‘famiglia cristiana’ si indigna di fronte alle chiacchiere sulla violenza dell’Isis

Francia: almeno smettiamola con le chiacchiere

isis

da anni, ormai, si sa che cosa bisogna fare per fermare l’Isis e i suoi complici. Ma non abbiamo fatto nulla, e sono arrivate, oltre alle stragi in Siria e Iraq, anche quelle dell’aereo russo, del mercato di Beirut e di Parigi. La nostra specialità: pontificare sui giornali

di Fulvio Scaglione FAMIGLIA CRISTIANA

E’ inevitabile, ma non per questo meno insopportabile, che dopo tragedie come quella di Parigi si sollevi una nuvola di facili sentenze destinate, in genere, a essere smentite dopo pochi giorni, se non ore, e utili soprattutto a confondere le idee ai lettori. E’ la nebbia di cui approfittano i politicanti da quattro soldi, i loro fiancheggiatori nei giornali, gli sciocchi che intasano i social network. Con i corpi dei morti ancora caldi, tutti sanno già tutto: anche se gli stessi inquirenti francesi ancora non si pronunciano, visto che l’ unico dei terroristi finora identificato, Omar Ismail Mostefai, 29 anni, francese, è stato “riconosciuto” dall’ impronta presa da un dito, l’ unica parte del corpo rimasta intatta dopo l’ esplosione della cintura da kamikaze che indossava.

Ancor meno sopportabile è il balbettamento ideologico sui colpevoli, i provvedimenti da prendere, il dovere di reagire. Non a caso risuscitano in queste ore le pagliacciate ideologiche della Fallaci, grande sostenitrice (come tutti quelli che ora la recuperano) delle guerre di George W. Bush, ormai riconosciute anche dagli americani per quello che in realtà furono: un cumulo di menzogne e di inefficienze che servì da innesco a molti degli attuali orrori del Medio Oriente.

Mentre gli intellettuali balbettano sui giornali e in Tv, la realtà fa il suo corso. Dell’ Isis e delle sue efferatezze sappiamo tutto da anni, non c’ è nulla da scoprire. E’ un movimento terroristico che ha sfruttato le repressioni del dittatore siriano Bashar al Assad per presentarsi sulla scena: armato, finanziato e organizzato dalle monarchie del Golfo (prima fra tutte l’ Arabia Saudita) con la compiacenza degli Stati Uniti e la colpevole indifferenza dell’ Europa.

Quando l’ Isis si è allargato troppo, i suoi mallevadori l’ hanno richiamato all’ ordine e hanno organizzato la coalizione americo-saudita che, con i bombardamenti, gli ha messo dei paletti: non più in là di tanto in Iraq, mano libera in Siria per far cadere Assad. Il tutto mentre da ogni parte, in Medio Oriente, si levava la richiesta di combatterlo seriamente, di eliminarlo, anche mandando truppe sul terreno. Innumerevoli in questo senso gli appelli dei vescovi e dei patriarchi cristiani, ormai chiamati a confrontarsi con la possibile estinzione delle loro comunità.

Abbiamo fatto qualcosa di tutto questo? No. La Nato, ovvero l’ alleanza militare che rappresenta l’ Occidente, si è mossa? Sì, ma al contrario. Ha assistito senza fiatare alle complicità con l’ Isis della Turchia di Erdogan, ma si è indignata quando la Russia è intervenuta a bombardare i ribelli islamisti di Al Nusra e delle altre formazioni.

Nel frattempo l’ Isis, grazie a Putin finalmente in difficoltà sul terreno, ha esportato il suo terrore. Ha abbattuto sul Sinai un aereo di turisti russi (224 morti, molti più di quelli di Parigi) ma a noi (che adesso diciamo che quelli di Parigi sono attacchi “conto l’ umanità”) è importato poco. Ha rivendicato una strage in un mercato di Beirut, in Libano, e ce n’ è importato ancor meno. E poi si è rivolto contro la Francia.

Abbiamo fatto qualcosa? No. Abbiamo provato a tagliare qualche canale tra l’ Isis e i suoi padrini? No. Abbiamo provato a svuotare il Medio Oriente di un po’ di armi? No, al contrario l’ abbiamo riempito, con l’ Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti ai primi posti nell’ importazione di armi, vendute (a loro e ad altri) dai cinque Paei che siedono nel Consiglio di Sicurezza (sicurezza?) dell’ Onu: Usa, Francia, Gran Bretagna, Cina e Russia.

