nell’ultima settimana incontra tre volte i clochard e chiede loro perdono

papa Francesco benedice i clochard

“vi chiedo scusa se qualche volta vi ho offeso”

nell’ultima settimana è la terza volta che incontra i senza fissa dimora

Volti segnati, felpe e giubbotti, Papa Francesco percorre il corridoio a braccia spalancate e i clochard che riempiono a migliaia l’Aula Nervi si sporgono per stringergli la mani, lo tirano a sé, uno riesce a baciarlo sulle guance, Christian racconta la sua storia e piange appoggiato alla spalla del pontefice (Corriere della Sera, 11 novembre).
Nell’ultimo fine settimana, prima della conclusione solenne dell’Anno Santo, il Papa ha voluto dedicare tre giorni ai senza fissa dimora. Francesco si rivolge loro con parole paterne: «Vi ringrazio per essere venuti qui a trovarmi, e vi chiedo perdono se qualche volta vi ho offesi con le mie parole o per non aver detto le cose che avrei dovuto dire»,
Poi aggiunge: «Vi chiedo perdono a nome dei cristiani che non leggono nel Vangelo trovandovi al centro la povertà, per tutte le volte che i cristiani di fronte alle persone povere si sono girati dall’altra parte. Perdono. Il vostro perdono è acqua benedetta per noi, limpidezza»

“Chiedo perdono ai poveri per i cristiani che li hanno ignorati”

