il cardinale più agguerrito contro papa Francesco: lo vuole ‘correggere’

Burke pronto a un “atto formale” per “correggere” il Papa

in un’intervista con il “National Catholic Register” il porporato americano preannuncia la sfida in caso di mancata risposta ai cinque “dubbi” su “Amoris laetitia”

Raymond Leo Burke

 Se il Papa non risponderà alla richiesta di chiarimenti dei quattro cardinali che gli hanno scritto sull’esortazione Amoris Laetitia, «allora dovremmo affrontare questa situazione: c’è infatti, nella Tradizione della Chiesa, la possibilità di correggere il Romano Pontefice. È invero sicuramente molto raro. Ma se non vi fosse risposta alle domande sui punti controversi, allora direi che si porrebbe la questione di assumere un atto formale di correzione di un errore grave».

 

È il guanto di sfida che, alla vigilia del Concistoro, il cardinale americano Raymond Leo Burke, patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta, lancia a papa Francesco, cui insieme ad altri tre porporati – Walter Brandmueller, Carlo Caffarra e Joachim Meisner – ha sottoposto recentemente in una lettera cinque «dubbi» sull’interpretazione e l’applicazione della Amoris Laetitia, riguardanti sia la tanto discussa questione della comunione ai divorziati risposati, sia il valore delle norme morali in rapporto alla vita cristiana.

«Ovunque io vada sento confusione. I sacerdoti sono divisi gli uni dagli altri, i sacerdoti contro vescovi, i vescovi divisi tra di loro. C’è una tremenda divisione nella Chiesa, che non è la via della Chiesa. Ecco perché dobbiamo ristabilizzare queste questioni morali fondamentali, che ci uniscono», dice il cardinale Burke in un’intervista al National Catholic Register.

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il vescovo che ha fatto il clochard per tre giorni

 


Giorgio Bernardelli

il vescovo canadese che ha vissuto da homeless per tre giorni, facendo la fila alle mense, chiedendo l’elemosina, dormendo in alloggi di fortuna

Bolen, il vescovo che è stato un clochard

trentasei ore sulla strada, condividendo in tutto e per tutto la vita di un senza fissa dimora. Con tutte le sue fatiche – chiedere l’elemosina, trovare un posto dove lavarsi, dormire su una branda in un dormitorio pubblico…. È l’esperienza del tutto particolare vissuta da un vescovo in Canada, nella regione dello Saskatchewan

Nel mese di giugno monsignor Donald Bolen – dal 2009 alla guida della diocesi di Saskatoon che ha guidato fino a un mese fa quando per volontà di papa Francesco è entrato come nuovo pastore nell’arcidiocesi di Regina – ha vissuto per un giorno e mezzo in incognito per strada come un homeless. Gesto decisamente significativo nell’Anno Santo della misericordia. E compiuto da un pastore che – come motto episcopale – già sette anni fa aveva scelto una frase di Thomas Merton che in italiano suona “Misericordia nella misericordia nella misericordia”, quasi a dilatare nella ripetizione l’apertura del cuore. Quella di Bolen non è stata un’iniziativa solo personale: il presule ha infatti aderito a una campagna di solidarietà promossa dal Sanctum Care Group, un ente assistenziale che si prende cura dei malati di Aids (e di cui il presule è membro del Cda).

Per raccogliere i fondi necessari per aprire una nuova casa per la cura pre-natale dei figli di madri sieropositive il Sanctum Care Group ha pensato a un’iniziativa che fosse l’occasione per far aprire gli occhi sulla realtà degli homeless a Saskatoon. Così dieci personalità in vista della comunità – dal vescovo al cantante folk, dal luminare della medicina al leader dei nativi – sono stati tutti coinvolti in questa specie di realityshow: rivestiti di abiti di seconda mano e rigorosamente senza soldi, sono finiti sulla strada con in tasca solo un cellulare per poter essere geolocalizzati costantemente. Poi, in una cena di gala, ciascuno ha raccontato che cosa gli ha lasciato in eredità quella giornata e mezza vissuta da senza fissa dimora.

«La sensazione più forte – ha detto Bolen – è stata sperimentare la vulnerabilità delle situazioni in cui ci trovavamo. Nel quartiere in cui vivo ci sono tante realtà di cui sapevo l’esistenza, ne avevo sentito parlare; ma lì ho avuto modo di toccarle con mano, di sperimentare la durezza e il dolore che ci sono a pochi passi da casa mia, come pure la gioia delle relazioni semplici tra le persone». Il vescovo ha sottolineato in particolare due aspetti: innanzitutto la profondità dello sguardo che si ottiene rallentando il proprio passo. «Quando vai piano, quando diventi vulnerabile, quando la realtà ti porta ad affrontare ogni situazione e a metterti in relazione per cercare un dialogo, ci sono tante cose che poi ti porti a casa», ha spiegato. Ma stare sulla strada non è poesia; si avverte anche tutto il dolore dell’indifferenza di chi ti sta intorno.

Bolen racconta di averla sperimentata mentre chiedeva l’elemosina in un angolo della Ventesima Strada, nel cuore della sua città. «Quasi nessuno ci guardava – ha ricordato –. È stata l’esperienza dell’invisibilità degli homeless e di chiunque sia povero o debole». Intervistato da RadioVaticana, Bolen ha detto di trovare grande ispirazione nel suo ministero dalla capacità di papa Francesco di tenere insieme la promozione della giustizia dal punto di vista delle strutture sociali, con la disponibilità a non perdere di vista la persona povera concreta che si incontra lungo la strada. «Far dialogare questi due aspetti oggi – ha concluso – è incarnare in modo credibile la Dottrina sociale della Chiesa».

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i quattro cardinali che vogliono una chiesa immobile non la ‘chiesa in uscita’ di papa Francesco

quattro cardinali chiedono spiegazioni su “Amoris laetitia”

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di Andrea Tornielli
in “La Stampa-Vatican Insider” 

Quattro porporati chiedono al Papa di chiarire alcuni dubbi riguardanti l’interpretazione dell’esortazione post-sinodale «Amoris laetitia» sul matrimonio e la famiglia

sono i cardinali Walter Brandmüller, già presidente del Pontificio comitato di scienze storiche;

Raymond L. Burke, patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta,

e gli arcivescovi emeriti Carlo Caffarra (Bologna)

e Joachim Meisner (Colonia)

La lettera, consegnata nelle mani del Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede il 19 settembre è stata pubblicata lunedì 14 novembre dal sito dell’Espresso curato da Sandro Magister e dal quotidiano online La Nuova Bussola quotidiana.

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raymond-l-burke I porporati hanno deciso di rendere pubblico il documento consegnato all’ex Sant’Uffizio perché fino a questo momento non hanno ricevuto risposta. «Abbiamo constatato un grave smarrimento di molti fedeli e una grande confusione – scrivono i quattro porporati – in merito a questioni assai importanti per la vita della Chiesa. Abbiamo notato che anche all’interno del collegio episcopale si danno interpretazioni contrastanti del capitolo ottavo di “Amoris laetitia”. La grande Tradizione della Chiesa ci insegna che la via d’uscita da situazioni come questa è il ricorso al Santo Padre, chiedendo alla Sede Apostolica di risolvere quei dubbi che sono la causa di smarrimento e confusione».

carlo-caffarra«Il Santo Padre – si legge ancora nella lettera – ha deciso di non rispondere. Abbiamo interpretato questa sua sovrana decisione come un invito a continuare la riflessione e la discussione, pacata e rispettosa. E pertanto informiamo della nostra iniziativa l’intero popolo di Dio, offrendo tutta la documentazione. Vogliamo sperare che nessuno interpreti il fatto secondo lo schema “progressisticonservatori”: sarebbe totalmente fuori strada. Siamo profondamente preoccupati del vero bene delle anime, suprema legge della Chiesa, e non di far progredire nella Chiesa una qualche forma di politica.

joachim-meisner Vogliamo sperare che nessuno ci giudichi, ingiustamente, avversari del Santo Padre e gente priva di misericordia. Ciò che abbiamo fatto e stiamo facendo nasce dalla profonda affezione collegiale che ci unisce al Papa, e dall’appassionata preoccupazione per il bene dei fedeli». Il documento ha la forma dei «dubia» (dubbi) che vengono solitamente presentati alla Congregazione per la dottrina della fede secondo una forma che permette di rispondere con un «sì» o con un «no».

