i ‘senza casa’ di Palermo scrivono al papa dopo il no del cardinale

rosellina

 

L’ARCIVESCOVO DI PALERMO NEGA GLI IMMOBILI DELLA CURIA AI SENZA CASA.

E LORO SCRIVONO AL PAPA

 «Gli immobili chiusi e non utilizzati della Curia di Palermo sono molti, noi vorremmo utilizzarli, recuperandoli con la nostra stessa opera per poi restituirli alla Chiesa nel momento in cui risaliremo la china della miseria in cui adesso ci troviamo». Scrivono così, in una lettera del 3 novembre, 16 famiglie palermitane sgomberate qualche giorno prima da via Calvi, dove avevano occupato, ma anche risistemato, un edificio. E scrivono direttamente al papa, dopo tre giorni e tre notti passati all’addiaccio davanti Palazzo delle Aquile, sede del Comune, perché l’arcivescovo card. Paolo Romeo non è venuto loro incontro: le giovani coppie avevano occupato uno stabile di proprietà della Curia, in piazza Verdi, disabitato da oltre 15 anni, senza luce e senza acqua, chiedendo al cardinale di poterlo utilizzare, regolarizzando la loro situazione con affitti simbolici fino ad eventuale altra sistemazione e rendendolo abitabile per usi futuri.

«Secondo Tony Pellicane, leader del Movimento dei Senzacasa – si legge sul quotidiano online BlogSicilia il 6/11 – Paolo Romeo, avrebbe chiuso al dialogo intimando di sgomberare pacificamente gli alloggi per evitare di creare ulteriori situazioni poco piacevoli». Dalla Curia solo silenzio, non esiste alcun comunicato ufficiale, ma il diniego sarebbe riconducibile, seguita il servizio di cronaca, ad un non meglio precisato «contenzioso tra la Curia, proprietaria dell’immobile e il precedente affittuario, la Idi Informatica».

I firmatari, che si dichiarano «operai disoccupati», riprendono quanto detto dal papa in visita al centro Astalli per i rifugiati il 10 settembre scorso (a «cosa servono alla Chiesa i conventi chiusi? I conventi dovrebbero servire alla carne di Cristo e i rifugiati sono la carne di Cristo»): «Il patrimonio immobiliare della Chiesa», scrivono, è innanzitutto «stato donato per i poveri e noi vorremmo che non si sprecasse, ma venisse utilizzato e valorizzato per tutti coloro che, come noi, stanno vivendo un momento di grande disagio e di sofferenze». «Non vogliamo elemosine», sottolineano nella lettera, «non tendiamo la mano per carpire la vostra pietà, ma chiediamo che ci venga restituita la nostra dignità di uomini e donne, di padri e madri che hanno voglia di lottare e di lavorare per mantenere i propri figli». «Aprite le porte dei vostri palazzi abbandonati all’incuria – è la frase finale – e noi ve li restituiremo efficienti e abitabili per le povere famiglie come noi!». 

(da: Adista)
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questa chiesa politicante che continua a manovrare dietro le quinte!

rosellina

 

ma non aveva già messo in chiaro, papa Francesco, che la politica è compito dei laici e dei politici? perché questi monsignori e cardinali intrallazzoni, approfittando del vuoto della Segreteria di stato, si impicciano di giochi politici?

 

Quei vertici in Vaticano con i ministri alfaniani per preparare la scissione

di Claudio Tito
in “la Repubblica” del 18 novembre 2013

L’appuntamento era fissato sempre nello stesso luogo. Un appartamento nei pressi di Piazza Pio XII, Vaticano. Gli incontri ripetuti nel tempo. E da settembre con cadenza molto più serrata. Un gruppo centrale di ministri e rappresentanti del centrodestra e del centro non cambiava mai. A loro si aggiungevano alternativamente altri esponenti del mondo politico, ma mai di sinistra. Nessuno del Pd. Ed è proprio lì che è maturata la scelta di arrivare alla frattura dentro il Pdl: gli alfaniani da una parte e i berlusconiani dall’altra. «I cattolici da una parte, i laici dall’altra», ripetevano. A organizzare le riunioni era Monsignor Fisichella, ex cappellano di Montecitorio ed ora titolare del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. Gli ospiti erano stabilmente tre membri del governo Letta: i due pidiellini Maurizio Lupi e Gaetano Quagliariello; e l’ex montiano Mario Mauro. In almeno una occasione si è unito anche il vicepresidente del consiglio Angelino Alfano. L’obiettivo: provare a ricostruire l’unità politica dei cattolici. O meglio, era lo slogan utilizzato, «restituire una nuova unità politica dei credenti». Porre fine insomma alla fase degli ultimi venti anni in cui i cattolici impegnati nelle istituzioni potessero essere disseminati nei vari partiti — dalla sinistra alla destra — per unirsi sui singoli temi. Riunire quindi gli esponenti “credenti” del centrodestra deberlusconizzato e il gruppo “centrista” di Scelta civica, quello che fa riferimento a Mauro, appunto, e anche all’Udc di Casini. E magari attrarre i cristiani che si trovano in questa fase anche nel Partito Democratico e che non gradiscono l’ascesa di Matteo Renzi e l’iscrizione al Pse. Insomma il sogno spesso invocato di una rinascita in piccolo — e ancora embrionale — di quella che fu la Democrazia Cristiana. Dietro gli incontri a Piazza Pio XII, però, non c’era solo Monsignor Fisichella. Come spesso è accaduto in questi anni, un ruolo determinante l’ha avuto Camillo Ruini. L’ex presidente della Cei ha da tempo preso atto della fine politica di Silvio Berlusconi ed è convinto che si possa costruire un nuovo soggetto politico che interpreti in forme nuove il cattolicesimo in politica. Il messaggio lanciato ai quattro ministri era infatti sempre il medesimo: «Dare vita ad un contenitore svincolato dai due poli principali, e sicuramente non alleato con il centrosinistra». In attesa che l’eredità elettorale del Cavaliere, quel blocco sociale e di voti custodito a Palazzo Grazioli, cada come un frutto maturo all’interno del nuovo soggetto politico. «Perché ricordatevi che se anche il Cavaliere è finito — avvertiva l’ex Vicario di Roma e ora Presidente del comitato scientifico della Fondazione Joseph Ratzinger — i voti ce l’ha». Eppure con il ministro degli Interni ed ex delfino di Berlusconi è stato più che incoraggiante. Attraverso Fisichella gli ha fatto pervenire un messaggio esplicito: «Le sue intenzioni sono positive, vada avanti». L’operazione guidata dunque da Ruini e dall’ex cappellano della Camera ha però provocato più di un dissidio all’interno delle sale ovattate di San Pietro. Soprattutto non ha ricevuto l’avallo della Segreteria di Stato. Anzi, molti sospettano che la Conferenza episcopale, guidata da un altro ruiniano come Bagnasco, si sia mossa approfittando dell’assenza del successore di Bertone al vertice della Curia. Pietro Parolin, infatti, sebbene nominato da tempo, si insedierà a Roma concretamente solo oggi. E pur stando a Padova non avrebbe gradito l’interferenza di una parte della Cei nei fatti della politica italiana. Anche perché Papa Bergoglio, fin dall’inizio del suo pontificato, ha sempre spiegato di volersi attenere ad una linea di “non intervento” nelle questioni dei partiti lasciando spazio al protagonismo dei laici. Non è un caso che solo una parte dei vescovi italiani abbia assecondato i progetti “ruiniani”. Le più attive in questo senso sono state le diocesi del “Triangolo del nord”: Milano-Genova-Venezia. Tutte e tre guidate da esponenti vicini a Don Camillo: Bagnasco, appunto, a Genova, Scola a Milano e Moraglia a Venezia. E tra le associazioni cattoliche di base è stata soprattutto Comunione e
Liberazione, di cui sono esponenti di spicco proprio i ministri Lupi e Mauro (e alcuni scissionisti come Formigoni), e Rinnovamento nello Spirito Santo a promuovere l’operazione a favore del Nuovo Centrodestra. Il resto della galassia cattolica è rimasta in attesa, forse anche consapevole che alcuni equilibri all’interno della Conferenza episcopale appaiono “congelati” ma non “confermati”. Basti pensare alla semplice “proroga” concessa a Monsignor Crociata, segretario generale della Cei. O anche all’arcivescovo di Firenze Betori che potrebbe essere presto trasferito e che non ha mai nascosto una certa avversione nei confronti del sindaco fiorentino, Matteo Renzi, cattolico ma probabile leader del centrosinistra. «E’ chiaro — spiegava qualche mese fa proprio il candidato alla segretaria del Pd — che non sto simpatico all’Arcivescovo». Ed è chiaro che il disegno ruiniano punta a strappare anche una parte consistente dei cattolici del Partito democratico, i suoi dirigenti e anche i suoi elettori, minando le basi originarie del progetto che ha unificato gli ex Ds e gli ex Ppi. Nella consapevolezza che in questa fase la tolda di comando del fronte progressista è proprio occupata da ex popolari come Letta e Renzi, non interessati ad un’operazione neocentrista, e quindi simbolicamente in grado di sgonfiare gli scenari a favore della Nuova unità dei cattolici. E del resto non è un caso che tra i pilastri della separazione da Berlusconi ci siano quegli esponenti del Pdl che nel 2009 si sono battuti in sintonia con le richieste del mondo ecclesiastico sul caso Englaro. Allora in prima fila spiccavano proprio uomini come Lupi, Quagliariello, Sacconi. Alcuni di loro cattolici dell’ultima ora che hanno abbracciato con vigore la ragioni della Chiesa. «In quei giorni — raccontava qualche mese fa Beppe Pisanu — Sacconi mi diceva “noi cattolici non possiamo cedere sul caso di questa ragazza”. E io gli rispondevo: voi ex socialisti atei in effetti sì che siete cattolici, mica un democristiano come me…».

