sua maniera, questa ultima tappa in Consiglio Comunale:

Progetto case di legno per i nomadi: “E’ tutta un’invenzione dei giornali”

Lo sfogo dell’assessore Vietina che nega l’evidenza

Lucca, 8 gennaio 2013 –

Un problema che non esiste, un’ipotesi che non è mai nata. Sul dibattito del consiglio comunale di ieri sera inerente la questione della costruzione di casette in legno per i nomadi di via delle Tagliate scende il sipario. Almeno per ora. E scende in un clima di apparente ricompattamento della maggioranza di centrosinistra su di un tema che nelle scorse settimane ha diviso duramente i gruppi che sostengono il sindaco Tambellini. Al punto che per evitare ulteriori divisioni, la maggioranza ha preferito non proporre ordini del giorno, un modo per evitare di dividersi sugli aggettivi e gli avverbi su di un tema che incontra, riprendendo le parole amare espresse dall’assessore Vietina ai consiglieri a fine anno, diverse sensibilità culturali. Il lungo dibattito richiesto dalle opposizioni è finito, in sostanza, con un nulla di fatto. Respinti gli ordini del giorno proposti dalle minoranze che chiedevano la riqualificazione dell’area e l’allontanamento dei nomadi dal parco Fluviale, come pure una stretta ai soldi delle casse comunali investiti sul complicato tema dell’assistenza ai nomadi.

QUANTO all’ipotesi delle casette in legno, l’assessore Vietina ha negato che vi fosse un’ipotesi del genere allo studio. Incredibilmente, visto che la proposta di costruire casette in legno nel campo di via delle Tagliate aveva trovato conferme non solo nelle dichiarazioni dell’assessore regionale al Sociale Allocca, ma, indirettamente, anche dalle dichiarazioni ufficiali del sindaco Tambellini, che aveva precisato che non c’erano le condizioni economiche e urbanistiche per realizzare strutture. Eppure, per l’assessore Vietina, si parla del nulla. E per nulla. Visibilmente tesa, voce secca, piglio accigliato, tono a tratti molto seccato. L’assessore Vietina non ha proprio digerito il fatto che l’ipotesi della costruzione di casette in legno per i nomadi sia finita sui giornali. Tutto falso, tutto montato ad arte sulla stampa per screditare, sulla pelle dei nomadi, l’amministrazione comunale. Una sorta di lezione, infarcita di citazioni. «Questa convocazione si è basata esclusivamente su dati diffusi in modo improprio della stampa, sono delusa per il mancato riconoscimento del lavoro delle Commissioni – ha detto – . Mai posto in discussione l’ipotesi di dare vita a queste casette, come ha confermato il sindaco nei giorni scorsi».

«QUANTO all’ipotesi di aiutare prioritariamente le famiglie lucchesi – ha concluso la Vietina – è inammissibile: un territorio deve disporre politiche sociali non deve creare dei sistemi delle domande dei residenti e della provenienza: tutte le famiglie hanno esattamente la stessa possibilità di accedere ai servizi sociali. La riqualificazione dell’area? Una città come la nostra non può sopportare una situazione di degrado, ci assumeremo la responsabilità che questo degrado non sia procrastinato. Come? Non è il momento di dirlo. Di azzerare l’esistente non se parla nemmeno. Grande amarezza per le polemiche di una campagna di stampa tesa a presentare in modo scorretto la vicenda». Dure le opposizioni. A partire da Pietro Fazzi (Liberi e responsabili): «L’amministrazione ha preferito imporci una lezioncina fatta di citazioni e avverbi, senza spostare i termine del problema e percorrendo la via della polemica. Mi lascia indignato sentire dire dall’assessore che si sono inventati tutto i giornalisti. Se si mette in discussione una cosa che grida vendetta sembra che si sia contro l’inclusione sociale: incredibile. I nomadi non vanno allontanati, ma nemmeno parlare di una realtà intoccabile». Duro anche Lido Fava del solito gruppo: «E’ una maggioranza pasticciona e confusionaria. In via delle Tagliate ci sono problemi anche di ordine pubblico, se il progetto delle casette fosse andato in porto, si sarebbero parlato di una struttura permanente. I lucchesi non vogliono siano spesi altri soldi pubblici su simili progetti».