Questo il testo dei quesiti, riguardanti il capitolo VIII dell’esortazione dedicato all’accompagnamento delle famiglie ferite e al discernimento:

1. Si chiede se, a seguito di quanto affermato in “Amoris laetitia” nn. 300-305, sia divenuto ora possibile concedere l’assoluzione nel sacramento della Penitenza e quindi ammettere alla Santa Eucaristia una persona che, essendo legata da vincolo matrimoniale valido, convive “more uxorio” con un’altra, senza che siano adempiute le condizioni previste da “Familiaris consortio” n. 84 e poi ribadite da “Reconciliatio et paenitentia” n. 34 e da “Sacramentum caritatis” n. 29. L’espressione “in certi casi” della nota 351 (n. 305) dell’esortazione “Amoris laetitia” può essere applicata a divorziati in nuova unione, che continuano a vivere “more uxorio”?

2. Continua ad essere valido, dopo l’esortazione postsinodale “Amoris laetitia” (cfr. n. 304), l’insegnamento dell’enciclica di San Giovanni Paolo II “Veritatis splendor” n. 79, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, circa l’esistenza di norme morali assolute, valide senza eccezioni, che proibiscono atti intrinsecamente cattivi?

3. Dopo “Amoris laetitia” n. 301 è ancora possibile affermare che una persona che vive abitualmente in contraddizione con un comandamento della legge di Dio, come ad esempio quello che proibisce l’adulterio (cfr. Mt 19, 3-9), si trova in situazione oggettiva di peccato grave abituale (cfr. Pontificio consiglio per i testi legislativi, Dichiarazione del 24 giugno 2000)?

4. Dopo le affermazioni di “Amoris laetitia” n. 302 sulle “circostanze attenuanti la responsabilità morale”, si deve ritenere ancora valido l’insegnamento dell’enciclica di San Giovanni Paolo II “Veritatis splendor” n. 81, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, secondo cui: “le circostanze o le intenzioni non potranno mai trasformare un atto intrinsecamente disonesto per il suo oggetto in un atto soggettivamente onesto o difendibile come scelta”?

5. Dopo “Amoris laetitia” n. 303 si deve ritenere ancora valido l’insegnamento dell’enciclica di San Giovanni Paolo II “Veritatis splendor” n. 56, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, che esclude un’interpretazione creativa del ruolo della coscienza e afferma che la coscienza non è mai autorizzata a legittimare eccezioni alle norme morali assolute che proibiscono azioni intrinsecamente cattive per il loro oggetto?

qui sotto un breve commento di Andrea Grillo che giustamente evidenzia i forti limiti della ‘lettera’ e dei suoi estensori che usano un linguaggio che non ha più alcun riferimento con la realtà, utilizzano Scrittura e tradizione per immunizzarsi nei confronti del reale, chiedono di stare fermi e immobili, non di essere una chiesa in uscita:

Muller

5 Dubbi, 4 Cardinali, 3 certezze

di Andrea Grillo

in Come se non

del 14 novembre 2016

(http://www.cittadellaeditrice.com/munera/come-se-non)

Dopo quelle scritte durante il Sinodo, più o meno clandestinamente, un’altra lettera, sempre con le solite firme, ora selezionate. Ma questa volta non vengono espressi timori o desideri. No, questo è un elenco di “dubbi”. La cosa interessante è che il dubbio non è tanto su “Amoris Laetitia”, ma sul disegno del papa in quanto tale. Ma l’effetto, inatteso, è che i 4 cardinali, formulando i loro 5 dubbi, fanno sorgere nel popolo di Dio 3 grandi certezze. Dai loro 5 dubbi nascono le nostre 3 certezze. La dinamica ecclesiale riserva anche queste sorprese. Se esperti uomini di Chiesa, dopo 7 mesi dalla presentazione del testo di AL, continuano a “non capire” – o a non volere capire – che cosa è mutato e si abbarbicano ostinatamente alle loro “evidenze sospette”, tutto ciò determina, nel corpo ecclesiale, una nuova coscienza, talmente radicale, da diventare certezza. La loro diffidenza verso AL ci consente una nuova confidenza col Vangelo. Anche questo, in certo modo, è ministero ecclesiale.

Certitudo prima

Nella Chiesa cattolica, a causa di una vicenda storica complessa, ma della quale avrebbero dovuto accorgersi da tempo anche questi Signori Cardinali, può accadere che si parli un linguaggio che non ha più alcun riferimento alla realtà. Si può parlare di soggetti sposati davanti alla legge come se vivessero “more uxorio” e di “atti intrinsecamente negativi” come se fosse fuori dalla storia. Alla radice di questo disagio sta una mancanza di riconoscimento della realtà e una radicale pretesa di autosufficienza. A nulla vale la esperienza: si è imparato a nascondersi dietro la corazza di una “scienza triste”, identificata con il Vangelo, e ci si atteggia a “difensori del bene delle anime”. Ma si è perso il legame tanto con le anime quanto con il bene.

Certitudo altera

Viene il tempo in cui occorre scegliere tra iniziare processi di conversione o occupare spazi di potere. Ad ogni costo i 4 firmatari ritengono che per un pastore e per un uomo di Chiesa non vi sia alternativa. Può soltanto occupare spazi di potere e gettare bombe lacrimogene per impedire la vista del reale. E si usa ogni mezzo. Soprattutto si pretende che la Scrittura e la Tradizione siano al servizio delle operazioni di “immunizzazione dal reale” perseguite negli ultimi 40 anni. Il popolo di Dio e il magistero ecclesiale guarda a questi tentativi come si guarda, con la giusta comprensione, ai bambini che, privati del loro giocattolo preferito, pestano i piedi e chiedono giustizia.

Certitudo tertia

Da ormai 7 mesi è iniziata la strada di una recezione ricca e complessa di Amoris Laetitia. I pastori che hanno a cuore il bene dei loro fedeli conoscono la strada, si sono messi in cammino: qualcuno davanti al popolo, per incitare alla marcia; qualcuno in mezzo al popolo, per tenere bene la andatura comune; qualcuno nelle retrovie, a custodire quelli col passo più lento. I pastori sanno dove stare. I cardinali che salgono al primo piano, si mettono alla finestra e cercano in qualche modo di far rientrare la Chiesa in uscita, temono gli ospedali da campo, rifuggono i campi profughi. Salgono alla finestra e si dicono “dove andremo a finire?”. E l’unica risposta è “Bisogna finire di andare”. Stare. Fermi. Sordi. Immuni. Lontani. Indifferenti. Con un sentimento di infinita differenza dal mondo estraneo. Ma anzitutto da Francesco, papa strano. Che spuzza di vita. E che osa non subordinare il Vangelo alla legge.

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«non c’è pace in casa di chi sta bene, quando manca giustizia nella casa di tutti»

“più progresso e più esclusi, la grande ingiustizia di oggi”

il papa alla Messa per il «Giubileo dei senzatetto»: «Non c’è pace in casa di chi sta bene, quando manca giustizia nella casa di tutti»; ogni cosa passa, anche «i regni potenti», ma non «Dio e il prossimo»

papa Francesco alla Messa per il «Giubileo delle persone socialmente escluse»

 come si può essere tranquilli nel proprio focolare mentre il povero disperato «giace alla porta»? Non può esserci «pace in casa di chi sta bene, quando manca giustizia nella casa di tutti». Così «nasce la tragica contraddizione dei nostri tempi: quanto più aumentano il progresso e le possibilità, tanto più vi sono coloro che non possono accedervi». Di conseguenza, si osserva il «sintomo di sclerosi spirituale», quando «l’interesse si concentra sulle cose da produrre, invece che sulle persone da amare»

Lo esclama papa Francesco questa mattina, nella Basilica vaticana, presiedendo la Celebrazione eucaristica in occasione del «Giubileo delle persone socialmente escluse», indetto dall’11 al 13 novembre nel contesto dell’Anno santo della Misericordia. Il Pontefice, nel giorno in cui si chiudono le porte della misericordia «nelle cattedrali e nei santuari di tutto il mondo», ricorda che tutto passa, anche «i regni potenti», ma non «Dio e il prossimo».

Papa Bergoglio esordisce partendo dalle parole del profeta Malachia della Prima Lettura odierna: «Per voi sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia». Si leggono «all’ultima pagina dell’ultimo profeta dell’Antico Testamento – spiega il Vescovo di Roma – e sono rivolte a coloro che hanno fiducia nel Signore, che ripongono la loro speranza in lui, scegliendolo come sommo bene della vita e rifiutando di vivere solo per sé».

Per queste persone, «povere di sé ma ricche di Dio, sorgerà il sole della sua giustizia: essi sono i poveri in spirito, cui Gesù promette il regno dei cieli e che Dio, per bocca del profeta Malachia, chiama “mia proprietà particolare”».

