sulla teologia di Rahner

Rahner e l’esistenziale soprannaturale

 

il pensiero di Karl Rahner è un punto di passaggio obbligato per comprendere la rivoluzione metodologica avvenuta nella teologia del XX secolo. La sua riflessione ha permesso un notevole avanzamento della riflessione teologica, che rischiava di fossilizzarsi nelle categorie scolastiche medievali e moderne

Rahner

Karl Rahner e la svolta antropologica

Karl Rahner nasce a Friburgo nel 1904, gesuita tedesco, studia filosofia con Heidegger per poi laurearsi in teologia. Partecipa al Concilio Vaticano II come perito ed è annoverato tra i più grandi teologi del XX secolo. La sua attività di studio e ricerca è imponente: i suoi scritti principali sono raccolti in 16 volumi. Ha il merito di aver inaugurato un vero e proprio metodo teologico, definito come antropologico-trascendentale. Muore ad Innsbruck nel 1984.

Rahner ha una grande intuizione: comprende che le categorie della teologia scolastica medievale, che avevano dominato il sapere teologico per secoli, non riescono più a trasmettere adeguatamente i contenuti della fede. Esse infatti, essendo state elaborate prima della modernità, non tengono conto degli ineludibili sviluppi del pensiero avvenuti in questa epoca.

La modernità si caratterizza per una rinnovata riflessione sull’uomo: la soggettività e l’esperienza storica diventano centrali e vengono tematizzate in tutti i loro aspetti.

Rahner percepisce quindi il clamoroso ritardo che la teologia aveva accumulato sottraendosi al confronto con il pensiero moderno. Il metodo scolastico che nel medioevo riuscì ad armonizzare con successo fede e ragione, risultava ormai nel XX secolo profondamente insufficiente. Esso peccava di astrattezza seguendo un impianto deduttivo che non riusciva più ad essere eloquente e a fronteggiare la crisi moderna e contemporanea della fede. Un esempio di questa inadeguatezza sono le prove classiche dell’esistenza di Dio. Esse

… venivano proposte in un modo che non poteva non renderle, diciamo così, strane. Infatti si presentavano come se volessero convincere l’uomo di qualcosa che gli era assolutamente ignoto, quasi che Dio e la sua esistenza somigliassero ad un paese lontano, che l’ascoltatore non aveva mai visto, ma di cui doveva accettare l’esistenza. Venivano cioè portate all’uomo dall’esterno[1].

Rahner

Rahner coglie perciò la necessità di una proposta teologica che entrasse nel cuore della questione moderna, che muovesse dal soggetto e dalla sua esperienza storica concreta, senza limitarsi alla ripetizione sterile di un metodo anacronistico.

Se il programma moderno pone al centro la svolta antropologica e cioè una nuova riflessione sul soggetto, è Rahner in ambito cattolico il primo ad aver introdotto la svolta antropologica in teologia, elaborando un vero e proprio sistema.

Karl Rahner e il metodo antropologico-trascendentale

Il Teologo di Friburgo si ispira alla riflessione kantiana e a quella heideggeriana per superare l’oggettivismo scolastico e per sottolineare la rilevanza antropologica della Rivelazione.

Se i detrattori di Rahner sospettano che la sua impostazione scada in una deriva modernistica, in realtà mostrano di non aver affatto compreso la portata del suo contributo alla riflessione teologica. Karl Rahner riesce ad utilizzare lo spessore della riflessione filosofica moderna per esprimere le condizioni di possibilità teoretiche dell’inedito cristiano, ovvero la relazione tra Dio e l’uomo. Il Teologo, servendosi dell’apparato concettuale filosofico, evita però ogni tentazione hegeliana di ridurre il dato di fede ad un momento del pensiero.

Cercando di superare il neotomismo, in fondo Rahner segue l’intuizione tomista. Come Tommaso era riuscito ad imporre il rigore della riflessione aristotelica in un contesto culturale platonico-agostiniano, così allo stesso modo il Pensatore di Friburgo cercò di introdurre un nuovo metodo agli antipodi di quello vigente. Quindi l’originalità di Rahner non è nell’elaborare delle categorie nuove, ma nell’esprimere efficacemente il pensiero biblico-patristico attraverso un linguaggio rigoroso e comprensibile ai suoi interlocutori del XX secolo.

Le prove medievali dell’esistenza di Dio avevano assunto un presupposto fuorviante: Dio e l’uomo sembravano due grandezze estranee fra loro. Al contrario la Rivelazione biblica testimonia un’intimità strettissima fra Dio e l’uomo. L’intera creazione ha carattere cristico: l’uomo è pensato e creato in Cristo che si pone come origine e destinazione dell’umanità.

Rahner quindi si serve di Kant e di Heidegger per dire l’esperienza biblica di Agostino, Dio come “interior intimo meo[2]” più intimo all’uomo del suo stesso intimo.

Parafrasando Kant, Rahner conia il suo metodo come antropologico-trascendentale. L’esperienza umana, infatti,

…non è solo esperienza di questo e di quello, esperienza ben definita nei suoi contenuti, ma è, insieme, esperienza della finitezza, che rimanda ad un orizzonte infinito; esperienza dell’assolutezza della verità e della responsabilità, che rimanda all’assoluto; esperienza della radicalità dell’amore e della fedeltà, che rimanda all’incondizionato[3]. 

Il Teologo riprende cioè il trascendentale kantiano, la condizione di possibilità del conoscere, aprendolo all’esperienza verticale. L’uomo non è dotato solamente di strutture psichiche che gli rendono possibile la conoscenza, ma allo stesso modo è stato creato da Dio con un’apertura al mistero, ad una possibile Rivelazione di Dio nella storia. Rahner infatti, dal titolo di una sua opera del 1941, parla degli uomini come di “Uditori della Parola”: strutturalmente aperti, cioè, all’ascolto di una possibile comunicazione di Dio nella storia.

L’impostazione antropologico-trascendentale si coniuga nell’idea dell’esistenziale soprannaturale. Con questo terminologia, apparentemente complessa, in realtà Rahner cerca solamente di esprimere il dato biblico della Grazia che avvolge e pervade l’uomo in tutta la sua esistenza.

L’esistenziale soprannaturale significa questo: esistenziale è un concetto mediato dall’Esserci di Heidegger e indica l’esistenza umana, mentre soprannaturale qualifica la gratuità della Grazia: essa non appartiene al soggetto e non è in alcun modo deducibile da esso, è e rimane un dono di Dio.

Parlando della Grazia come di esistenziale soprannaturale, Rahner intende questo: la teologia moderna aveva rischiato di porre la relazione tra Dio e l’uomo in secondo piano, come qualcosa di accessorio. In questo orizzonte, la Grazia di Dio, la sua relazione con l’uomo, finiva per ridursi ad una realtà cosificata, imprigionata nei limiti delle categorie che la descrivevano. La precisione dei termini scolastici nel pensare la Grazia come presente o meno nell’uomo rischiava di far perdere di vista l’elemento più importante, la realtà cristica dell’umano, il suo essere indelebilmente immagine di Dio.

Il Teologo di Friburgo, attraverso il concetto dell’esistenziale soprannaturale, pensa la Grazia non solo come presente o meno, acquistabile o perdibile, ma come una realtà che si pone al centro dell’esistenza umana, che la irradia da sempre e senza interruzione.

Rahner

La Grazia, quindi l’azione di Dio sull’uomo, è concepita da Rahner come un apriori, un trascendentale. Essa, pur essendo un dono, avvolge l’uomo da sempre, nell’intimo della sua libertà e si pone come offerta sempre disponibile. In questo senso, nell’esperienza storica, l’uomo può certamente rifiutare la Grazia, la relazione con Dio, ma non può mai estirparla, perché essa continua ad essere sempre presente sotto la forma dell’appello che continuamente interpella la libertà.

Possiamo parafrasare questa intuizione biblica di Rahner con una suggestiva immagine di Werbick: non è solamente l’uomo a pregare Dio, ma è anche Dio a pregare l’uomo. Così ad esempio in 2 Corinzi 5,20 “Lasciatevi riconciliare con Dio[4]”. Inoltre, per i credenti, dietro alla preghiera di ogni sofferente che implora di non essere valutato in modo condizionato, come mezzo per un fine, si cela la preghiera stessa di Dio che chiama a non relativizzare la supplica dell’altro[5].

La preghiera è l’origine della libertà umana. Essa richiede la mia libera valutazione: il riconoscimento di un-essere-interpellato a cui potrei sottrarmi solo se non volessi valutare e volessi sottrarmi a ciò che mi riguarda incondizionatamente. La richiesta di valutazione non è irrecusabile. Irrecusabile è solo il ‘brutum factum’, che fa fallire immediatamente il mio proposito se non tengo conto di esso. L’irrecusabilità revoca la libertà, esige che si tenga conto dell’irrecusabilmente dato…[6]

Christian Sabbatini

Bibliografia:

R. Gibellini, La teologia del XX secolo, Queriniana, Brescia 20147 (Biblioteca di Teologia Contemporanea, 69), 237-253.

Immagine in evidenza: www.muenchner-kirchennachrichten.de

Immagini media: www.muenchner-kirchennachrichten.de www.badische-zeitung.de,  likesuccess.com,

[1] K. Rahner, Riflessioni teologiche sulla secolarizzazione e sull’ateismo, in Nuovi Saggi IV, Paoline, Roma 1964-1985: opera citata in R. Gibellini, La teologia del XX secolo, 244.
[2] Agostino, Le confessioni, Mondadori, Milano 2008 (I classici del pensiero, 6), 542.[3] R. Gibellini, La teologia del XX secolo, 241.
[4] Cfr. J. Werbick, Un Dio coinvolgente. Dottrina teologica su Dio, Queriniana, Brescia 2010 (Biblioteca di Teologia Contemporanea, 150), 266s.
[5] Cfr. C. Sabbatini, La questione del senso in Hansjürgen Verweyen e Jürgen Werbick, Istituto Teologico Marchigiano, Tesi di Baccelierato 2014, 48.
[6] J. Werbick, Un Dio coinvolgente, 268.

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esami al papa di … cattolicesimo

la copertina di NewsWeek:

“papa Francesco è cattolico?”

AFFARITALIANI
AFFARITALIANI

una copertina provocatoria che farà discutere in vista della visita di Papa Francesco negli Stati Uniti. Il settimanale passa in rassegna tutte le mosse e le frasi del Pontefice. Azioni, dichiarazioni e note in cui il Papa ha espresso la sua posizione su diversi argomenti. Vengono elencate ad esempio le sue parole sugli omosessuali (“chi sono io per giudicare un gay?”) o quelle sui divorziati a cui il Pontefice vorebbe nuovamente concedere la comunione

Inoltre,Newsweek, cita un sondaggio Gallup secondo il quale il gradimento del Papa è in picchiata, questo per lo “scollamento tra opinione pubblica e realtà dei fatti”. Le cifre di fatto parlano chiaro: la popolarità del Papa è scesa nel 2014 dall’89% al 71 per cento. Inoltre Bergoglio sarebbe sgradito al 55% di chi, in America, è su posizioni politiche conservatrici. Rispetto ad un anno fa ha il 27% di critici in più. Sempre Newsweek spiega: “Ha promesso troppo ai progressisti dottrinali e politici, ma ha spaventato i tradizionalisti per i quali la fede dev’essere immune dalle pressioni politiche”. Insomma la domanda rimbomba anche in Vaticano: “Il Papa è cattolico?”

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raddoppiati i poveri in pochi anni

IL RAPPORTO CARITAS 2015

  in sette anni raddoppiati i poveri

povertà

 Erano poco meno di due milioni nel 2007; sono risultati essere oltre 4 milioni nel 2014. Colpiti anche il Nord, i giovani e chi un lavoro comunque ce l’ha. La Caritas italiana chiede di nuovo l’introduzione del Reis, il Reddito di inclusione sociale proposto dall’Alleanza contro la povertà
E’ raddoppiata in sette anni. Dal 2007, anno in cui la crisi iniziò a mordere, al 2014 la povertà assoluta, in Italia, ha colpito un numero crescente di pesone, passando da 1,8 a 4,1 milioni di persone. Dal punto di vista percentuale si è saliti dal 3,1% al 6,8% della popolazione. È quanto emerge dal Rapporto 2015 sulle politiche contro la povertà in Italia curato dalla Caritas italiana in collaborazione con l’Università Cattolica, presentato oggi a Roma. Sono mutati anche geografia e volti della povertà (per vedere la tabella riassuntiva clicca qui). Prima della crisi era un fenomeno circoscritto sostanzialmente al Meridione, ora riguarda anche il Nord. Prima penalizzava soltanto gli anziani, ora anche i giovani. Prima riguardava le famiglie con almeno tre figli, adesso anche quelle con due. Prima si era poveri perché senza lavoro, ora si è poveri anche con il lavoro. E a pagare il prezzo più alto, durante la crisi, sono stati i più poveri tra i poveri: il 10% delle persone in povertà assoluta ha sperimentato una contrazione maggiore del proprio reddito (-27%) s uperiore a quella del 90% della popolazione.

In questi anni, rivela il Rapporto intitolato Dopo la crisi, costruire il welfare, sono cambiati i governi, ma le politiche sociali non hanno contribuito a risolvere la situazione, che rischia di diventare strutturale se non viene messo in piedi un sistema di welfare pubblico. Il Rapporto analizza nel dettaglio la situazione socio-politica. «Per poter valutare l’operato del Governo guidato da Matteo Renzi nei confronti della povertà è opportuno considerare la realtà delle politiche contro la povertà prima del suo arrivo, cioè l’eredità lasciata dai suoi predecessori». si legge. «Primo, l’Italia è l’unico Paese europeo, insieme alla Grecia, privo di una misura nazionale mirata a sostenere l’intera popolazione in povertà assoluta. Secondo, l’attuale sistema di interventi pubblici risulta del tutto inadeguato per volume di risorse economiche dedicate e frantumato in una miriade di prestazioni non coordinate, suddivise tra una varietà di categorie e con caratteristiche diverse. Terzo, la gran parte dei finanziamenti pubblici disponibili è dedicata a prestazioni monetarie nazionali mentre i servizi alla persona, di titolarità dei Comuni che poi coinvolgono anche il terzo settore, sono sottofinanziati. Quarto, la distribuzione della spesa pubblica è decisamente sfavorevole ai poveri: l’Italia ha una percentuale di stanziamenti dedicati alla lotta alla povertà inferiore alla media dei Paesi dell’area euro».

Cos’è cambiato durante la crisi? «In termini strutturali nulla», viene risposto nel Rapporto, «poiché nel periodo 2007-2014 non sono state introdotte novità degne di nota. L’unica misura stabile introdotta nel periodo è stata la Social Card, attiva dal 2008, che non ha modificato in misura significativa il quadro delineato, data l’esiguità tanto degli importi previsti quanto del numero di poveri raggiunti. In parallelo, le già ridotte risposte esistenti sono state ulteriormente indebolite dalle politiche di austerità rivolte ai Comuni, che li hanno portati a contrarre la loro spesa sociale, già molto scarsa. Oggi ci troviamo, dunque, di fronte a una povertà diffusa e a un welfare pubblico ancora del tutto inadeguato».

E Renzi? «L’attuale Governo ha sinora introdotto alcuni interventi per supportare il reddito delle famiglie rivolti prevalentemente a fasce più ampie della popolazione ma che, in varia misura, riguardano anche i nuclei in povertà: il bonus di 80 euro per i lavoratori dipendenti, il bonus bebè per famiglie con figli entro i tre anni, il bonus per le famiglie numerose e l’Asdi. L’insieme degli interventi di sostegno al reddito sinora varati restituisce un quadro piuttosto chiaro. Ai poveri viene fornito qualche sollievo – concede il Rapporto Caritas -, che si traduce in un complessivo incremento medio di reddito pari al 5,7%, risultato migliore rispetto ai precedenti Governi. Si tratta, però, di un avanzamento marginale e non privo – per come è stato disegnato – di controindicazioni. Pertanto, la valutazione d’insiemenon può che essere la seguente: in materia di sostegno al reddito l’attuale esecutivo, ad oggi, non si è discostato in misura sostanziale dai suoi predecessori e ha confermato la tradizionale disattenzione della politica italiana nei confronti delle fasce più deboli di popolazione.

«Occorre decidere se si vuole o meno dar vita ad un sistema fondato su una misura rivolta a chiunque sia in povertà assoluta, un livello essenziale costituito da un mix tra diritti nazionali e risposte disegnate dalla rete dei servizi locali e dotato di finanziamenti adeguati», termina il Rpporto: «un sistema, in altre parole, come quello previsto dal Reddito d’inclusione sociale (Reis), proposto dall’Alleanza contro la povertà in Italia e del quale la Caritas italiana auspica l’introduzione»

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a proposito dell’invito del papa alle case religiose

ero forestiero… ma non mi avete ospitato

Tratto da: Adista Notizie n° 31 del 19/09/2015
povero papa Francesco! All’Angelus del 6 settembre ha dovuto rivolgere un appello alle parrocchie, alle comunità religiose, ai monasteri e ai santuari di tutta Europa affinché esprimano la concretezza del Vangelo e accolgano una famiglia di profughi. Finalmente, avranno detto in molti. Purtroppo, dico io. Se il papa è costretto a fare un appello ai cattolici, vuol dire che siamo messi male.

Quell’appello è il sintomo di una Chiesa che fa poca accoglienza, delegandola solo a qualcuno, solitamente a quei preti sfigati che vengono tollerati dalla gerarchia e dai cattolici che contano, e che non faranno mai carriera. Eppure l’ospitalità allo straniero dovrebbe essere nel dna del cristiano; un’ospitalità gratuita, non un’occasione di affari, come già qualche collega prete intravede, lamentandosi delle scarsezze economiche della propria parrocchia.

«Mi rivolgo ai miei fratelli Vescovi d’Europa, veri pastori, perché nelle loro diocesi sostengano questo mio appello, ricordando che Misericordia è il secondo nome dell’Amore». È l’ammissione di un fallimento: nemmeno i vescovi europei – «veri pastori»? – fanno quello che dovrebbe essere scontato soprattutto per loro, tutti presi invece dalla gestione del potere, dei privilegi e della carriera. Il papa ha avuto il coraggio di uscire allo scoperto e gridare quello che oggi non fa piacere asentire: i migranti, i rifugiati, non interessano a nessuno. E troppo spesso non interessano neanche a noi cristiani che, così facendo, spranghiamo la porta a Gesù Cristo presente, vivo e vero nel povero, e ci trastulliamo invece con l’adorazione eucaristica: con un’ostia fin troppo asettica che non ci contamina le mani e la vita come le carni del bisognoso.

Negli anni ’90 sono stato parroco di Sant’Angelo a Scala, in provincia di Avellino, una minuscola comunità di montagna, una modestissima parrocchia povera di risorse umane ed economiche, alle cui porte un giorno bussò una famiglia di profughi serbi, considerati clandestini dalla legge. Non mi ero mai occupato di migranti prima di allora ma, con la mia comunità, decidemmo di ospitarli in canonica e di farci carico della loro situazione. Poco dopo, arrivarono dei profughi albanesi; li accogliemmo nello stesso modo, anche se dovettimo scontrarci con la solita burocrazia statale e, purtroppo, con i vertici della diocesi che mi intimarono di non mettermi contro la legge. Con la mia comunità discutemmo e decidemmo di disobbedire alle leggi italiane e ai superiori della diocesi: come ci ricorda il libro degli Atti degli Apostoli bisogna «obbedire a Dio piuttosto che agli uomini».

Nella Chiesa italiana vi è chi si occupa in modo specifico di migranti. Ma esistono anche troppe parrocchie dove si “batte l’aria”, istituti religiosi e monasteri grandi e spesso semivuoti. Da tempo avremmo dovuto spalancare queste porte per accogliere i rifugiati e i migranti. Per non parlare dei solenni, spaziosi e silenziosi palazzi episcopali che i vescovi dovrebbero aprire, finalmente, all’ospitalità. Eppure molti cattolici si battono per inserire nella Costituzione europea il riconoscimento delle “radici cristiane” del nostro continente. Spesso sono gli stessi che vorrebbero cacciare i profughi dall’Europa, come se queste radici cristiane, posto che ci siano, si riducessero ad un freddo crocifisso da imporre nelle aule scolastiche, e non all’accoglienza dei crocifissi in carne ed ossa, dei tanti povericristi.

Proprio noi cristiani avremmo dovuto, già da tempo, invitare i migranti a restare in Italia, avremmo dovuto mandare i traghetti a prenderli sulle coste africane. Avremmo già dovuto farlo perché in ogni caso hanno qualcosa da regalarci, perché se restano, possono aiutare questo Paese a cambiare; avremmo dovuto dimostrare con forza che non ci sono soltanto quelli che non li vogliono: per fortuna, ci sono italiani contenti di averli tra loro, e non vedo per quale motivo debba comunque prevalere il razzismo dei tanti, rumorosi e inconcludenti Salvini. Di fronte alle leggi inefficaci, e a volte razziste, che i vari governi hanno approvato negli ultimi anni, noi cristiani avremmo dovuto proporre e pretendere leggi giuste capaci di regolamentare senza umiliare.

Madre Teresa di Calcutta chiedeva alle sue sorelle di dormire per terra perché così avrebbero potuto far propria l’urgenza del disagio di quelli che non hanno dove dormire. Sono certo che anche in Italia, a prescindere dall’appello del papa, ci sono tante persone che, se proprio non dormono per terra, sono tuttavia davvero felici di stringersi un po’ per fare posto alle sorelle e ai fratelli migranti.

Vitaliano Della Sala è amministratore parrocchiale a Mercogliano (Av)

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l’Europa dei muri e dei fili spinati

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Si continua a costruire muri. In Europa e nel mondo. Muri di cemento e di reti metalliche, di filo spinato e di leggi di carta. Ma muri anche dentro le nostre coscienze e nelle nostre intelligenze. Muri nelle relazioni umane e interpersonali, muri tra le generazioni e tra le fedi.

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C’è un’idolatria del muro che è l’esatto opposto del Dio biblico che vede la miseria del suo popolo schiavo in Egitto e ascolta il suo grido (cfr. Esodo 3, 7). Gli idoli invece “sono argento e oro, opera delle mani dell’uomo. Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano. Hanno mani e non palpano, hanno piedi e non camminano; dalla gola non emettono suoni. Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida” (Salmo 115).

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i migranti sono la salvezza dell’Europa, parola saggia di Ovadia

 

Moni Ovadia

Moni Ovadia: «L’Europa, guardando negli occhi i migranti, ha riscoperto sé»

 

lo scrittore commenta il cambio di passo dei governi europei «L’immagine di Aylan ha prodotto un’intuizione. Ci ha ricordato chi siamo e da dove veniamo. Oggi abbiamo solo due leader, una è Merkel l’altro è Francesco»

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Moni Ovadia

L’Europa, dopo il dramma di Aylan, sembra essersi svegliata. Dalla Germania alla Francia, anche i paesi più rigidi hanno cambiato posizione sui migranti e si sono aperti all’accoglienza. In tutto il territorio dell’Unione fioriscono esperienze di accoglienza diffusa e di solidarietà. Ne abbiamo parlato con lo scrittore Moni Ovadia, per capire se sia possiible che una sola immagine possa essere cos’ determinante
Sembra che l’Europa abbia cambiato marcia sul tema dei migranti. Come se lo spiega?

Credo che Angela Merkel sia l’unica vera statista che abbiamo, lo dico da uomo di sinistra. Ha capito una cosa: questa onda umana non la puoi fermare se non ha prezzo di conseguenze inacettabili per la Germania, con il passato che ha. I bambini sono stati per lei il segno di quelle conseguenze. Stalin diceva: un morto è una tragedia, un milioni di morti sono una statistica. Sono morti tanti bambini in questi anni, migliaia. Ma quell’uno, Aylan, è impossibile da sostenere. Nel lager di Auschwitz successe un episodio simile. Dei detenuti tentarono di scappare o rubarano qualcosa. Non ricordo esattamente. Erano due adulti e un bimbo di 9 anni. Furono condannati e impiccati. I due uomini morirono subito. Il bimbo invece agonizzò per mezz’ora prima di morire. Era troppo leggero. Una certa teologia cristiana vide in quel bimbo il Cristo. Fu uno di quegli episodi che rese impossibile il silenzio su quel che succedeva in quei posti. È lo stesso che è capitato con Aylan. La Merkel ha fatto un atto lungimirante, estrememanerte forte in termini simbolici: la nazione carnefice della storia diventa umana., accogliendo un popolo in fuga E poi pensa al futuro, a costruire la Germania del futuro, come terra di accoglienza e di multiculturalità, sapendo di recuperare tante energie forti. I Siriani sono colti. Basta guardare la storia degli Stati Uniti d’America. La Merkel sta dando un segnale per il futuro dell’Europa. Da oggi i Paesi dell’est, penso anche alla Polonia che per quello che ha sofferto dovrebbe avere un atteggiamento diverso, possono solo adeguarsi alla linea. E non è un caso che tutto questo capiti nel tempo di Francesco. L’unico leader morale di questo periodo storico. Adamantino, puro e sudamericano, che sa cosa significa la tirannia. L’accoglienza però è solo il primo passo…

In che senso?

Dobbiamo ascoltare Francesco anche sugli altri grandi temi. In particolare sulla questione dei mercati e della finanza. Senza tornare ad un economia umana produrremo sempre più disperazione, povertà e guerre

Ma come può una sola foto ottenere un cambiamento così drastico?

Può perchè la forza icastica di un immagine è inimmaginabile. Pensiamo al bambino con le mani alzate quando i nazisti entrarono nel ghetto di Varsavia. Oliviero Toscani diceva che fa impressione che una sola immagine sia più forte di tutte le tragediie. Ma per fortuna è così. Il cambio di rotta della Germania è stata un’intuizione data da quella foto, non un calcolo. C’è una storiella yiddish che racconta di un bambino e un nonno. Il nipote chiede al nonno perché i ricchi siano così insensibili ed egoisti. Allora il nonno porta il bimbo alla finestra e gli chiede cosa veda. «Vedo delle persone che camminano, un cane che gioca e delle piante scosse dal vento». Allora il nonno lo porta davanti allo specchio: «adesso cosa vedi?». E il bimbo: «vedo solo me stesso nonno». E l’anziano: «Ecco, sei come un ricco, basta un po’ d’argento dietro ad un vetro e non vedi altro che te». Ci voleva un’immagine che rompesse lo specchio. Ma serviva un’immagine da cui non ci si potesse nascondere. E quell’immagine lo è. È sconvolgente.

Possiamo dire che da un dramma come quello di queste migliaia di persone che fuggono da fame e guerra stia nascendo qualcosa di bello, una nuova speranza?

Mi sembra che fosse una canzone di De Andrè, comunque è una frase che diceva sempre Don Andrea Gallo: Dai diamanti non nasce nulla, dal fango nascono i fiori. Questa disperazione è un fatto dolorosissimo. Se non portasse nulla con sé di buono però sarebbe triplamente dolorosa.

Sembra che si stia tornando alle nostre origini, quelle più nobili. Penso ad Enea e alla sua fuga da Troia con il padre e il figlio per arrivare in Italia, in Europa…
L’Italia è nata da un meticciato tra un turco, un uomo scuro, e un’autoctona. La grande Roma nasce dal meticciato. Ci siamo già dimenticati dei 30 milioni di italiani emigrati per fame. E che 4 milioni e mezzo di loro furono clandestini e tanti morirono in mare. Tanti di loro furono anche respinti e vissero in miseria. Vendevamo schiavi al Belgio per lavorare nelle miniere di carbone. Abbiamo dimenticato l’episodio di Marcinelle quando morirono 262 minatori italiani nella miniera di carbone Bois du Cazier. Erano nostri connazionali obbligati, pena la galera, a scendere a 2mila metri nelle budella della terra per poi strisciare nei cunicoli a lavorare. Scavavano e puntellavano per 12 ore al giorno. E se sbagliavano morivano sepolti vivi. Questa è la nostra storia. Non dobbiamo dimenticare cosa eravamo.

È così importante la memoria?

Freud diceva che ogni rimozione ritorna sempre come patologia. Ecco perché la memoria è importante. Per ricordarci la gloria del riscatto dalla miseria. Dalla nostra miseria.

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la diocesi che vuole superare i tabu sulle coppie gay

famiglia in crisi

la Diocesi studia le coppie gay

duomo di Treviso

di Silvia Madiotto
in “Corriere del Veneto” del 11 settembre 2015

La società trevigiana è cambiata, e con essa anche la famiglia. Quarant’anni fa si interrogava su divorzio e interruzione di gravidanza, oggi su coppie omosessuali, libri gender e crisi di valori. E anche la Diocesi guarda con curiosità e interesse scientifico alle nuove coppie e alle relazioni che compongono la comunità odierna.

«C’è una trasformazione culturale di cui la Chiesa deve prendere atto e a cui deve trovare un senso profondo, mi piacerebbe capire e studiare scientificamente le dinamiche delle coppie gay, altrimenti continuiamo a ragionare per ideologia e non per realtà effettiva».

Parole di Mario Cusinato, per quasi quarant’anni docente all’Università di Padova di psicologia della famiglia e oggi direttore del Centro della Famiglia di Treviso. Di famiglie in senso lato ce ne sono sempre meno, è questo il primo cambiamento della società. Le coppie che scelgono la fede al dito nella Marca sono in continuo calo: il rito civile è in leggera ripresa ma quello religioso viene scelto sempre meno. Di contro, dicono le rilevazioni Istat, sono in diminuzione i divorzi, principalmente per motivi economici e processuali. Un insolito boom di separazioni si registra tuttavia a Vittorio Veneto, mentre è Treviso ad avere il più alto numero assoluto di coppie che si lasciano. In provincia meno di un trevigiano su quattro è sposato (il 24%), sono celibi il 22% degli uomini e il 19% delle donne, divorziati l’1% degli uomini e l’1,4% delle donne. Un dato preoccupante è la natalità in forte calo: nella Marca il dato è di 1,09 figlio per donna, sulla media italiana di 1,2 (fra le più basse in Europa). «E gli stranieri si sono adeguati al Veneto, fanno meno figli anche loro» dice Adriano Bordignon, direttore del Centro. La Fondazione diocesana festeggia domenica al seminario vescovile i suoi 40 anni di attività, con oltre 18 mila corsi di formazione al matrimonio (sia religioso che civile), 4 mila consulenze, 100 gruppi di mutuo aiuto. «Le famiglie sono più fragili, le difficoltà sono maggiori di quelle che c’erano dopo il 1968, ma sono più forti le risorse per rispondere all’emergenza» dice Cusinato. Il Centro della Famiglia discute al suo interno anche sulle nuove famiglie, in particolare dopo l’apertura del governo Renzi alle unioni civili e alle coppie di fatto. Non solo: anche marito e moglie che scelgono il rito civile partecipano ai gruppi del Centro, e collaborano nelle attività di formazione dando il loro contributo: «Il matrimonio civile è il sacramento antico, distinguiamo i livelli umano e di fede non per importanza ma per specificità – chiude Cusinato -. Rispetto le coppie di fatto e il valore che hanno, non so prevedere cosa succederà con le coppie omosessuali, a me interessa capire le relazioni fra loro e i valori che condividono, non per apparire ma per essere». Coppie e «persone in relazione», precisa, non famiglie. Su questo la Chiesa è ancora molto ferma. Ma Cusinato si stupisce anche di alcuni matrimoni religiosi «che spesso sono solo apparenza e poca sostanza».

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finalmente felice il ‘bimbo brutto e nero’

bimbo rifiutato da tre coppie etero perché “brutto e nero”

ora è felicemente adottato da una coppia gay

è una storia a lieto fine e per capirlo basta guardare il sorriso di questo bambino brasiliano, (vedi foto qui sotto), orfano e rifiutato ben tre volte da altrettante coppie eterosessuali che dopo averlo visto hanno preferito non adottarlo perché “brutto e nero”

Alla fine José – nome di fantasia – è stato accolto da una coppia gay di Rio de Janeiro composta dal giornalista Gilberto Scofield Jr e dal suo compagno Rodrigo Barbosa. Una vicenda che intreccia e combatte due tipologie di discriminazione: quella contro gli omosessuali, ritenuti spesso indegni di crescere dei figli, e quella contro i neri. Gilberto e Rodrigo, i due papà del piccolo José, sono bianchi.

Abbandonato da padre e madre alcolizzati all’età di due anni, il piccolo abitava da oltre due anni in un orfanotrofio nella città di Capelinha, nello Stato di Minas Gerais. È lì che ha incontrato per la prima volta i suoi attuali, nuovi genitori. 

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intervista a mons. Gaillot dopo l’incontro col papa

 “il futuro è aperto!”

intervista a Jacques Gaillot a cura di Agnès Willaume e Jean-Baptiste Willaume
in “temoignagechretien.fr” del 10 settembre 2015 (traduzione: www.finesettimana.org)

Gaillot

quando, nel 1995, gli strali del Vaticano caddero su Jacques Gaillot, Témoignage chrétien, su iniziativa del suo direttore Georges Montaron, fu in prima linea per sostenere il vescovo di Évreux. Oggi, l’invito fraterno di papa Francesco a colui che è diventato “il vescovo degli esclusi” è un vero riconoscimento per tutto coloro per i quali si è impegnato da vent’anni e una buona notizia per coloro che credono che Cristo è per i poveri. Diciamo grazie a Jacques Gaillot per aver accettato di condividere con noi la sua gioia suscitata da quel bell’incontro
Può raccontarci che cosa è successo martedì 1 settembre?

Tutto è cominciato con un messaggio. Papa Francesco mi aveva telefonato diverse volte, ma ogni volta ero assente. Trovavo sulla mia segreteria telefonica il seguente messaggio: “Sono papa Francesco!”. Voleva incontrarmi. E, poco tempo dopo, ho ricevuto questo biglietto, molto coerente con il suo modo di essere. Mi sono quindi recato martedì scorso alla Casa Santa Marta con il mio amico Daniel Duigou. Quando siamo arrivati, un laico ci ha accompagnati nella sala d’attesa, una stanza molto semplice, senza comfort, e ci ha detto che sarebbero venuti a chiamarci. Meno di due minuti dopo, si è aperta la porta ed era lui, il papa, da solo, senza quei “monsignori” che assistono tradizionalmente ai colloqui pontifici. Entra e si siede accanto a noi, prendendo la prima sedia che trova. Gli suggerisco di prendere la mia, più comoda. Rifiuta gentilmente la mia offerta, ricordandomi che “siamo fratelli”. Allora mi butto: “Ci tengo a ringraziarla di accoglierci qui e a dirle che quelli che sanno che sono venuto qui sono veramente molto felici. Sono sicuramente ancor più felici di me! Trovano che la cosa sia meravigliosa, perché mi dicono che li rappresento. Tutti: i senzatetto, i ‘sans-papiers’, i rifugiati… Io non ho niente da chiederle, ma loro hanno moltissime cose da dirle!”. Il papa ha sorriso. Gli ho parlato di quel ragazzo in un ospedale psichiatrico che si rallegrava tanto: “Quando ti riceverà, sarà come se io fossi riconosciuto!”. “Vede, ricevendomi, lei fa del bene a tanta gente”. Il papa si è mostrato molto interessato all’esperienza di Daniel, parroco di SaintMerry, una parrocchia pilota nell’accoglienza dei migranti. Ha ripetuto con forza un’espressione che per lui è essenziale: “I migranti sono la carne della Chiesa”. Ha ricordato che anche lui è un immigrato. E io ho annuito: Francesco è lontano dal suo paese, lontano dal suo popolo, come loro. Non è facile, ma resiste. Gli ho spiegato che sono vent’anni che sono stato allontanato, escluso… “Ma, escludendomi, la Chiesa mi ha dato un buon passaporto per andare verso gli esclusi!”. Ha riso e ci ha ricordato quell’immagine dell’Apocalisse che aveva usato al conclave prima di essere eletto: “Cristo bussa alla porta della Chiesa, ma bussa dall’interno! Vuole che si spalanchino le porte! Per lasciarlo uscire! Per andare a incontrare il mondo e l’umanità”. Gli ho risposto che, in effetti, non bisognava rinchiudere Colui che è venuto a liberarci. Quando lo abbiamo lasciato e siamo usciti da Santa Marta, Daniel mi ha detto: “Voltati, è ancora lì!”. Ed effettivamente, era in piedi sulla soglia e ci guardava andar via, aspettando, come se non volesse rientrare. Forse non è molto rispettoso, ma gli faccio un piccolo cenno con la mano allontanandomi. Lo abbiamo lasciato come si lascia un amico, un amico che si trova in una situazione un po’ peggiore della nostra: lui è un po’ il prigioniero del Vaticano! Era visibilmente contento del tempo passato con noi. Non lo abbiamo stancato! Gli abbiamo portato la speranza. Un bell’incontro con un uomo molto semplice, autentico, assolutamente libero. È così che dovrebbe essere la Chiesa.

Lei è sempre rimasto fedele e leale verso la Chiesa in tutti questi anni. Come ci è riuscito?

Al primo posto, c’è comunque Cristo, la persona di Gesù! È per lui che ho dato la mia vita. La Chiesa, d’accordo, ma non è un assoluto! L’istituzione non è al primo posto nella mia vita. Ho sempre detto che ciò veniva prima era interessarsi alla storia delle persone, alle trasformazioni della società. Non siamo fatti prima di tutto per la Chiesa, ma per la gente. Un giorno ero nel metrò all’ora di punta e c’era talmente tanta gente che non sapevo più dove attaccarmi. Mi appoggiavo quindi alle persone, a seconda delle scosse, sballottato a destra e a sinistra. Scendendo, ho detto ad un uomo che rideva della mia situazione precaria: “Vede, quello che fa stare in piedi un vescovo, è la gente!” Allora, è vero che non sono più stato invitato dalla Chiesa, ma sono stato invitato altrove, da credenti, da non credenti, da musulmani, massoni, detenuti, iraniani, baschi, nelle grandi città e nelle periferie, in piccoli collettivi e in associazioni in lotta. Sempre per incontrare persone ai margini. Quando andavo da qualche parte, era sempre in nome della solidarietà, dei diritti umani, della pace… Ed è evidente che non avrei potuto fare tutti quegli incontri se fossi rimasto un vescovo classico. Sono stato sollevato da tutto ciò che è istituzionale. Ringrazio Roma! Da quando sono vescovo di Partenia, ho imparato a “predicare fuori”. È una cosa diversa, ma è talmente bello. Mi piace andare ad incontrare le famiglie del DAL1 (1) a Place de la République. Le donne mi vogliono bene: mi accolgono come se andassi a dar loro chissà che cosa e applaudono quasi prima che io parli! Oggi, faccio Chiesa con persone come loro, con la gente di Place de la République. In un certo senso, è una benedizione. L’ho detto al papa: “Se lei potesse leggere nel mio cuore, vedrebbe migliaia di persone!”.

Lei pensa che il papa sia in grado di trasformare l’istituzione, di liberare la parola della Chiesa?

Certo ne ha la volontà. Ne ho avuto la certezza appena ho visto che aveva preso il nome di Francesco d’Assisi, riformatore radicale che viveva nella povertà, impregnato di Vangelo! Nessun papa prima di lui aveva osato prenderlo. Il papa vuole davvero andare avanti, ho perfino la sensazione che voglia farlo in fretta. Non si concede periodi di vacanza, lavora fino allo sfinimento. Ci tenevo a fargli coraggio, a dirgli di continuare: “Siamo con lei, siamo un popolo numeroso! Lei ha suscitato ovunque una speranza enorme, non bisogna deluderla! Lei è una delle rare persone, o forse la sola, la cui parola può essere ascoltata su tutto il pianeta, da tutti gli uomini. Credenti o no”. Abbiamo parlato del Sinodo, e del fatto che ci si trova oggi di fronte ad una molteplicità di configurazioni familiari. Gli ho detto che pensavo che occorre raggiungere le persone così come sono e non come si vorrebbe che fossero! Siccome mi piacciono i casi concreti, gli ho raccontato di aver benedetto quest’estate una coppia di divorziati risposati. Era il 15 d’agosto, all’aperto, con attorno un centinaio di persone. Che bel matrimonio! Ero in abiti civili e ho benedetto quegli sposi. Ho anche benedetto, sempre quest’estate, una coppia di omosessuali. Erano insieme da nove anni, si erano sposati civilmente e desideravano, essendo cristiani praticanti, essere benedetti dalla Chiesa. Tutti i preti avevano rifiutato. Allora mi hanno scritto una lettera così bella che non ho potuto fare altro che andare a benedirli. Eravamo all’aperto, c’erano 80 persone, ed era molto bello! Si benedicono le case… perché non le persone? Il papa ha annuito: “La benedizione è esprimere la bontà di Dio a tutti!”. Avrebbe potuto fare delle puntualizzazioni, farmi dei rimproveri. E invece no. Non mette al primo posto le regole, ascolta, si accontenta di dire che la benedizione di Dio è per tutti. Questo fa pensare che è favorevole all’apertura, che vuole liberare le persone, liberare la parola. Dove ci porterà questo? Non lo so!

Per quanto riguarda lei, si può interpretare questo incontro con papa Francesco come una
  DAL: Associazione Droit au logement, cioè: Diritto alla casa.

 
Sì, possiamo dirlo. Personalmente non ci ho pensato troppo, perché il semplice fatto di incontrarlo mi sembrava importante. Non immaginavo che l’annuncio di questo incontro avrebbe avuto tali ripercussioni. Il mio telefono trabocca di chiamate e di messaggi. Ricevo moltissime lettere di persone che si rallegrano per me. Ma molte di loro sono deluse: “Come? Non ti ha detto niente? Non ti ha proposto niente?” Si aspettavano cose concrete! Mi è difficile spiegare loro l’atmosfera di quell’appuntamento con papa Francesco: non ci sono stati annunci particolari, ci si è limitati a parlare in tutta semplicità Eppure, sono molto felice del nostro colloquio. Non cambia la mia vita, ma sono contento di constatare che la Chiesa, al suo massimo livello, accoglie tutto ciò che ho potuto vivere in questi ultimi vent’anni e manifesta che c’è una comunione con il successore di Pietro. È importante e senza dubbio meno per me che per molte persone che mi conoscono.

Ma che cosa l’ha colpita di più in questo incontro?

È bello constatare che, in un’istituzione come la Chiesa, papa Francesco resta un uomo libero. Non è un uomo d’apparato, non è assorbito dalla sua funzione, è semplice, è esattamente come è. È uno che ascolta. Non fa puntualizzazioni, non giudica. Si mette in ascolto della realtà così com’è, in qualsiasi ambito. La notte successiva al nostro incontro, nella mia camera al terzo piano di Monte Mario, nel convento degli Spiritani, ho guardato attraverso la finestrella che dà sulla cupola di San Pietro e ho realizzato che c’era qualcuno accanto a me, che il papa vegliava, come un custode dell’umanità.

Che cosa vorrebbe dire a tutti coloro che l’hanno sostenuta in questi vent’anni, tra cui anche i lettori di Témoignage chrétien?

Vorrei dire loro che il futuro è aperto. Non penso molto al passato. Sembra che neanche il papa lo faccia. È il futuro che ci attende. È il domani che è da costruire, e tocca a noi scrivere il futuro. Ai cristiani che possono perdere la speranza nei confronti della Chiesa francese, dirò che non bisogna gettare la speranza alle ortiche! La speranza è in noi, bisogna andare avanti, perché Cristo ci precede. Forza, andiamo

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la ‘parresia’ di papa Francesco muove anche i vescovi più conservatori …

Venezia, l’affondo del patriarca:

“Chi non accoglie gli immigrati non può dirsi buon cristiano”

Francesco Moraglia: “Timori comprensibili se frutto di scarsa informazione. Non lo sono se frutto di chiusure pregiudiziali”

dopo Papa Francesco, anche monsignor Francesco Moraglia, patriarca di Venezia, invita i suoi parroci all’accoglienza: “Tutti siamo chiamati in causa, personalmente e con le nostre comunità a fare la nostra parte.

“l’accoglienza diffusa è un modo per stemperare le difficoltà di ospitare chi scappa da Paesi che non solo impediscono condizioni di benessere, ma impediscono loro di poter vivere”

In un’intervista concessa a Repubblica, il patriarca se la prende con coloro che sono contrari all’immigrazione, affermando che questo non è un atteggiamento cristiano “perché il messaggio di Gesù è un messaggio di accoglienza. Per i cristiani l’altro rappresenta Cristo, e il nostro impegno è anche quello di accompagnare i fedeli a comprendere questa verità. L’apertura a Dio di esprime anche con l’accoglienza. Chi non crede ha lo stesso dilemma perché non può non riconoscere in queste persone un altro se stesso“.

Infine, una frecciatina alla Lega Nord, che “si è caratterizzata per espressioni molto forti, ma mi auguro che con il passare del tempo, nel rispetto dei cittadini e della legalità, vi sia disponibilità ad aprirsi all’accoglienza: è un problema reale che non può essere risolto solo con affermazioni drastiche“.

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