razzismo anti rom

Giornalisti e politici i più “anti-ziganisti”

 

 Un Rapporto dell’Associazione “21 luglio” analizza gli episodi di intolleranza verso gli “zingari”. Ne emerge un quadro sconfortante: sono centinaia i casi di incitamento all’odio. Gli esponenti della Lega sono in testa per affermazioni xenofobe e razziste. Ma anche i cronisti si macchiano con grande frequenza di “informazione scorretta”.

Quando si parla di rom, si è tutti bravi a urlare, a chiedere sgomberi e a confinare. Si dimentica che sono prima di tutto persone, appena 160 mila, non più nomadi, la metà ragazzini, la metà di tutti addirittura italiani.

Anche se magari non ce ne accorgiamo, in Italia molti abitano in casa. Altri invece vivono confinati nei cosiddetti “campi nomadi” (per famiglie che da generazioni non sono più nomadi), oppure, spesso per povertà, nelle baraccopoli ai margini delle nostre città.

Ma i ghetti non sono solo quelli fisici, sono anche quelli mentali. Secondo l’Eurobarometro, solo il 7% degli italiani risponde positivamente alla domanda: “Sei disponibile ad avere amici rom?”. È uno dei valori più bassi in tutta Europa.

Le ragioni sono molteplici, ma stampa e politica hanno una responsabilità decisiva. L’Osservatorio dell’Associazione “21 luglio” ha recentemente presentato il rapporto “Antiziganismo 2.0”, secondo il quale ogni giorno in Italia si registrano 1,43 casi di incitamento all’odio e discriminazione nei confronti di rom e sinti, per lo più attraverso dichiarazioni di esponenti politici diffuse da giornali, siti web e social network.

Trecentosettanta casi di incitamento all’odio, 482 casi di informazione scorretta

Stereotipi e pregiudizi verso tali comunità, del resto, sono alimentati da una media giornaliera di 1,86 episodi di informazione scorretta ad opera di giornalisti di testate locali e nazionali. Spiega l’Associazione: «Ai rom si associano indistintamente e automaticamente degrado, incuria, malvivenza, pericolosità sociale, incapacità genitoriale, inadeguatezza sociale, rifiuto consapevole delle regole e una “genetica” attitudine alla delinquenza e alla non-integrazione». Si ripetono pregiudizi assurdi come per esempio che “i rom rubano i bambini”, dimenticando come una recente ricerca dell’Università di Verona, finanziata dalla Fondazione Migrantes, abbia analizzato scientificamente tutti i casi di denuncia nei confronti di rom come presunti responsabili di sparizioni di bambini, dimostrando che negli ultimi 25 anni nessuno di questi era fondato.

Dal 1 settembre 2012 al 15 maggio 2013, il monitoraggio dell’Osservatorio 21 luglio, effettuato su circa 140 fonti, ha rilevato 370 casi di incitamento all’odio e discriminazione e 482 casi di informazione scorretta in grado di alimentare il cosiddetto antiziganismo, definito dalla Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza come «una forma di razzismo particolarmente persistente, violenta, ricorrente e comune che viene espressa, tra gli altri, attraverso violenza, discorsi d’odio, sfruttamento, stigmatizzazione e attraverso le più evidenti forme di discriminazione».

Il 59% delle segnalazioni razziste si riferisce a iscritti a un partito di destra o centro-destra

Nei 370 casi analizzati, 281 (il 75% del totale) sono riconducibili ad esponenti politici, 58 a privati cittadini e 20 a giornalisti. I giornalisti sono rivelati il principale strumento di diffusione (234 casi), seguiti da siti internet (51), Twitter (23) e Facebook (10). Il titolo “Antiziganismo 2.0” richiama il ruolo dei social network, che hanno offerto una nuova “bacheca”, ma purtroppo l’antiziganismo non è un fenomeno nuovo. Fin dall’inizio, alla presenza di rom in Europa si sono accompagnate ondate di persecuzione. Non è facile individuare un’altra minoranza – se non, con ovvie differenze, gli ebrei – che per un periodo tanto lungo, e in maniera costante, sia stata ovunque colpita da misure vessatorie caratterizzate da una così acuta violenza e da un tanto palese disprezzo dei diritti umani.

Dal rapporto emerge che il 59% delle segnalazioni si riferisce a iscritti a un partito di destra e di centro destra: «In 90 casi, l’autore di una dichiarazione discriminatoria e incitante all’odio è stato un esponente della Lega Nord; seguono il Popolo della Libertà (74), La Destra (30) e Forza Nuova (11). In 9 casi l’autore è stato invece un esponente del Partito Democratico».

Cosa fare? L’Associazione 21 luglio ha intrapreso 135 azioni correttive, tra cui 75 segnalazioni all’Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali), 29 lettere di diffida, 10 esposti al Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti, 7 segnalazioni all’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori di Polizia di Stato e Carabinieri (Oscad). Tra i risultati ottenuti, la chiusura di due blog e la rettifica dei contenuti di un paragrafo della guida National Geographic su Roma che criminalizzava indistintamente i rom.

Seppur in questi casi la via legale debba essere percorsa, certo il problema è culturale e legato ai “ghetti mentali”. Va affrontato con un approccio “globale”: «È necessario», conclude l’Associazione, «contrastare questi stereotipi e pregiudizi, alimentati da dichiarazioni di esponenti politici che intendono parlare alla pancia del proprio elettorato e da notizie giornalistiche incapaci di approfondimento e di analisi complessa, attraverso tutte le forme possibili, istituzionali e governative, attraverso il diritto e la produzione intellettuale, nella lotta politica e nel lavoro nei territori, nei media, a scuola e in strada. Si potrebbe cominciare dal linguaggio: i termini “nomadi” e “zingari” denotano una connotazione negativa e pertanto non andrebbero più utilizzati, né dai politici né dai giornalisti».

03/10/2013 

 

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tante scuse per nascondere il nostro razzismo

le 9 balle sull’immigrazione

(smentite dai numeri)

in un momento che registra  quotidianamente tanta intolleranza nei confronti di immigrati o rom non è male riflettere, magari in modo un po’ semplificato come nelle nove scansioni di A. Colasuonno qui sotto riportate, su quanti e quali stereotipi, pregiudizi o vere e proprie balle con i quali copriamo le nostre forme di razzismo:

immigrato

 

 Negli ultimi tempi fra le provocazioni di Salvini, i blitz di Borghezio e Casapound, le aggressioni in autobus o per strada ai danni di africani accusati di portare l’Ebola, gli scontri di Tor Sapienza, le esternazioni di Grillo circa il trattamento da riservare a chi arriva dal mare, il clima attorno agli stranieri si è di nuovo fatto abbietto e a tratti pericoloso. Ho voluto allora confutare punto per punto le argomentazioni più usate dai razzisti a vario titolo, tanto per fare chiarezza e dimostrare che il razzismo rimane un basso istinto che va semplicemente educato e soppresso e non ha alcuna ragione razionale per essere professato:

1) “Vengono tutti in Italia”

Gli stranieri in Italia sono poco più di 5 milioni e mezzo, ossia l’8% della popolazione. Solo 300 mila sono gli irregolari. Il Regno Unito è il paese europeo al primo posto per numero di nuovi immigrati con circa 560.000 arrivi ogni anno. Seguono la Germania, la Spagna e poi l’Italia. La Germania è invece il paese Ue con il maggior numero di stranieri residenti con 7,4 milioni di persone. Segue la Spagna e poi l’Italia. Siamo sesti inoltre per numero di richieste d’asilo (27.800). Da notare che il paese col più alto numero di immigrati è anche l’unico che in questo momento sta crescendo economicamente.

2) “Li manteniamo con i nostri soldi”

Gli stranieri con il loro lavoro contribuisco al Pil italiano per l’11% , mentre per loro lo stato stanzia meno del 3% dell’intera spesa sociale. Inoltre gli immigrati ci pagano letteralmente le pensioni. L’età media dei lavoratori non italiani è 31 anni, mentre quella degli italiani 44 anni. Bisognerà aspettare il 2025 perché gli stranieri pensionati siano uno ogni 25, mentre gli italiani pensionati sono oggi 1 su 3. Ecco che i contributi versati dagli stranieri (circa 9 miliardi) oggi servono a pagare le pensioni degli italiani.

3) “Ci rubano il lavoro”

“La crescita della presenza straniera non si è riflessa in minori opportunità occupazionali per gli italiani”, è la Banca d’Italia a parlare. Il lavoro straniero in Italia ha colmato un vuoto provocato da fattori demografici. Prendiamo il Veneto. Fra il 2004 e il 2008 ci sono stati 65.000 nuovi assunti all’anno, 43.000 giovani italiani e 22.000 giovani stranieri. Nel periodo in cui i nuovi assunti sono presumibilmente nati, negli anni dal 1979 al 1983, la natalità è stata di 43.000 unità all’anno. È facile vedere allora che se non ci fossero stati gli immigrati, 22.000 posti di lavoro sarebbero rimasti vacanti. Questo al Centro-Nord. La situazione è un po’ più problematica al Sud, perché in un’economia fragile e meno strutturata spesso gli stranieri accettano paghe più basse e condizioni lavorative massacranti, rubando qualche posto agli italiani. A livello nazionale, ad ogni modo, il fenomeno non è apprezzabile.