Il Pontefice osserva che da qui «nascono domande che interpellano il senso ultimo della vita: dove cerco la mia sicurezza? Nel Signore o in altre sicurezze che non piacciono a Dio? Dov’è diretta la mia vita, dove punta il mio cuore? Verso il Signore della vita o verso cose che passano e non saziano?». E interrogativi «simili appaiono nell’odierno brano evangelico», in cui si parla di Gesù che si trova a Gerusalemme, «per l’ultima e più importante pagina della sua vita terrena: la sua morte e risurrezione». Cristo è «nei pressi del tempio, “ornato di belle pietre e di doni votivi”. La gente sta proprio parlando delle bellezze esteriori del tempio, quando Gesù dice: “Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra”. Aggiunge che non mancheranno conflitti, carestie, sconvolgimenti nella terra e nel cielo». Il Figlio di Dio «non vuole impaurire – precisa il Papa – ma dirci che tutto quel che vediamo, inesorabilmente, passa. Anche i regni più potenti, gli edifici più sacri e le realtà più stabili del mondo, non durano per sempre; prima o poi, cadono». Allora, la gente «pone subito due domande al Maestro: “Quando accadranno queste cose e quale sarà il segno”?. Sempre siamo spinti dalla curiosità – rileva Francesco – si vuole sapere quando e ricevere dei segni». Però, a Gesù «questa curiosità non piace. Al contrario, Egli esorta a non lasciarci ingannare dai predicatori apocalittici». Infatti chi segue Cristo «non presta ascolto ai profeti di sventura, alle vanità degli oroscopi, alle predizioni che ingenerano paure, distraendo da ciò che conta». Invece avviene che «tra le tante voci che si sentono, il Signore invita a distinguere ciò che viene da Lui e ciò che viene dallo spirito falso. È importante – evidenzia il Pontefice – distinguere l’invito sapiente che Dio ci rivolge ogni giorno dal clamore di chi si serve del nome di Dio per spaventare, alimentare divisioni e paure».

Il Vescovo di Roma sottolinea il forte invito di Gesù «a non avere paura di fronte agli sconvolgimenti di ogni epoca. Egli chiede di perseverare nel bene e di porre piena fiducia in Dio, che non delude: “Nemmeno un capello del vostro capo sarà perduto”». Il Signore non dimentica «i suoi fedeli, la sua proprietà preziosa, che siamo noi».

Però interpella gli uomini e le donne di ogni tempo e luogo «sul senso della nostra esistenza». Per Francesco, le Letture di oggi «si pongono come un “setaccio” in mezzo al fluire della nostra vita: ci ricordano che quasi tutto in questo mondo passa, come l’acqua che scorre via; ma ci sono realtà preziose che rimangono, come una pietra preziosa in un setaccio». Quali sono queste ricchezze che non svaniscono? «Sicuramente due: il Signore e il prossimo. Questi sono i beni più grandi, da amare. Tutto il resto – il cielo, la terra, le cose più belle, anche questa Basilica – passa; ma non dobbiamo escludere – avverte – dalla vita Dio e gli altri».

Al contrario «proprio oggi, quando si parla di esclusione, vengono subito in mente persone concrete; non cose inutili, ma persone preziose». Capita che «la persona, posta da Dio al culmine del creato, viene spesso scartata, perché si preferiscono le cose che passano». Per il Papa ciò è «inaccettabile, perché l’uomo è il bene più prezioso agli occhi di Dio». Inoltre è «grave che ci si abitui a questo scarto; bisogna preoccuparsi, quando la coscienza si anestetizza e non fa più caso al fratello che ci soffre accanto o ai problemi seri del mondo, che diventano solo ritornelli già sentiti nelle scalette dei telegiornali».

Rivolgendosi agli esclusi presenti e di tutto il pianeta, esclama: «Con la vostra presenza ci aiutate a sintonizzarci sulla lunghezza d’onda di Dio, a guardare quello che guarda Lui: Egli non si ferma all’apparenza, ma rivolge lo sguardo “sull’umile e su chi ha lo spirito contrito”, sui tanti poveri Lazzaro di oggi».

Con amarezza, afferma Francesco: «Quanto ci fa male fingere di non accorgerci di Lazzaro che viene escluso e scartato!»; questo comportamento è «voltare la faccia a Dio. È un sintomo di sclerosi spirituale quando l’interesse si concentra sulle cose da produrre, invece che sulle persone da amare». E in questo modo «nasce la tragica contraddizione dei nostri tempi: quanto più aumentano il progresso e le possibilità, il che è un bene, tanto più vi sono coloro che non possono accedervi». Si tratta di un’«ingiustizia che deve preoccuparci, molto più di sapere quando e come sarà la fine del mondo. Perché non si può stare tranquilli in casa mentre Lazzaro giace alla porta – ammonisce con forza – non c’è pace in casa di chi sta bene, quando manca giustizia nella casa di tutti». 

Il Papa esorta a chiedere «la grazia di non chiudere gli occhi davanti a Dio che ci guarda e dinanzi al prossimo che ci interpella. Apriamo gli occhi a Dio, purificando la vista del cuore dalle rappresentazioni ingannevoli e paurose, dal dio della potenza e dei castighi, proiezione della superbia e del timore umani. Guardiamo con fiducia al Dio della misericordia. Rinnoviamo la speranza della vita vera cui siamo chiamati, quella che non passerà e che ci attende in comunione con il Signore e con gli altri, in una gioia che durerà per sempre, senza fine».

Sui deboli e gli emarginati «punta la lente d’ingrandimento della Chiesa. Che il Signore ci liberi dal rivolgerla verso di noi. Ci distolga dagli orpelli che distraggono, dagli interessi e dai privilegi, dagli attaccamenti al potere e alla gloria, dalla seduzione dello spirito del mondo».

Oggi «io vorrei – dichiara senza leggere il testo scritto – che fosse la giornata dei poveri».

In questa domenica 13 novembre 2016 si chiudono tutte le porte sante del mondo tranne una, primo atto della conclusione del Giubileo straordinario della misericordia; resta aperta ancora una settimana quella della basilica di San Pietro, fino a domenica 20 novembre, quando terminerà l’Anno santo indetto da papa Francesco.

All’Angelus: «La madre terra sia sempre coltivata in modo sostenibile»

«Rimanere saldi nel Signore, camminare nella speranza, lavorare per costruire un mondo migliore, nonostante le difficoltà e gli avvenimenti tristi che segnano l’esistenza personale e collettiva, è ciò che veramente conta; è quanto la comunità cristiana è chiamata a fare per andare incontro al “giorno del Signore”», afferma poi il Papa all’Angelus dalla finestra del Palazzo apostolico. «Proprio in questa prospettiva – sostiene Francesco – vogliamo collocare l’impegno che scaturisce da questi mesi in cui abbiamo vissuto con fede il Giubileo Straordinario della Misericordia, che oggi si conclude nelle Diocesi di tutto il mondo con la chiusura delle Porte Sante nelle chiese cattedrali». L’Anno santo «ci ha sollecitati, da una parte, a tenere fisso lo sguardo verso il compimento del Regno di Dio e, dall’altra, a costruire il futuro su questa terra, lavorando per evangelizzare il presente, così da farne un tempo di salvezza per tutti». Il Pontefice annuncia che «in questa settimana è stato restituito alla devozione dei fedeli il più antico crocifisso ligneo della Basilica di San Pietro, risalente al quattordicesimo secolo. Dopo un laborioso restauro è stato riportato all’antico splendore e sarà collocato nella cappella del Santissimo Sacramento, a ricordo del Giubileo della Misericordia».

Papa Bergoglio avverte che «c’è sempre chi specula sul bisogno umano di sicurezze: badate di non lasciarvi ingannare».

Al termine dell’Angelus in piazza San Pietro, mette in evidenza che «si celebra oggi in Italia la tradizionale Giornata del Ringraziamento per i frutti della terra e del lavoro umano. Mi associo ai Vescovi nell’auspicare che la madre terra sia sempre coltivata in modo sostenibile». La Chiesa «è accanto con simpatia e riconoscenza al mondo agricolo ed esorta a non dimenticare quanti, in varie parti del mondo, sono privi dei beni essenziali come il cibo e l’acqua».

 

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se anche il papa ci crede davvero … può ‘rifare la teologia’

“abbiamo un papa che crede nel vangelo”Castillo

di José María Castillo

È un fatto certo che nella Chiesa ci sia gente molto religiosa, soprattutto nel clero, che non è d’accordo con papa Francesco. Non penso di analizzare qui questa complicata questione. In questo breve scritto la mia intenzione è dire perché ogni giorno vedo sempre più chiaramente che – finalmente! – abbiamo nella Chiesa un papa che crede al Vangelo di Gesù

Non dico in alcun modo che i papi precedenti non abbiano creduto nel Vangelo. Certo che ci hanno creduto. Quando parliamo del Vangelo, può non essere la stessa cosa credere nel vangelo e vivere come il Vangelo ci dice che dobbiamo vivere. Qui tocchiamo il cuore del problema. Ed in questo sta la chiave di tutta questa questione. Ho letto – e riletto – il discorso che il papa ha pronunciato a Roma il 5 novembre scorso davanti a più di 3.000 partecipanti di 60 paesi, che rappresentavano i movimenti popolari di tutto il mondo. Ebbene, quello che ha richiamato la mia attenzione nel leggere questo discorso papale, è che in esso non si parla di Teologia, di Esegesi Biblica, di Dottrina Sociale della Chiesa, di Scienze Politiche o Sociali, degli insegnamenti del Magistero Ecclesiastico, di Soteriologia, di Escatologia, di Cristologia e di Ecclesiologia, della Modernità e della Post-modernità e di nessuna di quelle cose con le quali si rompono la testa ogni giorno i più intelligenti pensatori del sapere cristiano. Nulla di tutto ciò, a quanto pare, interessa a papa Francesco. Allora, cosa interessa a questo papa quando si vede davanti a coloro che rappresentano le persone più bisognose di questo mondo? Bene, o sono cieco (o mi acceca non so quale strana passione) o le preoccupazioni e le angosce del papa sono esattamente, né più né meno, le stesse preoccupazioni e passioni di Gesù di Nazareth. Di cosa si tratta? Cos’è tutto ciò? Se c’è qualcosa di chiaro nei vangeli, è che il centro delle preoccupazioni di Gesù sia stato Dio. Ma il problema posto dai vangeli non sta in questo. Il problema sta nel modo con cui dobbiamo cercare ed incontrare Dio. Ebbene, se c’è qualcosa di chiaro nel Vangelo, non incontriamo primariamente Dio nella “osservanza della Religione”, ma nella “lotta contro la sofferenza umana”. Per questo il papa ha parlato con tanta forza non dei grandi temi teologici e morali dei quali continuavano a parlare i papi, a partire da Leone XIII fino a Benedetto XVI. Nulla di tutto questo. Quello che Francesco ha fatto nel suo discorso è stato andare direttamente alle stesse cose che ha fatto Gesù. Quando Gesù si è messo ad annunciare il Regno di Dio, cosa ha fatto? Mettersi a curare ammalati, alleviare pene, accogliere persone abbandonate, mangiare con gli affamati….senza considerare in alcun modo se quelle guarigioni e quei pranzi con persone di mala vita e cattiva fama fossero permesse o proibite dalla religione. Senza alcun dubbio, la Chiesa deve cambiare. Ma siamo certi di cosa deve cambiare? Il problema non sta nel cambiare incarichi e dicasteri (uffici) della Curia Vaticana. E il problema non sta neanche nel fatto che il Vaticano affermi l’importanza fondamentale del Vangelo, cosa che ha già fatto tante volte. Tutto questo può limitarsi a semplici chiacchiere. Il problema centrale e decisivo della Chiesa sta nel mettere il motore della sua vita e della sua presenza nella società vivendo come è vissuto Gesù. La formula decisiva è stata espressa da Francesco con brevità e precisione: “parliamo della necessità di un cambiamento perché la vita sia degna”. La “dignità della vita”. In questo sta il centro della religiosità per la quale la Chiesa deve darsi da fare e lottare. E su questo progetto si deve ri-fare la Teologia. Una Teologia meno interessata da problemi come il peccato o la salvezza eterna. E centrata
soprattutto sul:

1. Mettere l’economia al servizio dei popoli.
2. Costruire la pace e la giustizia.
3. Difendere la Madre Terra.

Solo così potremo avere vescovi meno preoccupati dai problemi legati alla sessualità ed all’omosessualità.

papa Vescovi che, di fronte a tanti scandali di abusi di chierici su esseri innocenti, si mettono a guardare da un’altra parte. Ed avremo vescovi che si interessano di più e si danno da fare per opporsi, se è necessario, a governanti che favoriscono i ricchi, mentre questi governanti così “pii” fanno leggi che aumentano la distanza tra i potenti ed i deboli. E soprattutto, se questo si prende sul serio e con tutte le sue conseguenze, avremo una Chiesa non per il popolo, ma del popolo. Non per i poveri, ma dei poveri. Ed alla quale si uniranno i ricchi, se hanno il coraggio di condividere la loro vita con quella dei poveri. Non dimenticando mai una questione che è decisiva. Solo una Chiesa così sarà in grado di comprendere la Cristologia e quindi chiedersi chi è Gesù, come si vive cristianamente e come si annuncia il Vangelo. Perché? Si risponde a questa domanda affrontando un’altra questione, che è quella che ci fa più paura: i primi discepoli come hanno conosciuto Gesù? Non lo hanno conosciuto studiando Cristologia, ma vivendo con LUI e come LUI. Di questo problema così decisivo, la Chiesa, i seminari, i teologi, i vescovi ed i papi non si sono resi conto. Il giorno che questo si affronti seriamente, in questo giorno la Chiesa inizierà ad avere senso ed a dare senso alla vita della gente. E questo, proprio questo è quello che ha messo in moto papa Francesco con le sue “cosiddette” trovate originali. Per questo possiamo dire che abbiamo un papa che crede al Vangelo.
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articolo pubblicato il 13.11.2016 nel Blog dell’Autore in Religión Digital (www.religiondigital.com ) Traduzione a cura di Lorenzo TOMMASELLI

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i cattolici americani divisi sul voto a Trump

Sulla vittoria di Trump, la divisione del mondo cattolico Usa e lo shock dei progressisti

sulla vittoria di Trump, la divisione del mondo cattolico Usa e lo shock dei progressisti

Ludovica Eugenio 

 

da: Adista Notizie n° 40 del 19/11/2016
Shock. È questo il sentimento che, nel mondo cattolico progressista statunitense, ha accompagnato la campagna elettorale e la vittoria di Donald Trump. Vittoria che, peraltro, è stata raggiunta anche grazie al voto dei cittadini di appartenenza cristiana, soprattutto dei bianchi evangelici (che hanno votato Trump nella misura dell’81%, con un 3% in più rispetto al loro voto per il candidato repubblicano Mitt Romney nel 2012), cattolici (52% per Trump; avevano dato a Romney il 59% delle preferenze) e mormoni (46% solo nello Utah, dove quasi due terzi della popolazione appartengono a questa denominazione religiosa).

Se il voto degli evangelici bianchi è stato un voto «nostalgico», commenta il Religion News Service, sensibile ai richiami di Trump a «rendere di nuovo grande l’America», i cattolici latino hanno votato per Hillary Clinton per il 67%, con meno convinzione, dunque, rispetto al 2012, quando in tre su quattro avevano scelto Barack Obama. Quanto ai mormoni dello Utah, la loro fama di rigore morale e il loro fervore per i valori tradizionali non ha favorito Clinton quanto il candidato McMullin, mormone. E tra gli evangelici, a fare appello a non votare per Trump è stato il presidente della Commissione etica e libertà religiosa della Convenzione dei Battisti del Sud Moore: «A prescindere dalle divisioni razziali ed etniche in America – ha detto – possiamo essere Chiese che dimostrano e incarnano la riconciliazione del Regno di Dio. La lezione più importante che possiamo trarre è che la Chiesa deve opporsi contro il modo in cui la politica è diventata una religione e la religione è diventata una faccenda politica».

Un incubo contro cui lottare

Lo certifica a chiare lettere il settimanale National Catholic Reporter (9/11), affermando che il Paese «si è auto inflitto un gravissimo disastro». Non è accaduto «come avviene un terremoto o un tornado. Questa ferita auto inflitta è stata scelta». «Il presidente eletto ha pronunciato un discorso conciliante e persino moderato. Non lasciamoci ingannare. Ha ottenuto la vittoria facendo appello ai peggiori sentimenti della natura umana e ha risvegliato una belva. La belva continuerà a voler essere alimentata e quando i suoi consiglieri gli diranno di non continuare a suscitare quei sentimenti, non li ascolterà». Lo shock, però, deve funzionare come spinta a lavorare per il futuro: «Gli immigrati, i vulnerabili, il pianeta, tutti richiedono da parte nostra vigilanza e protezione nei giorni bui che verranno. Impegniamoci nel compito di dar vita a una identità nazionale diversa da quella ratificata la notte dell’elezione, un’identità radicata in un’autentica visione morale per il nostro Paese, occupandoci di coloro per i quali il risultato di questa elezione costituisce una minaccia personale e di coloro il cui senso di alienazione culturale li ha portati a votare per Trump. Ora siamo tutti in un ospedale da campo».

