le parole chiare di papa Francesco sui cristiani ipocriti

papa Francesco

“non è cristiano chi difende Gesù e vuole cacciare i rifugiati

l’ipocrisia è il peccato più grave di tutti”

di | 13 ottobre 2016
Papa Francesco: “Non è cristiano chi difende Gesù e vuole cacciare i rifugiati. L’ipocrisia è il peccato più grave di tutti”
 

lo ha detto il Pontefice rispondendo alle domande dei partecipanti luterani al pellegrinaggio ecumenico, che ha incontrato in aula Paolo VI. “Il mondo si aspetta la misericordia da tutti quelli che credono in Cristo”. “Mi stanno a cuore – aggiunge – i migranti minorenni, specialmente quelli soli”

Papa Francesco contro “chi difende Gesù e poi caccia via un rifugiato”. Secondo il Pontefice è da considerare “ipocrita” il comportamento di chi dice di “essere cristiano” ma, al tempo stesso, non vuole accogliere “uno cerca aiuto, un affamato, un assetato, chi ha bisogno”. E questa “contraddizione, questi che vogliono difendere il cristianesimo in Occidente e dall’altra parte sono contro i rifugiati e contro le altre religioni. E questo non è una cosa dei libri, è una cosa dei giornali e dei telegiornali di tutti i giorni”. Ma “la malattia o si può dire anche il peccato che Gesù condanna di più è l’ipocrisia”. Lo ha affermato il Papa rispondendo alle domande dei partecipanti luterani al pellegrinaggio ecumenico, che ha incontrato in aula Paolo VI. Le parole di Francesco arrivano dopo l’appello lanciato ieri per il cessate il fuoco ad Aleppo, in Siria, chiedendo di evacuare i civili, soprattutto bambini.

 

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la paura dei vescovi americani di fronte alla Clinton ha favorito l’elezione di Trump

Trump e la miopia dei vescovi USA

di Massimo Faggioli
in “Settimana-News” – www.settimananews.it

 

l’episcopato americano ha avuto molta più paura di una presidenza Clinton che paura di Trump, si è posto contro la parte economicamente e politicamente debole della propria Chiesa, e ha rinunciato ad elaborare una parola alta di fronte ai messaggi più violenti della campagna elettorale di Trump, lunga quasi un anno e mezzotrump

Trump è stato eletto quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti, contro ogni previsione. Si apre una fase inedita e pericolosa per la democrazia in America, e specialmente per le Chiese americane che pretendono di essere ancora l’anima di questa nazione. Un paese profondamente moralista come gli USA ha eletto una persona come Trump che si gloria della sua immoralità non solo sulle questioni sessuali, ma anche fiscali e dell’etica del business, che – almeno nelle apparenze – è ancora importante in America. È un’elezione presidenziale che smaschera alcune ipocrisie della cultura americana e rivela la crisi sia della cultura progressista e secolarizzata che di quella conservatrice e religiosa, entrambe ossessionate dalla questione identitaria. Tre sono i fattori principali. Trump è stato eletto dal disagio economico e sociale dei dimenticati dalla globalizzazione, per protesta contro un sistema economico e finanziario di cui i Clinton fanno parte non meno di Trump, ma di cui i Clinton sono stati incolpati in quanto politici di professione. C’è poi una protesta dell’America profonda contro l’America delle élites culturali e secolarizzate e del sistema dei mass media dell’establishment. C’è, infine, una parte di risentimento contro il primo presidente afroamericano, Obama, che è parte di quella élite economica e intellettuale, ma è anche il volto dell’America futura, in cui i bianchi saranno presto una minoranza tra minoranze. La campagna di Trump ha sfruttato anche il risentimento razziale di quell’America profonda che non ha mai accettato Obama come legittimo presidente. L’America religiosa non coincide con quell’America profonda e reazionaria, ma ne è parte. Si apre un problema L’elezione di Trump apre un problema particolare per la Chiesa cattolica americana: di fronte alla sua storia, come Chiesa “importata” dagli immigrati in tempi più recenti rispetto ai fondatori; di fronte alla sua dimensione globale, con un papa come Francesco che rappresenta l’alternativa al sistema globale che una buona parte dei vescovi americani non ha voluto scegliere, preferendogli Trump. L’episcopato americano ha avuto molta più paura di una presidenza Clinton che paura di Trump, si è posto contro la parte economicamente e politicamente debole della propria Chiesa, e ha rinunciato ad elaborare una parola alta di fronte ai messaggi più violenti della campagna elettorale di Trump, lunga quasi un anno e mezzo. Molti vescovi hanno a lungo sperato in una vittoria di Trump temendo, non senza qualche ragione, una radicalizzazione delle politiche abortiste di Clinton (una radicalizzazione che ha rivelato la miopia politica di Clinton ed è uno degli elementi della sconfitta), e non considerando che durante i governi dei repubblicani ideologicamente pro-life il numero degli aborti aumenta, a causa dei tagli allo stato sociale. C’è stata paura da parte di molti vescovi e clero e intellettuali cattolici di denunciare clinton