4) “Non rispettano le leggi”

Negli ultimi 20 anni la presenza di stranieri in Italia è aumentata vertiginosamente, fra il 1998 e 2008 del 246% dice l’Istat. Eppure la delinquenza non è aumentata, ha avuto solo trascurabili variazioni: nel 2007 il numero dei reati è stato simile al 1991. Di solito si ha una percezione distorta del fenomeno perché si considerano fra i reati degli stranieri quelli degli irregolari che all’87% sono accusati di reato di clandestinità il quale consiste semplicemente nell’aver messo piede su territorio italiano.

5) “Portano l’Ebola”

L’Africa è un continente enorme, non una nazione. Le zone in cui l’Ebola ha maggiormente colpito sono Liberia e Sierra Leone. Da queste zone non giungono immigrati in Italia dove invece arrivano da Libia, Eritrea, Egitto e Somalia. I sintomi dell’Ebola poi si manifestano in 3 o 4 giorni e un migrante contagiato non potrebbe mai viaggiare per settimane giungendo fino a noi. Infine il caso ebola è scoppiato ad aprile 2014, nei primi 8 mesi del 2014 in Italia sono arrivati circa 100 mila immigrati e neanche uno che ci abbia trasmesso l’Ebola.

6) “Aiutiamoli a casa loro”

È la frase con cui i razzisti di solito si autoassolvono, come se aiutarli a casa loro non abbia dei costi e dei rischi, e come se i nostri governi non abbiano già lavorato per affossare questa possibilità. Nel 2011 il governo italiano ha operato un taglio del 45% ai fondi destinati alla cooperazione allo sviluppo, stanziando effettivamente 179 milioni di euro, la cifra più bassa degli ultimi 20 anni. Destiniamo a questo ambito lo 0,2 del Pil collocandoci agli ultimi posti per stanziamenti fra i paesi occidentali. Nel 2013 il Servizio Civile ha messo a disposizione 16.373 posti di cui solo 502 all’estero, in sostanza il 19% di posti finanziati in meno rispetto al bando del 2011.

7) “Sono avvantaggiati nelle graduatorie per la casa

Ovviamente fra i criteri per l’assegnazione delle case popolari non compare la nazionalità. I parametri di cui si tiene conto sono il reddito, numero di componenti della famiglia se superiore a 5 unità, l’età, eventuali disabilità. Gli immigrati di solito sono svantaggiati perché giovani, in buona salute e con piccoli gruppi famigliari (poiché non ricongiunti). Nel bando del 2009 indetto dal comune di Torino il 45% dei richiedenti era straniero, solo il 10% di essi si è visto assegnare una casa. Nel comune di Genova, su 185 abitazioni messe a disposizione, solo 9 sono andate ad immigrati. A Monza su 100 assegnazioni solo 22 agli stranieri. A Bologna su 12.458 alloggi popolari assegnati, 1.122 agli stranieri.

8) “Prova a costruire una chiesa in un paese islamico”

È l’argomento che molti usano perché non si costruiscano moschee in Occidente o perché si lasci il crocifisso nei luoghi pubblici. È un argomento davvero bislacco: per quale motivo se gli altri sono incivili dovremmo esserlo anche noi? E comunque gli altri non sono incivili. In Marocco i cattolici sono meno dello 0,1% della popolazione eppure ci sono 3 cattedrali e 78 chiese. Si contano 32 cattedrali in Indonesia, 1 cattedrale in Tunisia, 7 cattedrali in Senegal, 5 cattedrali in Egitto, 4 cattedrali e 2 basiliche in Turchia, 4 cattedrali in Bosnia, 1 cattedrale negli Emirati Arabi Uniti, 3 monasteri in Siria, 7 cattedrali in Pakistan e così via.

9) “I musulmani ci stanno invadendo”

Al primo posto fra gli stranieri presenti in Italia ci sono i rumeni che sono oltre un milione. I rumeni per la maggior parte sono ortodossi. In seconda posizione ci sono gli albanesi, quasi 600 mila, per il 70% non praticanti (lascito della dominazione sovietica) e, fra i rimanenti, al 60% musulmani e al 20% ortodossi. Seguono i marocchini, quasi 500 mila, quasi totalmente musulmani, e ancora i cinesi, circa 200 mila, quasi tutti atei. Dunque in larga parte gli stranieri in Italia sono cristiani, oppure atei, solo in piccola parte professanti l’Islam. “Un buon capro espiatorio vale quasi quanto una soluzione”.

Andrea Colasuonno 

 

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il commento al vangelo di p. Maggi, p. Bianchi e p. Agostino

 

SEI STATO FEDELE NEL POCO, PRENDI PARTE ALLA GIOIA DEL TUO PADRONE! 

maggi

commento al Vangelo della domenica trentatreesima  del tempo ordinario (16 novembre) di p. Alberto Maggi:

Mt 25,14-30

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:  «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.  Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

Con Gesù il rapporto con Dio, con il Padre, cambia. Non più servi del Signore, ma figli del Padre. Ma un’idea sbagliata di Dio può rovinare l’esistenza della persona e impedire il passaggio da servo a figlio.
Sentiamo cosa ci scrive Matteo nel suo vangelo, capitolo 25, dal versetto 14 al 30. Gesù sta parlando del regno, del Regno dei Cieli. “Avverrà infatti come a un uomo che, partendo, chiamò i suoi servi …”, nel mondo orientale tutti i dipendenti di un personaggio importante vengono chiamati servi anche se, come in questo caso, si tratta di funzionari di alto rango.
“… E consegnò loro i suoi beni.” Questo signore non lascia i suoi beni in custodia, ma li trasferisce. Il verbo “consegnare” utilizzato dall’evangelista, significa un “dare” senza poi riprendere. “A uno diede cinque talenti”. Il talento era una misura di valore molto importante, un talento oscillava tra i 26 e i 36 Kg d’oro; un talento corrispondeva circa a 6.000 denari, cioè a 20 anni di salario di un operaio, quindi una fortuna.
Ebbene “a uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno”, letteralmente “la forza”. Il signore, il padrone conosce i suoi funzionari e sa le loro capacità. “Colui che aveva ricevuto cinque talenti subito andò a impiegarli”, e lo stesso fa quello che ne aveva ricevuti due. Il primo ne guadagna altri cinque, e l’altro ugualmente raddoppia, ne guadagna altri due, agiscono da signori, come se il talento fosse loro.
“Colui invece che aveva un solo talento…”, attenzione non è che con un solo talento riceva poco, ma ripeto un talento sono circa 30 Kg d’oro o 20 anni di paga di un operaio, quindi un’enorme fortuna, ma costui rimane servo, non si sente signore. “… andò a fare una buca nel terreno”. Seppellendo questo talento è come se seppellisse la propria vita, ma lo fa anche perché, secondo il diritto rabbinico, se uno seppelliva il denaro che gli era stato dato, in caso di furto, non era tenuto a restituirlo.
Quindi prende tutte le precauzioni, lui non crede nella generosità del suo padrone “e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi viene …” l’evangelista parla al presente, a rappresentare un’azione che continua nella comunità di Gesù, “e volle regolare i conti con loro”. Non viene per farsi restituire quello che lui aveva donato, ma vedere che cosa ne hanno fatto.
“Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: ‘Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. Ebbene a questo punto il signore, il padrone, non chiede indietro quello che lui aveva dato, ma gioisce ed escama: “’Bene … “, e questa esclamazione assomiglia a quella del creatore nel libro del Genesi quando Dio, il creatore, ammira la sua opera, “’Servo buono e fedele – gli disse il suo padrone – sei stato fedele nel poco … “’, dice nel poco, ma si tratta di un’enormità, una fortuna immensa, 150 Kg d’oro, una fortuna straordinaria, e il padrone dice che era poco.
“’Ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”’. Lo invita a far parte di tutte le sue sostanze, di tutta la sua vita e lo fa passare dalla condizione di servo a quella di padrone, libero come lui. Ugualmente per quello che ne aveva ricevuti due. Invece è diversa la situazione per colui che aveva ricevuto un talento.
“Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e gli disse: ‘Signore, so… ‘”, lui ragiona in base a quello che sa, ma è una conoscenza sbagliata. “’… so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso’”, ma questa è un’immagine distorta che non viene
giustificata dalla narrazione. Nella narrazione vediamo un padrone non generoso, ma follemente generoso, che non solo non vuole indietro l’enorme fortuna che ha lasciato ai suoi funzionari, ma addirittura li fa parte di tutto il suo patrimonio, di tutta la sua vita.
“’Ho avuto paura’”. Ecco qui dove vuole arrivare l’evangelista, un’immagine distorta di Dio, la paura di Dio può essere fatale per la persona, che ha paura di agire per timore del rimprovero, o di sbagliare. Dirà Giovanni  nella prima lettera “Nell’amore non c’è timore. Chi teme non è perfetto nell’amore”.
“’Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento…’”, mentre gli altri se ne sono impossessati e hanno agito liberamente, costui è rimasto servo, e sottolinea “’… sotto terra: ecco ciò che è tuo’”. Non l’ha mai considerato proprio. Ed ecco la reazione del padrone. “Il padrone gli rispose: ‘Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato’”, omette la definizione “uomo duro”,”’ e raccolgo dove non ho sparso …’”, il padrone non è d’accordo con l’immagine che il servo ha di lui, è un’immagine distorta.
“’Avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse’”. La paura di sbagliare, nell’individuo, ha paralizzato la sua azione, la sua crescita. Ed ecco la sentenza. “’Toglietegli dunque il talento… ‘”, non ha saputo che farsene, era una fortuna e non l’ha saputa usare, anzi per lui questa fortuna che il signore gli aveva dato era diventata motivo di angoscia, di ansia e preoccupazione. Allora il signore gli dice “è inutile che la tieni, “’… e datelo a chi ha i dieci talenti.’”.
Questo individuo non viene punito per aver fatto qualcosa di male, semplicemente non ha fatto nulla. Ed ecco la sentenza, “’.. perché a chiunque ha…’”, questo verbo avere lo abbiamo già trovato nel vangelo di Matteo nella parabola dei quattro terreni, e indica produrre, colui che produce, “chiunque ha”, cioè chiunque produce e fa fruttare ciò che gli viene dato, “’… sarà nell’abbondanza; ma a chi non oha, verrà tolto anche quello che ha.’”
Chi produce amore riceve da parte del Padre una grande, maggiore capacità d’amare. Chi invece non ama, chi non dirige la propria vita per gli altri, questa si atrofizza e rimane senza nulla. “’E il servo inutile …”, inutile perché non ha saputo che farsene di questa fortuna, “’… gettatelo fuori nelle tenebre’”. In realtà c’è già perché seppellendo il talento ha seppellito se stesso, “’…  là sarà pianto e stridore di denti’”.
“Pianto e stridore di denti” è un’espressione equivalente un po’ al nostro italiano “strapparsi i capelli”. E’ la disperazione per aver fallito la propria esistenza.