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google, finalmente!

 

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Google sembra deciso a lottare contro la pedopornografia

E’’ stato l’amministratore delegato di Google, Eric Schmidt, a spiegare che il gruppo è al lavoro sullo sviluppo di una nuova tecnologia che consentirà di bloccare oltre 100mila richerche connesse al tema della pedopornografia. Per far questo, il colosso informatico ha mobilitato oltre 200 dipendenti sullo sviluppo della nuova tecnologia. Le limitazioni verranno applicate inizialmente ai Paesi di lingua inglese, ma saranno estese al resto del mondo (altre 158 lingue) in sei mesi. Spiega l’amministratore: “Abbiamo impostato con precisione Google Search per individuare nei nostri risultati i link legati all’abuso sessuale sui bambini. Anche se nessun algoritmo è perfetto e Google non può impedire che i pedofili aggiungano nuove immagini sul web, le novità introdotte hanno consentito di ripulire i risultati di più di 100.000 applicazioni potenzialmente correlati di abusi sessuali sui minori”.

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papa Francesco telefona al giornalista cui non piace questo papa

Francesco ha telefonato a Mario Palmaro

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M. Palmaro è uno dei due giornalisti che su ‘il Foglio’ di G. Ferrara non molto tempo fa hanno pubblicato un articolo in cui esprimevano forti critiche nei confronti del nuovo indirizzo innovativo di papa Francesco:

 

Roberto Beretta
in “VinoNuovo” (www.vinonuovo.it) del 16 novembre 2013

Sono sicuro che nessuno dei due interessati vorrebbe che si sapesse, e per nobili ragioni che rispetto. Epperò io faccio il giornalista… e le notizie – se le ho – le devo pur dare. Soprattutto quando sono notizie che fanno onore ad ambedue i protagonisti. Papa Bergoglio ha telefonato a Mario Palmaro. Si sa che papa Francesco ama fare di queste sorprese telefoniche. Ma stavolta l’evento ha un sapore un po’ diverso, perché Palmaro (insieme al co-autore Alessandro Gnocchi con cui fa coppia fissa) è anche il firmatario dell’articolo «Questo Papa non ci piace» che a partire dalla prima pagina del «Foglio» di qualche settimana fa ha suscitato una ridda di reazioni un po’ dappertutto – Vino Nuovo compreso. Dunque il Papa che telefona a uno dei suoi critici è di per sé una bella cosa, molto evangelica; e alcuni testimoni assicurano che Palmaro – il quale è persona molto retta e devota, al di là dei toni che talvolta usa (come chi scrive, del resto…) – ha accusato il touché. Sono poi certo che né all’un capo del filo né all’altro in quel momento si è pensato di fare o di subire una sorta di atto «mediatico», ed immediatamente è stata scacciata la tentazione di pensare che si trattasse di un tentativo strumentale per rintuzzare la critica subìta ovvero ribaltare l’attacco, e i due interlocutori hanno potuto invece assaporare il gesto per quel che era: un atto paterno e fraterno di affetto, vicinanza, sollecitudine cristiana. Perché Palmaro purtroppo è anche malato: lo si può dire, in quanto egli stesso lo ha rivelato in una recente e lucida intervista rilasciata al periodico dehoniano «Settimana»; malato seriamente. Giovane, con 4 figli piccoli, da sempre difensore della vita in tutte le sue forme, tanto da dedicare proprio alla bioetica gran parte della sua attività di studioso e scrittore: si può dunque ben immaginare quali rovelli passino per la sua mente, al di là della serenità e della fede che – mi dicono – grazie a Dio continuano a presiedere alla sua esistenza. La telefonata del Papa non era dunque l’occasione per tentare un dibattito pur sempre intellettuale tra le ragioni dell’uno e dell’altro. Non era nemmeno soltanto la dimostrazione pratica dell’evangelico «se amate solo quelli che vi amano, che merito ne avrete?» – che pure sarebbe già un bell’esempio. Era anche l’attenzione a una persona in quanto tale, nella sua difficoltà e oltre ogni differenza d’opinione. La distanza è rimasta, perché c’è rispetto delle posizioni altrui; ma ci si è parlati, ci si è scambiata una reciproca stima; siamo sinceri: quante volte vorremmo che la Chiesa fosse così? E il paradosso – molto cattolico – è che Mario Palmaro ha avuto la consolazione di provarne la rara carezza proprio grazie a quell’invettiva. Siamo davvero contenti che sia toccata a lui.