IN FAVORE dell’amministrazione si è spesa Valentina Mercanti (Pd): «E’ un argomento sensibile che va trattato con massima delicatezza, evitando strumentalizzazioni: quello delle casette è un progetto che è decaduto a fine novembre».Questa vicenda mostra la considerazione che l’amministrazione ha del Consiglio: una mera appendice di decisioni prese altrove. Secco Roberto Lenzi (Idv): «Abbiamo appreso dai giornali tutta vicenda: è l’ennesima dimostrazione di quanto l’amministrazione tenga d conto il Consiglio. L’intervento della Vietina è stato infarcito di retorica, ma non si amministra con la retorica». Marco Martinelli (Forza Italia) contesta le affermazioni dell’assessore: «Vietina è stata sconfessata politicamente sulla vicenda e sta provando a negare tutto, mistificando la realtà. Si palesano le divisioni dell’amministrazione». Caustico Battistini (Pd): «Questa gente dell’opposizione che fa questi discorsi sarà alle celebrazioni per don Franco Baroni. Che tristezza». Per ora finisce qui. Domani è un altro giorno.

ma per l’opposizione la cosa non può finire qui, e parte all’attacco (così nella ricostruzione de ‘lo Schermo’ odierno:

Giorgi attacca «Consiglio espropriato. Sulla questione nomadi ha già deciso la Giunta insediando autonomamente un gruppo di lavoro»

LUCCA, 8 gennaio – Non si sono sopite le polemiche e le tensioni consumate nel Consiglio comunale di ieri sera che di nuovo la questione dei campi nomadi torna a far discutere la politica lucchese dopo che il consigliere del Movimento 5 Stelle Laura Giorgi ha appreso dall’albo pretorio la delibera della Giunta comunale con la quale già lo scorso 30 dicembre è stata insediata una commissione di lavoro, senza che le commissioni ne il consiglio ne fossero partecipi.

Il consigliere Giorgi, assente nella seduta di ieri sera, aveva presentato un proprio ordine del giorno e inviato un intervento scritto «Noi avevamo chiesto in consiglio la lettura di quanto sottoscritto ossia se corrisponda a vero la notizia che un gruppo di lavoro sia già stato approvato con delibera di Giunta, nel qual caso noi  valutiamo nulla o da rivedere tale decisione. I poteri del consiglio e delle commissioni consiliari non possono essere espropriati: questo è il punto importante ma sono talmente sicuri di sé che continuano a fare quello che vogliono ed il Consiglio Comunale che esprime i cittadini è ignorato».

La delibera 275 del 2013 parte analizzando i dati aggiornati al 2013: «la Regione Toscana ha 3.745.786 abitanti sul proprio territorio e i ‘nomadi’ Rom e Sinti presenti sono circa 2.600, di cui 1.200 nei campi con una percentuale sulla popolazione toscana pari allo 0,07% (dati anno 2012 Fondazione Michelucci); attualmente a Lucca sono presenti 3 insediamenti denominati ‘campi nomadi’, situati in via delle Tagliate, in via di Fregionaia e in via della Scogliera; l’insediamento del campo delle Tagliate – situato tra il campo Coni, il cimitero ed il parcheggio bus turistici nel quartiere di S. Anna – con una estensione di 10.162 metri quadrati, è composto da etnie Sinti e Rom, è nato alla fine degli anni ’90 ed attualmente è composto da 23 piazzole, con una presenza di 132 persone a comporre 33 nuclei familiari (dati aggiornati ad agosto 2013); le altre due realtà, entrambe composte da soggetti Sinti, sono quelle del campo di via della Scogliera n. 1411 (n. 55 persone – dati del maggio 2013) e il campo di Maggiano/Fregionaia (n. 25 persone – dati maggio 2013), per un totale di complessivo di 212 persone».