La parabola dei talenti

XXXIII domenica del tempo Ordinario A
Commento al Vangelo di ENZO BIANCHI
dal sito del Monastero di Bose

Mt 25,14-30

La parabola dei talenti proposta dalla liturgia odierna è una parabola che, secondo il mio povero parere, oggi è pericolosa: pericolosa, perché più volte l’ho sentita commentare in un modo che, anziché spingere i cristiani a conversione, pare confermarli nel loro attuale comportamento tra gli uomini, nel mondo e nella chiesa. Dunque forse sarebbe meglio non leggere questo testo, piuttosto che leggerlo male…
In verità questa parabola non è un’esaltazione, un applauso all’efficienza (tanto meno a quella economica o finanziaria), non è un inno alla meritocrazia, ma è una vera e propria contestazione verso la comunità cristiana che sovente è tiepida, senza iniziativa, contenta di quello che fa e opera, paurosa di fronte al cambiamento richiesto da nuove sfide o dalle mutate condizioni culturali della società. La parabola non conferma “l’attivismo pastorale” di cui sono preda molte comunità cristiane, molti “operatori pastorali” che non sanno neppure leggere la sterilità di tutto il loro darsi da fare, ma chiede alla comunità cristiana consapevolezza, responsabilità, audacia e soprattutto creatività. Non la quantità del fare, delle opere rende cristiana una comunità, ma la sua obbedienza alla parola del Signore che la spinge verso nuove frontiere, verso nuovi lidi, su strade non percorse, lungo le quali la bussola che orienta il cammino è solo il Vangelo, unito al grido degli uomini e delle donne di oggi quando balbettano: “Vogliamo vedere Gesù!” (Gv 12,21).
E allora leggiamo con intelligenza questa parabola la cui prospettiva – lo ripeto – non è economica né finanziaria; essa non è un invito all’attivismo ma alla vigilanza che resta in attesa, non contenta del presente ma protesa verso la venuta del Signore. Egli non è più tra di noi, sulla terra, è come partito per un viaggio e ha affidato ai suoi servi, ai suoi discepoli un compito: moltiplicare i doni che egli ha fatto a ciascuno. Nella parabola, a due servi il Signore ha lasciato molto, una somma cospicua – cinque lingotti di argento a uno, due a un altro –, affinché la facciano fruttare; a un terzo servo ha lasciato un solo lingotto, che comunque non è poco. In tutti egli ha messo la sua fiducia, confidando loro i suoi beni. Spetta dunque ai servi non tradire la fiducia del padrone e operare una sapiente gestione dei beni, non di loro proprietà ma del padrone, il quale al suo ritorno darà loro la ricompensa.
“Dopo molto tempo” – allusione al ritardo della parusia, della venuta gloriosa del Signore (cf. Mt 24,48; 25,5) – il padrone ritorna e chiede conto della fiducia da lui riposta nei suoi servi, i quali devono mostrare la loro capacità di essere responsabili, in grado cioè di rispondere della fiducia ricevuta. Eccoli dunque presentarsi tutti davanti a lui. Colui che aveva ricevuto cinque talenti si è mostrato operoso, intraprendente, capace di rischiare, si è impegnato affinché i doni ricevuti non fossero diminuiti, sprecati o inutilizzati; per questo, all’atto di consegnare al padrone dieci talenti, riceve da lui l’elogio: “Bene, servo buono e fedele, … entra nella gioia del tuo Signore”. Lo stesso avviene per il secondo servo, anche lui in grado di raddoppiare i talenti ricevuti. Viene infine quello che aveva ricevuto un solo talento, il quale mette subito le mani avanti: “Da quando mi hai fatto fiducia, io sapevo che sei un uomo duro, esigente, arbitrario, che fa ciò che vuole, raccogliendo anche dove non ha seminato”. Con queste sue parole (“dalle tue parole ti giudico”, si legge nel testo parallelo di Luca; cf. Lc 19,22) il servo confessa di avere un’immagine del Signore che si è fabbricata: un padrone che gli fa paura, che chiede una scrupolosa osservanza di ciò che ordina, che agisce in modo arbitrario. Avendo questa immagine in sé, ha scelto di non correre rischi: ha messo al sicuro, sotto terra, il denaro ricevuto, e ora lo restituisce tale e quale. Così rende al padrone ciò che è suo e non ruba, non fa peccato…
Ma ecco che il Signore va in collera e gli risponde: “Sei un servo malvagio e pigro. Malvagio perché hai obbedito all’immagine del Signore che ti sei fatta, e così hai vissuto un rapporto di amore servile, di amore ‘costretto’. Per questo sei stato pigro, non hai avuto né il cuore né la capacità di operare secondo la fiducia che ti avevo accordato”. Lo sappiamo: è più facile seppellire i doni che Dio ci ha dato, piuttosto che condividerli; è più facile conservare le posizioni, i tesori del passato, che andarne a scoprire di nuovi; è più facile diffidare dell’altro che ci ha fatto del bene, piuttosto che rispondere consapevolmente, nella libertà e per amore. Ecco dunque la lode per chi rischia e il biasimo per chi si accontenta di ciò che ha, rinchiudendosi nel suo “io minimo”.
Ma a me piacerebbe che la parabola si concludesse altrimenti: così sarebbe più chiaro il cuore del padrone, mentre il cuore del discepolo sarebbe quello che il padrone desidera. Oso dunque proporre questa conclusione “apocrifa”:
Venne il terzo servo, al quale il padrone aveva confidato un solo talento, e gli disse: “Signore, io ho guadagnato un solo talento, raddoppiando ciò che mi hai consegnato, ma durante il viaggio ho perso tutto il denaro. So però che tu sei buono e comprendi la mia disgrazia. Non ti porto nulla, ma so che sei misericordioso”. E il padrone, al quale più del denaro importava che quel servo avesse una vera immagine di lui, gli disse: “Bene, servo buono e fedele, anche se non hai niente, entra pure tu nella gioia del tuo padrone, perché hai avuto fiducia in me”.
Anche così la parabola sarebbe buona notizia!
 

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agostino

La parabola dei talenti

la parabola commentata da p. Agostino Rota Martir a partire dal suo luogo di ‘osservazione e lettura’ del vangelo: la condivisione della sua vita in un campo di rom

Ogni essere umano e’ portatore e messaggero di talenti. Tutti lo sono, non solo quelli che riteniamo per bene, affidabili, seri, responsabili Agli occhi di Dio lo e’ anche chi è considerato un “buono a nulla”, il carcerato, l’accattone, il clandestino, il fannullone?