Solo l’ altro giorno, il nostro premier Renzi (che come tutti ora parla di attacco all’ umanità) era in Arabia Saudita a celebrare gli appalti raccolti presso il regime islamico più integralista, più legato all’ Isis e più dedito al sostegno di tutte le forme di estremismo islamico del mondo. E nessuno, degli odierni balbettatori, ha speso una parola per ricordare (a Renzi come a tutti gli altri) che il denaro, a dispetto dei proverbi, qualche volta puzza.

Perché la verità è questa: se vogliamo eliminare l’ Isis, sappiamo benissimo quello che bisogna fare e a chi bisogna rivolgersi. Facciamoci piuttosto la domanda: vogliamo davvero eliminare l’ Isis? E’ la nostra priorità? Poi guardiamoci intorno e diamoci una risposta. Ma che sia sincera, per favore. Di chiacchiere e bugie non se ne può più.

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anche la religione può ammalarsi …

la religione può fare il massimo del bene e il male più grande

di Leonardo Boff
Boff L.

tutto ciò che è sano può ammalare. Anche le religioni e le chiese. Oggigiorno in particolare assistiamo alla malattia del fondamentalismo che contamina settori importanti di quasi tutte le religioni, chiesa cattolica compresa. A volte c’è una vera guerra religiosa. Basta seguire alcuni programmi religiosi, soprattutto televisivi, di stampo neopentecostale, ma anche di alcuni settori conservatori della Chiesa Cattolica per udire la condanna di persone e gruppi, di certe correnti teologiche o delle religioni afro-brasiliane presentate come invenzioni diaboliche

L’espressione maggiore del fondamentalismo di stampo pugnace e sterminatore è quella rappresentata dallo Stato Islamico che fa della violenza e dell’assassinio del «differente», l’espressione della sua identità. Ma c’è un’altra tendenza riprovevole, molto presente nei mezzi di comunicazione di massa, specialmente televisione e radio: l’uso della religione per fare molti proseliti, predicare il Vangelo del benessere materiale, scucire soldi dagli adepti e arricchire pastori e vescovi (vescovi, per autopoclamazione). Ci sono anche religioni di mercato, che ubbidiscono alla logica del mercato, della concorrenza e dell’aggregazione del massimo numero possibile di persone per un più corposo accumulo di denaro.
Se osserviamo attentamente, la maggioranza di queste chiese mediatiche, il Nuovo Testamento è citato raramente; predomina, nella predicazione, l’Antico Testamento. Si capisce perché: il Vecchio Testamento, eccetto i profeti e qualche altro testo, enfatizza il benessere materiale come espressione del gradimento di Dio. La ricchezza occupa il posto centrale. Il Nuovo Testamento esalta i poveri, predica la misericordia, il perdono, l’amore verso il nemico, ampia solidarietà verso i poveri e i caduti lungo il cammino. Dov’è che si sente dire perfino nei programmi cattolici, le parole del Maestro: “Beati voi poveri perché vostro è il Regno di Dio”?
Si parla troppo di Gesù e di Dio, come di realtà disponibili sul mercato. Tali realtà sacre per loro natura, esigono riverenza e devozione, silenzio rispettoso e compostezza devota. Il peccato più frequente è contro il secondo comandamento: “Non usare il santo nome di Dio invano”. Invece questo nome è incollato ai vetri delle macchine, perfino sul portafogli, quasi che Dio non stesse in ogni luogo. Gesù di qua Gesù di là, una banalizzazione dissacrante e irritante.
Quel che fa più male e scandalizza sul serio è usare il nome di Dio e di Gesù per fini esclusivamente commerciali. Peggio, per coprire imbrogli, furti di denaro pubblico e lavaggio di soldi. C’è perfino un’impresa chiamata “Gesù”. Nel nome di “Gesù” hanno fatto la cresta per milioni in truffe e imbrogli, nascondendo il tutto in banche straniere e altre corruzioni che coinvolgono i beni pubblici. E tutto questo con la maggiore sfacciataggine.
Se Gesù stesse ancora in mezzo a noi, sicuramente farebbe quello che ha fatto ai mercanti del Tempio: prese uno scudiscio e li fece scappare e rovesciò i tavoli dei cambiavalute. Per queste deviazioni di una realtà sacra, perdiamo l’eredità umanizzatrice delle scritture giudeo-cristiane e specialmente il carattere liberatore e umano del messaggio e della pratica di Gesù. La religione può fare il bene migliore, ma può fare anche il male peggiore.
Sappiamo che l’intenzione originaria di Gesù non era quella di fondare una nuova religione. Ce n’erano tante al suo tempo. Non pensava a una riforma del giudaismo vigente. Lui voleva insegnarci a vivere, orientati dai valori presenti nel suo sogno maggiore, quello del Regno di Dio, fatto di amore incondizionato, di misericordia, perdono e abbandono fiducioso in Dio, chiamato Papà (Abba, in ebraico) con caratteristiche di madre d’infinità bontà. Lui ha messo in marcia la gestazione di un uomo nuovo e di una donna nuova, l’eterna ricerca dell’umanità.
Se leggiamo gli Atti degli Apostoli ci accorgiamo che il Cristianesimo inizialmente era più movimento che istituzione. Si chiamava il Cammino di Gesù, ed era una realtà aperta ai valori fondamentali che il Signore aveva predicato e vissuto. Ma nella misura in cui il movimento cresceva, fatalmente si trasformava in istituzione, con regole, riti e dottrine. E il potere sacro (sacra potestas) si costituì come asse organizzatore di tutta l’istituzione che adesso si chiama Chiesa. E questa ne ha fagocitato il carattere di movimento. Dalla storia apprendiamo che là dove il potere prevale, sparisce l’amore e scompare la misericordia. Questo è quanto è accaduto, purtroppo.
Secondo Hobbes il potere si mantiene soltanto cercando sempre più potere. Siamo avvisati. Sono nate chiese imponenti, istituzioni, monumenti, ricchezze materiali e persino banche. E con il potere la possibilità di corruzione.
E’ con piacere che stiamo assistendo a una novità: il Papa Francesco sta riscattando il Cristianesimo, più come movimento che come istituzione, più come incontro tra persone e con il Cristo vivente di illimitata misericordia, che con la ferrea disciplina e dottrina ortodossa. Lui, come Gesù, ha messo al centro la persona, non il potere, non il dogma, né l’inquadramento morale. Con questo ha permesso a tutti, anche a coloro che non fanno parte dell’istituzione, di potersi sentire sulle orme di Gesù, nella misura in cui scelgono l’amore e la giustizia.