la retorica di Trump nello stesso modo in cui è stata denunciata la cultura abortista della “identity politics” del Partito democratico. Si è trattato di un errore di portata storica che la Chiesa americana pagherà politicamente ma anche spiritualmente. I primi a pagare ½ saranno i poveri in America, più che con una presidenza Clinton. Quale dialogo e su quali questioni? La settimana dopo l’elezione di Trump ha visto l’assemblea annuale della conferenza episcopale, che ha eletto i nuovi vertici per il prossimo triennio: ha eletto il nuovo presidente nel cardinale DiNardo (uno dei firmatari della lettera dei tredici cardinali contro Francesco durante il Sinodo dell’ottobre 2015), e ha eletto il vice-presidente (e quindi, secondo tradizione, probabilmente presidente nel triennio 2019-2022) nell’arcivescovo di Los Angeles, Gomez, il vescovo più visibile della popolazione cattolica dei latinos negli Stati Uniti, presentandola come una risposta all’elezione di Trump. Quella di Gomez è una scelta che non assolve i vescovi americani dalla loro acquiescenza rispetto a Trump. Che i cattolici latinos negli USA siano in buoni rapporti coi latinoamericani dell’America Latina è un mito. Sono mondi diversi, come sono mondi diversi, ormai, la Chiesa di Francesco e l’episcopato americano: le nomine episcopali di Francesco incidono sulle Chiese locali ma non (almeno per ora) sulla conferenza episcopale. I vescovi dovranno
dialogare con Trump, ma Trump cercherà di accontentare i vescovi su una serie molto limitata di questioni. Tutta la cultura sociale e politica della Chiesa istituzionale negli USA esce danneggiata da queste elezioni per la sua manifesta incapacità di cogliere cosa stava succedendo nel paese. Le prime nomine di Trump, annunciate nei primi dieci giorni dopo l’elezione, mantengono quanto minacciato: il nazionalismo “white supremacy” entra alla Casa Bianca, alla faccia di chi ancora si ostina a leggere il risultato delle urne in termini materialistici di disagio economico. La torsione che Trump imporrà La Chiesa cattolica americana è spaccata, come e più di altre Chiese, tra identità culturali, politiche ed etniche diverse, e quindi le reazioni sono diverse. La campagna Trump ha capitalizzato queste spaccature facendo leva sull’identità bianca e conservatrice, usando in modo strumentale la questione dell’aborto per attirare il voto cattolico. Come nel resto dell’America anche nella Chiesa cattolica democratici e repubblicani vivono mondi diversi, da punto di vista esistenziale e intellettuale. C’è un cattolicesimo sotto shock: l’America è un paese che si percepisce come entità spirituale e l’elezione di Trump è percepita come un segnale di grave crisi spirituale. C’è chi può permettersi di vedere questa transizione di potere come una delle tante nella storia americana, ma non lo è. Specialmente per chi non ha la pelle bianca, è un momento di sbigottimento e di paura. La paura è evidente specialmente tra i latinos, gli arabi e i musulmani, gli asiatici, le minoranze sessuali. La questione non è avere o non aver nulla da temere dalla legge: è il timore del razzismo di alcune frange della società americana, che hanno sempre fatto parte della società americana ma che da cinquant’anni circa erano tenute ai margini della vita politica, pur godendo spesso della protezione della polizia e del potere giudiziario. Ora con Trump si sentono rilegittimate a riproporre con un linguaggio violento il loro disegno di un’America etnicamente pura. La presidenza degli USA ha una funzione simbolica evidente anche dal punto di vista religioso: la presidenza ha una funzione di pontifex. Con la presidenza Trump l’eccezionalismo americano muore. L’ecclesiologia politica degli Stati Uniti è inclusiva: Obama la incarnava, Trump la rinnega. La ricerca di un ralliement tra i vescovi e Trump non considera la torsione a cui viene sottoposta l’ecclesiologia cattolica: Trump interpreta in senso etnico-razziale un certo settarismo tipico del neo- conservatorismo cattolico americano contemporaneo.

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una guerra senza compromessi nella chiesa di papa Francesco?

chiesa cattolica

è in atto una guerra civile

 
Chiesa cattolica, è in atto una guerra civile
 
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scrittore e giornalista

Papa Francesco ha chiuso la Porta Santa, ma il suo messaggio è accompagnato dal brontolio di una crisi sotterranea. Una guerra civile è in corso nella Chiesa. Uno scontro che tocca l’autorità del pontefice e il suo programma riformatore. Sono in gioco visioni opposte sul ruolo della Chiesa, il “peccato”, la salvezza delle anime. E come in tutte le guerre civili il conflitto non contempla compromessi.

Quattro cardinali hanno scelto questi giorni per mettere direttamente sotto accusa la teologia di Francesco e il suo documento postsinodale Amoris Laetitia (che apre la strada alla comunione dei divorziati risposati). I porporati imputano a Bergoglio di avere seminato tra i fedeli “incertezza, confusione e smarrimento” e chiedono di “fare chiarezza” sul documento. Alla lettera sono allegati, nello stile delle contestazioni teologiche, i cosiddetti Dubia: cioè “domande su questioni controverse”. Con un gesto, che ha il sapore di una sfida, la lettera è stata inviata “per conoscenza” anche al guardiano ufficiale dell’ortodossia, il cardinale Gerhard Mueller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede.  