Ecco, mi chiedo “quell’uomo in viaggio” (le parabole di Gesu’ quasi sempre trattano di uomini in viaggio, in movimento) affiderebbe i suoi beni anche a quest’ultima categoria?

Li consegnerebbe a un Rom, a un migrante appena sbarcato a Lampedusa, ad un tossico, ad una famiglia sfrattata, a un mendicante, ad un uomo del tutto normale, come il mio vicino di casa?  

Consegnare tutti quei talenti (che non sono certo briciole!), solo a chi e’ affidabile, con tutte le credenziali al loro posto (anche se oggi su pochi metteremmo la nostra mano sul fuoco), caro Signore “viaggiatore misterioso” rischi ben poco, vai sul sicuro: troppo comodo e questo non è da Te.

Quindi immagino che Gesu’ nel raccontare quest’altra parabola, intendesse includere proprio tutti, compresi quei servi che noi senz’altro avremmo d’istinto scartato, proprio per la loro inaffidabilità.

Sì, mi piace vederlo così: un Dio che consegna le chiavi di casa sua e tutto quello che ci sta dentro, proprio a tutti, anche ai Rom del campo abusivo sotto casa sua, al servo svogliato e un po’ fannullone, al malato di mente, a chi ha perso il lavoro e non riesce più a reagire, al vecchio che vive di soli ricordi, anche a quel giovane che spreca il suo tempo a inseguire fantasie illusorie, al detenuto schiavizzato e abbruttito dal sistema carcerario disumano..

Chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.”

E’ vero, e’ un Dio che fa piovere (talenti) sui buoni e sui malvagi, cioè offre cammini di santità proprio a tutti, anche a quelli che poi lo deluderanno.

E’ un Signore a cui piace il rischio di dar fiducia alle persone, di scommettere sulla loro creatività e ingegnosità. Anche se questo, lo farà passare agli occhi di tanti come un ingenuo, un “buonista” come si sente ripetere tanto ai nostri giorni a tipi come lui.

E poi, siamo così sicuri che la “contabilità” di Dio, coincida sempre secondo i nostri calcoli?

Gli ultimi saranno i primi.”

“Fa sorgere il sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti.”

 

Di certo è che i talenti degli ultimi in genere, sono sepolti da una valanga di sospetti e diffidenze: quasi impossibile notarli. Invece i talenti dei cosi detti bravi, sono sempre illuminati a vista, abbagliano così tanto che a volte, ci impediscono di vedere tutto attorno.

Ma Dio non si lascia ingannare dai nostri bagliori, sa vedere perle (talenti) che brillano anche sotto il letame della storia.

Spesso chi sa di essere “bravo/a” sente il bisogno di verniciare di Dio i suoi talenti (come fa spesso la cantante Vip suor Cristina), chi invece sa di non contare niente, li vive in silenzio e in umiltà, come se si vergognasse di coinvolgere Dio nella sua “insignificante vita”, temono di sporcarLo.

Invece, e’ proprio così che facciamo felice Dio. “Bene, servo buono e fedele.. prendi parte alla gioia del tuo padrone.”

Si, e’ bello riconoscere e gioire per i talenti messi a frutto grazie alla nostra esistenza e il nostro impegno, ancora più bello scoprirli vivi e luminosi anche là dove nessuno si degna di guardare e con stupore incrociare lo sguardo di Dio proprio dentro queste vite.

 

Campo Rom di Coltano (PI) – 13 Novembre 2014

 

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“siamo forse diventati bestie feroci?”

Verso i migranti “siamo forse diventati bestie feroci?”

 

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di Michel Bavarel
in “www.cath.ch” dell’8 novembre 2014 (traduzione: www.finesettimana.org)

 

Ginevra: “Frontières: halte à la déshumanisation” (Frontiere, alt alla disumanizzazione), questo era il tema della giornata organizzata venerdì 7 novembre 2014 a Ginevra all’Espace solidaire Pâquis. L’evento era posto sotto il patrocinio dell’Institut romand de systématique et d’éthique, della Chiesa cattolica e di Agora, la cappellania ecumenica per i richiedenti asilo.

Di fronte al diffondersi di atteggiamenti negativi verso i migranti, il frate francescano Alain Richard, iniziatore dei “Cerchi del silenzio”, ha posto l’interrogativo: “Siamo forse diventati bestie feroci?”. È toccato a Bernard Rordorf, professore onorario della Facoltà di teologia di Ginevra, aprire la giornata. “Siamo tutti discendenti di migranti, se non addirittura migranti noi stessi”, ha subito ricordato il pastore, prima di mettere in parallelo il diritto storico di un popolo sul suo territorio e il diritto all’ospitalità. oggi in Europa l’immigrazione è trattata come una minaccia “Non si può volere la pace e rifiutare l’ospitalità. Ma oggi, in Europa, si tratta l’immigrazione come una minaccia. Ne deriva una politica securitaria per proteggersi. È nefasto. Mantiene il sogno perverso di una società omogenea, mentre c’è vita solo nello scambio. E provoca una regressione morale. Certo, l’accoglienza non è priva di problemi, ma la xenofobia ci conduce ad accettare la morte di migliaia di persone nel Mediterraneo e altrove. Perdiamo il senso del valore di una vita umana”. Cristina del Biaggio, dottoressa in geografia a Ginevra, ha poi spiegato come questa politica securitaria si materializzi sul campo. Sui 250.000 chilometri di frontiere esistenti sul pianeta, più del 10% sono chiuse da muri. “C’è una differenza tra una frontiera e un muro che nasconde l’altro lato”, sottolinea la geografa. Si sono anche create una moltitudine di “giungle”, come a Calais, dove si aspetta di passare altrove, per giorni o settimane se si ha denaro, molto più a lungo se se ne ha poco o non se ne ha. Persone in cerca di rifugio conoscono così dei “percorsi prolungati”, spesso fonte di ulteriori pericoli. le frontiere dell’Europa sono tra le più micidiali Le frontiere dell’Europa sono tra le più micidiali, ha sottolineato Cristina Del Biaggio. Infatti, si tratta di una tripla barriera. Una pre-frontiera a nord dell’Africa, la frontiera in quanto tale e i luoghi di detenzione dei migranti che sono riusciti a penetrare nello spazio Schengen e che si vuole espellere. Marie-Claire Kunz, giurista al Centre social protestant (CSP) a Ginevra, ha parlato di un ulteriore muro, quello legale e amministrativo, contro cui si scontrano i richiedenti asilo. Anche se le disposizioni in materia sono state fissate dalla Convenzione di Ginevra nel 1951, non esiste nessun tribunale per verificare la loro applicazione. Unico ricorso, gli organismi internazionali nell’ambito dei diritti umani. una cura di umanizzazione

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Dopo aver ascoltato parole di migranti, commosse e commoventi, i partecipanti a questa giornata hanno ascoltato una specialista dell’argomento, la politologa e sociologa francese Catherine Withol de Wenden. All’inizio del XX secolo, era difficile per la gente comune uscire dal proprio paese, ma facile per l’élite entrare senza passaporto, un po’ ovunque. Oggi, è facile uscire, ma, per gran parte della popolazione, difficile entrare in altri paesi, se mancano i visti. Ciò non toglie che i migranti circolino in tutti i sensi, sia da Sud a Sud, che da Nord a Nord, o da Sud a Nord e da Nord a Sud. Vi sono pensionati che vanno a cercare un’esistenza gradevole e poco costosa in paesi caldi, o giovani in cerca di lavoro. Esiste una contraddizione tra la facilità con cui
circolano le merci e i capitali, e gli ostacoli che vengono messi agli spostamenti delle persone più povere. Tale “proibizione” genera un’economia illegale molto diffusa, cioè quella dei passatori. la xenofobia mette in pericolo la nostra umanità Di fronte al modo in cui sono trattate le persone che non possiedono un documento di soggiorno, “abbiamo bisogno di una cura di umanizzazione, perché la xenofobia mette in pericolo la nostra umanità”, ha avvertito Alain Richard. “Siamo forse diventati bestie feroci? Così come si allenano sportivi o musicisti, noi dobbiamo allenarci a fare atti di umanità, a manifestare il nostro rispetto agli stranieri”, ha insistito. “Se li considero come se fossero cose, degrado anche me stesso”. Per questo, si tratta di aver fiducia nella non-violenza. È la filosofia alla base dei “Cerchi del silenzio”, iniziati dal francescano che, dopo aver fatto il primo “cerchio” a Ginevra nel gennaio 2011 , è tornato per il ventesimo, sabato 8 novembre. È stato contento di vedere che il movimento continua, ma, con tutta la forza di convinzione dei suoi 90 anni, ha chiesto alle persone riunite sul sagrato della chiesa del Sacro Cuore “di intensificare la loro azione facendo crescere l’umanità in loro”. Ricordiamo che i “Cerchi del Silenzio” fondati nel 2007, sono riunioni di persone che denunciano le condizioni di detenzione delle persone senza documenti di soggiorno. In sette anni, i “Cerchi del silenzio”, si sono diffusi in diverse città francesi e in Europa (Spagna, Italia, Svizzera, Inghilterra, ecc.).

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i miti da sfatare nei confronti dei rom

Rom e sinti, le comunità nomadi in Italia: i miti da sfatare

Sono 170 mila nel nostro Paese

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di  

25 Ottobre 2013

1. Oltre la metà degli zingari ha la cittadinanza italiana

In Italia i cosidetti zingari sono 170 mila, appartenenti a due etnie: i rom e i sinti.
Si differenziano principalmente per dialetto, provenienza geografica e occupazione. I rom, arrivati prevalentemente dall’Est Europa, si sono tradizionalmente dedicati al commercio di rame e ferro; i sinti, originari delle regioni del Nord e dell’Ovest del Vecchio Continente, hanno una lunga tradizione come giostrai e circensi.
A dispetto degli stereotipi, oltre la metà di loro è italiana. Molti lo sono da generazioni, alcuni addirittura da secoli.
APPENA IL 30% ARRIVA DALLA ROMANIA.

Secondo fonti storiche i primi ad arrivare furono i rom abruzzesi, giunti via mare dai Balcani nel 1300, circa 200 anni prima che i sinti, spesso identificati come ‘zigani italiani’, giungessero dal Nord Europa.
Solo tra il 30 e il 35% dei rom presenti in Italia proviene invece dalla Romania, anche se il nome induce spesso in inganno. Un altro 10-15% viene dai Paesi della ex Jugoslavia.

2. Solo un quarto degli zingari vive nei campi nomadi

Secondo un’indagine della commissione Diritti umani del Senato, sono solo 40 mila i rom e i sinti distribuiti nei vari campi nomadi in Italia. E anche il termine ‘nomadi’, ormai, risulta impreciso.
Dopo secoli in perenne movimento per sfuggire a carestie, guerre e persecuzioni, le popolazioni zingare sono ormai diventate sedentarie. Ciò nonostante il nomadismo rimane nella loro cultura e nella loro filosofia di vita.
IL MODELLO DELLA FAMIGLIA ALLARGATA.

Così alcuni di loro continuano a vivere in baracche e roulotte, organizzati in gruppi costruiti sulla base della famiglia allargata, in condizione di costante precarietà, pronti a fare i bagagli e partire al primo sgombero.
Gli altri, invece, hanno optato per case e condomini verticali, integrandosi nel tessuto abitativo del Paese ospitante, e spesso sono restii a definirsi rom o sinti per via dei pregiudizi sulle due etnie.
SENZA ACQUA CORRENTE.

Secondo una ricerca della fondazione Casa della carità, condotta attraverso un questionario distribuito a 1.500 rom e sinti (un campione rappresentativo di circa il 10% del totale), il 24% vive in insediamenti ‘abusivi’, il 41 in campi regolari, il 32% non ha acqua calda e il 23% nemmeno quella fredda corrente.

3. Soltanto uno su tre lavora; uno su cinque si diploma

  • Uno striscione in una manifestazione contro il razzismo a Roma (©Getty Images).

I livelli occupazionali, secondo dati sempre della fondazione Casa carità, sono molto bassi.
Solo il 34,7% degli intervistati ha dichiarato di avere un lavoro, contro il 44,3% complessivo italiano rilevato dall’Istat all’epoca della ricerca (2012).
Molti di loro sono lavoratori autonomi, solo il 6,7% è dipendente.
Ma i problemi di integrazione cominciano da prima, fin dall’infanzia. I dati sull’istruzione parlano di un 30% dei bambini che frequentano la scuola, ma, tra questi, solo uno su cinque riesce ad arrivare fino al diploma di scuola superiore.

4. Non rapiscono i bambini: in 30 anni solo un caso

 

Una ricerca della onlus Geordi, risalente al 2006 (l’ultima disponibile sul tema), ha segnalato che in quell’anno sono stati 2.384 i minori non rom transitati dai Centri di giustizia minorile nelle regioni del Centro Italia, a fronte di 1.434 minori rom: oltre il 50% dei casi, dunque, riguarda giovani ‘nomadi’.

NOTIZIE FALSE.

Eppure alcuni falsi miti sono da sfatare. Primo fra tutti quello che vorrebbe gli zingari rapitori di bambini, rilanciato dal caso dell’«angelo biondo» trovata in un campo nomadi in Grecia.
Una ricerca curata dall’università di Verona ha evidenziato come i circa 30 casi di cui si è data notizia nel periodo fra il 1985 e il 2007 si siano rivelati tutti infondati.

UNA SOLA CONDANNA IN ITALIA.

C’è un solo precedente di condanna: quella della giovane accusata di aver rapito una bambina a Ponticelli, nel 2008. Un caso che portò all’assalto e all’incendio di un campo da parte dei residenti e di affiliati alla camorra. Ma le uniche prove furono le testimonianze della madre della bambina e dei suoi parenti.

5. Sono una minoranza senza tutele

Rom e sinti sono a tutti gli effetti una minoranza, ma non sono mai stati riconosciuti come tale. La legge 482 del 1999, che identifica 12 gruppi linguistici minoritari da tutelare nella Penisola – tra cui il catalano parlato ad Alghero (in Sardegna), il greco, l’albanese – non include idiomi romanì (cioè quelli parlati indifferentemente da rom e sinti).
Il nomadismo di questi gruppi (ormai quasi inesistente nei fatti) è stata la giustificazione dell’esclusione di questi gruppi dalla normativa che ha attuato la Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, approvata dal parlamento Ue il primo febbraio 1995.

INSEDIAMENTI RICOSTRUITI.

Anche l’approccio delle istituzioni nell’affrontare la questione abitativa è sempre stato improntato all’assimilazione.
Spesso si è partiti dal presupposto di cancellare i campi e trasferire la popolazione dentro case tradizionali, una soluzione che non può funzionare sempre.
Così i tentativi si sono spesso rivelati fallimentari: gli insediamenti, semplicemente, venivano spontaneamente ricostituiti da qualche parte. «Non si può negare un substrato culturale forte e radicato. Si deve ripensare il campo, renderlo più vivibile, ma si deve anche rispettare un bisogno abitativo diverso e più consono alla tradizione», ha spiegato a Lettera43.it Maurizio Pagani.

RIFIUTANO L’ASSIMILAZIONE.

Quello denunciato dalle associazioni è un tentativo di assimilazione che non può essere accettato da chi ha alle spalle secoli di persecuzioni.
Lavoriamo per una «convivenza pacifica e bella», ha detto Dijana Pavlovic, «rifiutando l’assimilazione». Ma la strada da percorrere è ancora lunga e difficile.

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i luoghi comuni più diffusi contro i rom

una piccola mappa dei luoghi comuni contro i rom che sarebbero  tutti nomadi, ladri e “invasori stranieri”

(redatta da Raffaella Cosentini, su ‘la Repubblica’)

E invece rom e sinti sono in gran parte italiani, vivono in case e non nei campi, Il Consiglio di Stato ha dichiarato che non risulta un aumento dei furti legato alla loro presenza… le leggende nere su una minoranza

L’Italia è invasa dai rom. Le popolazioni romanì sono la più grande minoranza europea con 12 milioni di persone in tutto il continente. Il Paese dove sono più numerosi è la Romania, con un milione e 800mila rom. In Spagna ci sono 800mila rom, in Francia 400mila. In Italia si stima la presenza media di circa 150 mila rom, pari allo 0,23% della popolazione. Un piccolo numero sia in termini assoluti che relativi.

I rom sono nomadi e amano vivere nei campi. Oltre il 90% di quelli che vivono in Italia ha abbandonato da decenni la vita nomade ed è ormai stabile. Su 150mila, solo 40mila vivono nei campi (secondo un’indagine della Commissione Diritti umani del Senato). La maggioranza abita in case.

Devono tornare a casa loro. Le popolazioni romanì sono presenti in Italia da oltre 6 secoli. Secondo il ministero del Lavoro, nel 2010, il 50-60% dei rom presenti erano cittadini italiani. Degli altri, una grossa fetta è costituita da comunità giunte in Italia  negli anni 90, dopo la dissoluzione dell’ex Jugoslavia. Sono profughi delle guerre balcaniche che non possono dimostrare la loro identità, perché privi di documenti validi e devono essere considerati, per lo più, apolidi di fatto. Ormai anche loro sono stanziali e i loro figli spesso sono nati in Italia. I restanti sono romeni e bulgari, quindi comunitari immigrati regolari.