L’amministrazione Fazzi con atto n. 128 del 24 marzo 1999 attivò un protocollo d’intesa per interventi a favore delle popolazioni Rom e Sinti con il contributo della Caritas Diocesana e coordinato dal Servizio Sociale Professionale;

I progetti attivi dal documento dell’esecutivo comunale sono:  interventi di sostegno – a cura del Servizio Sociale Professionale – «progettazione condivisa ed erogazione sostegno scolastico/educativo presso il campo, esenzione servizi scolastici, sostegno economico; tutela sui minori come definiti dall’autorità giudiziaria del Tribunale per i Minorenni di Firenze con provvedimenti di affido al servizio sociale e/o monitoraggio e controllo sul nucleo familiare; azioni di affiancamento su percorsi di formazione professionale e di inserimento sociale; collaborazione con le istituzioni scolastiche, con particolare attenzione alla frequenza scolastica ed allo scambio reciproco di informazioni».

Il progetto «In campo» attuato «con convenzione con le Cooperative La Cerchia e Odissea e la Caritas; quattro educatori, presenti sul campo per 60 ore settimanali per 35 minori coinvolti, e la coordinatrice attuano un sostegno scolastico ed educativo individualizzato e di gruppo».

Il progetto Donne al Lavoro  che prevede «un percorso di accompagnamento e inclusione sociale/lavorativa gestito dalla Caritas attraverso varie cooperative (per Lucca l’Impronta e Odissea) che si concretizza in borse lavoro (di circa 400 euro/mese) per esperienze qualificanti di lavoro presso aziende».

Attività estive – laboratorio-gioco intitolato «Fuori Gioco» consistente in «due incontri settimanali presso gli spazi esterni della struttura Carlo del Prete (presso struttura comunità per minori in viale Carlo del Prete), con orario 15,30-19,30 con attività di gioco finalizzate alla socializzazione, conoscenza del sé, senso e rispetto delle regole, espressività e valorizzazione delle capacità individuali, per 20 ragazzi delle scuole elementari».

I risultati di tutte queste attività sono valutati positivamente dell’amministrazione e sono efficaci «ma necessitano di una implementazione di carattere organizzativo, economico e professionale, anche per affrontare e risolvere le aree critiche che pure permangono». Per questo la Giunta comunale definisce l’obiettivo «di implementare la presenza di un presidio dei servizi sul campo attraverso la dotazione di una struttura polivalente utilizzabile per le iniziative di sostegno».

La Giunta il 30 dicembre scorso ha deliberato quindi di «attivarsi attraverso lo strumento del protocollo di intesa tra tutti gli attori istituzionali che con l’Amministrazione comunale hanno operato ed operano nel campo con l’obiettivo di meglio definire compiti e ruoli nell’ambito delle azioni progettuali programmate per il campo delle Tagliate; di sostenere tutte le iniziative – pubbliche e private – che attuano i vari interventi di sostegno alle comunità sinti e rom, con indicazione prioritaria alla soluzione delle problematiche più urgenti relative alla condizione degli ospiti sulle aree di sosta;

Di esplicitare nella sede della Conferenza Zonale dei Sindaci … la necessità di confermare ed implementare le linee di attenzione ed intervento già previste dal Piano di Salute in favore di dette comunità;

Di ufficializzare la costituzione di un Tavolo di Lavoro istituzionale e tecnico denominato “Gruppo Nomadi”, costituito dai rappresentanti istituzionali e tecnici dei seguenti soggetti: Comune di Lucca: assessore con delega a Politiche Formative Politiche Sociali e di Genere del Comune di Lucca; assessore con delega alle Politiche Abitative del Comune di Lucca; dirigente Settore Dipartimentale 02 Politiche Sociali del Comune di Lucca; responsabile del coordinamento della U.O. 2.1 ‘Area Minori, Famiglia, Disabili, Emarginazione’; responsabile del coordinamento della U.O. 2.3 ‘Area housing sociale’; assistente sociale comunale con specifica attribuzione relativa alla problematica dei nomadi; comandante o suo referente del Servizio di Staff D Polizia Municipale; dirigente o suoi referenti del Settore Dipartimentale 05 ‘Opere e Lavori Pubblici, Urbanistica’ , dirigente o suo referente del Settore Dipartimentale 03 ‘Servizi Educativi e a Tutela del Territorio’;  Fondazione Casa, attraverso un proprio referente;  Caritas Diocesana, attraverso un proprio referente;  Comunità di S. Egidio, attraverso un proprio referente».

