il ‘patto delle catacombe’ compie 50 anni

Patto delle Catacombe. Chiesa povera e dei poveri

‘il patto delle catacombe’ 

chiesa povera e dei poveri

in occasione del suo 50° anniversario (che cade il 16 novembre)  riproponiamo il testo del ‘Patto delle Catacombe’

in calce i nomi dei firmatari

 Noi, vescovi riuniti nel Concilio Vaticano II, illuminati sulle mancanze della nostra vita di povertà secondo il Vangelo; sollecitati vicendevolmente ad una iniziativa nella quale ognuno di noi vorrebbe evitare la singolarità e la presunzione; in unione con tutti i nostri Fratelli nell’Episcopato, contando soprattutto sulla grazia e la forza di Nostro Signore Gesù Cristo, sulla preghiera dei fedeli e dei sacerdoti della nostre rispettive diocesi; ponendoci col pensiero e la preghiera davanti alla Trinità, alla Chiesa di Cristo e davanti ai sacerdoti e ai fedeli della nostre diocesi; nell’umiltà e nella coscienza della nostra debolezza, ma anche con tutta la determinazione e tutta la forza di cui Dio vuole farci grazia, ci impegniamo a quanto segue.

– Cercheremo di vivere come vive ordinariamente la nostra popolazione per quanto riguarda l’abitazione, l’alimentazione, i mezzi di locomozione e tutto il resto che da qui discende. Cfr. Mt 5,3; 6,33s; 8,20.

– Rinunciamo per sempre all’apparenza e alla realtà della ricchezza, specialmente negli abiti (stoffe ricche, colori sgargianti), nelle insegne di materia preziosa (questi segni devono essere effettivamente evangelici). Cfr. Mc 6,9; Mt 10,9s; At 3,6. Né oro né argento.

– Non possederemo a nostro nome beni immobili, né mobili, né conto in banca, ecc.; e, se fosse necessario averne il possesso, metteremo tutto a nome della diocesi o di opere sociali o caritative. Cfr. Mt 6,19-21; Lc 12,33s.

– Tutte le volte che sarà possibile, affideremo la gestione finanziaria e materiale nella nostra diocesi ad una commissione di laici competenti e consapevoli del loro ruolo apostolico, al fine di essere, noi, meno amministratori e più pastori e apostoli. Cf. Mt 10,8; At. 6,1-7.

– Rifiutiamo di essere chiamati, oralmente o per scritto, con nomi e titoli che significano grandezza e potere (Eminenza, Eccellenza, Monsignore…). Preferiamo essere chiamati con il nome evangelico di Padre. Cfr. Mt 20,25-28; 23,6-11; Jo 13,12-15.

– Nel nostro comportamento, nelle nostre relazioni sociali, eviteremo quello che può sembrare un conferimento di privilegi, priorità, o anche di una qualsiasi preferenza, ai ricchi e ai potenti (es. banchetti offerti o accettati, nei servizi religiosi). Cf. Lc 13,12-14; 1Cor 9,14-19.

– Eviteremo ugualmente di incentivare o adulare la vanità di chicchessia, con l’occhio a ricompense o a sollecitare doni o per qualsiasi altra ragione. Inviteremo i nostri fedeli a considerare i loro doni come una partecipazione normale al culto, all’apostolato e all’azione sociale. Cf. Mt 6,2-4; Lc 15,9-13; 2Cor 12,4.

– Daremo tutto quanto è necessario del nostro tempo, riflessione, cuore, mezzi, ecc., al servizio apostolico e pastorale delle persone e dei gruppi laboriosi ed economicamente deboli e poco sviluppati, senza che questo pregiudichi le altre persone e gruppi della diocesi. Sosterremo i laici, i religiosi, i diaconi e i sacerdoti che il Signore chiama ad evangelizzare i poveri e gli operai condividendo la vita operaia e il lavoro. Cfr. Lc 4,18s; Mc 6,4; Mt 11,4s; At 18,3s; 20,33-35; 1 Cor 4,12 e 9,1-27.

– Consci delle esigenze della giustizia e della carità, e delle loro mutue relazioni, cercheremo di trasformare le opere di “beneficenza” in opere sociali fondate sulla carità e sulla giustizia, che tengano conto di tutti e di tutte le esigenze, come un umile servizio agli organismi pubblici competenti. Cfr. Mt 25,31-46; Lc 13,12-14 e 33s.

– Opereremo in modo che i responsabili del nostro governo e dei nostri servizi pubblici decidano e attuino leggi, strutture e istituzioni sociali necessarie alla giustizia, all’uguaglianza e allo sviluppo armonico e totale dell’uomo tutto in tutti gli uomini, e, da qui, all’avvento di un altro ordine sociale, nuovo, degno dei figli dell’uomo e dei figli di Dio. Cfr. At 2,44s; 4,32-35; 5,4; 2Cor 8 e 9 interi; 1Tim 5, 16.

– Poiché la collegialità dei vescovi trova la sua più evangelica realizzazione nel farsi carico comune delle moltitudini umane in stato di miseria fisica, culturale e morale – due terzi dell’umanità – ci impegniamo: a contribuire, nella misura dei nostri mezzi, a investimenti urgenti di episcopati di nazioni povere; a richiedere insieme agli organismi internazionali, ma testimoniando il Vangelo come ha fatto Paolo VI all’Onu, l’adozione di strutture economiche e culturali che non fabbrichino più nazioni proletarie in un mondo sempre più ricco che però non permette alle masse povere di uscire dalla loro miseria.

– Ci impegniamo a condividere, nella carità pastorale, la nostra vita con i nostri fratelli in Cristo, sacerdoti, religiosi e laici, perché il nostro ministero costituisca un vero servizio; così: ci sforzeremo di “rivedere la nostra vita” con loro;  formeremo collaboratori che siano più animatori secondo lo spirito, che capi secondo il mondo; cercheremo di essere il più umanamente presenti, accoglienti…; saremo aperti a tutti, qualsiasi sia la loro religione. Cfr. Mc 8,34s; At 6,1-7; 1Tim 3,8-10.

Tornati alle nostre rispettive diocesi, faremo conoscere ai nostri fedeli la nostra risoluzione, pregandoli di aiutarci con la loro comprensione, il loro aiuto e le loro preghiere.

Aiutaci Dio ad essere fedeli

patto delle catacombe

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lo jihadista si racconta

“io jihadista, vi racconto la mia  guerra santa contro gli infedeli”

il tunisino Abu Rahman si è arruolato con Al Qaeda prima in Iraq e ora in Siria:

“Uccido nel nome di Dio per dovere e non per scelta. Così aiuto i fratelli musulmani”

un gruppo di miliziani jihadisti a Idlib, Siria

di DOMENICO QUIRICO
(inviato a Tunisi)

Abu Rahman è un jihadista, un professionista della guerra santa. Sono gli uomini che nella violenza stanno scardinando un mondo, e che noi non conosciamo, riempiono i giornali le televisioni la Rete, e non li conosciamo. Ci prepariamo a combatterli, forse, e non li conosciamo. Abu Rahman mi ha portato la notizia della morte di un combattente che ho incontrato, Adel Ben Mabrouk, guardia del corpo di Bin Laden, otto anni a Guantanamo, ucciso accanto a lui in Siria. Non lo sentivo da due anni. La morte è un destino che non perdona questi uomini. Abu Rahman si nasconde, rischia la prigione nel Paese dove è tornato. Ha un solo amore, il suo dio inflessibile sottratto ad ogni dubbio, che gli offre trasparenza e semplicità, molti odi, gli sciiti prima di tutto, gli eretici e poi gli americani. Vive in una memoria ossessiva dove predomina una guerra di tutto contro tutti, e il tradimento. È il ritratto più vero della Siria di oggi che io abbia mai ascoltato: Bashar, i russi, l’America, il califfato, gli altri gruppi islamisti, nessuno è alleato con qualcuno, tutti sono nemici oggi o domani. Ecco il racconto della sua vita

«Sai, la sura dice: “recita, nel nome del tuo Signore, che ha creato, che ha creato l’uomo da un grumo di sangue”. Un grumo di sangue: hai capito? E allora perché avrei dovuto provar paura quando sono partito per la Siria? Bisogna andare ad aiutare i fratelli musulmani, la religione del vero, che patiscono di fronte a quei cani di sciiti infedeli… E poi avevo già combattuto in Iraq contro gli americani, le armi le so maneggiare. Dicono che noi guerrieri di dio siamo degli affamati, gente che cerca denaro e belle case… Beh, io sono commerciante, ho soldi, quando non tornerò più dalla guerra santa la mia famiglia, mia moglie e due figli piccoli, avrà di che vivere. Rimarrà di me un buon figlio che invocherà la misericordia per suo padre. Di che altro c’è bisogno?

Andarci… Non è difficile andare, ho preso l’aereo, Istanbul, poi Antalya, eravamo in tre o quattro, tunisini come me. Tutto è pronto sulla via che porta a Dio. C’era già il passeur, per entrare in Siria. Ma i poliziotti turchi ci hanno fermato. Dodici ore poi ci hanno lasciato andare, con tante scuse e sorrisi. Vedi? È Dio… All’inizio ero con un reggimento del gruppo Al Mouhajiroun, gli immigrati, turchi e arabi. Ci hanno dato le armi, ci hanno portato a combattere nella città di Selma, sulle montagne sopra Latakia. È un punto strategico quello, i soldati di Bashar non mollavano, stavano a duecento metri, non di più, da noi, ci si ammazzava guardandosi negli occhi. È un posto dove sunniti e alawiti vivevano insieme. Vivevano… Già. adesso non ci sono più alawiti, conoscevamo ad una ad una le case: qui un sunnita, qui un cane.. Qualcuno è scappato, gli altri…

IL RICORDO DEL PRIMO UOMO UCCISO

Che cosa provo ad uccidere? Vuoi sapere se ricordo chi ho ucciso per primo? In Iraq ho ammazzato il mio primo uomo, al tempo degli americani. Ho detto: grazie Dio, ti ringrazio perché hai guidato la mia mano. Continuo a ripeterlo.

Dopo quattro mesi in Siria sono passato alle “katibe” di jabhat Al Nusra, gli uomini di Al Qaeda. Perchè? Che domanda stupida! Quelli sono veri combattenti, i loro emiri sono grandi uomini, ecco perché! Guerrieri puri, i migliori, e dotti nell’Islam. In Siria è pieno di gruppi di banditi, gente che dice di essere musulmano e in realtà cerca denaro e traffici. Non ci sono pensieri impuri in quelli di Al Nusra.

DA MANGIARE SOLO ERBA

La jihad: è dura la jihad! Non c’era nulla da mangiare, spesso per giorni, eravamo assediati lì, abbiamo mangiato l’erba come le bestie e i frutti verdi degli alberi. Uno di noi era un contadino, ha piantato un piccolo orto. Per bere raccoglievamo l’acqua piovana. Fa freddo su quelle montagne, le montagne dei curdi dannati, freddo da morire e non avevamo vestiti pesanti. C’era una televisione in tutto il villaggio e quando non cadevano bombe si andava a vedere Al Jazeera. E i mortai… Come erano grandi i mortai dei soldati: bestie da 120 millimetri, sparavano tutto il giorno, ci facevano vedere la morte e noi non avevamo nulla da opporgli, una mitragliera da 23 millimetri che si inceppava sempre! E poi gli elicotteri e gli aerei che sganciavano i bidoni pieni di esplosivo…

IL TRADIMENTO CHE UCCIDE

Ma questo è niente, resistevamo. Quello che è terribile è il tradimento. I nostri emiri si riunivano in una casa, dopo pochi minuti arrivava una bomba precisa precisa! Si usciva di notte per una operazione, i soldati erano già lì che ci aspettavano! Tra noi c’erano spie, gente che i servizi di sicurezza, i Mukhabarat, del regime avevano lasciato prima di ritirarsi o infiltrato come falsi combattenti.

La zona di al Karrata… Lì sapevi che non potevi uscire vivo. Bombe bombe bombe. Quanti dei miei compagni sono morti! Nel loro cuore portavano una moschea splendente di Dio. Ali il Magrebino… lo amavano tutti, una granata gli ha portato via una gamba, così, di netto, mentre sparava stando in piedi, dritto, e il dolore gli ha spento il grido Allah akbar sulle labbra. È morto dissanguato, non avevamo garze, bende, nulla per tamponare la ferita. Usavamo erbe e rimedi tradizionali perché non c’erano medicine. 

E lì che è morto Adel Ben Mabrouk, il sopravvissuto di Guantanamo, accanto a me, a Durin, un villaggio che ci è costato tanti, troppi martiri, un posto maledetto, un pugno di case. Per niente, adesso l’hanno ripreso i soldati. Adel, lui che aveva baciato la mano allo sceicco Osama sulle montagne afgane, che aveva resistito otto anni a Guantanamo alle torture degli americani, lo ha preso un cecchino, in testa, in prima linea. Aveva appena annunciato che stava per sposarsi con una donna siriana, come molti di noi… Era felice. 

Seppellivamo i morti di notte a Durin, per sfuggire alle bombe, non potevamo nemmeno recitare la “fatiha’’ sulle tombe, sì la puoi recitare ovunque, lo so, ma sulle tombe assume un significato particolare… Abbiamo chiesto aiuto a quelli del gruppo di Ahrar el Cham, tutti siriani quelli, e hanno armi moderne, non vecchi kalashnikov. Ci hanno risposto no, ci hanno lasciato crepare, noi che siamo loro fratelli. Grazie a Dio ci siamo salvati.… Io so bene cosa è il tradimento… Quando sono andato in Iraq per battermi contro gli americani c’era ancora Saddam che comandava, volevano mettermi in una brigata che si chiamava «i martiri di Saddam». Noi sunniti siamo stati spediti a sud, a Karbala; gli americani avanzavano non c’era acqua né cibo, per Saddam dovevamo controllare gli sciti di cui non si fidava… quando tutto è crollato, in piccoli gruppi otto, dieci siamo scappati a Baghdad, ci hanno messi in un albergo, l’hotel Cedir, non si fidavano, tutto attorno crollava, ma attraverso le zone sunnite, Ramadi, Samara, Mosul, siamo riusciti ad arrivare in Siria. Chi vuole restare è libero, hanno detto i siriani e invece ci hanno spedito in Tunisia dove ci hanno arrestati. Mi ha liberato la rivoluzione contro Ben Ali.

 

LA JIHAD PRIMA DEI FIGLI

La jihad, la jihad sai per me è un dovere, non c’è scelta: la terra musulmana è in mano ai senza Dio, agli sciiti infami, la jihad viene prima dei figli del mangiare della casa del paese, devi combatterli con la parola i soldi le armi le leggi. Morire vivere… Parole, ci sono mujaheddin che combattono da 30 anni e sono ancora vivi altri che sono morti dopo un’ora… Decide Dio. Quello che voi occidentali non potete capire: avete perso la voglia di combattere per la fede, la religione per voi funziona come per me il commercio, ma quello che è importante per me, per noi, è essere puri nel momento in cui ci si separa da questo mondo, avere una fine felice. Tu saresti capace di avere una fine felice, rispondi? Io non sono sempre stato così pronto a Dio, ogni tanto la mia fede mi lascia, ma poi torna. E allora mi sento vivo e non più schiavo dell’occidente. Si combatte si uccide si muore. Voi occidentali siete più forti: per il denaro, i mezzi, le armi che avete. Ma proprio per questo avete paura di morire e volete vivere a tutti i costi. Noi no. Vedi la saggezza di Dio? Attraverso la debolezza lui ci rende più forti di voi. 

Nel giorno della resurrezione l’Onnipotente mi chiamerà a se: “Abu, hai assolto i tuoi doveri?”. “Mio dio, mi sono impegnato – gli risponderò – ho accettato di morire per te: tu sarai clemente allora…”.

Perché sono venuto via, perché non sono rimasto là a morire come Adel e gli altri? Perché è arrivato Isis. Ed è entrato l’odio tra noi. I loro capi non sono veri musulmani come noi, sono ex funzionari del Baath iracheno, ex ufficiali dell’esercito di Saddam. Non vogliono concorrenti, è impossibile cambiare idea, lasciarli: ti uccidono. Vicino ad Aleppo noi di Al Nusra abbiamo ceduto loro ventun villaggi che controllavamo: loro li hanno lasciati a Bashar. I loro emiri non sanno nulla del Corano, sono ignoranti e anche i combattenti sono giovani ignoranti affascinati dalla loro propaganda. Abbiamo litigato con loro, poi abbiamo anche combattuto. Ecco perché sono venuto via dalla Siria, non posso stare in un posto, morire, dove i sunniti, la gente di Dio, combatte non contro gli sciiti e gli americani ma tra di loro. Non so se tornerò, forse da un’altra parte. Voglio combattere perché nasca un governo islamico in Siria e dopo andremo a liberare la Palestina dai giudei. Nascono nuovi gruppi, si uniranno a noi, Jaich al Fatah, per esempio, si battono bene, c’è speranza, ma occorre essere uniti. I russi dici? Bombardano? Che importa. Noi combattiamo per una fede, loro no, perderanno»

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il commento al vangelo della domenica

 

IL FIGLIO DELL’UOMO RADUNERA’ I SUOI ELETTI DAI QUATTRO VENTI

commento al vangel odella domenica trentatreesima del tempo ordinario (15 novembre 2015) di p. Alberto Maggi: 

p. Maggi

Mc 13, 24-32

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo. Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».

Il capitolo 13 del Vangelo di Marco è estremamente complesso. L’evangelista ne è consapevole al punto che al versetto 14 dice “chi legge”, cioè il lettore, “capisca”. Vediamo allora di capire quello che l’evangelista ci trasmette. In quei giorni, dopo quella tribolazione… la tribolazione è stata la distruzione del tempio e di Gerusalemme, che Gesù ha annunziato. E qui Gesù, rifacendosi ai testi dei profeti, in particolare il profeta Isaia, usa il linguaggio profetico della caduta dei regimi oppressori. E dice Gesù: “Il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce”. Il sole e la luna in quella cultura erano divinità adorate dai popoli pagani. Quindi le divinità pagane perdono il loro splendore. Perché? Gesù prima aveva detto: “E’ necessario che il vangelo, la buona notizia, sia proclamata a tutti quanti”. Allora il 1 processo di liberazione che è iniziato con la caduta di Gerusalemme, comincia a dare effetti. L’annuncio della buona notizia con la luce, lo splendore del vero Dio, mette in ombra tutte le false divinità. Ecco gli effetti: “E le stelle cadranno dal cielo”. Cosa si intende per “stelle”? A quell’epoca tutti coloro che detenevano un potere, il re, l’imperatore, il faraone, si consideravano di condizione divina, per cui stavano metaforicamente nei cieli, considerati come stelle. Allora Gesù, attraverso l’evangelista, ci dice che tutti quei regimi, quei potenti, che basano il loro potere su false divinità, dal momento che c’è l’annuncio del vangelo di Gesù, queste false divinità perdono il loro splendore e queste stelle incominciano a cadere una dopo l’altra. Qui il riferimento di Gesù è all’oracolo contro Babilonia del profeta Isaia, dove il profeta contro il re di Babilonia dice: “Come mai sei caduto dal cielo, astro del mattino, figlio dell’aurora? Volevi dire ‘salirò nel cielo’ e invece sarai sprofondato negli inferi”. Quindi l’effetto positivo dell’annunzio della buona notizia di Gesù è che tutte le strutture di potere, ogni regime basato sul potere, cadrà per la liberazione dell’uomo. “E le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte”. Nei cieli, secondo l’evangelista, c’è il Padre, il figlio dell’Uomo e gli angeli. Le potenze sono poteri che usurpano la condizione divina, e incominciano ad essere sconvolte. Quindi Gesù assicura: “Allora vedranno”. Gesù non dice “vedrete”, ma “vedranno”. Chi è che vedrà? I potenti che cadono dal loro trono. “Il figlio dell’Uomo venire sulle nubi”. Le nubi indicano la condizione divina. “Con grande potenza e gloria”. Nel momento in cui le potenze sono sconvolte, le stelle incominciano a cadere, si manifesta la potenza e la gloria nel Figlio dell’Uomo. E Gesù aggiunge che “Egli manderà gli angeli”, cioè quanti lo hanno aiutato a realizzare la sua opera, “e radunerà i suoi eletti”. La caduta dei persecutori sarà il trionfo dei perseguitati. “Dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.” Tutto questo per un nuovo inizio. E poi Gesù continua: “Dalla pianta di fico”… Il fico già è apparso in questo vangelo come immagine del tempio, dell’istituzione religiosa che era tutto splendore ma niente frutto, tutto foglie e niente frutto. “Imparate la parabola”. E’ una parabola particolare, potremmo tradurre con “quella parabola”. Ma qual è la parabola? E’ quella che Gesù ha pronunziato contro l’istituzione religiosa, i sommi sacerdoti, è la parabola dei vignaiuoli omicidi ai quali Dio toglierà la vigna. “Quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi”… quindi Gesù si rivolge alla sua comunità … “quando vedrete accadere queste cose, sappiate che è vicino, è alle porte”. Che cosa è vicino? Che cosa è alle porte? Il regno di Dio. Nel momento che cade Gerusalemme e cade il tempio, questo grande ostacolo per andare a predicare la buona notizia anche ai pagani; dal momento che con l’annunzio della buona notizia tutti i poteri che si basano sul dominio, sullo sfruttamento dell’uomo incominciano a cadere, ecco che si inaugura il regno di Dio.  E Gesù rassicura: “In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga”. Sappiamo che la distruzione di Gerusalemme sarà nell’anno 70. La rovina di Gerusalemme permetterà l’entrata dei pagani nel regno di Dio. “Il cielo e la terra passeranno”, cioè tutto passerà, “ma le mie parole non passeranno”. Quindi la certezza assoluta che se la comunità annunzia e vive la buona notizia di Gesù, ogni sistema ingiusto, ogni sistema oppressore cadrà perché tutti i potenti, tutti i regimi hanno i piedi d’argilla e prima o poi sono destinati a cadere. E poi questo brano finisce con un’immagine di grande fiducia. “Quanto però a quel giorno”, è il giorno della morte di Gesù, “o a quell’ora”, l’ora della persecuzione e morte dei suoi discepoli, “nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre”. Cosa ci vuol dire Gesù? Non è importante conoscere il momento, ma sapere che è nelle mani del Padre. Quindi questa pagina si chiude con un invito a fidarsi pienamente dell’azione del Padre. Quindi è una pagina pienamente positiva, certamente non una pagina che tende a mettere paura alle persone, quanto a liberarle e soprattutto è una pagina che incoraggia la piccola comunità dei credenti che si trova impotente di fronte ai grandi regimi che governano il mondo.

 

 

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