di Iacopo Scaramuzzi
in “La Stampa-Vatican Insider” dell’11 novembre 2016papa8

Udienza a chi vive per strada per il «Giubileo dei senza fissa dimora»: la povertà è al cuore del Vangelo, insegnate all’umanità la capacità di sognare, la dignità, la solidarietà e la pace. Il Papa ha chiesto ai «poveri a nome dei cristiani che non leggono il Vangelo, che ha al centro la povertà, perdono per tutte quelle volte in cui i cristiani, davanti a una persona povera o una situazione di povertà, ci siamo girati dall’altra parte», nel corso dell’udienza alle persone che vivono o hanno vissuto per strada in occasione del «Giubileo dei senza fissa dimora», ultimo appuntamento prima della conclusione, domenica 20 novembre, dell’Anno santo della misericordia. Francesco ha chiesto ai 6mila poveri presenti in aula «Nervi» di insegnare all’umanità la capacità di sognare, la dignità, la solidarietà e la pace, ed ha concluso l’udienza pregando circondato da un gruppo di senza fissa dimora che gli tenevano la mano sulle spalle. Francesco ha parlato a braccio dopo la testimonianza di due poveri, Christian, francese, e Robert, polacco. «Una cosa che diceva Robert – ha detto il Papa – è: noi non siamo diversi dai grandi del mondo, abbiamo passioni e sogni, anche mille passioni, vogliamo risalire la china. La passione a volte ci fa soffrire, ci crea barriere, esterne e interne, a volta la passione è patologica, ma c’è anche la buona passione, una passione positiva che ci porta a sognare. Per me un uomo, una donna molto povero può avere una povertà diversa dalla vostra, quando perde la capacità di sognare, quando perde la capacità di portare avanti una propria passione. Non smettete di sognare. Il sogno di un povero, di una persona senza tetto, come sarà? Io non lo so, ma voi sognate. Sognate che un giorno magari potrete venire a Roma, e in questo caso il sogno si è realizzato, sognate che il mondo possa essere cambiato, è una semina che nasce dal vostro cuore. Ricordavate una mia parola che uso spesso: che la povertà è nel cuore del Vangelo. Solo colui che sente che gli manca qualcosa guarda in alto e sogna. Colui che ha tutto non può sognare. La gente, le persone semplici, quelli che seguivano Gesù lo seguivano perché sognavano, sognavano che li avrebbe curati, liberati, e lui li liberava. Uomini e donne con passioni e sogni, questa è la prima cosa che volevo dirvi: insegnate a tutti, noi che abbiamo un tetto sulla testa, non ci mancano cibo e medicine, insegnateci a non rimanere soddisfatti con i vostri sogni, e insegnateci a sognare a partire dal Vangelo, a partire dal cuore del Vangelo». «La seconda parola che ci è stata detta… o meglio non è stata detta ma era presente nell’atteggiamento di coloro che hanno parlato», ha proseguito il Papa, che ha pronunciato il suo discorso in spagnolo, «è quando Robert ha detto nella sua lingua, la vie devient si belle, la vita diventa bella, e come riusciamo a vederla bella anche nelle peggiori situazioni che voi vivete. Questo significa dignità, questa è la parola che mi è venuta. La capacità di incontrare, di trovare la bellezza anche nelle cose più tristi, e più toccate dalla sofferenza, questo può farlo solo una persona che ha dignità. Povero sì, ma non che si trascina, questa è la dignità!», ha detto Francesco tra gli applausi. «La stessa dignità che ha avuto Gesù, che è nato povero ed ha vissuto da povero, è la dignità del Vangelo, la dignità che hanno un uomo e una donna che vivono del loro lavoro, poveri sì, ma non dominati, non sfruttati. Io so che molte volte avrete incontrato persone che hanno voluto sfruttarvi, sfruttare la vostra povertà, ma so anche che questo sentimento di vedere che la vita è bella. Questa dignità vi ha salvati dall’essere schiavi. Poveri sì schiavi no. La povertà è al cuore del Vangelo per essere vissuta, la schiavitù non è lì per essere vissuta nel Vangelo, ma per essere liberata». «So che per ognuno di voi, come diceva Robert, a volte spesso è difficile, la vostra vita è stata molto più difficile che la mia, e Robert ha detto che per altri è stata ancora più difficile che per lui:  troveremo sempre qualcuno più povero di noi. Dignità è anche questo: saper essere solidali, saper dare la mano a chi sta soffrendo più di me. La capacità di essere solidale, è uno dei frutti che ci dà la povertà, quando c’è molta ricchezza uno si dimentica di essere solidale, è abituato al fatto che non gli manca niente, quando la povertà ti porta a far soffrire diventi solidale e tendi la mano a chi vive una situazione più difficile della tua. Grazie per questo esempio: insegnate la solidarietà al mondo». Il Papa, riprendendo sempre le parole delle due testimonianza iniziali, ha poi toccato il tema della pace. «La più grande povertà è la guerra», ha detto il Papa, «la povertà che distrugge: ascoltare questo dalle labbra di un uomo che ha sofferto la povertà materiale, la povertà della salute, è un appello a lavorare per la pace. La pace per noi cristiani è cominciata in una stalla, in una mangiatoia, da una famiglia emarginata, la pace che Dio vuole per ognuno dei suoi figli. E voi a partire dalla vostra povertà, dalla vostra situazione, potete essere artefici di pace. La guerra se la fanno tra i ricchi, per possedere di più, poi territorio potere denaro, è molto triste quando la guerra viene fuori tra i poveri, perché è una cosa rara. I poveri a motivo della loro povertà sono più inclini a essere operatori di pace, artefici di pace, credono nella pace. Date un esempio di pace. Abbiamo bisogno di pace nel mondo. Abbiamo bisogno di pace nella Chiesa. Tutte le Chiese hanno bisogno di pace, tutte le religioni hanno bisogno di crescere nella pace perché tute le religioni devono crescere nella pace. Ognuno di voi, nella vostra religione, può aiutare, la pace che nasce nel cuore, cercando l’armonia che dà la dignità. Io vi ringrazio di essere venuti qui a visitarmi, ringrazio quelli che hanno dato la loro testimonianza». «Vi chiedo perdono – ha concluso il Papa – se a volte vi ho offesi con le mie parole o per non aver detto le cose che avrei dovuto dire. Vi chiedo perdono a nome dei cristiani che non leggono il Vangelo, che ha al centro la povertà, perdono per tutte quelle volte in cui i cristiani, davanti a una persona povera o una situazione di povertà, ci siamo girati dall’altra parte. Il vostro perdono è acqua benedetta per noi, è limpidezza per tornare a capire che al cuore del vangelo c’è la povertà e che noi cristiani dobbiamo costruire una Chiesa povera per i poveri, e ogni uomo e donna di ogni religione deve vedere in ogni povero un messaggio di Dio che si fa povero per accompagnarci nella vita». Il Papa ha concluso l’udienza con una preghiera: «Dio padre di ognuno di noi, ti chiedo che tu ci dia forza, gioia, che ci insegni a sognare, per guardare avanti, ci insegni a essere solidali perché siamo fratelli e ci aiuti a difendere la dignità: tu sei il padre di ognuno di noi, benedicici padre». Il Giubileo dei senza fissa dimora è promosso dall’associazione «Fratello». Oggi i 6mila partecipanti provenienti da diversi paesi europei (Francia, Germania, Portogallo, Inghilterra, Spagna, Polonia, Italia) sono stati ricevuti in udienza dal Papa, nell’aula Paolo VI, domenica assisteranno alla Messa presieduta dallo stesso Francesco a San Pietro. Tra questi due momenti importanti, avrà luogo una grande Veglia di preghiera presieduta dal cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, che ha introdotto l’incontro. Etienne Villemain, fondatore dell’associazione «Lazar» che ha promosso il viaggio a Roma, ha proposto, introducendo l’udienza, che, oltre alla Giornata mondiale della Gioventù, si organizzi una «Giornata mondiale dei poveri».