Il sentimento di smarrimento, paura e incertezza è diffuso, ma altrettanto forte è il desiderio di lottare e di rendere la Chiesa un fattore determinante per la salute del Paese. «La Chiesa cattolica – scrive il gesuita p. Thomas Reese, columnist del Ncr e saggista, già direttore del settimanale dei gesuiti America – si trova in una posizione unica per contribuire al recupero del Paese. Non solo è presente in quasi ogni angolo della nazione, ma è una delle poche organizzazioni i cui aderenti comprendono repubblicani e democratici, ispanici e anglosassoni, neri e bianchi, donne e uomini, ricchi e poveri, colti e non, e rappresenta ogni generazione». Reese propone di adattare al dialogo politico gli strumenti pensati per il dialogo ecumenico: tanto per cominciare, partire dalle aree comuni piuttosto che dalle differenze, imparare a conoscere l’altro. Non convertirlo. E questo a ogni livello della Chiesa, incoraggiando un “dialogo della vita” accanto a un “dialogo dell’azione sociale comune”; in tal senso, la Chiesa, portando democratici e repubblicani a lavorare insieme sulle malattie del Paese, può offrire alla nazione un enorme contributo. «La Chiesa – afferma Reese – deve essere parte della soluzione, altrimenti sarà parte del problema. Sarà agente di riconciliazione e cura o sarà divisa dall’ambiente politico in cui vive. La Chiesa ha le persone, le risorse e gli strumenti per farlo. Cominciamo».

Anche gli intellettuali che, negli Stati Uniti, lavorano all’intersezione tra religione e politica esprimono lo shock post-elettorale; a loro dà voce l’Ncr. Stephen Schneck, docente alla Catholic University, elenca i suoi incubi: «Trump accerchierà e deporterà milioni di immigrati. Gli americani musulmani saranno sottoposti a indagini repressive. Le donne, i disabili, i non bianchi, coloro che sono diversi e categorie che Trump identifica semplicemente come “perdenti” oggi guardano al Paese con paura. Milioni di americani, la maggior parte dei quali ai livelli minimi di reddito, non avranno più assistenza sanitaria. Il progresso sociale sui diritti delle persone di colore, dei gay, delle religioni non cristiane e delle donne farà marcia indietro. Le tutele ambientali di base che proteggono la nostra atmosfera e l’acqua e ci difendono dagli agenti inquinanti saranno rimosse. Le norme per la tutela dei consumatori saranno eliminate. Gli standard educativi si abbasseranno».

A fare breccia tra i cattolici pro-life è stato l’elemento antiabortista di Trump. Jeanne Mancini, presidente di March for Life, lo ha detto esplicitamente: «Non vediamo l’ora di lavorare insieme per portare a compimento le promesse del presidente Trump di garantire giudici della Corte suprema pro-life, politiche antiabortiste e di smettere di finanziare il massimo organismo che pratica aborti, Planned Parenthood».

Le voci (non univoche) della gerarchia cattolica

Che papa Francesco non vedesse di buon occhio Trump è ampiamente documentato dalle osservazioni fatte qualche tempo fa su chi vuole costruire muri anti-migranti. Ora, in un’intervista a Eugenio Scalfari su La Repubblica (11/11), il papa ha affermato di non dare «giudizi sulle persone e sugli uomini politici»: «Voglio solo capire quali sono le sofferenze che il loro modo di procedere causa ai poveri e agli esclusi». «Il denaro – ha aggiunto – è contro i poveri oltreché contro gli immigrati e i rifugiati, ma ci sono anche i poveri dei Paesi ricchi i quali temono l’accoglienza dei loro simili provenienti da Paesi poveri. È un circolo perverso e deve essere interrotto. Dobbiamo abbattere i muri che dividono: tentare di accrescere il benessere e renderlo più diffuso, ma per raggiungere questo risultato dobbiamo abbattere quei muri e costruire ponti che consentono di far diminuire le diseguaglianze e accrescono la libertà e i diritti. Maggiori diritti e maggiore libertà».

Da ministro degli Esteri vaticano, il card. Pietro Parolin, si è diplomaticamente congratulato con Trump per la vittoria: «Facciamo gli auguri al nuovo presidente perché il suo governo possa essere davvero fruttuoso e assicuriamo anche la nostra preghiera perché il Signore lo illumini e lo sostenga al servizio della sua patria, naturalmente, ma anche a servizio del benessere e della pace nel mondo. Credo – ha detto – che oggi c’è bisogno di lavorare tutti per cambiare la situazione mondiale, che è una situazione di grave lacerazione, di grave conflitto». Altrettanto diplomaticamente, a chi faceva riferimento al duro scambio di battute tra Trump e papa Francesco di alcuni mesi fa sugli immigrati che dal Messico cercano di entrare negli Usa, ha risposto «vedremo come si muove il presidente. Normalmente dicono: altro è essere candidato, altro è essere presidente, avere una responsabilità…». «Mi pare prematuro dare giudizi».

Equilibrista la dichiarazione del presidente della Conferenza episcopale statunitense mons. Joseph Kurtz: «La Conferenza episcopale – afferma – attende di lavorare con il presidente eletto Trump per tutelare la vita umana dal suo inizio vulnerabile alla sua conclusione naturale. Sosterremo politiche che offrano opportunità a tutte le persone, di ogni fede, in tutte le fasi della vita». Trapela preoccupazione dalla dichiarazione dell’arcivescovo di Chicago mons. Blase Cupich che ha detto di «pregare per gli eletti e chiedere al Signore di illuminarli e sostenerli nel loro servizio a tutto il popolo del nostro Paese. Prego anche per coloro che hanno posizioni opposte, affinché continuino a partecipare alla nostra democrazia nel nostro sforzo di lavorare insieme in rispettosa armonia per il bene comune». «Non dobbiamo mai stancarci di esprimere la nostra tradizione di servizio ai bisognosi, a coloro che si trovano ai margini della società», ha detto. «Nostro obiettivo comune dev’essere dimostrare il nostro impegno verso quegli ideali, recuperare la nostra solidarietà come nazione».

Esulta, invece, il conservatorissimo card. Raymond Burke, già prefetto della Segnatura apostolica e poi declassato da papa Francesco – verso il quale si è sempre dimostrato ostile – a cappellano dell’Ordine di Malta: intervistato all’indomani delle elezioni da Il Giornale, ha espresso la speranza che «l’America, con questo nuovo presidente, possa ritrovare una buona strada da percorrere»; «mi pare che il nuovo presidente capisca bene quali sono i beni fondamentali per noi importanti. In primo luogo sono convinto che, da come ha detto, avrà a cuore la difesa della vita umana sin dal suo concepimento e che potrà mettere in campo tutte le azioni possibili per contrastare l’aborto. E poi credo anche che abbia ben chiaro l’insostituibile bene della libertà religiosa. Infine sicuramente porrà attenzione alla sanità americana, tema che per ora non va molto bene negli Stati Uniti!». Nessun timore, per Burke, anche a proposito del muro che Trump intenderebbe costruire sul confine messicano: «Non penso che il nuovo Presidente sarà ispirato da odio nel trattamento della questione dell’immigrazione, una questione di prudenza che richiede la conoscenza di chi sono gli immigrati, delle ragioni che li spingono ad emigrare e della capacità delle comunità locali ad accoglierli. La carità deve essere sempre intelligente e, perciò, informata da una profonda conoscenza della situazione sia di chi vuol immigrare sia di chi deve ricevere queste persone».

Mondo cattolico diviso

La netta spaccatura nel mondo cattolico espressa sinteticamente dalle cifre del voto si percepisce nei commenti della base, religiosa e laica, esplicitata in commenti e dichiarazioni sui social network. «Abbiamo del lavoro davanti a noi. Temo che questo diventerà il nostro momento Bonhoeffer», twitta il francescano p. Daniel Horan. Opposta la reazione di p. Kevin Cusick, cappellano militare nella Marina: «Ora che i cattolici hanno un amico alla Casa Bianca, facciamo tornare la Chiesa alla sua grandezza», incita. E tra i cattolici che sostengono Trump, si coglie la speranza che il nuovo presidente faccia piazza pulita del mandato, previsto dalla riforma del sistema sanitario di Obama, che chiedeva alle aziende, anche quelle di matrice confessionale, di farsi carico dell’assistenza sanitaria dei dipendenti per ciò che riguardava la salute riproduttiva, contraccezione e aborto compresi; lo può fare «con un colpo di penna», scrive su Twitter Ryan T. Anderson della Heritage Foundation, istituzione che si occupa di matrimonio e famiglia.