Rapiscono i bambini. Una ricerca a cura di Sabrina Tosi Cambini dell’Università di Verona smonta lo stereotipo della “zingara rapitrice”. Su tutti i circa 30 casi riportati dall’Ansa fra il 1985 e il 2007 non c’è alcun rapimento di minori a opera di un gruppo rom o sinto. Tutte le denunce sembrano riproporre una leggenda metropolitana. Esiste un unico caso in cui una giovane rom è stata condannata dai giudici per tentato rapimento di una bambina. E’ la controversa vicenda di Ponticelli, sfociata a maggio 2008 nell’assalto e nell’incendio del campo rom da parte dei residenti e di uomini legati ai clan della camorra. Ma non c’erano altre prove se non la testimonianza della madre della bimba e dei suoi parenti. All’opposto, tra i rom è diffusa l’idea che siano i gagè (cioè i non rom) a portargli via i figli. La seconda parte della ricerca, curata da Carlotta Saletti Sanza, afferma che negli ultimi dieci anni, 200 bambini sono stati tolti alle famiglie rom per essere dati in affidamento. Il pregiudizio che i bambini rom siano sicuramente maltrattati dalle loro famiglie è diffuso anche tra gli operatori sociali  e del diritto. A Roma, in occasione degli sgomberi dei campi non autorizzati, le donne rom dovevano scegliere tra  avere la famiglia divisa oppure vedersi portare via i minori. E’ quanto afferma una ricerca dell’Osservatorio sul razzismo e le diversità “Favara” dell’Università di Roma Tre. La prova è in un documento che gli operatori sociali della Sala Operativa Sociale del Comune di Roma facevano firmare alle donne rom trovate con i loro bambini in questi insediamenti. Si potevano barrare due caselle, vale a dire accettare l’accoglienza in una struttura del Comune soltanto per donne e bambini, senza i padri. Oppure rifiutare di separarsi, ma in questo caso, una clausola specifica stabiliva che se la stessa madre fosse stata ritrovata in un altro campo abusivo, sarebbe stata avviata la procedura per affidare i bambini a una casa famiglia.

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Hanno troppi privilegi. Da una relazione sulla situazione dei rom in undici Stati membri pubblicata dall’Agenzia dei diritti fondamentali dell’Ue risulta che un rom su tre è disoccupato e il 90% vive al di sotto della soglia di povertà. Molti si scontrano quotidianamente con pregiudizi, intolleranza, discriminazioni ed esclusione sociale.
In Italia la percentuale dei minori rom e sinti al di sotto dei 16 anni (45%) è tre volte superiore rispetto alla media nazionale (15%) per lo stesso gruppo di età. Si tratta quindi di un popolo di giovani, con alta natalità ma basse aspettative di vita. La percentuale degli ultrasessantenni (0,3%) corrisponde a circa un decimo della media nazionale per lo stesso gruppo di età (25%). Questo a causa delle precarie condizioni di vita. Dalla prima indagine voluta dalla Commissione Diritti Umani del Senato è emersa la reticenza a dichiararsi rom. Questo a causa della “generalizzata tendenza a legare all’immagine dei rom e dei sinti, ogni forma di devianza e criminalità”.  Totalmente rimosso dalla memoria collettiva è il “Porrajmos”, lo sterminio rom durante la seconda guerra mondiale, così come la deportazione dei rom italiani nei campi di concentramento.

Sfruttano i minori.  Il libro Bambini ladri  –  tutta la verità sulla vita dei piccoli rom, tra degrado e indifferenza di Luca Cefisi, ex consulente della Presidenza del Consiglio esamina la “condanna collettiva” che colpisce i rom, visti dalla società maggioritaria come “incessantemente dediti al furto e allo sfruttamento dei loro figli”.  Per reazione al rifiuto esterno, questa comunità si rifugia nella famiglia, che è la risorsa contro il resto del mondo. Non si può generalizzare, ogni famiglia è diversa. Quello che emerge è che l’isolamento delle comunità rom segregate nei campi conserva la vecchia mentalità. I rom e sinti italiani, ad esempio, non usano più i minori per attività non legali. Nei quartieri ghetto, come in Calabria, è la criminalità italiana a reclutarli.
Nei campi rom esiste ancora l’uso dei minori in attività di acquisizione del reddito per la famiglia. Un esempio è chiedere l’elemosina, il ‘mangèl’. Ma esistono differenze: c’è chi lo fa per necessità materiali estreme e vive come una vergogna l’impiego dei bambini, ma ci sono anche i casi in cui lo sfruttamento può essere fermato solo dall’intervento della polizia. La scuola da sola non basta. E’ solo quando i genitori trovano un lavoro più stabile che certi comportamenti si interrompono. Scuola, casa e lavoro devono andare insieme.

I rom rubano.  Anche in questo caso non si può generalizzare. Il Consiglio di Stato ha dichiarato illegittima l’emergenza nomadi decretata dal precedente governo perché non che non c’è effettivo “pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica” quando in un territorio ci sono insediamenti nomadi. L’emergenza, scrivono i giudici, non è supportata da dati, che ad esempio dimostrino l’incremento di determinate tipologie di reati a causa della presenza dei rom. Come poteva essere per i baraccati italiani degli anni Sessanta raccontati da Pier Paolo Pasolini, la mancanza di istruzione e di accesso al mondo del lavoro, reso più difficile dai pregiudizi, sono le cause della devianza. La minoranza rom in Italia è tra le più emarginate d’Europa. In molti altri Paesi europei non è raro avere dei rom laureati.  Al contrario, nel nostro Paese, sono molti i minori rom che hanno avuto problemi con la giustizia. Una ricerca dell’associazione Geordie Onlus dice che nel 2006 sono stati 2384 i minori non rom passati dai Centri di giustizia minorile nelle regioni centrali italiane e 1434 i minori rom, percentuale alta rispetto al numero assoluto di questa minoranza sul resto della popolazione. “Un altro dato significativo”,  scrive Cefisi nel suo libro, “è che i ragazzi rom rimangono di più in carcere, al contrario della vox populi che li vuole impuniti”. Il motivo: chi non ha casa e denaro non ha una buona difesa legale, né ottiene le misure alternative al carcere.

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l’inno all’amore di s. Paolo

amore

se anche …

Se anche parlassi le lingue degli angeli e degli uomini
ma non avessi l’amore,
sono come un bronzo che risuona
o un cembalo che tintinna.
E se avessi il dono della profezia
e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza,
e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne,
ma non avessi l’amore,
non sarei nulla.
E se anche distribuissi tutte le mie sostanze
e dessi il mio corpo per esser bruciato,

ma non avessi l’amore,

niente mi gioverebbe.

L’amore è paziente,

è benigno l’amore,

non è invidioso l’amore,

non si vanta,

non si gonfia,

non manca di rispetto,

non cerca il suo interesse,

non si adira,

non tiene conto del male ricevuto,

non gode dell’ingiustizia,

ma si compiace della verità.

Tutto copre,

tutto crede,

tutto spera,

tutto sopporta.

L’amore non avrà mai fine.

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a proposito della provocazione di Salvini: 10 punti intelligenti di S. Bontempelli

 

Matteo Salvini aggredito in campo rom: le immagini da Bologna

Brutta giornata per Matteo Salvini e alcuni militanti della Lega Nord: in visita al campo nomadi di via Erbosa, a Bologna, i leghisti non hanno avuto neppure la possiiblità di entrare all’interno del campo: poco prima dell’arrivo di Salvini, i militanti già giunti sul posto per chiederne la chiusura, sarebbero stati insultati da alcuni giovani appartenenti ai centri sociali – circa cinquanta -, che li avrebbero invitati ad andarsene.

Quando è arrivato Matteo Salvini, l’attuale segretario della Lega Nord, la sua auto sarebbe stata colpita con calci, pugni e sassate. Alcuni giovani dei centri sociali sarebbero anche saliti sul tetto della macchina e si sarebbero vissuti momenti di grande tensione, tanto che il parabrezza del mezzo è stato spaccato del tutto, come si può vedere dalle foto postate da Salvini su Facebook e Twitter.

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Alla fine Salvini e i suoi hanno deciso di allontanarsi e di non entrare nel campo rom mentre alcuni ragazzi dei centri sociali avrebbero dichiarato che l’auto del segretario si sarebbe fatta largo fra di loro, investendoli di proposito. E la denuncia di quanto accaduto arriva proprio sui social: Matteo Salvini non ha risparmiato dettagli – conditi da immagini e commenti molto duri – su quanto accaduto. L’europarlamentare ha poi ringraziato la città di Bologna, ricordando come poche decine di persone non possano rapresentare tutta una comunità. 

 questi più o meno i fatti: mi piace riportare, per un’utile riflessione su questi, i 10 punti, le ‘dieci cose’ che propone intelligentemente S. Bontempelli non appena essi sono uccessi:

Dieci cose a proposito della violenza (e della macchina di Salvini)

domenica 9 novembre 2014

1) Io sono contrario all’uso della violenza perché la giudico un atto egoistico; solitario; in estrema sintesi un atto da imbecilli perché conduce sempre a risultati contrari all’ideale di partenza (quando l’ideale c’è, perché spesso non c’è neppure quello).

2) Si può discutere se accogliere Salvini in quel modo sia stato intelligente oppure no. Secondo me, ad esempio, è stata una stronzata gigantesca.

3) Quella stronzata ha fatto godere Salvini come un riccio in calore, ben sapendo che quel casino gli è valso più di diecimila manifesti elettorali (e due punti percentuali in più).

4) I ragazzi dei centri sociali sono stati coscientemente investiti dalla macchina di Salvini e solo per un miracolo che ancora non mi spiego non ci sono rimasti sotto.

5) Salvini mente quando dice che la macchina ha accelerato perché gli avevano rotto i vetri. I vetri sono stati rotti dopo per la rabbia di essere stati vittime di una manovra pericolosissima.

6) Qui c’è il mio video sulla giornata di ieri e se non l’avete già visto, guardatelo: http://youmedia.fanpage.it/video/aa/VF5hu-SwH6buFthy.

7) Se la macchina non avesse accelerato cosa sarebbe successo? Questo non si può sapere. Io posso dirvi quello che avrei fatto io: non avrei accelerato. Mai. Neanche se la mia macchina fosse stata circondata da un gruppo di sentinelle in piedi (o di Forza nuova, tanto le due cose spesso coincidono). E non avrei mai accelerato perché la mia automobile, o uno schiaffo che avrei potuto prendere, non valgono la vita di chi mi sta di fronte (neanche se è di un demente di Forza nuova).

8) Io cosa avrei fatto ieri al posto dei ragazzi dei centri sociali? Bella domanda. Forse mi sarei vestito da pagliaccio con le mutande in capo come contraltare a chi davvero è ridicolo ancorché inquietante: Matteo Salvini.
PS. è lo stesso abbigliamento con cui andai al G8 di Genova nel 2001.

9) Spaccare il vetro a una macchina è un atto violento. Essere pagato ventimila euro al mese per fare una passeggiata contro gli ultimi della terra, intorno alle loro baracche, arrivando con un’automobile che costa cinque volte la loro abitazione, è un atto infinitamente più violento. Il secondo non giustifica il primo, per carità, ma avere una scala di valori può essere utile per non trovarsi sempre a dare ragione al più forte solo perché è più facile.

10) Sì, i Rom sono gli ultimi della terra anche se qualcuno di loro ruba oppure si veste strano oppure è insistente, anche molto insistente, nel chiedere l’elemosina. Del resto gli ultimi sono sempre un po’ fastidiosi, come i malati o i bruttissimi, perché ci ricordano l’altra faccia dell’essere umano. Ci ricordano quello che noi non siamo per un caso e quello che loro sono, forse, anche perché noi non facciamo abbastanza perché le cose cambino.

 

 

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p. Maggi commenta il vangelo

p. Maggi

PARLAVA DEL TEMPIO DEL SUO CORPO 

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi nella DEDICAZIONE DELLA BASILICA LATERANENSE – 9 novembre 2014

 
Gv 2,13-22

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.  Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete.
Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà». Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

La nuova relazione proposta da Gesù tra Dio e gli uomini comporta la scomparsa delle istituzioni dell’antica alleanza e, tra queste, la prima che Giovanni ci presenta nel suo vangelo è il tempio. Mentre i profeti denunciavano un culto ipocrita e auspicavano una purificazione del tempio, Gesù va al di là, Gesù lo abolisce.
E’ quanto leggiamo nel capitolo 2 di Giovanni, dal versetto 13 al 22. Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei. L’evangelista è polemico, perché la Pasqua nell’Antico Testamento viene sempre definita come “la Pasqua del Signore”, ma per Giovanni la Pasqua è dei Giudei. Con “giudei” in questo vangelo non si intende tanto il popolo giudaico, ma le autorità, i capi religiosi.
Non è più una festa di liberazione del popolo, ma è la festa dei dominatori di questo popolo. E Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio … nel tempio non trova gente che prega, ma trova commercio, trova affari. Trovò nel tempio venditori di buoi, pecore, colombe e là seduti, cioè installati, i cambiavalute. Il vero Dio del tempio è il denaro.

Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio. Il messia veniva raffigurato con una frusta, il flagello, con la quale doveva scacciare via gli esclusi dal tempio, i peccatori. Qui invece Gesù prende la frusta ma scaccia via quelli che sono l’anima del tempio.
Scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore. Per prima cosa le pecore, che è immagine del popolo, che è il vero animale sacrificale. Le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi; Gesù non accetta un culto a Dio legato all’interesse. E ai venditori di colombe disse … E’ strano che Gesù se la prenda proprio con i venditori di colombe, non con quelli di buoi. Disse: “Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!”
Perché Gesù se la prende proprio con i venditori di colombe? Perché era l’animale che potevano offrire i poveri. Gesù non tollera che i poveri vengano sfruttati in nome di Dio. E, citando il profeta Zaccaria, dice che la casa del Padre suo non può essere un luogo di interessi o di affari.
I suoi discepoli fraintendono il gesto di Gesù e pensano che Gesù sia una sorta di Elia, il profeta che col suo zelo violento doveva preparare la strada al messia; infatti i suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: “Lo zelo per la tua casa mi divorerà”. Allora i Giudei, cioè i capi, reagirono e gli dissero: “Quale segno”, cioè “quale autorità”, “ci mostri per fare queste cose?”
Rispose loro Gesù… E per comprendere la risposta di Gesù occorre distinguere i due termini differenti che l’evangelista adopera. Un termine greco ieros, tempio, che significa tutta l’area sacra, ma l’altro nella risposta di Gesù è naos, che significa il santuario di questo tempio, cioè il luogo che indicava la presenza e la residenza di Dio in questo tempio.
Ed è questo secondo che compare nella risposta di Gesù. “Distruggete questo santuario e in tre giorni lo farò risorgere”. Per Gesù la morte sarà la massima manifestazione di Dio. I Giudei, i capi non comprendono. “Questo santuario è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?” Ma egli parlava del santuario del suo corpo.
Con Gesù cambia la relazione con Dio. Con Gesù il vero dal quale Dio manifesta e irradia la sua misericordia, la sua compassione, non è un santuario costruito da mani di uomo, dove le persone devono andare portando le offerte, ma l’unico vero santuario sarà la persona di Gesù e quanti lo accoglieranno come modello di vita, un santuario che non attenderà le persone, ma andrà incontro alle persone. Incontro a chi? Agli esclusi dal tempio, agli emarginati dalla religione.
Questo nuovo santuario non chiederà offerte, ma sarà lui che offrirà il suo amore a tutti gli uomini.

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L. Boff e papa Francesco

Intervista a Leonardo Boff: “Il papa è figlio della teologia della liberazione”

a. Leona

Leonardo Boff è un teologo, ex frate francescano, ed è considerato il massimo esponente della ”teologia della liberazione” e cioè di quella corrente di pensiero della Chiesa cattolica dell’America Latina che vede nella difesa dei poveri e nella lotta per la giustizia sociale il principale messaggio del Vangelo.

Boff oggi ha 75 anni, è figlio di una famiglia di immigrati italiani (veneti), ha studiato negli anni sessanta e settanta teologia e filosofia in Europa. Ha discusso la tesi di laurea con l’allora vescovo Jospeph Ratzinger. La ”teologia della liberazione” ha sempre rappresentato un pensiero poco gradito al Vaticano, e tuttavia tollerato da Paolo VI negli anni dopo Il Concilio. Quando però diventò papa Giovanni Paolo II le cose cambiarono. Iniziò una vera e propria guerra tra la teologia della liberazione e Roma, e Boff fu più volte censurato, a metà degli anni ottanta. Tanto che a un certo punto, per porre fine alla diatriba, rinunciò al suo mandato religioso e lasciò l’ordine dei Francescani.

Il Papa, durante un incontro con i rappresentanti di alcuni movimenti sociali, la settimana scorsa, ha pronunciato parole che sono state lette come un’esortazione agli esclusi perché lottino, come una chiamata al diritto alla ribellione di chi non ha terra, casa e lavoro perché se li procuri attraverso la lotta sociale. La ritiene una interpretazione corretta o una lettura superficiale?

È una lettura corretta. Le parole pronunciate dal Papa devono essere capite all’interno della traiettoria personale di Bergoglio. Una delle sue aperte polemiche con Cristina Kirchner, la presidente argentina, è stata proprio sul modo in cui si devono aiutare i poveri. Lui insisteva: non servono la filantropia e l’assistenzialismo di stato. Quello di cui c’è bisogno è giustizia sociale e redistribuzione del reddito. Realizzare la giustizia sociale implica riformare le strutture dello Stato e la mentalità dei cittadini contaminata dall’individualismo capitalista.

Un’altra affermazione costante del Papa: nessuna soluzione per i poveri sarà efficace se non includerà gli stessi poveri nella sua realizzazione. Questa idea spiega anche perché il Papa abbia chiamato a Roma i rappresentanti dei movimenti sociali, così che loro stessi dicessero quali sono le cause della loro povertà, così che loro stessi spiegassero in cosa non vengono rispettati i loro diritti. Generalmente si chiamano grandi nomi della sociologia o della politica a svolgere questo compito. Il Papa ha imparato in America Latina che le vittime del sistema sanno dov’è il dolore e quali sono le ragioni della loro esclusioni. Hanno tra loro, tra l’altro, intellettuali organici, come Joao Pedro Stedile del Movmento dei Sem Terra in Brasile. La versione delle vittime del sistema è quella vera, perché nasce dalla sofferenza e dall’oppressione. Il Papà è stato innovatore, ha fatto un discorso chiaro: la posizione della Chiesa deve essere sempre dal lato delle vittime, dei poveri e degli oppressi, scelta che fu di Gesù e che il Papa ha assunto personalmente.

Il Papa ha detto: ”Oggi vediamo con tristezza ogni giorno più lontano dalla maggioranza delle persone il diritto alla terra, alla casa e al lavoro. Se parlo di questo ad alcuni risulta che il Papa sia comunista. Non si capisce che l’amore per i poveri è il centro del Vangelo. Terra, casa e lavoro sono diritti sacri e reclamarne il rispetto non è strano: è la dottrina sociale della Chiesa”. Cosa ne pensa?

E’ vero che è questa la dottrina sociale della Chiesa. Il Papa è andato oltre. Ha criticato la dottrina sociale della Chiesa, la considera astratta e non abbastanza chiara nella distinzione, che dev’essere nitida, tra chi sono gli oppressi e chi gli opressori. La posizione della Chiesa non può essere equidistante. Il suo posto è al fianco dei sofferenti, solo per loro il Vangelo è una buona novella, per tutti gli altri è l’esortazione a che cambino vita e si affianchino alle persone più pregiudicate nelle relazioni sociali: vale qui la famosa frase di Dom Helder Câmara: se distribuisco pane ai poveri dicono che sono un santo, se spiego perché i poveri non hanno il pane mi danno del comunista.

Papa Francesco sta aprendo la Chiesa alla teologia della liberazione?

Il Papa appartiene alla teologia della liberazione nella versione argentina. Lì esiste nelnelle forma della teologia del popolo e della cultura degli oppressi. Lì non si parla esplicitamente di lotta di classe, ma è evidente il conflitto tra i potenti che elaborano la cultura del dominio e il popolo che vive la cultura degli oppressi.

 Il principale esponente di questa teologia è stato Juan Carlos Sacannone, professore di Bergoglio nel Seminario maggiore di San Miguel, quartiere di Buenos Aires. Lui ha pubblicamente ricordato come lo studente Bergoglio fosse entusiasta di questa teologia. Da lì viene il voto a vivere senza ricchezze e ad andare sempre tra i poveri nel lavoro pastorale, cosa che Bergoglio effettivamente ha sempre fatto.

Da cardinale non è andato a vivere nel palazzo, non usava la macchina ufficiale, viveva in un appartamento piccolo, si preparava i pasti da solo. Si muoveva in autobus e in metropolitana e andava da solo nelle villas miserias, le baraccopoli di Buenos Aires. Entrava nelle case e mangiava quello che la gente gli offrivaLe azioni e discorsi di questo papa vengono dal brodo della teologia della liberazione latino-americana.

In ciascun paese la teologia ha avuto un suo sviluppo: la teologia indigena nei paesi andini, in Brasile una teologia della liberazione contro l’offensiva dei militari e del grande capitale, la teologia della liberazione femmile, la teologia della liberazione dei neri, la teologia della liberazione degli omosessuali, delle lesbiche e di altri ancora.

Come teologi della liberazione noi ci sentiamo rappresentati nella figura, nel comportamento e nelle parole del Papa. Non è  per caso che il Papa ha voluto vedere il principale rappresentante della teologia della liberazione, il peruviano Gustavo Gutierrez e che ha voluto incontrare Arturo Paoli, il rappresentante più conosciuto della teologia della liberazione.  Il Papa l’ha mandato a prendere in auto nel posto dove si trovava, negli Appennini, per poter passare un pomeriggio intero con lui a parlare dei cammini della Chiesa nel mondo nella linea della liberazione dei diritti umani e della critica al sistema perverso e senza pietà del capitalismo speculativo. Così lo definisce il Papa: perverso e senza pietà.

A parte la sfida ai privilegi della parte più conservatrice della Curia, cosa è davvero cambiato, concretamente, nell’impegno della Chiesa verso i poveri, con il papato di Francesco rispetto ai due precedenti?

Il Papa ha scandalizzato i cristiani della vecchia cristianità europea che volevano un papa un po’ faraone e un po’ imperatore romano, con tutti i titoli e le abitudini pagane. Il Papa non ha più voluto usare la mozzetta, la piccola sciarpa sulle spalle coperta di broccati, simbolo del potere assoluto dell’imperatore. Ha abbandonato il palazzo pontificio, è andato a vivere in una pensione, mangia quello che mangiano gli altri e dorme in una semplice stanza d’albergo. La croce che indossa è di metallo e le scarpe sono quelle che usa il popolo, non quelle fatte da Prada. Il papà ha riscattato la tradizione del Gesù storico che viveva povero e in mezzo al popolo.

La chiesa dopo Costantino era più vicina al palazzo di Erode che alla grotta di Betlemme. Papa Francesco ha preso come esempio San Francesco d’Assisi, il frate poverello che viveva secondo il Vangelo nel messaggio liberatore del Nazareno. Questo papa rappresenta bene lo stile di molti vescovi, cardinali e sacerdoti che vivono vicini al popolo, non al di sopra del popolo , ma come dei pastori, in mezzo del popolo. Per questo ha detto che il vero sacerdote, vescovo o prete che sia, deve ”avere l’odore di gregge” .

E’ una chiamata e un’esortazione a tutti i potenti nella Chiesa, ma anche a tutti i cristiani. Ha chiesto di compiere ”la rivoluzione della tenerezza” in relazione al popolo. Questo papa inaugurerà una nuova dinastia di pontefici in arrivo dal sud del mondo, dove vive la maggior parte dei cattolici. In Europa sono solo il 24%. È ora che la Chiesa capisca che la Chiesa di oggi è una Chiesa del Terzo mondo, del Terzo mondo dove nacque.

Il Papa è un rivoluzionario o un populista?

Sta facendo una vera rivoluzione nelle abitudini e nei comportamenti della Chiesa. Populista è il discorso dei conservatori e dei difensori dei privilegi indecenti che cardinali, vescovi e Curia hanno accumulato durante tutta la storia. I comportamenti da pagani, antichi e moderni, non hanno niente a che vedere con la pratica di Gesù.Gesù era povero. Gesù non è morto vecchio, né per una disgrazia. E’ morto a causa delle sue azioni in favore degli ultimi di questo mondo, è morto per le sue prediche di liberazione, perché annunciava il regno di Dio che esiste laddove esistono l’amore, la compassione e la solidarietà per le persone sofferenti.

Cosa risponderebbe lei a un pessimista che le domandasse se, per caso, questo Francesco abbia molto poco a che vedere con Francesco d’Assisi?  Sarà che il gran talento di questo papa così simpatico, sia semplicemente saper suscitare interesse con iniziative e parole di grande impatto mediatico?

Quello che ammiriamo nel Papa è la sua spontaneità e la sua capacità di inventarsi gesti di umanità, il suo coraggio di criticare il sistema capitalista speculativo che ha molto semplicemente definito ”perverso”. Abbraccia con affetto i più penalizzati, non discrimina nessuno, né musulmani né atei. Ha aperto un dialogo franco e sincero con l’ex direttore di Repubblica, Eugenio Scalfari, che si definisce ateo, con grande senso etico e preoccupato per il destino umano. Il Papa non sfugge alle questioni, dice chiaramente: non sappiamo dove andiamo, non lo so io e non lo sa il Dalai Lama, dobbiamo iniziare a costruire un cammino per salvare la vita e la nostra civiltà, che sono minacciate. Da San Francesco d’Assisi ha imparato la scelta di schierarsi con i poveri, la semplicità, la volontà di spogliarsi di tutti i titoli e delle forme di potere e anche la apertura al dialogo con chiunque. Come fece San Francesco che fu a dialogare con il Sultano durante la crociata, dopo tornò dal Papa e disse che i cristiani non avrebbero dovuto fare una crociata perché si trattava di un popolo profondamente religioso. Francesco si interessò alla teologia musulmana, cominciò a chiamare Dio nelle preghiere ”Altissimo”, secondo il linguaggio della teologia dell’Islam. Ho scritto un libro uscito per la EMI ”Francesco di Assisi e Francisco di Roma” tentando di tracciare i profili di entrambi. Scegliere di chiamarsi Francesco è più che scegliere un nome, è un nuovo progetto di Chiesa e di umanità nella linea di radicale fraternità universale, di apertura a tutti, di Chiesa con le porte sempre aperte che accoglie chiunque, protegge la natura e la Madre Terra.

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