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Dio e il terremoto: “non credo nel Dio giustiziere ma nel Dio giusti-ficante”

no, io non credo…

le illuminate parole del vescovo di Rimini Francesco Lambiasi

 

francesco-lambiasiNo, io non credo in un dio che manda il terremoto come castigo per la legalizzazione delle unioni civili. Un dio così sarebbe un dio mostro, non il Padre nostro. Sostenere la tesi del terremoto come ’castigo divino’ risulta offensivo per chi crede e scandaloso per chi non crede. Perché chi crede, si fida di – si affida a – un Dio-Amore, tutto fatto di misericordia e stragrande nel perdono. L’esatto contrario di un dio-giustiziere, un essere neroniano e sanguinario. Mentre chi non crede, ha tutte le ’sacrosante’ ragioni per non fidarsi di – affidarsi a – un dio cattivo, capriccioso e vendicativo. Ma dire che Dio con il terremoto ha inteso punire i peccatori appare anche blasfemo nei confronti di Dio stesso

No, io non credo e non crederò mai in un dio che si apposta dietro una curva per tendermi una rappresaglia, per ’farmela pagare’. E poi: avallare la meschina cattiveria del terremoto come ’castigo divino’ risulta essere uno squallido insulto e una insopportabile provocazione nei confronti di tanta povera gente che piange i parenti morti, è rimasta senza casa e senza lavoro, con una quotidianità sottosopra, e continua a tremare per l’incubo di un terremoto che sembra non volerla finire più a far tremare la terra. Pensare e dire che tutto questo è avvenuto per placare la “giustizia divina” sarebbe come gettare acqua bollente sulle ferite brucianti di quella gente. Del resto, se Dio con questa sanzione avesse voluto “fare giustizia”, perché dunque non ha terremotato tutta l’Italia? Ora, se è vero che “non è il terremoto che uccide, ma la casa che crolla”, allora si tratta di domandarsi non dov’era Dio quando la casa è crollata, ma dov’era l’Uomo che doveva metterla – o aveva fatto finta di averla messa – in sicurezza.
Dopo duemila anni non pochi cristiani non hanno ancora spezzato il laccio che annoda delitto e castigo, peccato e malattia, crimine e morte. Eppure Gesù lo aveva fatto in modo inequivocabile. Vedi il suo commento alla notizia del crollo della torre di Siloe: quei diciotto operai schiacciati dalle macerie non erano certo più peccatori di tutti gli altri abitanti di Gerusalemme. Si veda anche la risposta del Maestro all’accanita domanda dei discepoli, di fronte al cieco nato: ”Né lui ha peccato né i suoi genitori”.
Ma allora la misericordia di Dio ha oscurato la sua giustizia? Assolutamente no. Ma cosa significa ”giustizia di Dio”? Prendiamo san Paolo. Nella Lettera ai Romani (1,17) l’Apostolo afferma pari pari: nell’annuncio dell’evangelo “si rivela la giustizia di Dio”. Dobbiamo tener presente l’ambiguità culturale di un autore che scrive in una lingua (il greco), ma pensa in un’altra. Nel versetto appena citato si verifica dunque una “frattura linguistica” che va attentamente interpretata. Dietro la lettera, occorre cogliere il significato. Sotto il ’linguaggio’, occorre rintracciare il ’messaggio’. Se restassimo agganciati soltanto alla nostra precomprensione di tipo greco (ma anche moderno!) dovremmo pensare che per ’giustizia’ si debba intendere la giustizia ’retributiva’. Cosa vuol dire allora san Paolo? Vuole intendere che Dio è giusto in quanto è un giudice equo e corretto nel retribuire con il premio il bene da me fatto e con il castigo il male da me compiuto? Allora sarebbe tutta qui la ’buona notizia’ (=evangelo)?! Assolutamente no! La giustizia di Dio secondo Paolo, non è… ’giustiziera’, ma ’giusti-ficante’. In altre parole, Dio è giusto non in quanto punisce il peccatore, ma in quanto lo ’giusti-fica’, cioè lo fa-giusto, perdonandolo. Pertanto la giustizia divina fa rima baciata con la sua misericordia!vescovo-di-rimini
Questa è la verità dell’evangelo. È il vangelo della croce. Gesù è stato condannato, ma personalmente è perfettamente innocente. Anzi ci ama fino al punto da amarci con l’amore più grande: quello di dare la vita per noi “quando eravamo ancora peccatori” e dunque a lui ostili. Gesù potrebbe invocare dal Padre una legione di angeli a sua difesa e protezione. Il Padre potrebbe incenerire mandanti e carnefici che gli stanno straziando il Figlio. Ma tutto questo non avviene. Gesù invoca il perdono e il Padre ci riconcilia con sé. Insegna don Oreste: Gesù ha sofferto più per il male che i suoi crocifissori si facevano, che non per il male che gli facevano, piantandogli i chiodi nelle carni. Questo infatti è il peccato, l’egoismo, la cattiveria, l’odio, l’invidia… Facendo il male noi ci facciamo del male. E Dio non si offenderebbe se, per assurdo, il peccato non facesse del male a noi…
Torniamo al terremoto. Ora possiamo capire cosa significhi pregare Dio in tempo di calamità tanto catastrofiche. Ce lo indica con chiarezza lampante la colletta dell’analoga Messa, prevista dal Messale Romano. In quella preghiera si chiede a Dio di avere pietà di noi, suoi fedeli, “sconvolti dai cataclismi che scuotono le profondità della terra, perché, anche nella sventura, sentiamo su di noi, la tua mano di Padre”. È una mano che non vuole schiacciare, ma solo sollevare. Solo salvare.
+ Francesco Lambiasi

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