Chi, nella Chiesa, si occupa di giustizia sociale e delle categorie più svantaggiate, mostra invece una gravissima preoccupazione soprattutto per la questione della violenza razziale. «Trump ha alimentato la rabbia delle popolazioni bianche vulnerabili che sentono di non essere prese in considerazione», ha affermato, secondo quanto riporta il quotidiano francese La Croix (10/11) suor Simone Campbell, notissima religiosa, avvocata e direttrice di Network (organismo impegnato nel campo della giustizia sociale). Preoccupata per le «recenti tensioni razziali» che negli Stati Uniti hanno scatenato violenze, ha ribadito che «i problemi economici sono stati messi sulle spalle delle persone di colore».

«È un giorno nero per tutti coloro che credono in una società in cui i più poveri siano onorati, rispettati, sostenuti», ha dichiarato la benedettina suor Joan Chittister, che inscrive la vittoria di Trump in un sovvertimento sociale molto più ampio. «Siamo in un periodo della storia in cui i cambiamenti – nuove tecnologie, arrivo di migliaia di migranti, evoluzione della famiglia – sono troppo rapidi da assorbire per le generazioni più vecchie e la popolazione più sprovveduta. Molti vogliono tornare all’America che conoscevano, quella degli anni ’50. Di fronte alla paura del cambiamento, inevitabile, bisogna adattarsi a una società pluralista e i governi non hanno saputo gestire questi cambiamenti». È evidente, affermano le due religiose, che i cattolici statunitensi non hanno fatto proprio l’insegnamento di papa Francesco: «Cento anni di dottrina sociale cattolica per arrivare a questo!»; suor Chittister rilancia: «Tocca a noi più che mai batterci per far rispettare i diritti delle minoranze, dei poveri, delle persone emarginate o vittime di ingiustizia».

* Opera di DonkeyHotey. Immagine originale e licenza.

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nell’ultima settimana incontra tre volte i clochard e chiede loro perdono

papa Francesco benedice i clochard

“vi chiedo scusa se qualche volta vi ho offeso”

nell’ultima settimana è la terza volta che incontra i senza fissa dimora

Volti segnati, felpe e giubbotti, Papa Francesco percorre il corridoio a braccia spalancate e i clochard che riempiono a migliaia l’Aula Nervi si sporgono per stringergli la mani, lo tirano a sé, uno riesce a baciarlo sulle guance, Christian racconta la sua storia e piange appoggiato alla spalla del pontefice (Corriere della Sera, 11 novembre).
Nell’ultimo fine settimana, prima della conclusione solenne dell’Anno Santo, il Papa ha voluto dedicare tre giorni ai senza fissa dimora. Francesco si rivolge loro con parole paterne: «Vi ringrazio per essere venuti qui a trovarmi, e vi chiedo perdono se qualche volta vi ho offesi con le mie parole o per non aver detto le cose che avrei dovuto dire»,
Poi aggiunge: «Vi chiedo perdono a nome dei cristiani che non leggono nel Vangelo trovandovi al centro la povertà, per tutte le volte che i cristiani di fronte alle persone povere si sono girati dall’altra parte. Perdono. Il vostro perdono è acqua benedetta per noi, limpidezza»

“Chiedo perdono ai poveri per i cristiani che li hanno ignorati”

di Iacopo Scaramuzzi
in “La Stampa-Vatican Insider” dell’11 novembre 2016papa8

Udienza a chi vive per strada per il «Giubileo dei senza fissa dimora»: la povertà è al cuore del Vangelo, insegnate all’umanità la capacità di sognare, la dignità, la solidarietà e la pace. Il Papa ha chiesto ai «poveri a nome dei cristiani che non leggono il Vangelo, che ha al centro la povertà, perdono per tutte quelle volte in cui i cristiani, davanti a una persona povera o una situazione di povertà, ci siamo girati dall’altra parte», nel corso dell’udienza alle persone che vivono o hanno vissuto per strada in occasione del «Giubileo dei senza fissa dimora», ultimo appuntamento prima della conclusione, domenica 20 novembre, dell’Anno santo della misericordia. Francesco ha chiesto ai 6mila poveri presenti in aula «Nervi» di insegnare all’umanità la capacità di sognare, la dignità, la solidarietà e la pace, ed ha concluso l’udienza pregando circondato da un gruppo di senza fissa dimora che gli tenevano la mano sulle spalle. Francesco ha parlato a braccio dopo la testimonianza di due poveri, Christian, francese, e Robert, polacco. «Una cosa che diceva Robert – ha detto il Papa – è: noi non siamo diversi dai grandi del mondo, abbiamo passioni e sogni, anche mille passioni, vogliamo risalire la china. La passione a volte ci fa soffrire, ci crea barriere, esterne e interne, a volta la passione è patologica, ma c’è anche la buona passione, una passione positiva che ci porta a sognare. Per me un uomo, una donna molto povero può avere una povertà diversa dalla vostra, quando perde la capacità di sognare, quando perde la capacità di portare avanti una propria passione. Non smettete di sognare. Il sogno di un povero, di una persona senza tetto, come sarà? Io non lo so, ma voi sognate. Sognate che un giorno magari potrete venire a Roma, e in questo caso il sogno si è realizzato, sognate che il mondo possa essere cambiato, è una semina che nasce dal vostro cuore. Ricordavate una mia parola che uso spesso: che la povertà è nel cuore del Vangelo. Solo colui che sente che gli manca qualcosa guarda in alto e sogna. Colui che ha tutto non può sognare. La gente, le persone semplici, quelli che seguivano Gesù lo seguivano perché sognavano, sognavano che li avrebbe curati, liberati, e lui li liberava. Uomini e donne con passioni e sogni, questa è la prima cosa che volevo dirvi: insegnate a tutti, noi che abbiamo un tetto sulla testa, non ci mancano cibo e medicine, insegnateci a non rimanere soddisfatti con i vostri sogni, e insegnateci a sognare a partire dal Vangelo, a partire dal cuore del Vangelo». «La seconda parola che ci è stata detta… o meglio non è stata detta ma era presente nell’atteggiamento di coloro che hanno parlato», ha proseguito il Papa, che ha pronunciato il suo discorso in spagnolo, «è quando Robert ha detto nella sua lingua, la vie devient si belle, la vita diventa bella, e come riusciamo a vederla bella anche nelle peggiori situazioni che voi vivete. Questo significa dignità, questa è la parola che mi è venuta. La capacità di incontrare, di trovare la bellezza anche nelle cose più tristi, e più toccate dalla sofferenza, questo può farlo solo una persona che ha dignità. Povero sì, ma non che si trascina, questa è la dignità!», ha detto Francesco tra gli applausi. «La stessa dignità che ha avuto Gesù, che è nato povero ed ha vissuto da povero, è la dignità del Vangelo, la dignità che hanno un uomo e una donna che vivono del loro lavoro, poveri sì, ma non dominati, non sfruttati. Io so che molte volte avrete incontrato persone che hanno voluto sfruttarvi, sfruttare la vostra povertà, ma so anche che questo sentimento di vedere che la vita è bella. Questa dignità vi ha salvati dall’essere schiavi. Poveri sì schiavi no. La povertà è al cuore del Vangelo per essere vissuta, la schiavitù non è lì per essere vissuta nel Vangelo, ma per essere liberata». «So che per ognuno di voi, come diceva Robert, a volte spesso è difficile, la vostra vita è stata molto più difficile che la mia, e Robert ha detto che per altri è stata ancora più difficile che per lui:  troveremo sempre qualcuno più povero di noi. Dignità è anche questo: saper essere solidali, saper dare la mano a chi sta soffrendo più di me. La capacità di essere solidale, è uno dei frutti che ci dà la povertà, quando c’è molta ricchezza uno si dimentica di essere solidale, è abituato al fatto che non gli manca niente, quando la povertà ti porta a far soffrire diventi solidale e tendi la mano a chi vive una situazione più difficile della tua. Grazie per questo esempio: insegnate la solidarietà al mondo». Il Papa, riprendendo sempre le parole delle due testimonianza iniziali, ha poi toccato il tema della pace. «La più grande povertà è la guerra», ha detto il Papa, «la povertà che distrugge: ascoltare questo dalle labbra di un uomo che ha sofferto la povertà materiale, la povertà della salute, è un appello a lavorare per la pace. La pace per noi cristiani è cominciata in una stalla, in una mangiatoia, da una famiglia emarginata, la pace che Dio vuole per ognuno dei suoi figli. E voi a partire dalla vostra povertà, dalla vostra situazione, potete essere artefici di pace. La guerra se la fanno tra i ricchi, per possedere di più, poi territorio potere denaro, è molto triste quando la guerra viene fuori tra i poveri, perché è una cosa rara. I poveri a motivo della loro povertà sono più inclini a essere operatori di pace, artefici di pace, credono nella pace. Date un esempio di pace. Abbiamo bisogno di pace nel mondo. Abbiamo bisogno di pace nella Chiesa. Tutte le Chiese hanno bisogno di pace, tutte le religioni hanno bisogno di crescere nella pace perché tute le religioni devono crescere nella pace. Ognuno di voi, nella vostra religione, può aiutare, la pace che nasce nel cuore, cercando l’armonia che dà la dignità. Io vi ringrazio di essere venuti qui a visitarmi, ringrazio quelli che hanno dato la loro testimonianza». «Vi chiedo perdono – ha concluso il Papa – se a volte vi ho offesi con le mie parole o per non aver detto le cose che avrei dovuto dire. Vi chiedo perdono a nome dei cristiani che non leggono il Vangelo, che ha al centro la povertà, perdono per tutte quelle volte in cui i cristiani, davanti a una persona povera o una situazione di povertà, ci siamo girati dall’altra parte. Il vostro perdono è acqua benedetta per noi, è limpidezza per tornare a capire che al cuore del vangelo c’è la povertà e che noi cristiani dobbiamo costruire una Chiesa povera per i poveri, e ogni uomo e donna di ogni religione deve vedere in ogni povero un messaggio di Dio che si fa povero per accompagnarci nella vita». Il Papa ha concluso l’udienza con una preghiera: «Dio padre di ognuno di noi, ti chiedo che tu ci dia forza, gioia, che ci insegni a sognare, per guardare avanti, ci insegni a essere solidali perché siamo fratelli e ci aiuti a difendere la dignità: tu sei il padre di ognuno di noi, benedicici padre». Il Giubileo dei senza fissa dimora è promosso dall’associazione «Fratello». Oggi i 6mila partecipanti provenienti da diversi paesi europei (Francia, Germania, Portogallo, Inghilterra, Spagna, Polonia, Italia) sono stati ricevuti in udienza dal Papa, nell’aula Paolo VI, domenica assisteranno alla Messa presieduta dallo stesso Francesco a San Pietro. Tra questi due momenti importanti, avrà luogo una grande Veglia di preghiera presieduta dal cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, che ha introdotto l’incontro. Etienne Villemain, fondatore dell’associazione «Lazar» che ha promosso il viaggio a Roma, ha proposto, introducendo l’udienza, che, oltre alla Giornata mondiale della Gioventù, si organizzi una «Giornata mondiale dei poveri».