LEGGI ANCHE – Vietina sul campo nomadi: «No a discriminazioni, sì a integrazione e responsabilità». Bocciati gli ordini del giorno Martinelli-Macera, ma l’opposizione stigmatizza il «progetto casette»

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polizia italiana violenta!

polizia violenta

pregevole e meritevole, oltre che seria professionalmente, la puntata di ‘presadiretta’ sulla violenza impunita e anche ‘protetta’ da parte di molti membri della polizia di stato italiana

aggiungo solo questo: in tanti anni che seguo diversi segmenti del mondo sinto o rom, quante ne ho sentite, quanti occhi neri ho visto, quanti segni di violenza sulla loro carne ho costatato!

così un articolo de ‘il Fattoquotidiano’ ricostruisce i contenuti della puntata:

“PRESADIRETTA” MANDA SU RAI TRE LE STORIE DI ABUSI E VIOLENZE SU SEMPLICI CITTADINI EMOZIONE E SDEGNO TRA GLI UTENTI, IL SINDACATO CONSAP: “FANGO SU DI NOI”.

La verità più indicibile diventa semplice se si raccontano i fatti, uno dopo l’altro. Lunedì sera Presa-diretta ha messo in fila gli episodi accertati dalla cronaca negli ultimi anni: tutte le volte che un poliziotto, un carabiniere, un agente penitenziario hanno negato il diritto alla dignità di un cittadino; tutte le volte che, invece di applicare la legge, gli uomini di Stato hanno schiaffeggiato, bastonato, preso a calci e pugni una persona affidata alla loro responsabilità. 

Chi legge il Fatto Quotidiano conosce molte di quelle storie, perché ha seguìto nel tempo la fatica delle famiglie, la rabbia di chi ha disperatamente lottato per veder riconosciuta la violenza inferta ai propri cari. Riccardo Iacona e Giulia Bo-setti, autori della puntata, hanno mostrato le foto dei morti insanguinati, i video delle aggressioni registrati fortunosamente da qualche testimone, gli sguardi persi di chi ha vissuto un abuso. E gli italiani hanno capito. Hanno lanciato allarmi via Facebook e Twitter: guardate che cosa sta andando in onda, accendete su Rai3, è un dovere civile. Bisogna per forza guardare la mamma di Federico Aldrovandi, la sorella di Stefano Cucchi, gli amici di Giuseppe Uva, la faccia di chi ha temuto di non poter mai arrivare alla verità sul proprio dolore.

SONO STATI LORO lo strumento più efficace per far prendere a tutti coscienza piena di un fenomeno su cui nessuno può tacere. Soprattutto quando i dettagli spiegano la banalità del trattamento riservato a esseri umani strapazzati come bambole. “A Federico gli sono saltati addosso, sulla schiena, gli hanno fermato il cuore, si sono rotti due manganelli su quattro” ha detto la mamma di Aldrovandi. “In Italia non esiste la pena di morte, non la possono fare loro. Io madre te l’ho dato sano, me l’hai dato morto” piange ancora Rita Cucchi.

Ma il valore più riconoscibile per i “Morti di Stato” è la sequenza meccanica delle storie meno famose, di chi è arrivato con la sua pena scandalosa fino ai giornali locali, ai dubbi di un cronista blandito dalle rassicurazioni ufficiali: nessun abuso, il problema è stato il soggetto violento, ubriaco, fanatico, malato di mente.

A VOLTE BASTA essere fratelli e mettersi a litigare un po’ più forte del normale per essere portati in Questura e rimediare una scarica di legnate (Tommaso e Niccolò De Michiel). Basta rispondere storto a un poliziotto durante un controllo per finire ammanettato e stramazzare al suolo senza che un solo testimone voglia spiegare come e perché (Michele Ferrulli). Oppure, vai allo stadio, finisci in un pestaggio alla stazione e resti disabile per tutta la vita (Paolo Scaroni).

“Dedichiamo Presadiretta a uomini delle Forze dell’ordine che ogni giorno cercano di essere all’altezza della divisa e della Costituzione” ha twittato Iacona a fine serata. “Una trasmissione vergognosa che infanga la professionalità: invitiamo tutti i colleghi a non pagare il canone” ha risposto il sindacato Consap. Nessuna reazione ufficiale è arrivata dal governo, dalle forze politiche, da carabinieri e polizia. Il silenzio, ancora.

