l’incontro di papa Francesco col popolo rom: indimenticabile! non senza una sorprendente … delusione!

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tripudio di gioia zingara per papa Francesco in sala Nervipapa7

 

lunedì 26 ottobre alle ore dodici, anzi con più di mezz’ora di anticipo quasi a sottolineare il desiderio di affrettare un significativo incontro al quale si tiene molto, il grande, immenso, affettuosissimo abbraccio di papa Francesco al popolo rom, strepitosamente e contagiosamente ricambiato al grido di “Fran-ce-sco-Fran-ce-sco-Fran-ce-sco!” fino a toccarlo come un talismano, tirarlo per le maniche, divorarlo per la venerazione e la infinita stima: percepiscono, non da ora, che li ama profondamente e glielo hanno voluto dire con tutta la loro forza e sensibilità dilagante, straripante, ‘esagerata’, ‘e-norme’, ‘debordante’!papa6

 

ma, ma, ma …

nel momento migliore qualcosa non ha funzionato, anzi qualcosa sembra pesantemente deludere … !  e non solo quelli di ‘bocca fine’ che centellinano ogni singola parola con eccessi di ‘politicaly conrect style’ ma gli stessi rappresentanti del popolo rom, anzi i rom stessi che pur applaudendo continuamente il papa per diverse belle espressioni del suo discorso, all’improvviso è scoppiato in un … preoccupato silenzio proprio mentre papa Francesco sembrava scandire, davanti al mondo intero, in un elenco non proprio contenutissimo, le pecche del popolo rom, scandite come in una litania da ‘bar sport’ che dava chiaramente l’impressione della ripetizione di una sequela di quelli che sono i più scontati e frequenti pregiudizi che tutti hanno nei confronti dei rom.

 

il papa sembrava proprio non fare eccezione, anzi da quel pulpito diversi lo hanno percepito come addirittura offensivo nei confronti del popolo intero. Ciò che a molti si perdona, sulla sua bocca sembrava micidiale! Forse la maggior parte dei presenti si aspettava dal papa parole diverse, meno ispirate ad un’analisi sociologica della realtà che troppi di loro sono costretti a vivere (la sanno fare meglio altri … ) e non certo un elenco moralistico propalato al mondo intero delle loro pecche (ancorché il tutto esprimendo con grande delicatezza e nessun intento offensivo … ) e più ispirate ad un afflato ‘spirituale’ e ‘teologale’ (che non vuol dire astratto e fuori dalla realtà, tutt’altro: significa avere quello ‘sguardo’ di Dio sulle cose che sa valorizzare il piccolo, il debole, l’insignificante come grande opportunità di liberazione vera per il grande, il potente, il ricco, il prepotente … ) che pure è presente tutte le volte che papa Francesco incontra i poveri che sempre ha conosciuto nelle bidonville e che non esita a definire i privilegiati di Dio e la presenza fisica di Cristo stesso nel nostro mondo, ma che qui è mancato del tutto.

si dirà: “non li conosce direttamente!” E allora perché parla così? “glielo hanno scritto e lui si è limitato a leggere quelle cose … “: appunto: ‘limitato’ … ! sta qui per me il grosso guaio (pur con tutte le scusanti, venendo lui da un anno di intensissima attività culminata proprio negli ultimissimi giorni, anzi il giorno prima; un’attività da togliere il fiato e la tranquillità come è stato il sinodo sulle tematiche familiari con i contorni da Vaticangate messi in atto apposta per mettergli i bastoni tra le ruote … ), nel fidarsi di persone che nulla, ma proprio nulla, sanno di rom non avendoli mai ‘avvicinati’ e conosciuti, o di persone che pur conoscendoli in una certa maniera non li conoscono secondo quella quotidiana familiarità e condivisione di vita che te li fa sentire come parte della tua vita e familiari della tua stessa famiglia e che permette, con l’occhio della fede (non è questo che si attende da un papa? o no!) di coglierli come dono di Dio e sua presenza in mezzo a noi… e questo ‘sguardo nuovo’ è tutt’altro che astrazione misticheggiante, ha la potenzialità rivoluzionaria di ribaltare e capovolgere le relazioni umane basate troppo spesso sul potere e la prepotenza.

Mai limitarsi ad essere, a occhi chiusi, la bocca degli altri! Un papa è quotidianamente ‘costretto’ ad affidarsi a qualcuno! non è questo il problema: si tratta di discernere quali potrebbero essere le persone che meglio potrebbero fare al caso dei rom: esistono non pochi religiosi e religiose ma anche laici che da decenni hanno questa frequenza e condivisione quotidiana ricca di umanità e spiritualità, ma questi non sono stati nemmeno interpellati! da qui nascono in fiaschi! sono sicuro che la prossima volta – se ci sarà – farà decisamente meglio. Se ai rom avesse parlato a braccio, mettendo da parte quella minestra riscaldata che gli hanno preparato, sono sicuro che avrebbe parlato loro più col cuore che con la sociologia e ci sarebbe scappato sicuramente un messaggio più spirituale e ‘teologale’ (ancora: non astrattamente ‘teologico’!), perché dal suo volto si vede – e i rom questo lo hanno visto bene! – che è un uomo che sa cogliere le orme, le tracce, i segni sacramentali della presenza di Cristo e di Dio nel mondo, e sa indicarli ai rom e ai non rom per un percorso diverso di dialogo, incontro, condivisione e arricchimento reciproco (davvero reciproco!, anche se ai più sembra impossibile: ma proprio su questa ‘impossibilità’ un papa deve giocare tutto se stesso e il vigore evangelico del suo magistero nel senso che niente ‘è impossibile a Dio’ e a chi coltiva lo sguardo dei ‘sogni di Dio’

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la ‘via crucis’ del popolo rom al Colosseo (un bel momento preparato molto male dagli organizzatori non rom)

al Colosseo la Via Crucis dei rom e sinti

 in 5000 al Colosseo

cinquant’anni fa, durante il Concilio, Papa Paolo VI decise di incontrare gruppi di gitani raccolti da tutta Europa a Pomezia, alle porte di Roma. A cinquant’anni da quell’evento il Consiglio pontificio per la pastorale dei migranti, in collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio, la Diocesi di Roma e la Fondazione Migrantes, ha organizzato un grande pellegrinaggio del «popolo dei gitani» a Roma

 

Migliaia i partecipanti alla processione guidata dal cardinale Vallini. Lunedì 26 ottobre l’incontro con Francesco

«Il vostro, un pellegrinaggio di fede»

Sabato sera, 24 ottobre, il Colosseo si è riempito di canti e preghiere delle popolazioni rom e sinti. Una processione di migliaia di persone che ha celebrato la Via Crucis presieduta dal cardinale Agostino Vallini, alla presenza del vescovo Guerino Di Tora, presidente della commissione per le Migrazioni della Cei e presidente della Fondazione Migrantes, e di monsignor Pierpaolo Felicolo, direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale delle migrazioni. “Prega per noi, Notre-Dame de gitan“, canta in francese una donna rom, e ancora “Jesus est la rocher de ma vie” intona spontaneamente un’altra parte della folla battendo le mani. “Voi siete nel cuore della Chiesa” recita il programma della serata, riprendendo le parole dell’incontro di Paolo VI a Pomezia con il mondo dei Caminanti. Parole ripetute sabato, a cinquant’anni di distanza. La croce è stata portata a turno da un rappresentante di una diversa nazionalità: spagnola, portoghese, francese, inglese, americana. Rom e sinti sono arrivati da ogni parte del mondo, in attesa di incontrare oggi, lunedì 26 ottobre, Papa Francesco.

Le preghiere hanno ricordato gli ultimi e i piccoli, i malati e gli immigrati, gli uomini in carcere. «Le preghiere dei sinti sono fatte di parole povere», racconta Davide Gabrieli, un pellegrino proveniente da Bressanone. Le orazioni sono state lette in molte lingue; rom e sinti sono un popolo di viaggiatori, ma legato da un unica cultura: «Abbiamo molte lingue, ma tra di noi parliamo il sinto. Così riusciamo tutti a comunicare», ha raccontato ancora Gabrieli, che ha cantato l’inno dei gitani e oggi canterà per Francesco. Suo padre per primo si esibì per Paolo VI, che gli donò il violino, e la fede, così come la musica, si è tramandata di padre in figlio. La musica per il popolo dei Caminanti è un elemento fondamentale:  domenica 25 ottobre, dopo la Messa al santuario del Divino Amore presieduta dal Cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio per i migranti, si è tenuto un concerto di musica gitana. Nonostante le difficoltà che spesso devono affrontare le popolazioni rom, questa grande riunione è motivo di gioia:«Questo incontro mondiale è molto bello perché ci incontriamo e parliamo tra di noi grazie alla fede nella Chiesa» conclude Gabrieli.