 
 
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M. Barros commenta la ‘laudato sì’ alla vigilia della Conferenza Onu sui cambiamenti climatici a Parigi

 

un’alleanza per salvare la terra

di M. Barros

Barros

 

nella sua enciclica Laudato si’ sulla cura della Terra, la nostra casa comune, papa Francesco propone un’alleanza tra tutta l’umanità, credente e non credente, per salvare il pianeta. Una proposta che già era stata avanzata da intellettuali e scienziati, come il nordamericano Edward Wilson, considerato uno dei massimi biologi della nostra generazione, autore del libro La creazione. Un appello per salvare la vita sulla Terra (Adelphi, 2008, dall’originale inglese The Creation: An Appeal to Save Life on Earth, 2006)

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per raggiungere questo obiettivo, il papa propone concretamente un dialogo e una cooperazione tra le religioni. E in questi giorni, alla vigilia della Conferenza Onu sui cambiamenti climatici a Parigi (Cop21), possiamo interrogarci su come le religioni possano contribuire a questo sforzo dell’umanità per salvare la Terra e garantire il futuro della vita sul pianeta.

1. L’attuale relazione delle religioni con la natura

Tutte le religioni conosciute, in un modo o nell’altro, considerano la natura un luogo speciale della manifestazione del Mistero divino, con la differenza che alcune pongono maggiormente l’accento sulla sacralità della stessa natura, percepita come divina. Le più antiche religioni orientali riconoscono nell’universo un’Anima universale (Atma o Brahma) che abbraccia tutto. Altre conservano i loro miti sulla creazione, a cui guardano in modi piuttosto diversi tra loro. La maggior parte delle religioni è consapevole del fatto che la fede si esprime in termini poetici e simbolici e dunque non entra in competizione con le spiegazioni scientifiche. È possibile che queste religioni condividano quanto scrive papa Francesco: «Per la tradizione giudeo-cristiana, dire “creazione” è più che dire natura, perché ha a che vedere con un progetto dell’amore di Dio, dove ogni creatura ha un valore e un significato» (Laudato si’, n. 76).

Nelle tradizioni orientali e nelle religioni originarie dell’Africa e dei popoli indigeni americani, come pure nelle religioni abramitiche, esistono i fondamenti per una cultura del rispetto e della comunione con la natura, ma sembra che tale maniera di professare il culto e di dare senso alla vita non giunga a trasformare le relazioni economiche e sociali a un livello più ampio. La cultura d’amore che le religioni suscitano in relazione alla Terra, all’acqua e alla natura è ancora generalmente circoscritta ai culti e alle pratiche religiose. Contribuisce alla creazione di culture più rispettose nei confronti della natura, ma non si esprime ancora come indignazione etica in relazione all’attuale sistema che trasforma tutto in merce.