Da Il Fatto Quotidiano

del 08/01/2014

sullo stesso numero de ‘il Fattoquotidiano’ A. Caporale, pur con i dovuti distinguo per non generalizzare, sottolinea che non a caso si chiamano forze dell’ordine e non del disordine:

IL CESTO E LE MELE MARCE

Si chiamano forze dell’ordine, non del disordine. E l’uso delle armi, della forza fisica è consentito per far rispettare la legge quando essa è violata, non per violarla. Nella terribile sequenza visiva che lunedì sera Presadiretta ha illustrato su Rai3 con la virtù del migliore giornalismo d’inchiesta, abbiamo avuto la prova di come questa elementare verità, fondamento della democrazia, risulti bugiarda. Assistere a poliziotti che manganellano con ferocia, e in alcuni casi portano la loro azione alla morte altrui, apre il registro della violenza di Stato che qui appare smisurata per la varietà e la vastità dei comportamenti di vera e propria sopraffazione. Eravamo abituati alle clip poliziesche sudamericane e invece ci ritroviamo, nel silenzio umiliante del governo e di quasi tutta la classe politica, a fare i conti con questo tipo di violenza domestica “legalizzata”.

Certo che non si deve fare di una mela marcia tutto un cesto di frutta. Ed è sicuro che la maggioranza degli uomini in divisa servano lo Stato per pochi quattrini al mese, e lo facciano con ammirevole senso di abnegazione e indubbio spirito civile. Ma qui, è terribile dirlo, non sembra che si sia in presenza di casi isolatissimi quanto piuttosto di un apparente menu espressivo di polizia e carabinieri nei confronti di target definiti (tifosi, tossici, giovani esuberanti) e in genere coincidenti con classi sociali poco agiate. Se ci fosse un ministro dell’Interno e non una figurina di plastica, questo documento visivo sarebbe già agli atti di una severa inchiesta interna. E se ci fosse un Parlamento non da oggi sarebbe approvata la norma che impone la tracciabilità di quei manganelli, l’identificazione di ogni singolo poliziotto (non va bene il nome? basterebbe un codice di riconoscibilità) perché sia chiara e pubblica l’identità di chi è chiamato a imporre il rispetto della legge e a fare un uso prudente, equilibrato, sempre soggetto a verifica, della forza che quella stessa legge gli consente di esercitare. È infine disarmante la sequela di connivenze, di opacità e vere e proprie omissioni di atti d’ufficio che ogni inchiesta giudiziaria subisce quando si trova di fronte a casi simili.

Cosa aspetta il capo della Polizia a rendere finalmente pubblico il codice di comportamento a cui ogni azione dev’essere ispirata e le sanzioni per chi varca, in nome della legge, il confine dell’illecito?

Antonello Caporale

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internet violento?

odio

L’ODIO SUL WEB

 l’web, specie nei ‘social’, sembra diventare ogni giorno di più un luogo franco perché spesso anonimo, comunque poco normato, dove molti sfogano liberamente la propria generica o specifica rabbia

De Rita ha parlato di ‘rabbia contro la casta’ dei politici, senonché sembra un fenomeno non solo legato a problematiche politiche, anzi sembra più un modo per esprimere finalmente quegli istinti più inconfessabili che ognuno porta dentro nel suo più profondo, controllato solo dalla ‘civilizzazione’ cui siamo stati ‘educati’, che per molti però non regge più, non è più sufficiente,  e l’espressione dell’odio e della violenza diventa il modo ‘liberante’ per reprimere, cancellare, uccidere ciò che ci dà noia, ciò che è diverso da noi, chi pensa diversamente, l’ ‘altro’ comunque non riconducibile ai nostri criteri di pensiero e di vita