E’ un evento assolutamente inedito nella storia moderna del papato. E la prima cosa che colpisce è il silenzio imbarazzato delle alte gerarchie ecclesiastiche. Non un cardinale ha controbattuto pubblicamente le loro tesi, non un presidente di conferenza episcopale, non il dirigente di qualche grande associazione cattolica. E dire che, prendendo di petto il ruolo della coscienza, di cui parla Francesco, i quattro porporati affermano che in tal caso si rischia di arrivare al punto in cui diventano ipotizzabili “casi adulterio virtuoso, omicidio legale e spergiuro obbligatorio”.

Due dei porporati sono esponenti di Curia: il tedesco Walter Brandmueller, già presidente del pontificio Comitato di scienze storiche, e l’americano Raymond Burke, già presidente del tribunale della Segnatura apostolica. E due sono arcivescovi emeriti di grandi diocesi: Carlo Caffarra, caro a Giovanni Paolo II e Benedetto XVI e fino al 2015 alla guida di Bologna, e Joachim Meisner, un intimo di papa Ratzinger, fino al 2014 a capo della diocesi di Colonia.  

Liquidare la loro lettera – a cui Francesco ha risposto indirettamente in un’intervista ad Avvenire , denunciando un “certo legalismo che può essere ideologico” – come il sussulto di quattro “ultraconservatori” significa non comprendere lo scontro sotterraneo, che si è andato sviluppando nella Chiesa cattolica nell’ultimo biennio. I quattro sono la punta di un iceberg, che si va allargando e diffondendo. Parlano anche per molti che non si espongono.

Per anni i media non hanno compreso la profondità del movimento anti-Obama, che ha portato l’8 novembre alla sconfitta della sua politica. Oggi rischiano di ripetere lo stesso errore con Francesco. Abbacinati dal suo carisma e dal consenso planetario di cui gode anche tra agnostici e non credenti, molti rimuovono la sistematica escalation di quanti tra il clero, gli episcopati, il collegio cardinalizio contestano la teologia di misericordia del pontefice.

Tra i due Sinodi c’è stato uno spostamento di accento fondamentale. Se nei passati decenni, nello scontro tra riformatori e conservatori, il pontefice rimaneva “arbitro” per la maggioranza della gerarchia ecclesiastica. Oggi, invece, il Papa è diventato parte in causa. Basta leggere l’ultima intervista del cardinale Burke: l’Amoris Laetitia, afferma, “non è Magistero perché contiene serie ambiguità che confondono i fedeli e li possono indurre all’errore e al peccato grave. Un documento che presenti questi difetti non può far parte dell’insegnamento perenne della Chiesa”.

In due anni c’è stato un crescendo di azioni di dissenso. Prima del Sinodo 2014 cinque cardinali scrissero un libro in difesa della dottrina tradizionale del matrimonio. Poi intervennero con un altro libro 11 porporati di ogni parte del mondo, fra cui personalità importanti, riconosciute tra il clero e l’episcopato. Intanto quasi 800mila cattolici, fra cui 100 vescovi, firmavano una petizione al Papa per bloccare le innovazioni. A Sinodo 2015 iniziato, 13 cardinali scrissero a Bergoglio mettendo in questione la regolarità della direzione dell’assemblea.

Un movimento sistematico di contestazione a cui il fronte riformatore ha opposto solo timidezza. E infatti – benché molti vogliano dimenticarlo – nelle votazioni al Sinodo sulla Famiglia del 2015 sono state rigettate le tesi di una via penitenziale, che riconoscesse apertamente la possibilità della comunione ai divorziati risposati. La maggioranza tradizionalista di questo parlamento mondiale dei vescovi ha detto “no”. Nel frattempo è sorta una rete di cardinali, vescovi, preti, teologi e laici impegnati, firmatari di una “Dichiarazione di fedeltà al magistero immutabile della Chiesa sul matrimonio”. Successivamente 45 teologi hanno scritto (in forma anonima) al collegio cardinalizio, insinuando che certe interpretazioni di Amoris Laetitia potrebbero essere “eretiche”.

Il movimento anti-Bergoglio lavora sul tempo. Negli Stati Uniti l’escalation sottovalutata contro Obama ha portato alla sconfitta dei Democratici. Nella Chiesa cattolica la posta in gioco è il futuro conclave. Oggi lo storico della Chiesa Alberto Melloni parla di “isolamento” del pontefice. E Andrea Riccardi, storico anche lui, spiega che mai nel Novecento un pontefice ha trovato tanta opposizione tra gli episcopati e il clero.

Nella guerra civile in corso nella Chiesa l’obiettivo è il dopo-Francesco: non dovrà arrivare sul trono papale un uomo che porti a sviluppo le riforme iniziate.

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