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i vescovi americani non sembrano in sintonia con papa Francesco

papa

 

Intervista allo storico Faggioli: il 20% dei vescovi Usa volta le spalle a Papa Francesco

EPISCOPATO USA, LO STORICO FAGGIOLI: <DUE VESCOVI SU DIECI SONO CONTRO IL PAPA>

Articolo pubblicato sul Resto del Carlino, edizione di Ferrara, il 16 novembre 2013

A Ferrara ha lasciato i genitori, lui è salito in cattedra Oltreoceano. Non in senso figurato, ma con tanto di lezioni e studenti pronti ad ascoltarlo. Indirizzo, l’Università di St.Thomas, a St Paul (Minnesota), dove Massimo Faggioli insegna Storia del cristianesimo. Classe 1970, autore di diverse pubblicazioni (fra queste Nello spirito del concilio. Movimenti ecclesiali e recezione del Vaticano II) il professore si è formato al prestigioso Istituto per le scienze religiose di Bologna, per decenni diretto dallo storico Giuseppe Alberigo, padre della monumentale e discussa Storia del Concilio Vaticano II. Negli Usa Faggioli ha messo su famiglia, una moglie e una figlia, e soprattutto si sta facendo apprezzare come osservatore di una delle Chiese in cui la polarizzazione tra conservatori e liberal è tra le più marcate del pianeta. Di questo dovrà tenere conto anche il presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, monsignor Joseph Edward Kurtz (Louisville), fresco di nomina al posto del gagliardo cardinale Timothy Dolan di New York.

I vescovi a stelle e strisce tornano al passato e, dopo lo strappo del 2010, come tradizione, hanno eletto al vertice il vice in carica: professor Faggioli, era una scelta prevedibile?

<Alcuni l’avevano prevista ed era una delle opzioni probabili. La scelta di Kurtz al primo turno e con larga maggioranza testimonia che l’elezione di Dolan, che scavalcò l’allora numero due, il progressista Gerald Kicanas, fu un’operazione della fazione più conservatrice>.

Con quale obiettivo?

<Quello di tentare di uniformare l’episcopato Usa alla linea ratzingeriana. Ora la Conferenza episcopale degli Stati uniti sembra tornare a una normalità istituzionale violata tre anni fa>.

Che tipo è monsignor Kurtz?

<Un moderato, lontano dagli ideologi che hanno dominato la scena nell’ultimo decennio, tra il cardinale Francis George e Dolan. Dalle credenziali pro-life inattaccabili, è un vescovo che sta meno sotto i riflettori rispetto al cardinale di New York. Dolan ha lasciato molti cattolici, anche tra i vescovi, delusi dal suo triennio di presidenza>.

L’elezione dell’arcivescovo di Louisville è una vittoria della linea moderata di papa Bergoglio su Dolan che ha schierato l’episcopato in trincea contro l’Obamacare in nome della lotta all’aborto, senza dimenticare qualche frecciatina allo stesso Francesco?

<È una vittoria della linea ‘moderata’: quello che è chiaro, però, è che c’è un 20% dei vescovi che non è contento del papa. Sono gli 87 prelati che hanno votato come vicepresidente per Charles Chaput, l’arcivescovo di Philadelphia, una personalità ideologica e divisiva>.

Proprio il pellerossa in questi mesi ha alzato il tiro, criticando apertamente Bergoglio. Per il momento, comunque, come numero due è stato scelto l’arcivescovo di Galveston-Houston, Daniel DiNardo, un italo-americano.

<Sì, un cardinale. Questo è forse il sintomo della voglia della Chiesa americana di alzare il profilo della sua dirigenza internamente e nei confronti di Roma>.

 

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papa Francesco: il nuovo eroe dei progressisti e degli atei?

 

 

papa Franc

papa Francesco sembra ilnuovo eroe delle sinistra, e anche degli atei, in America come anche da noi:”E’ il nome più cliccato su internet nel 2013, prima di “Obamacare” e “NSA”. E l’account Twitter di Francesco, @Pontifex, è al quarto posto. In Italia, Francesco è perfino diventato il nome quasi più diffuso per i neonati. Roma registra un’impennata nel numero dei turisti ed è aumentata anche la frequentazione delle chiese – entrambi i fenomeni sono attribuiti all’ “effetto Francesco” “

così un bell’articolo di J. Freedland e così anche una entusiasta ‘confessione’-esternazione di R. Armeni: “Dovete capirci, noi di sinistra, se ci piace Papa Francesco. Non fate del sarcasmo, non diteci con ironica condiscendenza: «E che? Ora sei diventato cattolico» quando diamo segnali di soddisfazione per le parole del Pontefice. Dovete capirci, davvero”

qui di seguito i due contributi significativi di una radicale novità culturale :