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Dio e il terremoto: “non credo nel Dio giustiziere ma nel Dio giusti-ficante”

no, io non credo…

le illuminate parole del vescovo di Rimini Francesco Lambiasi

 

francesco-lambiasiNo, io non credo in un dio che manda il terremoto come castigo per la legalizzazione delle unioni civili. Un dio così sarebbe un dio mostro, non il Padre nostro. Sostenere la tesi del terremoto come ’castigo divino’ risulta offensivo per chi crede e scandaloso per chi non crede. Perché chi crede, si fida di – si affida a – un Dio-Amore, tutto fatto di misericordia e stragrande nel perdono. L’esatto contrario di un dio-giustiziere, un essere neroniano e sanguinario. Mentre chi non crede, ha tutte le ’sacrosante’ ragioni per non fidarsi di – affidarsi a – un dio cattivo, capriccioso e vendicativo. Ma dire che Dio con il terremoto ha inteso punire i peccatori appare anche blasfemo nei confronti di Dio stesso

No, io non credo e non crederò mai in un dio che si apposta dietro una curva per tendermi una rappresaglia, per ’farmela pagare’. E poi: avallare la meschina cattiveria del terremoto come ’castigo divino’ risulta essere uno squallido insulto e una insopportabile provocazione nei confronti di tanta povera gente che piange i parenti morti, è rimasta senza casa e senza lavoro, con una quotidianità sottosopra, e continua a tremare per l’incubo di un terremoto che sembra non volerla finire più a far tremare la terra. Pensare e dire che tutto questo è avvenuto per placare la “giustizia divina” sarebbe come gettare acqua bollente sulle ferite brucianti di quella gente. Del resto, se Dio con questa sanzione avesse voluto “fare giustizia”, perché dunque non ha terremotato tutta l’Italia? Ora, se è vero che “non è il terremoto che uccide, ma la casa che crolla”, allora si tratta di domandarsi non dov’era Dio quando la casa è crollata, ma dov’era l’Uomo che doveva metterla – o aveva fatto finta di averla messa – in sicurezza.
Dopo duemila anni non pochi cristiani non hanno ancora spezzato il laccio che annoda delitto e castigo, peccato e malattia, crimine e morte. Eppure Gesù lo aveva fatto in modo inequivocabile. Vedi il suo commento alla notizia del crollo della torre di Siloe: quei diciotto operai schiacciati dalle macerie non erano certo più peccatori di tutti gli altri abitanti di Gerusalemme. Si veda anche la risposta del Maestro all’accanita domanda dei discepoli, di fronte al cieco nato: ”Né lui ha peccato né i suoi genitori”.
Ma allora la misericordia di Dio ha oscurato la sua giustizia? Assolutamente no. Ma cosa significa ”giustizia di Dio”? Prendiamo san Paolo. Nella Lettera ai Romani (1,17) l’Apostolo afferma pari pari: nell’annuncio dell’evangelo “si rivela la giustizia di Dio”. Dobbiamo tener presente l’ambiguità culturale di un autore che scrive in una lingua (il greco), ma pensa in un’altra. Nel versetto appena citato si verifica dunque una “frattura linguistica” che va attentamente interpretata. Dietro la lettera, occorre cogliere il significato. Sotto il ’linguaggio’, occorre rintracciare il ’messaggio’. Se restassimo agganciati soltanto alla nostra precomprensione di tipo greco (ma anche moderno!) dovremmo pensare che per ’giustizia’ si debba intendere la giustizia ’retributiva’. Cosa vuol dire allora san Paolo? Vuole intendere che Dio è giusto in quanto è un giudice equo e corretto nel retribuire con il premio il bene da me fatto e con il castigo il male da me compiuto? Allora sarebbe tutta qui la ’buona notizia’ (=evangelo)?! Assolutamente no! La giustizia di Dio secondo Paolo, non è… ’giustiziera’, ma ’giusti-ficante’. In altre parole, Dio è giusto non in quanto punisce il peccatore, ma in quanto lo ’giusti-fica’, cioè lo fa-giusto, perdonandolo. Pertanto la giustizia divina fa rima baciata con la sua misericordia!vescovo-di-rimini
Questa è la verità dell’evangelo. È il vangelo della croce. Gesù è stato condannato, ma personalmente è perfettamente innocente. Anzi ci ama fino al punto da amarci con l’amore più grande: quello di dare la vita per noi “quando eravamo ancora peccatori” e dunque a lui ostili. Gesù potrebbe invocare dal Padre una legione di angeli a sua difesa e protezione. Il Padre potrebbe incenerire mandanti e carnefici che gli stanno straziando il Figlio. Ma tutto questo non avviene. Gesù invoca il perdono e il Padre ci riconcilia con sé. Insegna don Oreste: Gesù ha sofferto più per il male che i suoi crocifissori si facevano, che non per il male che gli facevano, piantandogli i chiodi nelle carni. Questo infatti è il peccato, l’egoismo, la cattiveria, l’odio, l’invidia… Facendo il male noi ci facciamo del male. E Dio non si offenderebbe se, per assurdo, il peccato non facesse del male a noi…
Torniamo al terremoto. Ora possiamo capire cosa significhi pregare Dio in tempo di calamità tanto catastrofiche. Ce lo indica con chiarezza lampante la colletta dell’analoga Messa, prevista dal Messale Romano. In quella preghiera si chiede a Dio di avere pietà di noi, suoi fedeli, “sconvolti dai cataclismi che scuotono le profondità della terra, perché, anche nella sventura, sentiamo su di noi, la tua mano di Padre”. È una mano che non vuole schiacciare, ma solo sollevare. Solo salvare.
+ Francesco Lambiasi