2. La Chiesa e l’ecologia

Non possiamo negare che l’ecologia sia sorta in ambienti estranei alla Chiesa e che, fino a mezzo secolo fa, le Chiese non solo non mostravano sensibilità per la questione ecologica, ma mantenevano anche una visione antropocentrica contraria alla cura della natura. Lo stesso sistema patriarcale e capitalista è sempre sembrato legittimarsi a partire da una visione del mondo che per convenzione è stata chiamata “cultura giudaico-cristiana”. Non a caso, diversi studiosi europei e americani hanno ricondotto a tale cultura giudaico-cristiana la mentalità dominante nella società occidentale, accusandola di aver preso troppo sul serio l’antropocentrismo esasperato della Bibbia, secondo cui Dio creò l’essere umano come “signore della creazione”, con l’ordine di soggiogare la natura e domarla a suo piacimento. Una concezione biblica che ha offerto all’essere umano il supporto per sfruttare la Terra e distruggerla, invece che per relazionarsi ad essa amorevolmente.

Tuttavia, è possibile rintracciare, partendo dalle Scritture, un profondo amore per la Terra e per la natura in cui siamo immersi, legando così fede biblica e impegno ecologico. La Bibbia mostra che tutto l’universo è sacro. Secondo il primo capitolo della Bibbia, la creazione non si completa con l’essere umano: il culmine è nell’istituzione del “settimo giorno”, lo shabat, il riposo divino, o in termini più precisi, la pienezza della relazione gratuita e amorosa del Divino con l’universo. Inoltre, la Bibbia insiste sul fatto che esiste una mutua appartenenza, una parentela cosmica, una fratellanza universale tra tutti gli esseri: nella Bibbia, infatti, all’infuori di Dio, tutto è creatura. Tutti gli esseri della Terra sono creature di Dio. Tutti hanno impresso nel proprio essere più profondo il segno del loro Creatore, una dignità specifica e meravigliosa.

3. Un richiamo alla conversione ecologica e all’alleanza eco-sociale 

Attualmente, nel cammino comune per salvare la Terra e la natura, le religioni sono chiamate a rendersi conto che non basta proclamare il fatto che la natura è sacramento del Mistero Divino o che la creazione è continua e che dietro ogni essere vivente c’è lo sguardo amorevole di Dio. È necessario organizzarsi e articolarsi per difendere questa visione contro un sistema sociale ed economico essenzialmente predatorio. All’interno di questo sistema, nessuna misura ecologica raggiungerà la profondità necessaria. In questo senso, è stata una conquista fondamentale che papa Francesco abbia posto al centro del suo pensiero sulla crisi ambientale la critica al sistema economico mondiale e mostrato come soltanto un’ecologia integrale possa rappresentare la soluzione per l’attuale crisi (Laudato si’, cap. IV, n. 137 ss).

Chi vive in America Latina, sa che la crisi ambientale non si risolverà mai senza affrontare lo scandalo delle immense disuguaglianze sociali. Per salvare l’integrità della vita sul pianeta, è urgente superare questo modello di sviluppo essenzialmente anti-ecologico e, allo stesso tempo, garantire a tutta la popolazione povera l’accesso “alla Terra, al lavoro e alla casa”, come il papa ha riconosciuto nel suo incontro con i movimenti sociali.

Senza dubbio, in questa presa di posizione salda e risoluta in difesa del pianeta, le comunità indigene e di origine afrodiscendente, secolarmente emarginate e strutturalmente povere, non avranno le stesse possibilità di far sentire la propria voce di altre comunità religiose ben più influenti nel mondo. Il papa, infatti, può parlare dinanzi all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il Consiglio Ecumenico delle Chiese, la United Religions Initiative (URI) e il Parlamento Mondiale delle Religioni per la Pace vengono consultati dagli organismi internazionali.

In ogni modo, i cambiamenti più profondi si realizzeranno a partire dal basso, in un processo culturale che non può che essere rivoluzionario, dovendo investire tutte le dimensioni della società.

4. L’agenda di Dio nell’agenda dell’umanità

Da quando le Nazioni Unite hanno iniziato a promuovere conferenze e riunioni mondiali sui cambiamenti climatici (Stoccolma, 1972) e la società internazionale ha assunto una coscienza maggiore della crisi che il mondo attraversa, alcuni passi avanti sono stati compiuti nel controllo delle emissioni di gas tossici e nei protocolli relativi a questioni concrete come la deforestazione, la crisi idrica e il riscaldamento globale. Tuttavia, i passi sono stati timidi e non sempre le decisioni corrette sono state adeguatamente messe in pratica dai governi. Tali contraddizioni rivelano come la crisi ecologica non si risolva con misure parziali e isolate. Già molti anni fa gli scienziati affermavano che “il virus che provoca la malattia non potrà fornire il rimedio per curarla”. Ed è quanto la società civile ha espresso nelle più recenti Conferenze Onu sui cambiamenti climatici, organizzando vertici dei popoli e conferenze parallele, come avverrà anche in occasione della Conferenza di Parigi.

In tale contesto, il primo impegno delle religioni rispetto all’agenda ecologica è, anziché promuovere iniziative isolate e parallele, associarsi a questo cammino della società civile e dei movimenti e organizzazioni sociali.

All’interno di questo quadro più ampio di azione comune, nella linea di un’alleanza a favore del pianeta, spettano alle religioni alcuni importanti compiti che sono loro propri. Ne elencherò alcuni.

a) Restaurare la dignità della politica. La maggior parte di noi concorda sul fatto che, come scrive Patrick Viveret, «l’egemonia dell’economia sulla politica, nel corso degli ultimi 30 anni, ha rappresentato una catastrofe. Quando, con la crisi del 2008, tale situazione è diventata incontrollabile e senza uscita, le imprese hanno fatto nuovamente ricorso alla politica. Ma che tipo di politica?». È necessario unire tutte le persone di buona volontà e i gruppi articolati della società civile per “democratizzare la democrazia”, ossia per rendere possibile una vera partecipazione delle basi nei processi sociali e politici. Monsignor Oscar Romero definiva la politica basata sul bene comune come la “grande politica”.

b) Sostenere e divulgare la “Dichiarazione Universale del Bene Comune della Terra e dell’Umanità”, elaborata da un gruppo di intellettuali e teologi coordinati da Leonardo Boff e da Miguel d’Escoto: 24 articoli in cui si chiede il rispetto di tutti gli esseri viventi. Chi accetta e assume tale dichiarazione riconosce la Terra, l’Acqua, l’Aria, gli alimenti di base di ogni cultura, la salute e l’educazione come beni comuni non riducibili a merce.

c) Superare l’arroganza antropocentrica. Sebbene abbia una vocazione unica di vita cosciente e pensante, l’essere umano è parte di una comunità più grande che, come la definisce la Carta della Terra, è “la comunità della vita”. Come sottolinea Hans Küng, «fino ad alcuni decenni fa, la posizione comune tra gli studiosi e gli scienziati era data da un antropocentrismo radicale. Negli ultimi anni, sempre di più, tra gli scienziati più consapevoli, si fa strada la concezione biocentrica proposta dalla Cosmologia, la quale afferma che ogni elemento dell’universo ha la propria ragione di essere e la propria autonomia e ricorda che, miliardi di anni fa, molto prima dell’apparizione degli esseri umani, il cosmo già esisteva e può perfettamente continuare a esistere per miliardi di anni dopo la loro eventuale scomparsa». Tutto ciò rappresenta per l’ebraismo e per il cristianesimo una sfida a sviluppare una nuova Teologia della Creazione. Come afferma il teologo Luis Carlos Susin, «oggi, di fronte alla minaccia dell’olocausto ecologico, la Teologia della Creazione è chiamata a essere un’apologia del mondo in quanto creazione divina (…). La creazione, ossia il mondo, la terra, è, in prima e ultima istanza, di Dio».

d) Suscitare una cultura ecologica di contemplazione e di cura della natura. «Scienziati come Ilya Prigogine, Fritjop Capra e Stengens – evidenzia Adolphe Gesché – propongono un nuovo modello di scienza che non si svilupperebbe più a partire dal dominio, dal calcolo e dalla conquista della natura, ma piuttosto dall’ascolto attento e dall’alleanza». Per collaborare con questo nuovo cammino metodologico, le religioni sono chiamate a promuovere una cultura di ascolto amorevole, di cura e di comunione con la natura.

Il teologo e docente di etica Antonio Moser affermava: «Uccidendo il senso del mistero, gli esseri umani perdono il senso di riverenza nei confronti degli altri esseri e di se stessi. Per quanto il dramma ecologico non possa essere risolto senza la tecnica, di certo non potrà trovare una soluzione solamente con la tecnica. Una vera soluzione presuppone un cambiamento di mentalità, guidato da un processo di riscoperta della complessità e della dimensione di mistero che abbraccia tutte le manifestazioni della vita in tutte le situazioni, anche le più dolorose e le più precarie».

e) Seguire una linea di prudenza metodologica in relazione al futuro. Malgrado la Conferenza di Parigi sia centrata specificamente sui cambiamenti climatici, è necessario partire da uno sguardo più ampio. La prudenza metodologica rispetto a ciò che non si conosce fa senza dubbio parte del rispetto per il mistero della natura e per la cura della Terra. Non è etico approvare l’uso di sementi transgeniche e di prodotti chimici le cui conseguenze per la salute della popolazione non siano state sufficientemente valutate.

f) Assumere il principio della sostenibilità della vita e della cura ecologica come un nuovo paradigma di civiltà. Ciò significa individuare la questione ecologica come chiave di comprensione per i più diversi campi del sapere umano e dell’attività umana sulla Terra. E questo implica ripensare tutto, dall’economia alla tecnica fino ai costumi sociali quotidiani, in direzione di una nuova educazione per il buen vivir.

g) Portare tutto questo percorso di cambiamento di visione all’interno delle espressioni della fede e del culto. È urgente rivitalizzare e anche sviluppare ulteriormente la dimensione ecologica vissuta da ogni religione nella sua attività interna ed esterna. All’inizio degli anni ’80, le Chiese ortodosse aderirono alla proposta del patriarca ecumenico Dimitrios di dedicare il 1° settembre o la domenica più vicina a questa data alla preghiera e alla cura della creazione. Questa giornata per la custodia del creato, attualmente rilanciata da papa Francesco, è diventata ufficiale anche per la Chiesa cattolica ed è un ulteriore strumento per unire celebrazione e vita.

Chi crede in Dio, sa che avventurarsi per questo cammino significa lasciarsi guidare dallo Spirito che «soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va» (Gv 3,8).

Marcelo Barros è monaco benedettino, biblista e teologo della liberazione brasiliano. Fa parte della Commissione Teologica Latinoamericana dell’Associazione Ecumenica di Teologi e Teologhe del Terzo Mondo (Asett). È autore di oltre 40 libri e tra i curatori del progetto editoriale in 5 volumi “Per i molti cammini di Dio” (pubblicato in italiano da Pazzini Editore).

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l’unica preghiera da fare immersi in questa grande violenza

«Disarmali e disarmaci» sia la nostra rivolta

di Enzo Bianchi

Bianchi

 

«Signore, disarmali! Signore disarmaci!».

così pregavano al cuore della bufera algerina i monaci trappisti di Tibhirine. E, in chi crede, tale preghiera sorge spontanea di fronte a efferatezze che di umano hanno solo il raziocinio con cui vengono progettate e realizzate

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È un nuovo pezzo incandescente di quella «terza guerra mondiale» parcellizzata nella quale non si riesce a capire – o i pochi non vogliono che i molti capiscano – chi arma chi e a che scopo.

Disarmare chi uccide senza pietas pare al di là delle nostre forze, come pure supera le nostre capacità il disarmare i nostri sentimenti e renderli degni di quell’umanità che non riconosciamo nell’altro quando assume i tratti del carnefice. Per questo l’autentico disarmo, interiore ed esteriore, è da invocare da Dio come dono ed è da ricercare con le nostre forze come profezia. Disarmati, potremmo forse trovare il tempo e la lucidità per porci interrogativi che oggi l’angoscia e il pianto soffocano nella rabbia dell’impotenza. Siamo di fronte a disperati che seminano disperazione? Oppure cinici burattinai stanno giocando al massacro in una lotta di potere che gli uni rivestono di un manto religioso sempre più abusato e falso e gli altri abbelliscono con richiami ipocriti a valori negati nei comportamenti verso gli altri?

Purtroppo solo il terrorismo sembra capace di causare l’insurrezione delle nostre coscienze, ma noi non vogliamo vederne le cause, né assumerci le responsabilità per tutte le situazioni che lo hanno favorito o che ne diventano l’humus. La rivolta delle nostre coscienze dovrebbe avvenire non solo quando siamo colpiti nella nostra Europa, ma sempre, quando si scatena la barbarie e uomini, donne e bambini ne sono vittime: si pensi a quanto avviene quotidianamente in Siria o in Iraq… Ovunque un essere umano è ucciso, l’umanità intera dovrebbe sentirsi ferita.

Parlare di tragica spirale di violenza non è figura retorica: quando ci si lascia trascinare nel vortice della morte e si cerca di venirne fuori con armi speculari e contrapposte, quando si vede il turbine montare e ci si avvita a ritroso per incolpare gli uni o gli altri di averne innescato il moto, allora la velocità stessa del vortice accelera, fino a travolgere tutto: i fini perversi come le buone intenzioni, i torti e le ragioni, i giusti e i malvagi, i sommersi e i salvati.

«Non c’è giustificazione né religiosa né umana» per simili atti, ha proclamato con voce rotta papa Francesco.

Perché la religione non implica guerra e morte violenta, mentre la ragione umana è contraddetta alla radice dalla negazione dell’umanità del proprio simile. Rispondere da esseri umani e da credenti a gesti disumani e contrari alla religione implica allora il ripudio dell’«occhio per occhio» e il fondare i nostri gesti su ciò che è giusto e retto, su ciò che la dignità dell’uomo e la volontà di Dio mostrano al nostro intimo come fonte di shalom, di pace e vita piena. E non cedere alla logica della morte che invoca altra morte.

Il giorno dello scoppio della seconda guerra mondiale, così scriveva il poeta Wystan Auden: «Senza difesa il nostro mondo / giace sotto la notte attonito; / eppure, accesi ovunque, / ironici punti di luce / lampeggiano là dove i Giusti / si scambiano i loro messaggi: / oh, che io possa, composto come loro / d’Eros e di polvere, / assediato dalla medesima / negazione e disperazione, / mostrare una fiamma affermativa».

Ecco, possano i nostri silenzi oranti, le nostre parole accorate, le nostre azioni meditate, le nostre vite donate mantenere acceso un lucignolo affermativo, così che altri possano a loro volta mostrare una fiamma di speranza. «Se questo è un uomo», invitava a chiederci Primo Levi nel baratro del disumano: non rassegniamoci a ripetere la stessa domanda dopo settant’anni e altri milioni di morti di una tragica guerra a puntate.

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il vescovo che parla come Salvini: “Putin sì che ha le palle”!

un giornalista di ‘la nuova Ferrara’ così commenta la sorpresa e lo scandalo per le parole e la posizione guerrafondaia del vescovo di Ferrara:

“santità, la Chiesa è un casino”

 

il vescovo Luigi Negri nell’intervista a Panorama conferma la linea apocalittica

il commento più brusco e mattiniero che ieri è atterrato in redazione è stato questo: «Ma chi è che ispira all’arcivescovo di Ferrara tali concetti? Filippo Maria Manvüller?». Quest’ultimo signore è l’addetto stampa del gruppo regionale della Lega Nord e quindi dell’amministrazione di Bondeno. Ma nulla c’entra. È tutta farina del sacco di sua eccellenza, com’è la frase che presa di peso dall’intervista data a Stefano Lorenzetto di Panorama, pari pari: «Nel panorama di silenzio connivente e di iniziative inconcludenti, l’unico che ha gli attributi, devo ammetterlo con profonda vergogna, è Vladimir Putin».

Capito? Con “profonda vergogna”, perché lui è un consacrato cattolico di rito ambrosiano (milanese) e Putin è nazionalista, zarista, ex comunista, ex Kgb, ortodosso e facile alle maniere forti. Il concetto del presule si far ancor più anatomico quando immagina «un’operazione vigorosa e mirata contro il Califfato… Ma per promuoverla servono testa e palle». Questa si chiama chiarezza virile.

Monsignor Luigi Negri se la prende con l’Occidente molle e incerto sul che fare contro l’Is. Ha lo stesso punto di vista che fu del Berlusconi in sella e del Salvini galoppante. Letta l’intervista, ho telefonato all’arcivescovo mentre il campanile rosa e bianco di Ferrara annunciava il mezzogiorno. Gli ho chiesto se, considerata la sua età (gli manca un anno alle dimissioni canoniche) e alla piega che ha preso Santa Romana Chiesa col pontificato di Bergoglio, non abbia deciso di prendersi ogni libertà. E sparare sullo sparabile. La risposta è come sempre pronta e affilata: «Ma che dice? Si tratta di libertà. E la libertà è una dimensione strutturale, non nasce e nemmeno cresce. Io sono sempre stato libero».

E si sente. Si legge, quando nell’intervista accende tutte le spie rosse possibili: dal fondamentalismo islamico fino alle quattro logge massoniche, più una femminile, attive nella piccola Ferrara. E poi dalla sua elencazione dei nemici del mondo e quindi del cristianesimo in purezza: la massoneria mondiale, l’economia anglo-cinese-nipponica e il fondamentalismo islamico. L’elenco di Negri ha qualche consonanza con la sentenza mussoliniana contro il jazz: “musica degenerata”.

Perché Negri neanche in quest’ultima intervista contraddice il suo essere un “implacabile propugnatore dell’ortodossia”. E confessa che se non avesse fatto il prete gli sarebbe piaciuto diventare un generale.

Ecco, Negri è un gendarme. E utilizza un linguaggio che non sarebbe consonante con quello che tutti, o quasi, definiamo clericalmente corretto. Addirittura a tu per tu col suo amatissimo Benedetto XVI negli anni dell’episcopato di San Marino-Montefeltro, Negri non ha esitato a dipingere i tempi difficili della Chiesa contemporanea come “un casino”. Negri – attenti bene – è finissimo. Usò il termine casino come parola contrapposta a ordine. E infatti la Chiesa dovrebbe essere un “ordo”, un ordine intellettuale, morale, esistenziale, sociale. Testuale: «Lo ricordai a Benedetto XVI. “È vero”, annuì. E io aggiunsi: ma la Chiesa oggi non è un “ordo”, è un casino».

E, neanche farlo apposta, il botta e risposta di Negri con Lorenzetto fa sfavillare quell’altro rapporto che l’arcivescovo ha-non-ha con Papa Bergoglio. Conferma di avergli parlato per pochi secondi, due volte, a margine di assemblee generali della Cei. Il giornalista lo incalza e lo provoca. Gli ricorda che eppure Francesco ha trovato il tempo per telefonare a Pannella e alla Bonino e di ricevere in udienza un trans spagnolo accompagnato dalla fidanzata. La libertà di Negri è incommensurabile e sottile: «Chi sono io per giudicare il Papa?».

Nell’intervista non mancano le botte a destra e a manca dentro il teatro politico, le critiche garbate a Renzi, e poi al mondo. È dentro questa trincea universale che Negri puntualmente sfodera la sua cultura e i suoi timori (nella città che fu di Savonarola e in un palazzo dov’è stretto fra le lapidi che fanno memoria di Copernico studente ferrarese e di Ferrara liberata dal giogo papalino).

Indubbiamenti l’arcivescovo è apocalittico. Fa un riferimento circostanziato al testo di Benson, anno 1907: «Lì dentro c’è tutto. La confederazione mondiale retta dall’Anticristo, il consenso entusiasta dei sudditi, l’edonismo sfrenato, il pacifismo, il relativismo, l’eutanasia, perfino i cibi artificiali… fino al bombardamento del Vaticano per annientare l’ultimo bastione in grado di fermare il nuovo padrone».

Non invento l’acqua calda e nemmeno santa, se in questa concezione l’arcivescovo Negri proietta anche la sua missio pastorale in terra ferrarese-comacchiese, partendo dalla sua persuasione che la società tutta «è contraria alla Chiesa, c’è poco da fare».

Da questa atmosfera da assedio e in forza del suo carattere da pugile di Dio ogni tanto – cioè ogni sempre – Negri sferra pugni localnazionali. A partire dalla suo primo match mai esaurito contro la movida e il “bordello a cielo aperto” sotto le sue finestre, sino alle recentissime due lettere in un sol giorno e in un sol colpo. Materiale documentale fresco, solo del 26 ottobre scorso. Una diffida preti e fedeli da credere o voler applicare i temi del Sinodo sulla Famiglia, ovvero comunione ai divorziati, perché Francesco non ha mai decretato al riguardo. La seconda è sull’attività di alcune sette sataniche nel Ferrarese. Territorio e gente che in diverse circostanze Negri ha tentato e tenta di mettere alle corde, scuotere dal tradizionalismo in nome del quale niente e nulla si può cambiare: abbiamo sempre fatto così… E sentirlo dire da sua eccellenza – che nel corridoio del suo appartamento ostenta una riproduzione dell’entrata dell’imperatore Carlo V e papa Clemente VII a Bologna – ha dell’incredibile.

Probabilmente Negri ha anche la capacità di schivare i colpi, anche quelli bassi. Il primo che mi viene in mente è quello dell’addio dell’arcivescovo Caffarra alla sede cardinalizia (lo sarà ancora?) di Bologna. Una sponda conservatrice fondamentale per Negri. Arriva Zuppi, che conservatore davvero non è, anzi è il contrario di Caffarra. Nell’intervista viene chiesto a Negri se pensando a che cosa sta mutando a Bologna gli fischino le orecchie, risponde: «A me no. Spero che non fischino a monsignor Zuppi».

Non si lascia mettere all’angolo nemmeno quando gli viene posta davanti la centrale di tanti guai: la riforma della banca vaticana, lo Ior. Non si scompone utilizzando il meglio di una componente esemplare del modello ecclesiastico. Si chiama dissimulazione. Eccola qua: «Della riforma della banca non m’importa un accidenti. Io devo spiegare tutti i giorni alla mia gente perché vale ancora la pena di essere cristiani». E lo fa con i guantoni. Una domanda gliela facciamo noi: perché non scende n piazza, la sera, dentro la bolgia, a mani nude?

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