porpora cardinalizia rossa per la vergogna … le amare riflessioni di Vitaliano Della Sala


rosso porpora

 di vergogna

tratto da: Adista Notizie n° 39 del 14/11/2015

Ancora Vatileaks. Ancora documenti trafugati in Vaticano che raccontano di scandali, cupidigia, speculazioni, ipocrisia, mancanza di carità. Un cardinale dovrebbe essere un “cardine” su cui poggia la Chiesa, uno dei prescelti a testimoniare il Vangelo fino all’estremo, fino al sangue, rappresentato dalla porpora che indossa; è un “principe” della Chiesa, ma essere principe nella Chiesa è diverso da essere potenti nel mondo: significa essere uno dei prìncipi di quel re, Gesù Cristo, che si è chinato a lavare i piedi ai suoi discepoli, prima di morire in croce.

Invece apprendiamo che molti cardinali assomigliano più a prìncipi mondani che a testimoni di Cristo; pavoneggiandosi nelle loro ricche porpore, hanno trasformato il Vaticano in una “spelonca di ladri”, usano le canonizzazioni per accumulare ricchezze, rubano i soldi destinati ai poveri.

Viene da chiedersi se questi cardinaloni appartengano alla stessa Chiesa della vecchietta che dona la sua offerta per l’obolo di san Pietro, togliendola dalla misera pensione, o del fedele che firma per destinare il suo 8 per mille alla Chiesa cattolica, perché lo spenda nel migliore dei modi. Anch’io mi sono più volte chiesto, indignato, se questi lupi travestiti da prelati appartengano alla mia stessa Chiesa: faccio i salti mortali per custodire e preservare le cinque antiche chiese presenti nel territorio della mia parrocchia, piene di opere d’arte da restaurare; cerco di racimolare soldi, in tutti i modi leciti, per pagare fitti, bollette e pacco alimentare alle tante famiglie in difficoltà che bussano alla porta della parrocchia; 150 bambini frequentano l’oratorio e durante l’inverno non possono usare il campo di calcetto perché non troviamo i soldi per coprirlo. E sono convinto che la maggior parte dei parroci del Sud Italia stiano nelle mie stesse condizioni.

È di un’attualità sconvolgente quanto scriveva don Lorenzo Milani a don Ezio Palombo il 29 aprile 1955: «Vengono onorati e elevati i preti che si distinguono nelle più corruttive attività e vengono destituiti i santi». Forse sono ingenuo, ma perché non cominciare ad immaginare una sorta di rotazione, se non tra vertici e base della Chiesa, almeno tra i suoi dirigenti apicali? Sarebbe bello se un cardinale o un vescovo, dopo alcuni anni di impegno ai vertici della Santa Sede andasse, o tornasse, a svolgere il proprio servizio in una diocesi.

Invece è triste pensare che il vero scontro ai vertici della gerarchia quasi immobile e inamovibile della Chiesa cattolica, non sia solo tra conservatori e progressisti, ma tra questi e i potenti vestiti da vescovi e cardinali, che non vogliono cedere né mettere in discussione il proprio potere, che anzi cercano di accrescere con ogni mezzo. Allora ben vengano queste rivelazioni giornalistiche che – lo spero tanto – alcuni sostengono essere i primi effetti della “rivoluzione” di papa Francesco di cui tanto si parla.

Nel XIII secolo lo scontro tra la Chiesa dei “poveri in spirito”, rappresentata da san Francesco, e quella del potere, rappresentata da papa Innocenzo III, si risolse in una sorta di tregua precaria. Morto il santo di Assisi, infatti, lo scontro si riaccese in modo sempre più cruento: il sangue era quello dei poveri e di chi li difendeva, schiacciati dalla maggior parte della gerarchia che, invece, pensava ad accumulare sempre più potere e ricchezze. Il potere, che forse per un momento solo era sembrato scosso dalle scelte evangeliche di Francesco, dopo di lui trionfa, come sempre, vendicativo e spavaldo più che mai. Resta l’esempio concreto del giullare di Dio, che comunque attraverserà tutta la storia. C’è da chiedersi se adesso che in Vaticano Francesco sembra aver preso il posto di Innocenzo, le scelte del poverello di Assisi possano finalmente diventare il programma del pontificato di un papa. Ce lo auguriamo in tanti. Ben sapendo – e lo sa bene anche papa Francesco – che scrostando e liberando il volto evangelico della Chiesa dal marciume, questo apparirà ancora più schifoso. Ma non bisogna aver paura della verità: anche il pavone quando apre la sua splendida coda diventa bellissimo, ma … necessariamente mostra il culo.

Vitaliano Della Sala è amministratore parrocchiale a Mercogliano (Av)

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G. Ferrara fa la ramanzina a papa Francesco e gli insegna a fare il papa

 il Papa e i faraoni della Curia

Francesco critica i vescovi che spendono

“ma un trattamento grillino della chiesa è una cattiva idea. Il denaro non serve solo a fare l’elemosina, e il diavolo spesso usa mezzi pauperistici per farsi sentire”

di seguito la ramanzina che con piglio deciso e spavaldo, e con posa tanto più spavalda quanto più si accorge che dalla penna gli escono parole e giudizi e valutazioni cui egli stesso deve faticare per credere sensati, e ciò appunto per superare dentro di sé illogicità, assurdità e contraddizioni rispetto alla semplice e inequivoca proposta evangelica … 

di Giuliano Ferrara

Ferrara

Non mi rassegno all’idea che un Papa possa sbagliare. Sono irrazionale? Sì, lo sono. Non m’importa che la celebre pierre sia stata nominata con un chirografo, atto solenne di mano del Pontefice. Me ne infischio se nell’Opus Dei, prelatura personale del Papa secondo san Giovanni Paolo II, si poteva pescare di meglio che non monsignor Vallejo Balda. Lascio volentieri ai laicisti di pensare che un’istituzione mezzo umana e mezzo divina meriti l’orgia del pettegolezzo, i cardinali che si mordono gli uni gli altri (come disse Benedetto citando un padre della chiesa), polemiche da buggigattolo sanpietrino, che disonorano una grande e fatale tomba, o da Curia castale e lebbrosa. Considero gesti commerciali e malizie editoriali i libri fondati sul trafugamento proditorio di carte riservate e sul loro montaggio scandaloso all’insegna di Mafia Vaticana. Secondo me un cardinale alto uno e novanta, di centotrenta chili, tra i settanta e gli ottanta, posto che lavori bene e sia uomo di Dio, può benissimo viaggiare in business class, via. Credo alla metà della metà, come per il sesso i soldi e la santità, a tutte queste dicerie bellettristiche e fasulle

Però e perciò scongiuro umilmente Francesco, dalla mia cattedra di non credente, a quanto pare l’unica tipologia accademica rimasta in piedi nella chiesa post teologica e pastorale, di non fare sparate contro i preti che vivono come faraoni, di non considerare il denaro come sterco del demonio (lo è, in parte, ma il demonio ha molti altri mezzi, anche superbamente pauperistici, per farsi sentire), di non portare all’incandescenza profetica o apocalittica, decidete voi, la sua crociata francescana per una chiesa povera e dei poveri. Eliminare i lussi dalla vita del clero romano e di altri settori altrettanto sbrilluccicanti in tutto il mondo, è buona cosa.

Pastoralizzare la chiesa, come si pastorizza il latte per disinfettarlo e metterlo in sicurezza esponendolo ad alte temperature, va bene. Ma un trattamento grillino della chiesa, dopo quello scalfariano della dottrina, è una cattiva idea.

Intanto Francesco, l’alter Christus, agiva dal basso di un mondo infinitamente diverso da quello moderno. Francesco, il Papa che a lui si ispira secondo modelli ignaziani, sa meglio di chiunque altro che tra il poverello e noi c’è di mezzo il Cinquecento, la Riforma, la nascita del mondo moderno, grazie anche ai gesuiti. I poverelli scalzi e in saio possono ricostruire la chiesa con la testimonianza, salvo approfondimenti spirituali e storici della faccenda, ma i Papi la chiesa devono governarla. E se il suo santo programma pontificale è letteralmente “rimettere la chiesa all’onor del mondo”, seguendo la via di un individualismo mistico, di uno svuotamento al cospetto di un Dio misericordioso che perdona attraverso il sacrificio del suo unico Figlio, programma sacro in sé, i mezzi impiegati per realizzarlo non possono confondersi con le falsità dissacranti del pauperismo, dello scandalismo, dell’importazione nella madre e maestra dei credenti dei metodi facilisti dell’antipolitica laica, che oggi è una religione dell’irreligione pronta a divorare la riforma o rivoluzione di Francesco con il suo spiritaccio canaille e anticristico.

Sono papista, non curiale. Me ne sono sempre straimpipato delle cordate, delle lobby, degli umani troppo umani di quell’istituzione così fatalmente romana. Ma non posso sopportare un linguaggio scadente, la convergenza con la linguacciuta e delatoria tendenza a vedere mali mondani anche dove non ci sono. Se un giornale romano divenuto giornale di riferimento della rivoluzione di Francesco, come Repubblica, insiste sul fatto che Bertone vive come un faraone, ride dei bambini malati del Bambin Gesù, insomma il male assoluto, e poi porta come prove quattro fregnacce imprecise e calunniatrici, il capo della Santa Sede, autorità civile e morale oltre che spirituale, deve reagire con severità. Faccia una telefonata a Mauro, per una volta salti il colloquio di conversione con il grande spinoziano. A me Bertone non è mai piaciuto nonostante fosse stato scelto da un Papa che amavo incondizionatamente per il suo pensiero teologico; me lo ricordo da Vespa che insieme al vecchio Andreotti attribuiva ai trafficanti di droga, invece che a Yuri Andropov e al suo pistolero inabile, il destino del Papa Giovanni Paolo sotto attentato; mi ricordo quanto leccaculismo lo circondava, tra una cenetta e l’altra, tra un incarico e l’altro, tra quelli, e non faccio i nomi per carità di patria ecclesiastica, che ora si affollano sotto i patiboli mediatici tollerati da Francesco. Ma non si sgozzano i cardinali sulla pubblica piazza, se si voglia un po’ di bene alla chiesa com’è, com’è stata e come sarà sempre.

Il denaro non serve solo a fare l’elemosina, questa è un’utopia regressiva. Il denaro è un mezzo decisivo di comunicazione tra gli umani, da sempre, e non c’è bisogno di tornare a una chiesa costantiniana e al regime di cristianità per capire che il denaro serve a garantire l’indipendenza dell’istituzione, la libertas ecclesiae, oltre che il funzionamento delle opere misericordiose che costituiscono il grosso delle spese e degli investimenti della casa madre in tutto il mondo. La chiesa certo è spossessamento, in ogni senso, certe cose non devono essere tollerate dalla gerarchia e dal suo custode, ma il denaro come facoltà e facoltosità ha commissionato le grandi opere di Michelangelo e tutto il resto, cose che Francesco per primo riconosce come patrimonio non della sola chiesa ma dell’umanità. La storia non deve essere semplificata e compressa in interviste da teologia del popolo che possono compiacere un’immaginetta che il mondo è pronto a idolatrare, il santino così poco laico di una chiesa spoglia di influenza e di potere se non spirituali. Questo potere e questa influenza c’è chi se li andrà a cercare negli interstizi e negli spazi lasciati vuoti dalla cultura di impianto cristiano e occidentale. Lo spirito va e viene dove vuole, anche nella cassetta delle indulgenze e nelle opere costose della misericordia o nella creazione di un mondo divino parallelo, quello delle immagini e delle opere d’arte. La chiesa è padrona di niente, è operaia dello spirito, è evangelica, d’accordo, ovvio, ma la sua dignità povera e per i poveri non sopporta gli ipocriti arabeschi, questi sì farisaici nel senso peggiore del termine, dei populismi d’accatto e delle guerre intestine all’insegna della logica anti istituzionale. Magari mi sbaglio, ma per me è così.

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