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sessismo e razzismo, odio e militarizzazione ottengono consenso maggioritario

quelle urne sommerse da sessismo e razzismo

un commento inedito della filosofa statunitense a proposito dell’elezione presidenziale di Donald Trump. «Con quali condizioni abbiamo a che fare se l’odio più scatenato e la più sfrenata smania di militarizzazione riescono a ottenere il consenso della maggioranza?»

di Judith Butlerjudith-butler

Due sono le domande che gli elettori statunitensi che stanno a sinistra del centro si stanno ponendo. Chi sono queste persone che hanno votato per Trump? E perché non ci siamo fatti trovare pronti, davanti a questo epilogo? La parola «devastazione» si approssima a malapena a ciò che sentono, al momento, molte tra le persone che conosco. Evidentemente non era ben chiaro quanto enorme fosse la rabbia contro le élites, quanto enorme fosse l’astio dei maschi bianchi contro il femminismo e contro i vari movimenti per i diritti civili, quanto demoralizzati fossero ampi strati della popolazione, a causa delle varie forme di spossessamento economico, e quanto eccitante potesse apparire l’idea di nuove forme di isolamento protezionistico, di nuovi muri, o di nuove forme di bellicosità nazionalista. Non stiamo forse assistendo a un backlash del fondamentalismo bianco? Perché non ci era abbastanza evidente? Proprio come alcune tra le nostre amiche inglesi, anche qui abbiamo maturato un certo scetticismo nei riguardi dei sondaggi. A chi si sono rivolti, e chi hanno tralasciato? Gli intervistati hanno detto la verità? È vero che la vasta maggioranza degli elettori è composta da maschi bianchi e che molte persone non bianche sono escluse dal voto? Da chi è composto questo elettorato arrabbiato e distruttivo che preferirebbe essere governato da un pessimo uomo piuttosto che da una donna? Da chi è composto questo elettorato arrabbiato e nichilista che imputa solo alla candidata democratica le devastazioni del neoliberismo e del capitalismo più sregolato? È dirimente focalizzare la nostra attenzione sul populismo, di destra e di sinistra, e sulla misoginia – su quanto in profondità essa possa operare. Hillary viene identificata come parte dell’establishment, ovviamente. Ciò che tuttavia non deve essere sottostimata è la profonda rabbia nutrita nei riguardi di Hillary, la collera nei suoi confronti, che in parte segue la misoginia e la repulsione già nutrita per Obama, la quale era alimentata da una latente forma di razzismo. Trump ha catalizzato la rabbia più profonda contro il femminismo ed è visto come un tutore dell’ordine e della sicurezza, contrario al multiculturalismo – inteso come minaccia ai privilegi bianchi – e all’immigrazione.

trump E la vuota retorica di una falsa potenza ha infine trionfato, segno di una disperazione che è molto più pervasiva di quanto riusciamo a immaginare. Ciò a cui stiamo assistendo è forse una reazione di disgusto nei riguardi del primo presidente nero che va di pari passo con la rabbia, da parte di molti uomini e di qualche donna, nei riguardi della possibilità che a divenire presidente fosse proprio una donna? Per un mondo a cui piace definirsi sempre più postrazziale e postfemminista non deve essere facile prendere atto di quanto il sessismo e il razzismo presiedano ai criteri di giudizio e consentano tranquillamente di scavalcare ogni obiettivo democratico e inclusivo – e tutto ciò è indice delle passioni sadiche, tristi e distruttive che guidano il nostro paese. Chi sono allora quelle persone che hanno votato per Trump – ma, soprattutto, chi siamo noi, che non siamo state in grado di renderci conto del suo potere, che non siamo stati in grado di prevenirlo, che non volevamo credere che le persone avrebbero votato per un uomo che dice cose apertamente razziste e xenofobe, la cui storia è segnata dagli abusi sessuali, dallo sfruttamento di chi lavorava per lui, dallo sdegno per la Costituzione, per i migranti, e che oggi è seriamente intenzionato a militarizzare, militarizzare, militarizzare? Pensiamo forse di essere al sicuro, nelle nostre isole di pensiero di sinistra radicale e libertario? O forse abbiamo semplicemente un’idea troppo ingenua della natura umana? Con quali condizioni abbiamo a che fare se l’odio più scatenato e la più sfrenata smania di militarizzazione riescono a ottenere il consenso della maggioranza?
Chiaramente, non siamo in grado di dire nulla a proposito di quella porzione di popolazione che si è recata alle urne e che ha votato per lui. Ma c’è una cosa che però dobbiamo domandarci, e cioè come sia stato possibile che la democrazia parlamentare ci abbia potuti condurre a eleggere un presidente radicalmente antidemocratico. Dobbiamo prepararci a essere un movimento di resistenza, più che un partito politico. D’altronde, al suo quartier generale a New York, questa notte, i supporter di Trump rivelavano senza alcuna vergogna il proprio odio esuberante al grido di «We hate Muslims, we hate blacks, we want to take our country back». (traduzione di Federico Zappino)

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le attese di pace del Vaticano dal nuovo presidente Trump

“adesso usi il peso degli Usa per portare la pace nel mondo”

intervista a Pietro Parolinparolin

a cura di Andrea Tornielli
in “La Stampa” del 10 novembre 2016

il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin ha rivolto i suoi auguri al neo-presidente degli Stati Uniti Donald Trump, esprimendo rispetto per il processo democratico che ha portato alla sua elezione insieme all’auspicio che il nuovo inquilino della Casa Bianca lavori a servizio della sua patria ma anche del benessere e della pace nel mondo
Eminenza, come commenta l’elezione di Trump?

«Prima di tutto bisogna prendere atto con grande rispetto della volontà espressa dal popolo americano con questo esercizio di democrazia, che è stato caratterizzato anche da una grande affluenza alle urne e dunque da una grande partecipazione popolare. E poi facciamo gli auguri al nuovo presidente degli Stati Uniti, perché il suo governo possa essere davvero fruttuoso. Assicuriamo a lui anche la nostra preghiera, perché il Signore lo illumini e lo sostenga al servizio della sua patria. Ma preghiamo anche perché lo sostenga nell’impegno a servizio del bene e della pace nel mondo. Credo che oggi ci sia bisogno di lavorare tutti per cambiare la situazione mondiale, che è una situazione di grave lacerazione, di grave conflitto».

Che cosa si augura la Santa Sede per la politica estera degli Stati Uniti?trump

«L’augurio è che quel grande Paese possa esercitare un ruolo di pace, di capacità diplomatica, di intervento per facilitare soluzioni condivise dei conflitti. L’augurio è che gli Stati Uniti possano usare tutto il loro peso per costruire quei ponti che Papa Francesco non si stanca mai di chiedere, e con l’aiuto delle Nazioni Unite e dell’Europa possano essere decisivi per risolvere le crisi che affliggono il Medio Oriente. Pensiamo ad esempio al dramma della Siria: la Santa Sede continua a insistere perché si trovi una via negoziale per alleviare le indicibili sofferenze della popolazione. Ci sono milioni di persone vittime di violenza insensata. Le crisi, ne abbiamo avuto purtroppo tante conferme, non si risolvono con le guerre, ma con scelte coraggiose di pace. Auspichiamo che non venga mai meno, nei rapporti internazionali, la cultura del dialogo, dell’incontro, del negoziato».

Nei mesi scorsi c’erano state delle polemiche per le parole del Papa sugli immigrati alla fine del viaggio in Messico. Che cosa accadrà?

«Vedremo come si muove il nuovo presidente. Normalmente si dice: una cosa è essere candidato, un’altra è essere presidente, avere una responsabilità così importante… E mi pare che in questo senso, anche da quello che ho potuto sentire dalle sue prime parole, Trump ha già sottolineato di voler essere il presidente di tutti gli americani, il leader dell’intero Paese. Poi sui temi specifici vedremo quali saranno le scelte della nuova amministrazione, e in base a quelle si potranno anche fare delle valutazioni. Mi pare perciò assolutamente prematuro formulare giudizi».

Che cosa la preoccupa di più oggi nel mondo? parolin1

«I milioni di bambini costretti a lasciare le loro case, le migliaia di minori non accompagnati che divengono preda di abusi e sfruttamento. La sorte delle popolazioni inermi vittime delle guerre. Servono sforzi politici e multilaterali per sradicare le cause profonde dei grandi movimenti e dello spostamento forzato delle popolazioni, che sono conflitti e violenza, violazioni dei diritti umani, degrado ambientale, estrema povertà, commercio e traffico di armi, corruzione e oscuri piani commerciali e finanziari».

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