S. Bartezzaghi così descrive il quadro dell’uso dell’ web da parte di molti e in modo sempre più frequente:

social web

Quantcast

Finalmente una bella notizia». La notizia è l’ictus che ha colpito Pierluigi Bersani e questo è il più soave e frequente fra i commenti malevoli che la notizia stessa ha ricevuto in rete ancora prima che l’ex segretario Pd fosse sotto i ferri, per un intervento chirurgico dagli esiti oltremodo incerti. Ad Angela Merkel, vittima di un incidente sciistico non gravissimo, è ancora andata bene: ma qualcuno ha rimpianto che non le sia toccata la sorte di Michael Schumacher. Per l’ischemia di Bersani si sono invece registrati messaggi di esultanza, insulti, auguri di morte lenta, incitamenti al male pari a quelli al Vesuvio e all’Etna quando minacciano eruzioni. Commenti apparsi dappertutto, sul blog di Beppe Grillo, sulla pagina Facebook del Fatto quotidiano, ma anche su quelle di altri giornali, fra cui Repubblica: atrocità.

Dopo l’esperimento che fece Radio Radicale mandando in onda i messaggi ricevuti nella sua segreteria telefonica (nel 1986 e poi nel 1993) ogni sgomento su quanto un cittadino possa dire, quando sente di poter parlare liberamente e avere ascolto, risulterebbe se non ipocrita almeno di maniera. Le interpretazioni possibili sono variegate: volontà di sfregio, goliardia, satira, occasione di dirla grossa, sfogo di «vera rabbia » (da comprendere, se non giustificare), fino all’ovvio «colpa di Internet».

Ma il problema non è Internet, per quanto la rete dia visibilità immediata e a fare notizia sia ovviamente solo la categoria dei messaggi estremi (in verità molti altri grillini hanno contestato gli sciacalli, e ieri mattina anche Beppe Grillo ha scritto un post di auguri). La rete è semplicemente sempre aperta e sempre visibile, i controlli e la moderazione non sono facili e a volte sembrano maliziosamente tardivi.

Il vero salto di qualità, però, consiste nel coro di invocazioni di morte su un avversario, nel momento in cui egli rischia effettivamente la vita. Lì siamo arrivati, qualche gradino sopra ai «devi morire» per il centravanti che mugola in area falciato da un difensore, o ai cappi sventolati in Parlamento. Oggi siamo alla morte augurata a chi la sta effettivamente rischiando, e il fatto è che il caso di Bersani non è neppure il primo. Di poco lo ha preceduto, ed è forse ancora più impressionante, quello di Caterina Simonsen, la giovane studentessa di veterinaria che una settimana fa ha difeso le ragioni di una corretta sperimentazione animale (a cui, malata, deve personalmente svariati anni di vita) e di conseguenza ha ricevuto insulti e soprattutto schiette dichiarazioni il cui senso era: meglio che morissi tu, piuttosto che innocenti cavie di laboratorio. In questo caso opera un rancore puro e impersonale. Questo significa che oggi, in Italia, l’augurio di morte può saettare, e da un numero significativo di tastiere, in maniera paradossalmente spassionata.

Siamo puri nomi, o nomignoli. Molti di questi commenti sono tranquillamente firmati: non ci curiamo di nasconderci dietro all’anonimato perché non vediamo più la persona, la carne e la vita, dietro ad alcun nome proprio. Non l’altrui ma neppure il nostro. Bersani, anzi “Gargamella”: una parola. Angela Merkel, due parole. Schumacher, un brand. Il nostro nome-e-cognome, un account. Inventare la battuta più efficace, o l’insulto, vale al massimo come sfogo, non ci si preoccupa neppure delle conseguenze penali che possono derivarne. Nell’epoca che magnifica l’empatia come suprema qualità umana, cosa davvero sia il dolore a cui alludono con precisione le parole di una diagnosi, o quelle di una maledizione (comunque, di una condanna), non pare interessante né pertinente.

In un immaginario spaventosamente monocorde siamo tutti vittime di soprusi, il potente che cade ha finalmente avuto il fatto suo. «Anche mio nonno è stato in ospedale ma nessuno se n’è fregato», ha scritto un tizio a proposito di Bersani. Nel suo pauroso candore, la protesta indica la soglia che si è varcata, anno 2014. La nostra morte sarebbe indifferente a chiunque e quindi la morte di chiunque ci è indifferente, anzi ben venga. Questo è il limite che abbiamo raggiunto oggi. Il prossimo?

Stefano Bartezzaghi

 

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