Perché perfino gli atei starebbero già pregando per papa Francesco

di Jonathan Freedland
in “www.theguardian.com” del 15 novembre 2013

Alla parete, quel poster di Obama che promette pace e cambiamento appare oggi alquanto sbiadito. Le delusioni, sia per la guerra con i droni sia per il lancio pasticciato della legge sull’assistenza sanitaria, hanno fatto sì che i liberal e i progressisti nel mondo siano alla ricerca di una nuova “immagine da copertina” che possa prendere il posto del presidente USA. Se è così, il candidato non può che essere lui: il capo di un organismo che quegli stessi liberal e progressisti hanno a lungo considerato sessista, omofobico e, a causa di una serie di scandali di abusi su minori, spaventosamente crudele. L’ovvio, prevedibile nuovo eroe della sinistra è il papa. In carica solo da marzo, papa Francesco è già diventato un fenomeno. È il nome più cliccato su internet nel 2013, prima di “Obamacare” e “NSA”. E l’account Twitter di Francesco, @Pontifex, è al quarto posto. In Italia, Francesco è perfino diventato il nome quasi più diffuso per i neonati. Roma registra un’impennata nel numero dei turisti ed è aumentata anche la frequentazione delle chiese – entrambi i fenomeni sono attribuiti all’ “effetto Francesco”. La sua popolarità non è difficile da capire. I racconti della sua personale modestia sono quasi diventati leggenda. Porta personalmente la sua borsa. Rifiuta la magnificenza del palazzo papale, preferendo vivere in un semplice ostello. Quando gli hanno presentato le tradizionali scarpe rosse da pontefice, le ha rifiutate e ha invece telefonato al suo ottantunenne ciabattino di Buenos Aires chiedendogli di riparare le sue vecchie scarpe. Giovedì Francesco ha fatto visita al Presidente della Repubblica italiana – arrivando su una Ford Focus blu – senza alcuno strombazzare di sirene. Alcuni sottovaluteranno questi atti considerandoli meri gesti esteriori, se non addirittura espedienti pubblicitari. Ma sono atti che comunicano un messaggio potente, un messaggio di un egualitarismo quasi elementare. Il suo impegno consiste nel togliere i segni esteriori, l’edificio della ricchezza vaticana cresciuto nei secoli, e nel riportare la chiesa al suo obiettivo centrale, una chiesa che Gesù stesso potrebbe riconoscere. Dice di voler presiedere “una chiesa povera, per i poveri”. Non è l’istituzione che conta, ma la sua missione. Tutto questo potrebbe scaldare i cuori perfino degli atei più fervidi, a parte il fatto che Francesco è andato molto più in là. Sembra voler fare qualcosa di più che soltanto esprimere sollecitudine e tenerezza per i deboli. Sta sfidando il sistema che li ha resi deboli e li mantiene tali. “I miei pensieri vanno a coloro che sono senza lavoro, spesso a causa di una mentalità autoreferenziale rivolta al profitto ad ogni costo” ha twittato in maggio. Il giorno prima denunciava come “lavoro da schiavi” le condizioni a cui erano sottoposti i lavoratori del Bangladesh uccisi nel crollo di un edificio. In settembre ha detto che Dio vuole che siano gli uomini e le donne al cuore del mondo, mentre invece viviamo in un ordine economico globale che adora “un idolo chiamato denaro”. È innegabile la radicalità del suo messaggio, un attacco frontale e intenso a quello che chiama “capitalismo sfrenato”, con la sua cultura dello scarto riferita al cibo sprecato o alle persone anziane trascurate. I suoi nemici non hanno certo mancato di notarlo. Se una persona dev’essere giudicata dai suoi avversari, notate che questa settimana Sarah Palin lo ha denunciato come una “sorta di liberal”, mentre l’Institute of Economic Affairs favorevole al libero mercato si è lamentato che a questo papa manchi l’approccio “raffinato” del suo predecessore in tali materie. Nel frattempo, un pubblico ministero italiano ha avvertito che la campagna di Francesco contro la corruzione potrebbe metterlo nel mirino della seconda più potente istituzione del paese, cioè la mafia. Come se questo non bastasse perché il volto del settantaseienne Francesco comparisse sulle pareti delle stanze degli studenti in tutto il mondo, il papa sembra destinato a guidare una campagna della chiesa a favore dell’ambiente. Questa settimana è stato fotografato con degli attivisti anti-fracking, mentre il suo biografo, Paul Vallely, ha rivelato che il papa ha preso contatto con Leonardo Boff, un eco-teologo precedentemente ricusato da Roma e condannato ad un “silenzio rispettoso” dalla
Congregazione un tempo conosciuta come “Inquisizione”. Sembra che sia in arrivo un’enciclica sulla salvaguardia del pianeta. Molti a sinistra diranno che tutto ciò è molto gradito, ma inutile, finché il papa non mette ordine in casa propria. Ma anche qui vi sono segnali incoraggianti. Anzi, per essere più precisi, stupefacenti. Recentemente Francesco ha detto ad un intervistatore che la Chiesa era in un certo senso “ossessionata” da problemi come aborto, matrimonio gay e contraccezione. Non voleva che la gerarchia cattolica continuasse a preoccuparsi di “piccoli precetti”. Parlando ai giornalisti durante un volo – una circostanza già di per sé degna di nota – disse: “Se una persona è gay e cerca Dio e ha buona volontà, chi sono io per giudicare?”. La sua mossa più recente è l’invio di un questionario ai cattolici di tutto il mondo per conoscere il loro atteggiamento su quei controversi problemi nella vita moderna. Dovrebbe rivelare un gregge le cui pratiche sono, potremmo dire, in contrasto con l’insegnamento cattolico. In politica si direbbe che Francesco sta preparando il terreno per una riforma. Lo testimonia la sua reazione ad una lettera – inviata a “Sua Santità Francesco, Città del Vaticano” – da una donna single, messa incinta da un uomo sposato che da allora l’ha abbandonata. Con suo grande stupore, il papa le ha telefonato e le ha detto che se, come lei temeva, dei preti si fossero rifiutati di battezzare suo figlio, avrebbe presieduto lui la cerimonia. (Telefonare alle persone che gli scrivono è un’abitudine di Francesco). Confrontate questo con l’atteggiamento cattolico di un tempo nei confronti di queste “peccatrici”, così potentemente drammatizzato nell’attuale film Philomena. Francesco sostituisce la brutalità con l’empatia. Evidentemente, non è perfetto. La sua testimonianza in Argentina durante l’era della dittatura e della “sporca guerra” non è del tutto chiara. “I suoi inizi furono quelli di un personaggio severamente autoritario, reazionario”, dice Vallely. Ma, all’età di cinquant’anni, Francesco attraversò una crisi spirituale dalla quale, afferma il suo biografo, emerse completamente trasformato. Abbandonò i segni esteriori della sua alta funzione ecclesiale, andò nelle favelas e si sporcò le mani. Ora all’interno del Vaticano affronta una sfida diversa – per fronteggiare i conservatori della curia e fissare le sue riforme, in modo che non vengano annullate quando lui non ci sarà più. Data la scaltrezza di quei cortigiani, si tratta di un compito non da poco: avrà bisogno di tutto il sostegno che può ottenere. Qualcuno dirà che le persone di sinistra e i liberal di tutto il mondo non dovrebbero desiderare una “immagine di copertina”, che il desiderio è infantile e rischia di portare ad una delusione. Ma si tratta di un bisogno molto umano e non limitato alla sinistra: pensate ai poster di Reagan e Thatcher che metaforicamente ancora ornano le pareti dei conservatori dopo ben trent’anni. È vero che il papa non ha esercito, né battaglioni, né divisioni, ma ha un pulpito – e proprio ora lo sta usando per essere la voce più forte e più chiara del mondo contro lo status quo. Non è necessario essere credenti per credere a questo.

nidiata

 

Sì questo papa ci piace

di Ritanna Armeni

in “Rocca” del 1 novembre 2013

 

Dovete capirci, noi di sinistra, se ci piace Papa Francesco. Non fate del sarcasmo, non diteci con ironica condiscendenza: «E che? Ora sei diventato cattolico» quando diamo segnali di soddisfazione per le parole del Pontefice. Dovete capirci, davvero. Ricordate quando Francesco è stato eletto? Era il 13 marzo di quest’anno, in Italia c’erano appena state le elezioni politiche e, mentre la sinistra dava una delle peggiori prove di incertezza e inettitudine, la chiesa, che aveva avuto lo choc delle dimissioni di Benedetto XVI, in quattro e quattr’otto ha eletto un Papa che veniva dalla «fine del mondo». Sapete, malgrado tanti anni in cui anche noi siamo stati invischiati nel pantano delle decisioni lente e burocratiche della gestione del governo e dello stato, un po’ di sano gusto per l’efficienza ci è rimasto. E quella elezione rapida da parte di una istituzione che era in crisi ci è piaciuta. Sapete anche che abbiamo un passato terzomondista e quel capo della chiesa che veniva dalla «fine del mondo» rinverdiva molti vecchi sogni, ci faceva sperare in una nuova linfa vitale per la vecchia Europa cristiana. Ma queste sono state le prime reazioni, positive, ma limitate e, se volete, superficiali. Poi c’è stato il seguito. Da tanto tempo noi di sinistra, non abbiamo un padre o una madre. Qualcuno che ci dica con chiarezza e, magari anche con qualche eccesso di semplificazione: questo è bene, questo è male, questo si fa, questo non si fa. Presto probabilmente capo della sinistra diventerà Matteo Renzi che – ammetterete – della figura paterna ha ben poco. Al massimo somiglia a quegli amici dei nostri fratelli minori, furbi e bricconcelli ai quali a nessuno di noi sarebbe venuto in testa di chiedere consiglio sulle grandi domande della vita. Di una certa autorevolezza sentiamo disperatamente bisogno. Di qualcuno che dica, per esempio, «vergogna» di fronte alle morti nel Mediterraneo. Per anni in molti – e non solo di sinistra – ricevevamo un pugno allo stomaco alla notizia di quei barconi affondati, di quelle morti innocenti, ma si doveva stare attenti a non dimostrarlo troppo altrimenti nel migliore dei casi si era accusati di «buonismo» (ritenuto evidentemente di caratura morale inferiore al «cattivismo») e quindi di ignoranza delle cose del mondo, di incompetenza sui flussi, sulle leggi, sulle statistiche sulle compatibilità, sui pericoli per l’identità del paese ecc. ecc. Ci dovete capire. Quando il Papa, dopo aver abbracciato un disoccupato e un cassintegrato, dice «Signore Gesù dacci lavoro e insegnaci a lottare per il lavoro» abbiamo un sussulto, quasi un momento di commozione. Davvero. La parola «lotta» l’avevamo dimenticata, avevamo dimenticato che potesse avere un suono elevato, nobile. In tanti l’hanno calpestata in questi anni, disprezzandola come primitiva o usandola male, strumentalizzandola ai loro fini. Francesco invoca Gesù perché sa che non si può avere un lavoro se qualcuno non ci insegna anche come lottare per averlo. Ogni insegnamento, ogni regola, ogni priorità sono andate evidentemente perdute. I sindacati, è chiaro, hanno bisogno anche loro di qualche ripetizione. Come tanti di noi anche il Papa pensa che si deve cominciare proprio tutto daccapo. E allora, per favore, comprendeteci. Comprendete chi per anni a sinistra, quando andava bene, ha sentito parlare di disagio sociale, di crisi che ridimensiona i redditi e di soluzioni che alla fine buttavano sempre ad aumentare quel disagio sociale e a ridimensionare i redditi di chi aveva già poco. Poi abbiamo sentito un Pontefice che vuole mettere al primo posto gli ultimi. Fino ad allora nel dibattito pubblico erano apparsi lontani, lontanissimi, invisibili. Le reazioni, infatti sono state di meraviglia e stupore. Le sue parole sono suonate scandalose. Ma quello scandalo a noi è sembrato benefico. Qualcuno finalmente squarciava un velo. E poi di questo Papa ci è piaciuto anche qualcosa di meno nobile, ma di molto utile. Una sorta di furbizia, qualcuno dice da parroco di campagna, che gli ha fatto intuire immediatamente l’odio crescente nei confronti del privilegio. Il Pontefice che porta la sua borsa da viaggio, il Papa che telefona agli amici, il successore di Pietro che paga il conto in albergo, il capo della chiesa che non abita negli appartamenti vaticani, ma nel convento di Santa Marta. Non siamo così ingenui da pensare a gesti che non siano ponderati e inviati come messaggi, ma ci siamo chiesti perché tanti politici, anche di sinistra, non hanno sentito il bisogno di mandare messaggi analoghi. Per furbizia, magari, se non per convinzione. Ma quella furbizia avrebbe indicato una sintonia e un rispetto, un senso dell’opportunità che ai nostri antichi padri e antiche madri non mancava. Ma la dottrina, direte, la dottrina? Quando questo Papa parlerà di matrimonio gay, di aborto, divorzio, allora voi di sinistra che direte? Sarete ancora così entusiasti, così «papisti»? Probabilmente no. Probabilmente avremo molto da dire, da contestare, da criticare. Per il momento abbiamo provato una certa consolazione quando il Papa ha parlato degli omosessuali come «feriti sociali» e ha detto che la chiesa è la casa di tutti, anche e soprattutto, degli irregolari. E quando abbiamo constatato che dopo anni di affermazione di valori «non negoziabili» questo Pontefice ci ha detto: «L’opinione della chiesa su questi temi è nota e non c’è bisogno di parlarne sempre». Per il momento ci basta. E anche qui dovete capire: non ne potevamo più di quella perdita di buon senso a cui sempre più spesso portano le discussioni di dottrina. Non è inevitabile che sia così, ma così finora è stato. E allora per il momento attendiamo e pensiamo che non sarebbe male cominciare a discuterne prima di litigare con la chiesa. E chissà perché ci viene da pensare che, quando ne discuteremo con chi segue «la nota dottrina», troveremo orecchie più attente, una testa più aperta, e gli steccati, anche quelli dei laici, potranno essere più fragili. Sì, questo Papa ci piace. E chi alla chiesa ha sempre creduto dovrebbe essere contento della possibilità di una nuova fratellanza che si fonda su una fiducia reciproca. Di recente il mio amico Fausto Bertinotti, anche lui «papista» convinto, mi ha passato un numero del 2007 della rivista 30 giorni diretta da Giulio Andreotti. Contiene una stupenda intervista a Papa Francesco allora cardinale di Buenos Aires. Ne consiglio la lettura. Nell’intervista, nella quale con assoluta coerenza c’è già tutto Francesco, il Papa parla fra l’altro della necessità di «uscire dal recinto dell’orto dei propri convincimenti considerati inamovibili se questi rischiano di diventare un ostacolo, se chiudono l’orizzonte che è Dio». «Questo vale anche per i laici?», chiede l’intervistatrice Stefania Falasca. E il cardinale Bergoglio risponde: «La loro clericalizzazione è un problema. I preti clericalizzano i laici e i laici ci pregano di essere clericalizzati… È proprio una complicità peccatrice». E prosegue: «E pensare che potrebbe bastare il solo battesimo. Penso a quelle comunità cristiane in Giappone che erano rimaste senza preti per più di duecento anni. Quando tornarono i missionari li trovarono tutti battezzati, tutti validamente sposati per la chiesa, i loro defunti avevano avuto un funerale cattolico. La fede era rimasta intatta per i doni di grazia che avevano allietato la vita di questi laici che avevano ricevuto solo il battesimo e avevano vissuto la loro missione apostolica in virtù del loro battesimo. Non si deve aver paura di dipendere solo dalla Sua tenerezza». Adesso è chiaro perché ci dovete capire? Perché molti di noi di sinistra sono quelli che Karl Rahner definiva «cristiani anonimi», siamo fuori dal perimetro della chiesa, però ne possiamo condividere idee e convinzioni. E questo – rassicuratevi – sempre per dirla con Rahner «non rende superfluo il cristianesimo esplicito, anzi lo reclama per la sua stessa essenza e per la sua specifica dinamica». Allora tranquilli. Niente di male se il Papa piace a sinistra. Se piace ai laici, ai non credenti, agli atei e ai miscredenti. Abbiate un po’ di comprensione. Anche noi abbiamo bisogno di un padre che abbia fiducia in noi. Che poi sia santo, questo lo ammetto, è fatto che vi riguarda quasi esclusivamente.

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l’attenzione di papa Francesco per l’ecologia

L’ecologia al centro della prossima enciclica di Francesco

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Solanas con papa Bergoglio
Solanas con papa Francesco

Il Papa ha chiesto a un gruppo di esperti di lavorare a un testo sulla difesa dell’ambiente, tema che occuperà una parte importante della seconda enciclica del suo Pontificato

 

La prossima lettera enciclica di Francesco non si occuperà soltanto del tema della povertà, ma nel testo ci sarà spazio anche per un forte messaggio in difesa dell’ambiente.  Nonostante il progetto stia muovendo i primi passi e la sua pubblicazione non sia imminente, il Papa ha già chiesto a un gruppo di esperti di redigere il suo messaggio ecologico.

Negli ultimi giorni, Jorge Mario Bergoglio ha rivelato questa iniziativa a tre diverse personalità. In primis, al suo amico Gustavo Vera, deputato argentino e attivista nella lotta contro il traffico di persone. Ha condiviso con lui il pranzo nella residenza vaticana di Santa Marta la scorsa domenica 3 novembre.

Del tema ha anche parlato con la presidentessa del Costa Rica, Laura Chinchilla, durante l’udienza privata dello scorso 8 novembre. «Non mi stupirei se questo tema occupasse uno spazio importante nella prossima enciclica», ha detto la Chinchilla in un incontro con i giornalisti.

Il Pontefice è stato anche più esplicito durante il suo incontro con il senatore argentino Pino Solanas, che è stato ricevuto lunedì 10 novembre in un’altra udienza privata a Santa Marta. L’incontro si è svolto per quasi un’ora e il rappresentante del movimento politico “Proyecto Sur” ha affrontato con Francesco il tema dell’impunità con la quale l’uomo rovina la natura.

«Il Pontefice si è mostrato molto sensibile: mi ha detto che stava preparando un’enciclica su questo tema. Un argomento impegnativo: non a caso ha creato un gruppo di lavoro che lo aiuterà redigerla. Ecco perché le sue dicharazioni su tema si stanno diradando sebbene a settembre avesse paralto dei pericoli derivanti dallo sfruttamento eccessivo delle miniere», ha dichiarato Solanas a Vatican Insider.

Il senatore ha ricordato di aver parlato di ecologia con Papa Francesco in un’altra occasione, a giugno, quando gli aveva inviato una lettera con un rapporto allegato.

In quell’occasione Solanas aveva chiesto il supporto del Pontefice nel tentativo di definire i reati ambientali e per lanciare (in futuro) la proposta del Tribunale Internazionale Penale. Un organismo chiamato a giudicare i reati ecologici, veri e propri crimini contro l’umanità, perché a pagare le conseguenze di quei reati sono intere popolazioni. Il senatore aveva anche denunciato che tutto questo accade quasi sempre con la complicità dei governi, perché non c’è alcun controllo pubblico.

«Francesco è interessato sopratutto al tema dell’acqua. Mi ha detto: non ci sarà da stupirsi se la prossima guerra sarà proprio a causa diessa. E ha anche ricordato, da questo punto di vidta, la disastrosa situazione dell’Africa. L’ho visto molto preoccupato perchè assecondando solo la logica del profitto tutto viene raso al suolo», ha affermato.

Solanas ha ribadito che la difesa dell’ambiente rappresenta un costo molto elevato che le grosse multinazionali non sono disposte a pagare, ed è per questo che nessuna delle imprese lavora con polizze assicurative ambientali, nonostante i “paletti” legislativi

Il Papa, secondo il senatore argentino, sarà un alleato importante nella campagna di sensibilizazione sui pericoli ai quali è esposto l’ambiente. Non per niente alcuni sondaggi importanti compiuti in America Latina e in Europa collocano Francesco tra i quattro personaggi più influenti del mondo.

Andrés Beltramo Álvarez

Città del Vaticano

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‘il foglio’ e il ‘questionario’

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aspre e ingenerose le critiche che il quotidiano di G. Ferrara, ‘il Foglio’, continua a rivolgere alla nuova conduzione ecclesiale di papa Francesco

questa volta, per la penna di Pietro di Alessandro Gnocchi e di Mario Palmaro, viene duramente criticato il ‘questionario’ che papa Francesco vuole vuole diffuso a tutto il popolo dei cattolici perché ciacuno abbia la possibilità di esprimere in prima persona la propria posizione in merito ai problemi morali e antropologici riguardanti la famiglia, in vista del sinodo straordinario dell’anno prossimo dedicato appunto alle famiglie:

 

Il questionario

di Pietro di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro
in “Il Foglio” del 14 novembre 2013

Anche quando dovrebbe essere al servizio di Nostro Signore, la burocrazia ecclesiale finisce sempre per provvedere soprattutto a se stessa, proprio come quella mondana. Non fa che parlare di sé, avocare ogni atto a sé e vedere chiesa e mondo a immagine di sé. Il questionario di preparazione per il Sinodo straordinario sulla famiglia recentemente diramato da Roma ne è solo l’ultima conferma. Riesce difficile vederne l’utilità, se si vuole veramente comprendere che cosa crede e che cosa pensa, quindi che cosa prega e che cosa è, il gregge affidato a Pietro. Fino a qualche decennio fa, sarebbe bastato molto meno per avere contezza della situazione: qualsiasi prete che dicesse messa santamente, dopo il “Salve Regina” finale, avrebbe saputo riferire immediatamente al vescovo, e poi questi al Papa, senza dimenticare un volto e un’anima. Ma era un’altra messa ed era un modo di “sentire cum Ecclesia” che non va più di moda. La domenica mattina, dopo l’esile e orante “Asperges me…” intonato dal sacerdote, il popolo proseguiva vigoroso e sicuro sulla melodia gregoriana nell’implorare “Domine hyssopo et mundabor, lavabis me et super nivem dealbabor…”. Sulle parole del Salmo 50, ciascuno chiedeva per sé e per i fratelli di essere mondato nel sentore sacro dell’issopo e nel lavacro divino che lo avrebbero reso più bianco della neve. Intanto, racchiuso nel piviale sorretto dai chierichetti, il celebrante si era avviato lungo la navata ad aspergere e mondare con acqua benedetta coloro che, ancora una volta, accorrevano al sacrificio del Golgota. Per ognuno aveva uno sguardo e un’attenzione speciali, a ciascuno secondo il suo bisogno, poiché ne conosceva le virtù e i peccati. Era Cristo che passava ancora tra le folle della Galilea e della Giudea: “Miserere mei, Deus, secundum magnam misericordiam tuam…”, e chi sentiva il gregoriano risuonare da fuori si affrettava per toccare il lembo del mantello di Colui che li conosceva e li amava uno per uno. “Il padre Smith”, racconta Bruce Marshall nel romanzo della lotta di questo sacerdote con la carne e il mondo, “percorse le file dei fedeli, mentre Patrik O’Shea lo precedeva con secchiello dell’acqua benedetta, e spruzzò di gocce d’argento i facchini ferroviari, gli scaricatori del porto, i marinai, le maestre di scuola, le commesse e le servette, che si segnarono. Sui capelli, sugli scialli, sulle zucche pelate, il prete spargeva l’acqua santa, lavando tutti, simbolicamente, dai pensieri e dalle ambizioni dei giorni feriali. Arrivò alle vecchine degli ultimi banchi che avevano in testa il berretto del marito appuntato con un grosso spillo perché se san Paolo aveva detto che la gloria della donna è la sua capigliatura, aveva detto anche che quando andava in casa del Signore doveva tenerla coperta. Alle tre girls del varietà, coi capelli che parevano trucioli, il padre Smith dette una spruzzatina speciale, perché quei loro visi gialli gli fecero un effetto così tremendo, e lo stesso fece per il professor Bordie Ferguson, in terza fila, perché pensava che questo metafisico soffrisse di orgoglio intellettuale”. Padre Smith, come ogni altro sacerdote dei suoi tempi e della sua pasta, non avrebbe avuto bisogno di un questionario arrivato da Roma e anticipato dai giornali per sapere che cosa pensassero le sue pecorelle della fede, della dottrina, della morale e delle follie del mondo e della carne. Parlava al suo gregge con le parole di Dio e riferiva a Dio con le parole del suo gregge, che nulla avevano di mondano: mediatore sull’altare, lo era anche in canonica e lungo le strade della sua città. Ora, la chiesa di Roma si appresta al Sinodo sulla famiglia e avvia un’indagine conoscitiva in ogni diocesi per sapere che cosa frulla nella testa dei fedeli. C’è chi ha gridato al sondaggio e se, formalmente, si può anche eccepire, materialmente non si può ignorare la deriva mondana che concede molto, forse troppo, all’ansia sondaggistica. A cominciare dal linguaggio dolciastro e pedestre che ricorda tanto le preghiere dei fedeli delle messe di oggigiorno: “Quali sono le richieste che le persone divorziate e risposate rivolgono alla chiesa a proposito dei sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione? (…) Esiste una pastorale per venire incontro a questi casi? Come si svolge tale attività pastorale? Esistono programmi al riguardo a livello nazionale e diocesano? Come viene annunciata a separati e divorziati risposati la misericordia di Dio e come viene messo in atto il sostegno della chiesa al loro cammino di fede?”. E’ sempre la liturgia a dettare la metrica e il linguaggio della chiesa e se, in un ospedale da campo, viene celebrata la messa inventata a furor di Concilio da monsignor Achille Bugnini non ci si può attendere altro: una specie di questionario da accettazione per un pronto soccorso, ma meno preciso. Non potrebbe essere adottato strumento migliore per dare corpo a quella contiguità con il mondo che piace tanto ai fan del pontificato di Papa Francesco. Gilbert Keith Chesterton, con piena ragione, amava ripetere che ogni secolo ha bisogno di santi che lo contraddicano, ma oggi è difficile sentir dire da un pastore che, per esempio, nella chiesa si entra in ginocchio lasciando il secolo sulla soglia. “Eppure”, diceva in un’intervista Marshall McLuhan a proposito della sua conversione, “quando le persone iniziano a pregare hanno bisogno di verità. Tu non arrivi alla chiesa per idee e concetti, e non puoi abbandonarla per un mero disaccordo. Ciò avviene per una perdita di fede, una perdita di partecipazione. Quando le persone lasciano la chiesa possiamo dire che hanno smesso di pregare. Il relazionarsi attivamente alla preghiera e ai sacramenti della chiesa non avviene per mezzo delle idee. Oggi un cattolico che è in disaccordo intellettuale con la chiesa, vive un’illusione. Non si può essere in disaccordo intellettuale con la chiesa: non ha senso. La chiesa non è un’istituzione intellettuale, è un’istituzione sovrumana”. Laddove rimanga un minimo di rigore liturgico e razionale, risuona patetica la rincorsa al dissidente per offrirgli qualcosa di meno invece che qualcosa in più. Il questionario di preparazione per il Sinodo sulla famiglia è un repertorio di suggerimenti al ribasso, ricco di perle che possono solo inquietare. “Lo snellimento della prassi canonica in ordine al riconoscimento della dichiarazione di nullità del vincolo matrimoniale” vi si dice per esempio “potrebbe offrire un reale contributo positivo alla soluzione delle problematiche delle persone coinvolte? Se sì, in quali”. Sembra che la chiesa abbia scoperto oggi il territorio prima del tutto ignoto del dolore e della sofferenza abitato dalle famiglie distrutte e dalle coppie ricostruite che non possono accedere alla Comunione. Finalmente, nell’ospedale da campo di Papa Francesco, dopo secoli di indifferenza e di distrazione, si troverà la medicina giusta. Ma sui divorziati risposati, e ai divorziati risposati, la chiesa dice da sempre tutto quello che c’era, c’è e ci sarà da dire: “Ci sono nella vita situazioni coniugali che chiedono comprensione e destano compassione senza fine (…). Questi casi veramente pietosi di donne tradite, disprezzate, abbandonate, ovvero di mariti umiliati dal contegno della propria moglie rappresentano, per la chiesa e per il cristiano, casi meritevoli di molto rispetto e di sofferta considerazione”. Parole scritte nel febbraio 1967 da monsignor Pietro Fiordelli, vescovo di Prato che assurse agli onori delle cronache per la sua battaglia antidivorzista. E’ del 14 settembre 1994, festa dell’Esaltazione della Santa Croce, il documento firmato dal prefetto della congregazione per la Dottrina della fede Joseph Ratzinger e rivolto a tutti i vescovi del mondo “circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati”. Stiamo parlando di 19 anni fa. Il Sant’Uffizio, citando la “Familiaris consortio” di Giovanni Paolo II, Anno Domini 1982, parte dalla considerazione che “speciale attenzione meritano le difficoltà e le sofferenze di quei fedeli che si trovano in situazioni matrimoniali irregolari”. E poi scrive che “i pastori sono chiamati a far  sentire la carità di Cristo e la materna vicinanza della chiesa” accogliendo con amore queste persone, “esortandoli a confidare nella misericordia di Dio e suggerendo loro con prudenza e rispetto concreti cammini di conversione. Il Sant’Uffizio del “pastore tedesco” conosceva già la misericordia di Dio e la sofferenza bisognosa e, proprio per questo, nel capoverso successivo, citando la “Humanae vitae” di Paolo VI, concludeva: “Consapevoli però che l’autentica comprensione e la genuina misericordia non sono mai disgiunti dalla verità, i pastori hanno il dovere di richiamare a questi fedeli la dottrina della chiesa riguardante la celebrazione dei sacramenti e in particolare la recezione dell’eucarestia”. La pastoralità non può mangiarsi la dottrina e il documento del 1994 ribadisce che la chiesa “fedele alla parola di Gesù Cristo non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il precedente matrimonio”. Questo concetto si chiama indissolubilità, è un vincolo di diritto divino e nessuna autorità, nemmeno un Papa, potrebbe arbitrariamente rinnegarlo. Da Enrico all’ultima pecorella di padre Smith, nessuno può cancellare quel vincolo, se esiste ed è valido. “Perciò”, conclude in modo euclideo il Sant’Uffizio, “se i divorziati si sono risposati civilmente, si trovano in una condizione che contrasta oggettivamente con la legge di Dio e perciò non possono accedere alla Comunione eucaristica per tutto il tempo in cui perdura tale situazione”. La chiesa è, innanzi tutto, custode dell’eucarestia e non può venire a patti sul monito paolino che mette in guardia dal comunicarsi senza essere il grazia di Dio per non mangiare la propria condanna. Se un’anima è in peccato mortale, nessun atto formale che sia ingiusto potrebbe cancellare una verità di fatto, anche se reca la firma di un uomo di chiesa. Non è possibile nessuna “amnistia”, neanche per i divorziati risposati, perché essa non cambierebbe in alcun modo la loro condizione reale davanti a Dio. Ma oggi, dentro la chiesa, si è smarrito il senso del peccato e ciò che inquieta nel questionario inviato a tutte le diocesi dell’Orbe è l’implicita rassegnazione a tale fenomeno. Questa sorta di tensione anagogica al contrario turba sempre meno anime, come scriveva Cristina Campo in una lettera del 1965 a Maria Zambrano: “Come mai si celebra ancora la festa dogmatica dell’Unica Immacolata, mentre implicitamente si nega, in mille modi, la maculazione di tutti gli altri? In un mondo dove non è più riconosciuto non dico il sacrilegio, l’eresia, la blasfemia, la predestinazione al male – ma il puro e semplice concetto di peccato? Padre Mayer mi disse un giorno di scrivergli tutte le cose che mi turbano nello svolgersi del Concilio; e io gli riposi: ‘Ma non sono che due, sempre le stesse: la negazione della Comunione dei Santi (potenza della preghiera, ruolo sovrano della contemplazione, reversibilità e trasferimento delle colpe e delle pene) e il rifiuto della croce (l’uomo ‘non deve più soffrire’, restare un’ora sola inchiodato alla croce della propria coscienza o alla porta chiusa di un irrevocabile ‘non licet’)”. Quel “non licet” oggi spaventa soprattutto la chiesa, anche se è stato meritoriamente ribadito dal prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, Gerhard Ludwig Müller, subito rimbrottato dal confratello Reinhard Marx. Sarebbe segno di ingenuità sottovalutare il sommovimento teso ad ammorbidire la posizione della chiesa. Il dibattito avviato negli ultimi tempi non è altro che lo sbocco in superficie di un fiume carsico presente nel mondo cattolico da decenni. Un’acqua torbida e tumultuosa che vorrebbe spazzare via il muro dottrinale che protegge l’indissolubilità matrimoniale. Per motivazioni di ordine pastorale, per realismo e apertura al mondo e alle sue esigenze pratiche. Non si contano i parroci, i moralisti, i docenti di seminario, i vescovi che su questa faccenda hanno abbandonato da tempo quanto insegnato dalla chiesa. C’è chi pensa al modello ortodosso, che consente un bonus, una sorta di carta jolly per validare il secondo matrimonio dopo il fallimento del primo. C’è chi studia l’idea della “benedizione” delle seconde nozze, come succedaneo del sacramento vero e proprio. Dal Concilio Vaticano II in poi, la chiesa ha preso a concepirsi e presentarsi come problema invece che come soluzione per la salvezza degli uomini. Anche quando parla del mondo, in realtà lascia trasparire o dice palesemente la propria inadeguatezza e promette solennemente di porvi rimedio recuperando il terreno perso dall’avvento dell’illuminismo in poi. La portata di tale mutamento di prospettiva la si può paragonare a quanto avvenne in filosofia con il criticismo di Kant. Con l’avvento della filosofia kantiana, l’uomo non è più ritenuto capace di conoscere il mondo nella sua intima realtà poiché la ragione non viene più ritenuta in grado di raggiungere il noumeno, la cosa in sé, il vero nucleo dell’esistente. Di conseguenza, essendo considerata incapace di conoscere veramente il reale, la ragione viene anche considerata incapace di definirlo e si ripiega su stessa, non parla che di se stessa e finisce inevitabilmente per concepirsi come un problema. Oggi la chiesa appare intimidita davanti al mondo al pari dell’uomo kantiano davanti al noumeno. Dubita dei propri fondamenti intellettuali e pertanto, pur proclamando di aprirsi al mondo, in realtà si considera incapace di conoscerlo, di definirlo e, quindi, rinuncia a insegnare e a convertire: tenta solo di interpretare. Se tutto diviene oggetto di interpretazione, è normale che sorgano le torri di Babele di documenti nei quali ogni minimo aspetto dello scibile viene preso in esame fin nei dettagli. Ma è ancora più naturale che i documenti non sortiscano alcun effetto sulla realtà per il semplice fatto che, in fondo, non se ne curano. Del resto, un organismo costretto a dubitare della propria capacità di conoscere e intervenire sul mondo non può che rifugiarsi in un universo fittizio creato sulla carta. Il questionario di preparazione per il Sinodo sulla famiglia conferma tale deriva. E ora ne seguiranno altri, molti altri, moltiplicheranno le domande suggerendo un ancor maggiore numero di risposte. Se la chiesa aveva affascinato Chesterton come “luogo dove tutte le verità si danno appuntamento”, oggi sembra diventata il luogo dove si danno appuntamento le opinioni. In un luogo simile si sarebbe trovata a disagio una santa anima sacerdotale come il Curato d’Ars. A un confratello che gli confidava le pene per la condotta immorale dei suoi parrocchiani, quella creatura naturaliter antikantiana non consigliò di far circolare un questionario, chiese semplicemente: “Ha provato a flagellarsi?”.

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commento di p. Maggi al vangelo della domenica

p. Maggi

 

XXXIII domenica del tempo ordinario

17 novembre  2013

CON LA VOSTRA PERSEVERANZA SALVERETE LA VOSTRA VITA

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi
Lc 21,5-19

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».

La liturgia di questa domenica ci presenta che vuole essere di grande incoraggiamento per le comunità cristiane che sono sottoposte a degli attacchi esterni da parte della religione, dei governanti, ma anche interni da parte dei propri familiari. Allora le parole di Gesù non vogliono mettere paura, ma  toglierla, non vogliono scoraggiare i credenti, ma incoraggiarli.
Il brano prende l’avvio dall’ammirazione che i discepoli, che ancora non hanno capito la novità portata da Gesù, hanno del tempio. L’evangelista scrive: Mentre alcuni, si riferisce ai discepoli, parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi. Ebbene Gesù aveva dichiarato il tempio una spelonca di ladri un tempio dove Dio era diventato una sanguisuga, che anziché comunicare la vita ai suoi fedeli gliela toglieva, come nell’episodio che precede questo brano, quello della vedova, che poverina si dissanguava per mantenere in vita il Dio che la sfruttava.
Dio, nell’Antico Testamento, nella Legge, aveva previsto che con i proventi del tempio bisognasse mantenere proprio le categorie più deboli, rappresentate dalla vedova. Ebbene l’istituzione religiosa aveva deturpato il volto di Dio e non solo con i proventi del tempio non si mantenevano le vedove, ma erano le vedove, quindi la parte più debole della società, che dovevano dissanguarsi per mantenere in vita questo Dio vampiro.
Gesù non tollera tutto questo e allora all’ammirazione dei discepoli Gesù risponde: “Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta”.
Questo è il primo dei grandi cambiamenti che avverrà nella storia. Ogni istituzione religiosa e civile che si oppone al bene dell’uomo, che sfrutta l’uomo, che umilia l’uomo, Gesù ci assicura – ed è questa la grande speranza, la grande certezza dei credenti – cadrà, anche se sembra una cosa impossibile, come il tempio di Gerusalemme, una delle meraviglie del mondo, uno splendore come ammirano questi discepoli, tutto cadrà.
Non c’è sistema di potere economico, politico, religioso che sfrutti l’uomo, lo schiacci, lo umili e non vedrà la fine. E Gesù quindi ha parole di incoraggiamento verso i suoi, verso la comunità cristiana, avvertendo però che tutto questo non sarà indolore, perché questa società si rivolterà contro i discepoli di Gesù che annunziano un mondo nuovo.
Gesù, e qui delude i suoi discepoli, non è venuto a restaurare il defunto regno di Israele, con la sua idea di grandezza, ma è venuto ad inaugurare il Regno di Dio, una nuova società alternativa e i principali nemici di questo regno saranno quei tre pilastri sacri di ogni società, pilastri che si reggono su valori considerati talmente sacri per la difesa dei quali si può dare la propria vita o si può togliere la vita all’altro, e sono Dio, Patria e Famiglia; sistemi di potere basati sull’obbedienza.
A Dio l’obbedienza del credente, attraverso i rappresentanti religiosi, il cittadino che deve obbedienza ai governatori e la famiglia dove la moglie deve obbedire al marito e il figlio al padre.
Ebbene saranno proprio questi tre ambiti che si rivolteranno contro Gesù e contro i suoi discepoli perché Gesù ha presentato un Dio diverso, un Dio che non comanda, ma che serve, un Dio soprattutto che non chiede obbedienza, ma somiglianza al suo amore.
Allora questi tre ambiti dominati dal potere e dall’obbedienza si rivolteranno contro i discepoli di Gesù che, con il loro annunzio di una società diversa, un modello di vita completamente differente, metteranno in crisi proprio le basi, le radici di questa società autoritaria. Ecco perché Gesù dice che “saranno portati di fronte alle sinagoghe, di fronte ai governanti, ma addirittura all’interno della famiglia ci sarà un odio mortale che farà sì che tra congiunti, appartenenti alla stessa famiglia, ci si ammazzerà”.
Perché? