il vescovo che parla come Salvini: “Putin sì che ha le palle”!

un giornalista di ‘la nuova Ferrara’ così commenta la sorpresa e lo scandalo per le parole e la posizione guerrafondaia del vescovo di Ferrara:

“santità, la Chiesa è un casino”

 

il vescovo Luigi Negri nell’intervista a Panorama conferma la linea apocalittica

il commento più brusco e mattiniero che ieri è atterrato in redazione è stato questo: «Ma chi è che ispira all’arcivescovo di Ferrara tali concetti? Filippo Maria Manvüller?». Quest’ultimo signore è l’addetto stampa del gruppo regionale della Lega Nord e quindi dell’amministrazione di Bondeno. Ma nulla c’entra. È tutta farina del sacco di sua eccellenza, com’è la frase che presa di peso dall’intervista data a Stefano Lorenzetto di Panorama, pari pari: «Nel panorama di silenzio connivente e di iniziative inconcludenti, l’unico che ha gli attributi, devo ammetterlo con profonda vergogna, è Vladimir Putin».

Capito? Con “profonda vergogna”, perché lui è un consacrato cattolico di rito ambrosiano (milanese) e Putin è nazionalista, zarista, ex comunista, ex Kgb, ortodosso e facile alle maniere forti. Il concetto del presule si far ancor più anatomico quando immagina «un’operazione vigorosa e mirata contro il Califfato… Ma per promuoverla servono testa e palle». Questa si chiama chiarezza virile.

Monsignor Luigi Negri se la prende con l’Occidente molle e incerto sul che fare contro l’Is. Ha lo stesso punto di vista che fu del Berlusconi in sella e del Salvini galoppante. Letta l’intervista, ho telefonato all’arcivescovo mentre il campanile rosa e bianco di Ferrara annunciava il mezzogiorno. Gli ho chiesto se, considerata la sua età (gli manca un anno alle dimissioni canoniche) e alla piega che ha preso Santa Romana Chiesa col pontificato di Bergoglio, non abbia deciso di prendersi ogni libertà. E sparare sullo sparabile. La risposta è come sempre pronta e affilata: «Ma che dice? Si tratta di libertà. E la libertà è una dimensione strutturale, non nasce e nemmeno cresce. Io sono sempre stato libero».

E si sente. Si legge, quando nell’intervista accende tutte le spie rosse possibili: dal fondamentalismo islamico fino alle quattro logge massoniche, più una femminile, attive nella piccola Ferrara. E poi dalla sua elencazione dei nemici del mondo e quindi del cristianesimo in purezza: la massoneria mondiale, l’economia anglo-cinese-nipponica e il fondamentalismo islamico. L’elenco di Negri ha qualche consonanza con la sentenza mussoliniana contro il jazz: “musica degenerata”.

Perché Negri neanche in quest’ultima intervista contraddice il suo essere un “implacabile propugnatore dell’ortodossia”. E confessa che se non avesse fatto il prete gli sarebbe piaciuto diventare un generale.

Ecco, Negri è un gendarme. E utilizza un linguaggio che non sarebbe consonante con quello che tutti, o quasi, definiamo clericalmente corretto. Addirittura a tu per tu col suo amatissimo Benedetto XVI negli anni dell’episcopato di San Marino-Montefeltro, Negri non ha esitato a dipingere i tempi difficili della Chiesa contemporanea come “un casino”. Negri – attenti bene – è finissimo. Usò il termine casino come parola contrapposta a ordine. E infatti la Chiesa dovrebbe essere un “ordo”, un ordine intellettuale, morale, esistenziale, sociale. Testuale: «Lo ricordai a Benedetto XVI. “È vero”, annuì. E io aggiunsi: ma la Chiesa oggi non è un “ordo”, è un casino».

E, neanche farlo apposta, il botta e risposta di Negri con Lorenzetto fa sfavillare quell’altro rapporto che l’arcivescovo ha-non-ha con Papa Bergoglio. Conferma di avergli parlato per pochi secondi, due volte, a margine di assemblee generali della Cei. Il giornalista lo incalza e lo provoca. Gli ricorda che eppure Francesco ha trovato il tempo per telefonare a Pannella e alla Bonino e di ricevere in udienza un trans spagnolo accompagnato dalla fidanzata. La libertà di Negri è incommensurabile e sottile: «Chi sono io per giudicare il Papa?».

Nell’intervista non mancano le botte a destra e a manca dentro il teatro politico, le critiche garbate a Renzi, e poi al mondo. È dentro questa trincea universale che Negri puntualmente sfodera la sua cultura e i suoi timori (nella città che fu di Savonarola e in un palazzo dov’è stretto fra le lapidi che fanno memoria di Copernico studente ferrarese e di Ferrara liberata dal giogo papalino).

Indubbiamenti l’arcivescovo è apocalittico. Fa un riferimento circostanziato al testo di Benson, anno 1907: «Lì dentro c’è tutto. La confederazione mondiale retta dall’Anticristo, il consenso entusiasta dei sudditi, l’edonismo sfrenato, il pacifismo, il relativismo, l’eutanasia, perfino i cibi artificiali… fino al bombardamento del Vaticano per annientare l’ultimo bastione in grado di fermare il nuovo padrone».

Non invento l’acqua calda e nemmeno santa, se in questa concezione l’arcivescovo Negri proietta anche la sua missio pastorale in terra ferrarese-comacchiese, partendo dalla sua persuasione che la società tutta «è contraria alla Chiesa, c’è poco da fare».

Da questa atmosfera da assedio e in forza del suo carattere da pugile di Dio ogni tanto – cioè ogni sempre – Negri sferra pugni localnazionali. A partire dalla suo primo match mai esaurito contro la movida e il “bordello a cielo aperto” sotto le sue finestre, sino alle recentissime due lettere in un sol giorno e in un sol colpo. Materiale documentale fresco, solo del 26 ottobre scorso. Una diffida preti e fedeli da credere o voler applicare i temi del Sinodo sulla Famiglia, ovvero comunione ai divorziati, perché Francesco non ha mai decretato al riguardo. La seconda è sull’attività di alcune sette sataniche nel Ferrarese. Territorio e gente che in diverse circostanze Negri ha tentato e tenta di mettere alle corde, scuotere dal tradizionalismo in nome del quale niente e nulla si può cambiare: abbiamo sempre fatto così… E sentirlo dire da sua eccellenza – che nel corridoio del suo appartamento ostenta una riproduzione dell’entrata dell’imperatore Carlo V e papa Clemente VII a Bologna – ha dell’incredibile.

Probabilmente Negri ha anche la capacità di schivare i colpi, anche quelli bassi. Il primo che mi viene in mente è quello dell’addio dell’arcivescovo Caffarra alla sede cardinalizia (lo sarà ancora?) di Bologna. Una sponda conservatrice fondamentale per Negri. Arriva Zuppi, che conservatore davvero non è, anzi è il contrario di Caffarra. Nell’intervista viene chiesto a Negri se pensando a che cosa sta mutando a Bologna gli fischino le orecchie, risponde: «A me no. Spero che non fischino a monsignor Zuppi».

Non si lascia mettere all’angolo nemmeno quando gli viene posta davanti la centrale di tanti guai: la riforma della banca vaticana, lo Ior. Non si scompone utilizzando il meglio di una componente esemplare del modello ecclesiastico. Si chiama dissimulazione. Eccola qua: «Della riforma della banca non m’importa un accidenti. Io devo spiegare tutti i giorni alla mia gente perché vale ancora la pena di essere cristiani». E lo fa con i guantoni. Una domanda gliela facciamo noi: perché non scende n piazza, la sera, dentro la bolgia, a mani nude?

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