«Gesù conosce e capisce le sofferenze dei gitani» ha detto a tutti i presenti il cardinale  Vallini. «Siamo in un luogo di sangue, di fede, di paradiso – ha dichiarato -: qui migliaia di uomini e di donne, di giovani e di bambini non hanno avuto paura di dare il loro sangue per dire che Gesù è il signore della vita». I gitani, ha continuato Vallini, percorrono la strada del dolore e spesso sono emarginati e disprezzati: «Questo vostro pellegrinaggio e l’incontro con Papa Francesco è un pellegrinaggio di fede che partendo dalla croce di Gesù vuole confermare il nostro essere cristiani». Quindi un messaggio di speranza: «Un mondo diverso è possibile – ha affermato il porporato – ma lo sarà soltanto quando ciascuno di noi farà vincere la risurrezione, e anche noi saremo capaci di portare la nostra croce sapendo che non saremo sconfitti ma la porteremo con amore per la forza della vita nuova, la vita cristiana». Un messaggio che deve arrivare a tutti: «Ditelo ai vostri figli, nei vostri campi, nelle vostre banlieu, dovunque vivete in mezzo alle città degli uomini. Voi siete la Chiesa di Cristo, popolo santo di Dio che semina amore». Il cardinale ha poi concluso invocando la Vergine Maria: «Ci aiuti ogni giorno a vivere con fierezza la gioia di essere figli di Dio e fratelli del mondo intero».

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l’opinione pessimista di don Farinella sull’inutilità del sinodo, con più di qualche ragione …

SINODO INUTILE PERCHÉ SUPERFLUO 

di Paolo Farinella, prete

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  non mi sono affatto entusiasmato al 2° Sinodo sulla famiglia perché avevo il sentore che sarebbe stato un esercizio di prova di forza, come è stato e come gli ultimi avvenimenti maleodoranti stanno dimostrando

Premetto che un sinodo sulla famiglia avrebbe dovuto essere pieno di «famiglie» di ogni specie perché, come vuole il Papa, con «metodo sinodale» potessero riflettere sulla realtà alla luce del vangelo e non delle astrazioni dei principi, a loro volta evaporati da altre astrazioni. Parafrasando alla buona, «codesto» sinodo ha discusso del sesso degli angeli, per concludere che deve essere e restare competenza di uomini, celibi (si fa per dire!) e omosessuali attivi e passivi, purché non conclamati. Uomini che teoricamente dovrebbero essere celibi e/o vergini, quindi digiuni di sesso, per giunta vecchi prostatici con pannolone a seguito, che discutono di famiglia per dire chi e cosa deve essere, non fa ridere nessuno. Uomini che predicano la continenza come principio astratto, visto come va la realtà nel mondo – pedofilia generalizzata, scandali sessuali a tutti i livelli, il Vaticano covo di depravati compulsivi e ossessivi, vescovi africani e non con l’harem nei rispettivi episcopi, figli di preti e vescovi, che chiamano «zio» quello che tutti gli altri non figli chiamano «padre», ecc. – costoro hanno la presunzione di parlare di famiglia. Non sarebbe ora che tacessero? Viene voglia con Totò di liquidarli con un irriverente «Ma mi faccino il piacere!». Il vero tema di questo Sinodo non èné la fsamilgia né i divorziati né altro, ma uno solo:: «Bergoglio sì, Bergoglio no!». Divorziati, omosessuali e tutto il resto sono armi di distrazione di massa su cui il Sinodo non dirà nulla se non per rimescolare il brodo di sempre con la stessa arte mistificatoria del passato e del presente, nostante «questo» Papa ci provi, ma un Papa non ha mai fatto primavera come la rondine del proverbio. Ciò che conta è la volontà contraria a qualsiasi riforma della Chiesa, seppur timida che questo Papa sta cercando di fare, avendone coscienza certa.  Finché giocava al Francesco del III millennio, era anche divertente, ma ora che comincia a dire di riformare il papato, decentrando ai vescovi ciò che il Vaticano I ha usurpato, concentrandolo in una sola funzione, garantita dall’infallibilità per eliminare ogni forma di comunione ecclesiale, il rischio è grande e bisogna porvi rimedio. Francesco deve essere fermato, costi quel che costi.  Tutti sanno che il Papa infallibilmente sbaglia, ma nesusno deve saperlo, solo la curia romana che appunto si è assunta il ruolo di super garante papato, al di sopra di Dio, di Cristo e dello Spiritoso Santo, ameni ammennicoli per confondere chi crede di credere. Le lobby, i miscredenti in porpora cardinalizia, i puttanieri di ogni specie e risma si sono svegliati e ora usano le armi di sempre a disposizione dei cortigiani e degli individui senza onore e senza volto: la delazione, la falsità, le voci incontrollate. «À la guerre comme à la guerre, pecché ‘ccà nisciuno è fesso!». Il primo a essere mobilitato fu un monsignore polacco che si dichiarò omosessuale con compagno convivente, la vigilia del Sinodo, con libro della sua vita già pronto per la stampa (quando si dice l’improvvisazione!). Costui era alla Congregazione della Fede, cioè un commissario che riduceva allo stato laicale i preti che si dichiaravano omosessuali «visibili». Esilarante.  Il secondo fatto riguardò i tredici cardinalazzi prostatici e gelosi che in pieno Sinodo accusano il Papa di manovrarne la gestione, salvo poi rinnegare e scoprire che circolano diverse edizioni della stessa lettera che avrebbe dovuto essere riservata e che invece è più pubblica che mai. Il cardinale perde il pelo, ma non il vizio di rotolare nella sentina.  Il terzo colpo, che avrebbe dovuto essere il «colpo di grazia» a Bergoglio, è stata la falsa notizia del tumore benigno (bontà loro!) al cervello per dire che le scelte del papa sono frutto della sua malattia e quindi dell’instabilità razionale: un papà malato e fuori controllo, motivo sufficiente perché dia le dimissioni o si tolga di mezzo o si suicidi, magari con il conforto degli ultimi sacramenti, purché sia chiaro e garantito che siano veramente gli ultimi.
Teologia addomestica (e ridicola)  Tutti coloro che contestano il Papa, dai secoli dei secoli, hanno sempre sostenuto che egli è eletto per «ispirazione dello Spirito Santo» e, infatti, nei giorni del conclave, si sgolano a cantare il «Veni, creator Spiritus», venticinque ore al giorno. Il motivo è semplice: finché il Papa pensava come loro, lo Spirito santo sceglieva bene, ma se un Papa osa «venire dalla fine del mondo» e si discosta dal loro pensiero, lo Spirito Santo da colamba si trasforma in piccione che bisogna fucilare subito. Come osa lo Spirito Santo fare eleggere un Papa che non pensa come la curia? La legge divina è codificata da sempre nel principio che «I Papi passano, la Reverenda Curia resta». I Papi che dovessero dimenticare questo principio essenziale, non possono essere eletti da Dio, ma sono figli di satana che bisogna eliminare «fisicamente». Questo è attualmente lo stato dell’arte. Posso dire questo tranquillamente perché non ho mai creduto nella presenza dello Spirito Santo o di chiunque di pari grado a lui, nell’elezione del Papa, frutto di macchinazioni, trame, accordi più o meno immorali, di promesse e smentite, di ricatti e … di puttanate varie. Sono certo che al momento del conclave, lo Spirito Santo, messi sull’asino Maria, Gesù e Giuseppe, si trasferisce alle Settechelles, aspettando che passi la buriana e poter dire: «Guardate che io non c’entro, ero fuori in vacanza, e se per caso c’ero dormivo della grossa».   Nota letteraria. Nel mio penultimo libro «Cristo non abita più qui», ilSaggiatore, Milano 2013 documento con ampia dovizia la cloaca che fu il Vaticano al tempo del bieco cardinale Tarcisio Bertone e che continua ancora cercando di riprendersi dallo shock delle dimissioni di Benedetto XVI. Riporto anche nomi e cognomi dei caridnali che mandavano i servi «ad latrinas» al tempo del conclava in cui venne eletto Alessandro VI, a trattare denari, rpebende e scambi in cambio dei voti. Avevo consigliato l’editore il titolo per me più vero: «Vaticano, Dio è altrove», ma il laico editore non se l’è sentita, eppure è ancora attuale e vero.  Anche il conclave è cosa umana e come ogni cosa umana è sotto l’egida della Provvidenza che, infatti, ogni tanto rompe le uove e la frittata viene col buco. I difensori italiani dello Spirito Santo, grande elettore, devono spiegare come mai nell’ultimo conclave abbiamo deciso, «prima» di chiudersi dentro, che il papa sarebbe stato con certezza Angelo Scola, sangue di CL, uomo senza pensiero, ma garante di equilibri di potere e di affari. Un minuto dopo la fumata bianca e tre minuti prima che il protodiacono anunciasse la scelta di Bergoglio a Papa Francesco, la segreteria della Cei, guidata dal card. Angelo Bagnasco, inviò a nome della Chiesa Italiana (ma come si permettono?) gli auguri alla Diocesi di Milano con le congratulazioni per l’elezione a Papa di Angelo Scola. Dov’è in tutto questo lo Spirito Santo? Forse c’entra lo Spirito di Vino perché solo una manica di ubriachi può fare una cosa del genere. Immagino la folla inneggiante il nuovo papa amborsiano: «Scolapapa! Scolapapa!». Questa gente travestita da donna, se veramentre credesse in Dio e  nello Spirito santo, avrebbe trascorso i giorni dopo le dimissioni di Ratzinger e l’elezione di Bergoglio, chiusi nelle rispettive chiese in ginocchio, digiunando a pane e acqua (o anche senza e non avrebbero patito!) a pregare, pregare, pregare perché lo Spirito scegliesse un Papa secondo il suo cuore e non secondo le fisime di questo o quel cardinale da strapazzo, bacato nel cervello anche senza tumore.  In che mani siamo! Pochi hanno prestato attenzione, sinodo in corso, a un’intervista volante del «Corriere della Sera» (13 ottobre 2015) al Card. Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della Congrezione della Dottrina della Fede, la prima delle Congregazioni curiali a costante contatto con il Papa.  In gergo vaticano, la congregazione è chiamata «La Suprema», considerata la rilevanza che ha su tutta la curia. A quanto mi risulta, solo il fine e raro teologo liturgista Andrea Grillo ne ha colto la portata, pubblicandone il testo sul suo blog nello stesso giorno, con il titolo: «Il card. Mueller e “quel pasticciaccio brutto…”» (http://www.cittadellaeditrice.com/munera/il-card-mueller-e-quel-pasticciaccio-brutto/ ). Le affermazioni del cardinale, custode dell’ortodossia della fede cattolica, sono il vero «evento» prima, durante e dopo il Sinodo perché dicono «dove» e «in che» mani siamo. Leggendole, sono rimasto esterrefatto, capendo definitivamente, se mai ve ne fosse stato bisogno, che non ci sarà salvezza né per il Vaticano né per le congreghe, né tanto meno per la curia. Il Vaticano II è stato solo un piccolo incidente di percorso che occorre rimediare anche se ci si dovesse impiegare tre secoli.  La colpa di «questo Papa» è quella di volere riformare la struttura della Chiesa e d’imporre, almeno con il suo esempio, un modello di vita che s’ispira al vangelo, cposa del tutto estranea dall’orizzonte esistenziali di qyasi tutti i curiali e di molti prelati e pelati. Tutto ha un senso, perché non è possibile che il cardinale prefetto della «Dottrina della Fede cattolica» abbia detto quello che ha detto, solo perché è tradizionalista. Che discorsi sono codesti? Un concilio è un concilio che ha qualche elemento di superiorità su qualsiasi cardinaluccio avvizzito e tisicuccio.  Oltre le ovvietà sulla lettera dei tredici travestiti con la sottana color porpora, di cui egli è stato uno dei firmatari, l’eminente cardinale Müller fa affermazioni sull’Eucaristia che incutono brividi,
riportandoci indietro oltre gli anni ’50 del secolo scorso, come se dopo nulla fosse accaduto. Afferma il rubro cardinale:  «Le persone soffrono perché i loro matrimoni sono rotti, non perché non possano fare la comunione. PER NOI IL CENTRO DELL’EUCARISTIA È LA CONSACRAZIONE, OGNI CRISTIANO HA IL DOVERE DI VENIRE A MESSA MA NON DI FARE LA COMUNIONE» (sott.mia).  BVOcciato in teologia sacramentaria e liturgia. Il centro dell’Eucaristia-sacramento, è la Dossologia, cioè l’offerta alla fine della preghiera eucaristica: «Per Cristo, con Cristo e in Cristo» che è il vero offertorio di tutta l’Eucaristia. Solo lì abbiamo la certezza di offrire la Vita di Cristo al Padre che la riceve per ridarcela immeditamante come Comunione, pane e vino, per alimentare la nostra vita con «il pane della vita» (Gv 6,48) per affrontare l’Eucaristica dell’esistenza che inizia appena varcata la soglia dell’Assemblea eucaristica. Da sempre concludo l’Eucaristia con le parole: «Finisce qui la celebrarione del rito, comincia adesso l’Eucaristia del sacramento della testimonianza».
Centro e periferia Dire come fa il cardinale non-teologo che il centro dell’Eucaristia è la «consacrazione» è affermare la natura magica del rito, quasi che le parole dette sul pane e sul vino siano una formula tecnica all’abracadabra. Nel NT vi sono tre formule diverse di quello che Gesù ha detto (1Cor 11,24 [cf Lc 22,19]; Mc 14,22; Mt 26,26-29) e quelle parole non sono il centro del Sacramento eucaristico, ma sono solo parte di una «narrazione di quello che Gesù ha fatto» perché noi ne avessimo «memoriale» di generazione in generazione. Affermare che quelle parole hanno un’importanza esclusiva, significa pensare come si pensava ai tempi di Pio X che bastasse che un prete fosse andato in un forno o in un bar e avesse detto le fatidiche parole «Questo è il mio corpo», «questo è il mio sangue» che tutto il forno si trasformava in un deposito del Corpo di Cristo  e il bar in una cantina con Sangue di Cristo. È la tesi sostenuta nel romanzo Lo Spretato di Herve Le Boterf, Garzanti, Milano 1967. I preti, al momento della consacrazione, infatti, si sdraiavano sul pane e sul calice e pronunciavano le parole sil-la-ban-do-le per essere sicuri della loro efficacia immediata, senza rendersi conto che celebravano un «memoriale» nel senso dinamico di «zikkaròn» ebraico in quanto ciò che celebri è richiamo e simbolo di ciò che è accaduto; Dio è colui che è stato (il vero senso del nome Yhwh).  Nessuna consacrazione è possibile senza la proclamazione della Parola che dà senso ai gesti e alle parole. Posso andare in tutti i forni del mondo e dire tutte le parole della consacrazione in latino, in greco, in ebraico o come voglio, che non succede nulla, se non che tutto resta come prima. Il custode della fede dovrebbe custodire la fede che ci è stata consegnata dal Vaticano II che lui ha l’obbligo di difendere e obbedire. Il concilio ha sviluppato e approfondito il concetto di «sacramento» e di «Eucaristia»: tutti e due non si identificano con la comunione e il «sacramento» non è il Pane conservato nel tabernacolo, tradizione storicamente recente (sec. XVI), ma con la celebrazione comunitaria, alla fine della quale si conserva il Pane per chi è impossibilito ad accedere all’assemblea celebrante. Eucaristia è il processo che dalla mensa della Parola di Dio proclamata transita alla mesna del Pane e del Vino in forza di Gv 1,14: «Il Lògos carne/fragilità fu fatto». Dire che tutti hanno il dovere di andare a Messa è dire una sciocchezza che nessun catechista oggi insegna ai bambini perché tutti sanno che non è più sufficiente «assistere» fisicamente alla Messa per partecipare al «memoriale» del Signore, ma è indispensabile accostrasi da penitenti, ascoltare la Parola, attualizzare la stessa Parola, compiere gesti profetici di pace prima di presentare l’offerta all’altare, rivivere quello che Gesù ha detto e ha fatto (memoria della Cena), essere in comunione con i fratelli e le sorelle di tutto il mondo, misticamente rappresentati dall’assemblea, e infine tornare alla vita di ogni giorno e con la forza di quel pane affrontare tutte le difficoltà e l’onere della profezia che il sacramento esige (cf 1Re 19,8).  Due Comunioni  Poiché la Comunione è il rapporto d’intimità con il Cristo di Dio, Pane disceso dal cielo (cf Gv 6,41.58) il cardinale della fede non sa che nella Messa ognuno di noi fa la Comunione due volte:   a) La prima volta attraverso l’organo degli orecchi, ascoltando la Parola, il Lògos proclamato come irruzione di Dio nell’oggi della Chiesa: «Oggi si è compiuta questa parola nei vostri orecchi» (Lc 4,21, traduzione letterale). (Il profeta Ezechiele deve «mangiare il rotolo» (Ez 3,1-4) e come può farlo se non ascoltando?  Nel prologo della 1Gv noi «tocchiamo il Lògos della vita» (1Gv 1,1.4). b) La seconda volta facciamo la Comunione attraverso la bocca, mangiando il Pane/Corpo e bevendo il Vino/sangue che simboleggiano la Vita di Cristo. Ascoltare e mangiare, orecchi e bocca. È forse la bocca più privilegiata degli orecchi? Non sono forse strumenti ambedue allo stesso titolo, con soltanto una differenza modale?  Se avesse ragione il cardinale, allora i divorziati e chi non fa la comunione con la bocca, dovrebbe andarsene prima che cominci la proclamazione della Parola perché rischierebbe di fare la Comunione con gli orecchi. L’Eucaristia non è puzzle da comporre, ma un «unicum», un evento, un «kairòs», è l’invito a una mensa, non una rappresentazione rituale condizionata. Non vi sono alternative: o si partecipa a tutta l’Eucaristia o si sta a casa, rigettando la chiamata dello Spirito che convoca attorno al Cristo, proclamato sul mondo per dire a tutta l’umanità che Dio è il Padre di tutti e ciascuno ha diritto a incontrarlo e ad accedere alla sua paternità perché Gesù è il «Lògos/fragilità» che si offre gratuitamente e senza condizioni.  Il teologo Grillo coglie la portata dell’affermazione e commenta le parole del cardinale Müller:   «Sono almeno 100 anni – da Pio X in poi – che la “assistenza alla messa” come precetto non corrisponde più al “dovere” del cristiano cattolico. E il Cardinale sembra offrire come soluzione quello che è un problema forse ancora più grave: la separazione tra sacramento e sacrificio non può essere una soluzione per chi vive la separazione matrimoniale. Una separazione non cura l’altra. Per di più, che “per noi” il centro della Eucaristia sia la consacrazione – contrapposta alla comunione in una inattesa ripresa di spirito antiluterano – mi sembra francamente una soluzione peggiore del male».  La teologia del cardinale è ancora preconciliare e intrisa di spirito «antiluterano» che non è stata scalfita per niente dal concilio Vaticano II e costui è a capo della Congregazione che dovrebbe «custodire» la fede cattolica! In che mani siamo!  Non ha fatto alcuno sforzo per cercare di capir eche «sacramento» non è sinonimo di «rubrica», ma è «segno» dell’evento che ci obbliga a prendere posizione con al vita e non l’assistenza alla Messa. Costoro partono dal presupposto di essere «la Verità» e chiunque si discosta dal loro pensiero, è un diavolo da sprofondare nell’inferno.  Nota di folclore genovese. Fino ad alcuni anni dopo il concilio Vaticano II a Genova, nella parrocchia della N.S. delle Grazie e di San Girolamo di corso Firenze, il parroco, Mons. Francesco Urbano, aveva fatto installare due semafori sulla testa della porta, uno verde e uno rosso. Quando cominciava la Messa, dall’altare accendeva il verde, un momento prima di svelare il calice, accendeva il rosso. Da quetso momento «la Messa non era più valida» per cui i ritardatari erano avvertiti o di andare altrove o di essere certi di avere compiuto «un peccato grave». Quando si arriva a simili aberrazioni, è facile poi diventare cardinali alla Müller o similari.   A parte l’obbrobrio di definire la Messa come «un obbligo», ma mettere il semaforo prima dello spogliarello del calice è troppo anche per gli spiriti più mondani della terra! Eppure questa era la realtà e, a mio parere, una delle cause della scristianizzazione di oggi, di cui il card. Müller non sembra nemmneno accorgersi.   Matrimonio sacramento e Chiesa Non c’è testo di matrimonio o discorso clericale che non faccia i gargarismi con l’affernare la sacramentalità del matrimonio perché Gesù era presente alle nozze di Cana (cf Gv 2,1-11). Poveri illusi! Non si rendono conto che il racconto dello sposalizio di Cana con il matrimonio-sacramento non c’entra nulla, perché l’evangelista non parla affatto di matrimonio, visto che la sposa è assente e lo sposo è solo coreografico per essere rimproverato perché non ha calcolato bene la quantità e qualità di vino. Il racconto è un midràsh di Es 19 (arrivo al Sinai e dono della Toràh) in chiave di alleanza. Che un matrimonio senza sposa possa essere un sacramento nemmeno la Santa Trinità, unificando gli sforzi e le competenze dei tre, potrebbe realizzarlo.  Un Sinodo fuori tempo massimo Da 40 anni insegno che nessuno può abdicare dalla propria coscienza istruita e informata. Se il Sinodo si fosse tenuto negli anni ’60 o al massimo al più tardi nei ’70 del secolo scorso, avrebbe avuto senso, ma tenerlo oggi nel 2015, è fuori tempo massimo e i Padri Sinodali, come si dice a Genova, «pestano l’acqua nel mortaio». Paolo VI nel 1968 si fece impaurire dalla minoranza ex conciliare e s’impaurì da solo, pubblicando, contro il parere della maggioranza e di scienziati di ogni genere e specie, l’enciclica «Humanae vitae», lo spartiacque che inabissò la gerarchia in un buco nero da cui non si è più sollevata: il popolo di Dio si separò dalla gerarchia è cominciò a usare pillole e contraccettivi come fossero caramelle, con buona pace del Papa e dei cardilmerluzzi, soddisfatti di avere affermato il principio della «natura» (ohibò, la natura!), perdendo tutto il popolo. Uno scisma, ma ben chiaro: lo scisma della gerarchia dal proprio popolo, quello che conserva il «sensus fidei».  Fare un Sinodo oggi, dopo oltre mezzo secolo dall’«Humanae Vitae» e stare ancora a discutere «comunione sì, comunione no», mettendo anche da parte le parole inequivocabili del vangelo, significa perdere tempo, perché «la gente» va per conto suo, infischiandosene di cardinali, papi e preti che non hanno perso il vizio di gridare al peccato, salvo poi ritrovarsi a fare le più miserevole porcate, giustifcandosi in ogni modo.  Ammesso e non concesso che i divorziati siano «peccatori» (ma mai quanto i cardinali che scrivono lettere anonime, o sputano sullo Spirito Santo), Gesù nel vangelo dice di essere vneuto per i peccatori e ogni volta che ne incontra uno, si siede a tavola e mangia con lui (cf Mc 2,16), «amico dei peccatori e dei pubblicani» (Mt 11,19). Non solo, ma in Lc 15,1 l’evangelista ci tiene a sottolineare che «si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano» (Lc 15,1-2). Questa è la foto della chiesa di oggi: i pubblicani e i peccatori si avvicinano per merito anche di Papa Francesco, mentre scribi e farisei mormorano nell’oscuro e tramano nell’ombra da vigliacchi: lanciano sempre un sasso o una serie di sassi, ma ritirano subito la mano, assumendo l’aria degli gnorri.  Una testimonianza La mia chiesa è frequentata da molti separati e divorziati e risposati e tutti fanno la comunione e non da oggi. Non c’è voluto un sinodo per sapere ciò che la coscienza conosceva già. Tutti partecipano all’Eucaristia e concelebrano l’Eucaristia in forza del principio che i sacramenti sono per il popolo santo di Dio (cf Eb 5,1), popolo in ricerca e assetato di Dio, popolo di santi e di peccatori, «ecclèsia casta et meretrix» (Cf SANT’AMBROGIO, Commento al Vangelo di Luca, III, 17-23, PL XV: 1681; cf CESARIO DI ARLES, Sermo 116, PL XLVII: 759; SAN’AGOSTINO, Quaestionum in Heptateuchum libri septe, Lib. 6, Quaestio Iesu Nave, 2, PL XXXIV:775; San Girolamo, Tractatus LIX in Psalmos, Psalmus 86, PL XXVI:1150),  Da tempo, da molto tempo abbiamo superato l’aspetto legalistico esteriore e abbiamo portato tutto alla relazione della fede che non ha gli stessi obblighi della religione. Questa, la religione, ha il compito di nascondere Dio e di oscurarlo a favore della casta sacerdotale che non avrebbe senso se il popolo potesse incontrare Dio. Quella, la fede, ha bisogno di cuore e di amore, di ansia e di desiderio per realizzare l’incontro fisico tra Dio e il credente che mette in discussione la propria esistenza perché vale la pena scoprire l’amore di Dio. In 43 anni di vita da prete mi sono sempre preoccupato di rendere possibile l’incontro con Gesù e alimentare il desiderio di Dio, non mi sono mai preoccupato di condannare preventivamente o in forza di una legge canonica. Aiutare le persone a disporsi a una relazione d’amore è cosa ben diversa che volere che assistano alla Messa.  Consiglio non richiesto al card. Gerhard Ludwig Müeller: studi un po’ meglio la teologia cattolica e poi venga, e se vuole, possiamo cominciare a discutere anche di altro, anche di Comunione ed Eucaristia. Nel frattempo rassegni le dimissioni dalla Congregazione della Dottrina della Fede.

PS. Nel mio ultimo libretto, appena edito, «Peccato e Perdono» (Gabrielli Editore, 2015), affronto dal punto di vista biblico e teologico la nozione di peccato come ci è arrivata da Sant’Agostino in poi per arrivare a mettere in discussione lo stesso «peccato originale» che non sta in piedi né dal punto di vista biblico, né da quello teologico; avanzo una proposta che mi riprometto di riprendere e approfondire. È un passaggio obbligato per respirare un minimo di libertà e operare il passaggio dalla religione alla fede. Quanto meno a facilitarlo.
Paolo Farinella, prete

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una lettera a papa Francesco da parte di 600 ergastolani

caro papa: c’è speranza anche per noi?

seicento ergastolani italiani scrivono al Papa in vista del Giubileo straordinario della Misericordia, denunciando che il carcere a vita “è disumano”. L’iniziativa è stata presa dall’ergastolano Giovanni Lentini, 41 anni, un calabrese di Crotone, che sta scontando la pena per omicidio a Fossombrone

 insieme a Lentini, hanno apposto la firma centinaia di persone, detenute in diversi carceri della Penisola, sul cui certificato appare il “12/12/9999” come fine pena: praticamente mai

la lettera, con le adesioni raccolte con l’aiuto di un altro ergastolano, Carmelo Musumeci, è stata recapitata a papa Francesco, che ha risposto tramite l’ispettore generale dei cappellani del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, don Virgilio Balducci. Il sacerdote, rivolgendosi al cappellano di Fossombrone, don Guido Spadoni, ha così scritto: “Testimonia a Giovanni Lentini che papa Francesco prega per lui, perché la giustizia migliori, anche per lui sarà possibile gustare la misericordia del Padre

Nella lettera i carcerati esprimono tutta la loro amarezza:

Neanche se riuscissimo a sopravvivere per altri cinquant’anni e quindi per i prossimi Giubilei – scrivono  – potremmo avere la possibilità di partecipare personalmente all’indulgenza plenaria poiché siamo condannati ad una pena perpetua. La cosa peggiore è che nelle condizioni in cui ci troviamo non possiamo offrire opere meritorie per ottenere l’indulgenza, ma nonostante i nostri limiti, le nostre debolezze, vogliamo partecipare seppure a distanza a questo evento straordinario inviandoti questo nostro scritto, questa nostra preghiera”. 

Gli ergastolani concludono con un appello:

Santo Padre –  scrivono – auspichiamo che nell’anno del Giubileo, tu possa rinnovare l’invito agli uomini del potere affinché aboliscano questa pena assurda che si espande anche a chi ci sta vicino, i nostri figli e i nostri familiari. Secondo noi non esiste un male maggiore ed un male minore, uno da punire ed uno no. Il male è male, è una caduta, un distacco dall’amore divino, tutti cadiamo in un modo o in un altro. La cosa più importante però è riuscire a rialzarci con la certezza che siamo già stati salvati da Cristo”. 

 

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il sinodo è chiuso: ma porterà frutto? papa Francesco è ottimista

papa Francesco chiude il sinodo

“è stato faticoso, ma porterà frutto”

dopo il voto dell’assemblea al documento, con il risicato placet sulla comunione ai divorziati risposati, Bergoglio ricorda: “Oggi è tempo di misericordia”. E mette in guardia dalla tentazione di “imporre tabelle di marcia al popolo”

di ANDREA GUALTIERI

Le parole di Bergoglio sembrano evocare lo spirito con il quale è stato redatto il documento finale del sinodo, al quale l’assemblea ha votato il placet con una maggioranza che però è stata risicatissima su due passaggi in particolare, quelli relativi ai divorziati risposati. Sono stati 178 i voti a favore del paragrafo che parla della comunione per chi vive seconde nozze, 187 quello che invita a una loro maggiore integrazione nella vita ecclesiale. Ampia invece la maggioranza sul passaggio che chiede attenzione e rispetto per gli omosessuali, ma solo perché si è evitato di far riferimento alle situazioni relative all’affettività e si è bocciata ogni possibile apertura alle unioni gay.

Le conclusioni del sinodo, affidate al Papa, chiedono comunque un intervento di Francesco con un documento dedicato alla famiglia. E c’è da attendersi che la richiesta verrà esaudita. Sin dall’inizio del pontificato, Bergoglio ha infatti portato alla ribalta i temi delle famiglie ferite. E anche nell’omelia di commiato dal sinodo ha invocato attenzione sulle situazioni concrete dei fedeli. “Gesù – ha detto – mostra di voler ascoltare le nostre necessità. Desidera con ciascuno di noi un colloquio fatto di vita, di situazioni reali, che nulla escluda davanti a Dio”. Tornando al mendicante del Vangelo ha poi aggiunto, riferendosi agli apostoli: “Se Bartimeo è cieco, essi sono sordi: il suo problema non è il loro problema. Può essere il nostro rischio: di fronte ai continui problemi, meglio andare avanti, senza lasciarci disturbare”.

 “Grazie fratelli, cerchiamo Dio nell’uomo vivente”

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proposte dei teologi spagnoli al sinodo

DICHIARAZIONE  DEI MAGGIORI TEOLOGI SPAGNOLI SUL SINODO DEI VESCOVI

Vaticano

non appartiene alla Fede della Chiesa il fatto di mantenere intatto un determinato modello di famiglia, proprio di un tempo e di una cultura. Secondo i vangeli, Gesù di Nazareth fu profondamente critico col modello di famiglia del suo tempo e della sua cultura

 pertanto, l’ “Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII” considera necessario presentare al Sinodo dei Vescovi che si sta celebrando a Roma le seguenti proposte:

1. crediamo che bisogna rispettare le differenti identità, opzioni ed orientamenti sessuali come espressione della pluralità di forme di vivere la sessualità tra gli esseri umani. Di conseguenza, devono riconoscersi nella Chiesa cattolica l’omosessualità ed i matrimoni omosessuali in uguaglianza di condizioni dell’eterosessualità e dei matrimoni eterosessuali. Non devono essere escluse le persone cristiane omosessuali da nessun compito, attività e responsabilità ecclesiale come neanche dalla partecipazione nei sacramenti.
Non sembra armonizzarsi il rispetto alle persone non eterosessuali con la loro esclusione da determinate funzioni ecclesiali, come per esempio l’esercitare il diritto ad essere padrino o madrina in un battesimo o dall’esercitare il ministero sacerdotale e teologico. Esclusioni entrambe che si sono prodotte recentemente nella diocesi di Cádiz a danno di un transessuale e nella Congregazione per la Dottrina della Fede a danno di un sacerdote omosessuale, fatti questi che dimostrano una chiara discriminazione in ragione dell’orientamento sessuale e smentiscono l’idea tanto ripetuta nei documenti del magistero ecclesiastico di accoglienza verso le persone non eterosessuali.
2. crediamo che deve essere riveduta la condanna indiscriminata dell’interruzione volontaria della gravidanza da parte del magistero ecclesiastico. Consideriamo necessaria la deroga del canone 1398 del Codice del Diritto Canonico che decreta la scomunica per chi effettua l’aborto, se questo si effettua, e che è contraria all’assoluzione del peccato di aborto decretata da papa Francesco con motivo del Giubileo Straordinario della Misericordia. Ugualmente si deve rispettare il diritto delle donne a decidere in coscienza in questa materia.
3. non esistono ragioni bibliche, teologiche, storiche, pastorali, e meno ancora dogmatiche, per escludere uomini sposati né le donne da nessun ministero ecclesiale, ordinati o non ordinati. L’uguaglianza dei cristiani e cristiane nel battesimo deve tradursi in condizioni uguali per uomini e donne per l’accesso all’ambito della cosa sacra, nell’elaborazione della dottrina teologica e morale come nella partecipazione alle responsabilità ecclesiali e negli organi direttivi, senza discriminazione alcuna per ragioni di genere, etnia o classe sociale. Per questo chiediamo che vengano eliminati gli ostacoli ideologici, culturali e disciplinari di carattere sessista e si porti a termine la piena incorporazione delle donne negli ambiti indicati, compreso l’accesso al sacerdozio e all’episcopato.
4. in relazione al divorzio, non esiste dogma di fede che l’ostacoli, come neanche che proibisca l’accesso delle persone separate o divorziate volte a risposarsi all’eucaristia. L’attuale disciplina esclusoria in questa materia, comprensibile per il passato, oggi non ha giustificazioni ed è lontana dall’avvicinare la gente in queste circostanze alla comunità cristiana, la emargina, l’allontana e la stigmatizza. Inoltre, non ha fondamento evangelico. Crediamo pertanto che il Sinodo dei Vescovi deve eliminare tale proibizione, attualmente vigente, e deve facilitare l’accesso alla comunione eucaristica alle persone separate o divorziate intenti a sposarsi senza imporr loro esigenze correttive alcune. Le persone credenti sono soggetti morali con capacità per decidere liberamente in coscienza in questo ambito. Dette decisioni devono essere rispettate.
5. è necessario riconoscere gli importanti avanzamenti portati a compimento dal femminismo nell’uguaglianza tra uomini e donne e nella liberazione di queste.
Alla luce di questi avanzamenti deve essere riveduta la struttura patriarcale della dottrina e la pratica sul matrimonio cristiano.
6. il Sinodo non può ridursi alle questioni relative al matrimonio cristiano. Crediamo prioritario che faccia un’analisi della situazione della povertà e dell’esclusione sociale nella quale si trovano milioni di famiglie, il sinodo denunci profeticamente, esprima la sua solidarietà alle famiglie più vulnerabile e contribuisca all’eliminazione delle cause di detta situazione dall’opzione etica-evangelica delle persone povere ed emarginate.

firmano questa Dichiarazione:

Xavier Alegre. Asociación de Teólogos y Teólogas Juan XXIII. España
José Arregi. Teólogo. España
Olga Lucía Álvarez. Asociación Presbíteras Católicas Romanas. Colombia
Juan Barreto. Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII. España
Fernando Bermúdez, Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII. España
Leonardo Boff. Ecoteólogo, miembro del Comité de la Carta de la Tierra y escritor. Brasil
Ancizar Cadavid Restrepo. Teólogo. Colombia
José María Castillo. Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII. España
José Centeno. Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII, España
Juan Antonio Estrada. Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII. España.
Máximo García. Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII. España
Antonio Gil de Zúñiga. Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII. España
Ivone Gebara. Teóloga y filósofa. Brasil
Hernández Fajardo Axel. Profesor Jubilado de la Escuela Ecuménica de las Ciencias de Religiones. Universidad Nacional. Costa Rica
Rosa María Hernández. Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII. España
Mary Hunt. Teóloga. Women’s Alliance for Theology, Ethics and Ritual (WATER). Estados Unidos.
Gabriela Juárez Palacio. Teóloga. Socia Fundadora de Teólogas e Investigadoras. México
Rosa Leiva. Federación Latinoamericana de Presbíteros Casados. Ecuador
Juan Masiá. Teólogo. Japón.
Federico Mayor Zaragoza. Presidente de la Fundación Cultura de Paz y de la Comisión Internacional contra la Pena de Muerte. España
Cyprien Melibi. Teólogo Camerún.
Arnoldo Mora Rodríguez. Socio Fundador del Departamento Ecuménico de Investigaciones (DEI). Costa Rica.
Mario Mullo. Federación Latinoamericana de Sacerdotes Casados. Ecuador
Carmiña Navia. Teóloga. Colombia
Marisa Noriega. Teóloga. Socia Fundadora de la Asociación Mexicana de Reflexión Teológica Feminista. México.
Gladys Parentelli. Auditora en el Concilio Vaticano II. Venezuela
Federico Pastor. Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII. España.
Victorino Pérez Prieto. Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII. España
Suyapa Pérez Scapini. Teóloga. El Salvador
Margarita Mª Pintos. Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII. España
Javier Omar Ruiz Arroyave. Activista. Masculinidades Liberadoras. Colombia.
José Sánchez Suárez. Teólogo. Comunidad Teológica de México
Santiago Sánchez Torrado. Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII. España
Fernando Silva. Asociación de Teólogas y Teólogos de Juan XXIII. España
Aida Soto Bernal. Asociación Presbíteras Católicas Romanas. Colombia
Juan José Tamayo. Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII. España
Elsa Tamez. Teóloga y biblista. México
Andrea Toca. Teóloga. Socia Fundadora de la Asociación Mexicana de Reflexión Teológica Feminista. México.
Fernando Torres Millán. Teólogo. Coordinador de Kairós Educativo. Colombia
Olga Vasquez. Teóloga. El Salvador
Evaristo Villar. Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII. España
Juan Yzuel. Asociación de Teólogas y Teólogos Juan XXIII. España

Madrid, 12 ottobre 201

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il commento al vangelo della domenica

“RABBUNI’ CHE IO VEDA DI NUOVO”

  commento al Vangelo della trentesima domenica del tempo ordinario (25 ottobre 2015) di p. Alberto Maggi

p. Maggi

Mc  10, 46-52

[In quel tempo], mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».
Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.
Gesù ha rimproverato i suoi discepoli usando un’espressione tratta dal profeta Geremia, dove il Signore dice: “Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite”.

Stiamo trattando il vangelo di Marco e l’evangelista presenta la questione di avere orecchie e non udire con il terzo annuncio della passione. Nonostante Gesù avesse indicato chiaramente che a Gerusalemme sarebbe stato ammazzato, due discepoli, Giacomo e Giovanni, gli chiedono i posti più importanti. Quindi hanno le orecchie ma non ascoltano Gesù.
Nell’episodio che segue, siamo al capitolo 10 di Marco, dal versetto 46, viene illustrata la cecità di questi discepoli. Vediamo l’evangelista.
E giunsero a Gerico .. Gerico è la prima città conquistata da Giosuè all’ingresso della terra promessa e ora è diventata una terra di oppressione, dalla quale bisogna uscire.
Mentre partiva da Gerico … l’evangelista per indicare la partenza adopera un verbo tecnico che si adopera nel libro dell’Esodo, quindi la terra promessa si è trasformata ormai in terra di schiavitù dalla quale bisogna allontanarsi. Insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo. Ecco c’è  uno strano personaggio che viene presentato prima con il termine greco “il figlio di Timeo”, e poi con Bartimeo, che non è il nome del figlio di Timeo, ma bar-Timeo significa “il figlio di Timeo” in aramaico.
E’ strana questa doppia presentazione di un individuo il figlio di Timeo, Bartimeo. Timeo in greco significa “onore”, potremmo quindi tradurre con l’ “onorato”. Perché questo? L’evangelista vuole raffigurare attraverso questo individuo i due discepoli Giacomo e Giovanni, che non solo sono sordi, ma sono anche ciechi.
Gesù, dopo il fallimento della sua predicazione nella sinagoga di Nazareth aveva detto: “Un profeta non è disonorato se non nella sua patria”. Ebbene mentre Gesù è disonorato i suoi discepoli cercano l’onore. Allora il figlio di Timeo, Bartimeo, viene ripetuto due volte perché l’evangelista vuole confermare che sta trattando di Giacomo e Giovanni, che erano chiamati anche “i figli di Zebedeo”.
Che era cieco. Ecco la denuncia tratta dal profeta Geremia “Avete occhi e non vedete”. L’espressione sedeva lungo la strada è apparsa già al capitolo 4 al versetto 15 nella parabola del seme gettato lungo la strada, e arrivano gli uccelli, immagine del satana, del potere, che lo mangiano. Quindi incomprensione del messaggio di Gesù.
A mendicare. Sentendo che era Gesù il Nazareno … Il Nazareno significa colui che proviene dalla regione dei rivoluzionari, cominciò a gridare. Grida esattamente come il posseduto nella sinagoga: “Gesù figlio di Davide, abbi pietà di me!” Ecco il motivo della sua cecità: non vede Gesù il figlio di Dio, colui che per amore viene a dare vita al mondo, ma vede Gesù il figlio di Davide, colui che, attraverso la violenza, la morte, la distruzione, conquistò il potere, inaugurò il regno di Israele.
Ecco il motivo della cecità. I discepoli accompagnano Gesù ma non lo seguono perché hanno nella loro testa l’immagine di un messia trionfatore, appunto il figlio di Davide. Molti lo rimproveravano… sono i veri seguitori di Gesù, che vogliono liberare questi discepoli da questa mentalità, perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!” E qui addirittura scompare il nome Gesù. Figlio di Davide è colui che doveva restaurare la monarchia.
Gesù si fermò. Gesù non va verso il cielo, ma deve essere il cieco ad andare verso Gesù. Gesù si fermò e dise: “Chiamatelo!” Il verbo chiamare appare per ben tre volte, il che nel linguaggio ebraico significa “completamente”. Chiamare si chiama qualcuno che è lontano, sono questi discepoli che accompagnano Gesù ma gli sono lontani, non lo seguono.
Chiamarono il cieco, dicendogli: “Coraggio! Alzati, ti chiama!” Egli, gettando via il suo mantello .. il mantello nel linguaggio simbolico indica la persona, quindi gettare via il mantello significa rompere finalmente con questa ideologia del figlio di Davide, è la sua conversione. Balzò in piedi e venne da Gesù. Gesù non è andato dal cieco, è il cieco che deve andare da Gesù e, andando da Gesù, riacquista la vista.
Allora Gesù gli disse: “Che cosa vuoi che io faccia per te?” Per far comprendere che in questo episodio l’evangelista sta narrando di Giacomo e Giovanni, in bocca a Gesù mette le stesse parole e la stessa domanda che aveva rivolto ai due discepoli, “che cosa volete che io vi faccia”.
Questa volta “che cosa vuoi che io faccia per te”. E il cieco gli rispose… finalmente non lo chiama più figlio di Davide, ma Rabbunì, espressione che si adoperava nei confronti della divinità. “Rabbunì che io veda di nuovo!” Non era sempre stato cieco, c’è stato evidentemente un periodo nella sua vita in cui vedeva, poi ha perso la vista perché gli è stata tolta da una ideologia contraria al progetto di Dio sull’umanità.
E Gesù gli disse: “Va’, la tua fede ti ha salvato”. Gesù non ha compiuto nessuna azione nei confronti del cieco. E’ stato il cieco che ha abbandonato la sua vecchia posizione, si è convertito, ed è andato verso Gesù. E subito vide di nuovo, quindi una volta ci vedeva, e finalmente, ecco il verbo tecnico della sequela di Gesù, lo seguiva nella strada, la strada che porterà poi alla passione a Gerusalemme.

 

 

 

 

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papa Francesco decisamente dalla parte dei poveri

 

 la prossima giornata mondiale della pace

“dalla parte dei poveri”

poveri assoluti

lo slogan della ‘giornata mondiale della pace’ dell’anno scorso era Periferie cuore della missione, quest’anno è Dalla parte dei poveri; in entrambi i casi si avverte l’influenza del magistero di papa Francesco, il quale non perde occasione per ricordare a tutti i fedeli che la Chiesa è in cammino e sta andando incontro ai poveri nelle periferie più lontane

di Mario Bandera

Alcune assonanze con questi concetti il papa le ha espresse durante il suo recente viaggio negli Stati Uniti, dove ha ricordato, nella nazione simbolo del capitalismo, come un cristiano non può rimanere indifferente di fronte ai gravi problemi sociali derivanti dalla povertà. Di riflesso, possiamo dire anche noi che schierarci dalla parte dei poveri è mettere a nudo la nostra fede, il nostro modo di essere comunità cristiana, il nostro stile di essere Chiesa.

povertà

Cosa vuol dire schierarsi dalla parte dei poveri? Sappiamo che c’è un pericolo, quando si parla di queste cose negli ambienti ecclesiali: presentare la povertà come qualcosa di romantico, una condizione di vita che, poeticizzata e mostrata sotto una forma edulcorata, diventa quasi una scenografia per una bella favola da raccontare. Vale la pena riaffermare ancora una volta che la povertà è ingiusta, la povertà, per le tante situazioni estreme e difficili che costringono tante persone a vivere perennemente in emergenza, è causa di conflitti nelle famiglie, nei gruppi e nelle comunità.

I poveri non sono migliori degli altri, anzi, il vero povero è povero in tutto: è povero di cultura, ha una condizione sociale miserevole, vive in ambienti fatiscenti, spesso e volentieri manda i bambini a elemosinare.

Eppure Gesù dice «Beati i poveri», e non solo quelli in spirito, ma poveri in tutto; essi sono i preferiti da Dio non perché essi sono più buoni degli altri, bensì perché Dio è buono e Dio dona gratuitamente il suo amore soprattutto a chi è negata una vita degna di essere vissuta.

BuonSamaritano

La dottrina sociale della Chiesa, fin dagli albori della rivoluzione industriale, ricorda che ci sono due peccati gravi che gridano vendetta al Cielo: l’oppressione dei poveri e la frode sul salario degli operai. Avere presente oggi la condizione di tanti esseri umani che vivono in situazioni di miseria perché un mercato scellerato a livello mondiale ha impoverito i loro paesi con la complicità di classi dirigenti mantenute al potere grazie a sistemi dittatoriali che si perpetuano con la frode, l’inganno e la violenza, ci aiuta a capire da che parte dobbiamo schierarci.

Se, in molti paesi del così detto terzo mondo, i lavoratori sono pagati con stipendi da fame, e vivono in condizioni disumane, possiamo capire come molti di loro, non accettando questa situazione, preferiscono vendere tutto e mettersi nelle mani degli scafisti per approdare in Europa alla ricerca di una vita più serena e di un futuro più tranquillo per loro e per i loro figli.

Essere cristiani vuol dire schierarsi dalla loro parte, imparare a leggere la realtà con i loro occhi, guardare al futuro con la speranza che essi portano in cuore. Solo così si riuscirà a comprendere la realtà con occhi diversi e non solo a vedere il povero come uno straniero, un pericolo per la società o, quello che è peggio, uno da cui difendersi.

Nella migliore tradizione cattolica, finora si è andati verso i poveri con le braccia cariche di doni. Ma avere le braccia occupate rendeva impossibile abbracciarli. Ciò che essi aspettano da noi è di venire considerati per quello che sono: uomini e donne bisognosi di aiuto, fratelli con cui condividere la stessa mensa.

 

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frasi vuote …

lettera a quelli che dicono:“meglio lasciarli affogare”

migranti

di Ilaria Roccuzzo Reuscher
in “il Fatto Quotidiano” del 10 agosto 2015

 ci sono persone che non capiscono o non vogliono capire e dicono frasi vuote: “dovremmo rimandarli tutti a casa”, oppure “dovremmo chiudere le frontiere”, che poi si traduce “lasciamoli affogare nel Mar Mediterraneo”

 

Vorrei mettervi tutti qui, su questo molo del porto di Palermo, a osservare quello che succede. E succede questo: arriva un’enorme nave della Guardia Costiera, da lontano sembra quasi vuota, poi man mano si avvicina e attracca e allora li vedi. Alcuni si affacciano, altri sono seduti sul ponte superiore, altri ancora sono seduti o sdraiati accanto alle scialuppe di salvataggio. Guardano a riva come se non sapessero dove sono e da dove vengono. Come se quella umanità che li attende, fra Croce Rossa, Caritas, locali aziende di sanità, Protezione Civile, Polizia, fosse costituita da alieni.

SONO CENTINAIA e fra di loro ci sono anche morti, fra cui bambini e donne incinte. Iniziano a scendere, quelli nelle condizioni peggiori per primi, indossando larghe divise bianche, la maggior parte è scalza. Si mettono in fila, attendendo di passare il primo controllo medico, per capire chi è malato di cosa ed essere inviato nel giusto padiglione medico, non prima di prendere distrattamente la busta con bibite e cibo che gli porgi e andare a sedersi per mangiare. C’è la mamma con la bambina in braccio che stringe un pelouche, c’è il ragazzo con la maglietta della Juventus e quello con la maglietta del Manchester United, c’è lo spazio dove vengono fatti sedere i minorenni. E loro fanno paura; sono ragazzi, sono me e i miei amici quattro o cinque anni fa, ma a loro l’hanno rubata la spensieratezza e la gioia di essere giovani. E se si inorridisce a vedere gli sguardi vuoti di certi adulti, vedere quelli di questi ragazzi ti fa venire voglia di piangere. Non per i piedi nudi, la puzza, i tagli addosso ma per i loro sguardi. È da lì che capisci.

ALCUNI TI SORRIDONO quando gli porgi la busta, e ti dicono “thank you” o “merci beaucoup”. Loro sono stati fortunati , la loro speranza è stata più forte della disperazione, sanno che il peggio è passato e che loro sono vivi e i loro volti e i loro occhi non possono non ridere. Alcuni aiutano persino a tradurre qualche frase, fanno anche delle battute. Poi ci sono quelli che non sorridono. Sono quelli che in mezzo a quel mare hanno lasciato una grande parte di sé stessi e della propria anima. C’è un ragazzo con la camicia blu elettrico, 25 forse 30 anni, che ha visto i suoi due fratelli affogare davanti ai propri occhi. Non prende da mangiare né da bere e chiede soltanto un telefono. Quando riesce a recuperarne uno, chiama a casa, sua mamma, che è rimasta là, e le dice che è arrivato ma che i suoi due fratelli non ci sono riusciti. Poi chiude e si siede su una panca, a guardare per terra, mentre tutti gli altri passano e se ne vanno, verso gli ultimi controlli e poi verso i pullman. Non mangia, non beve, ogni tanto scende qualche lacrima, ma lui resta impassibile. Vorrei dire un’ultima cosa a quelle persone che parlano senza riflettere: immaginate che una terribile guerra cominci a distruggere l’Europa, e che voi siate costretti a partire, lasciando tutto, inclusa una parte della vostra famiglia, e che dobbiate attraversare tutto il continente a piedi, arrivando al mare, forse non riuscendo nemmeno a salire su una barca e restando uccisi sul molo, o che riuscendoci passiate giorni e giorni ammassati gli uni sugli altri, bestiame, con gente che vi caga, vi piscia e vi vomita sopra, rinunciando a qualsiasi straccio di dignità umana. Lotta per la sopravvivenza, si chiama. Arrivate finalmente a destinazione e siete vivi. E chi c’è ad attendervi? Fra le altre, anche delle persone che dicono che non c’è posto per voi e che dovete tornarvene a casa. Quale casa poi non si sa, visto che la vostra non esiste più. Rifletto sulle parole di un giovane somalo che ha detto che questa gente ha solo avuto la sfortuna di nascere dalla parte sbagliata del mare. Molti, camminando verso i pullman, ti fanno ciao con la mano e ti rivolgono un sorriso a mille denti. Sono felici, e non la felicità che si sente quando mamma ci compra un regalo per Natale. No, lo vedi nei loro occhi, questa è la vera felicità, quella che provano nel realizzare che forse non hanno più nulla, ma hanno ancora la vita. Mentre ti sorridono, è come se una gioia improvvisa quasi insensata e fuori luogo in un momento del genere ti riempisse. Anche perché sopra la vostra testa in quel momento stanno facendo scendere le bare con i cadaveri. Tornando a casa, mi rendo conto che puzzo, i miei vestiti e il mio intero corpo puzzano e mi sento come se qualcuno avesse appoggiato un peso di una tonnellata sulla mia testa. E intanto mentre l’Europa litiga e i francesi vogliono sospendere la libera circolazione nello spazio Schengen, i siciliani, sempre criticati, spesso guardati con arroganza, perché “dai, sono terroni”, perché “la loro isola è sporca, perché sono disorganizzati”, e poi “c’è la mafia”, accolgono queste persone con una generosità che commuove. E riaccende la speranza che forse, in fondo, non è tutto così buio.

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bimba rom di due anni: un sorriso che converte

rom

lezioni di vita

da sud a sud…

Rom-elemosina
Bari, Piazza Mercantile: sono al bar, con due cari amici. Si dialoga sui mali della società, delle cose che non vanno, di quel che si potrebbe cambiare. Idee per un Sud migliore, capace di camminare sulle proprie gambe, senza stampelle. Ho avuto una brutta settimana. E mi è capitato, come a chissà quanti altri, di aver avuto viscido contatto con gente talmente “per bene” da ridurre la propria dignità a raschiare il fondo del barile dell’umano squallore. Si scambiavano impressioni anche su questo, ahimè.

Si avvicina al nostro tavolo una donna rom con bimba in braccio. Noi pronti a fingere di non averla vista. Il solito carosello di venditori di rose, ragazzi addobbati di chincaglierie come abeti natalizi, e altri mendicanti. Lei sorride e ci chiede di prendere un gelato per la bimba, dall’età apparente di 2 anni. Bimba bellissima, che ci guardava con occhi curiosi e vispi. Ci scruta, dalla sua postazione, quasi asettica, probabilmente avvezza a reazioni di ogni tipo, a fronte delle richieste di denaro avanzate dalla mamma.  Così inopinatamente interrotti, noi ci guardiamo e quasi all’unisono diciamo alla mamma: “Va bene, ma solo se prendiamo il gelato”. Lei: “Certo, grazie”. Quasi sorpresa per la nostra richiesta.
Entro, vado alla cassa, mamma e figlia al seguito, acquisto un gelato. Lei aveva già preso lo scontrino dalla cassiera e non me ne ero neanche accorto. Attendevo, come appeso, la bimba mi guardava, forse sorpresa perché mi attardavo. Sorridiamo un attimo, di quel mio indugiare superfluo. Decido che il mio ruolo di accusatore etnico ha già messo a dura prova tutta la mia dignità.
Saluto e vado via. Dopo pochi istanti, la bimba arriva di corsa al nostro tavolo, rimane immobile e ci guarda. Noi le sorridiamo e le diciamo: “Vai da mamma, sù, a prendere il gelato”. Lei attende, inspiegabilmente, sceglie un momento di silenzio, come un bimbo che deve dire la poesia nel giorno di festa, infine sussurra un tenerissimo “Grazie!”. Poi sorride. I nostri cuori si sono sciolti in un istante. Uno di noi, interpretando perfettamente forse il pensiero di tutti e tre, fa notare quanto fossimo prevenuti, anche noi, come tanti altri sporchi razzisti. Proprio come quelli che tanto ribrezzo ci fanno. Anche questi sono i rom che la società preferisce emarginare, anche per creare i grandi affari su cui speculare? Come a Roma?

Tuttavia, non convinto del tutto l’accusatore che è dentro di me, quasi inavvertitamente, con un gesto automatico, ruoto la sedia di quel tanto che mi consente di guardare l’ingresso, per verificare se davvero quella bimba abbia ricevuto il suo cono o meno. Dubitavo, ancora. Partecipando, un po’ distratto, alla nostra conversazione, che nel frattempo è ricominciata. Finché la mamma esce con la bimba trionfante in un braccio, con in mano il suo bel cono gelato. La mamma ci saluta educatamente e va via. La piccolina ci guarda, sorridente.

Predichiamo quotidianamente contro le varie declinazioni della discriminazione, ci indigniamo, e poi compiamo, più o meno inconsapevolmente, i nostri piccoli gesti di razzismo interiore. Non si combatte il razzismo con il cuore gonfio di pregiudizi e alimentando i luoghi comuni. Parola di meridionale.

Forza, piccolina, cambia questo mondo orribile, comincia con la forza irresistibile del sorriso, come hai fatto oggi col mio cuore…

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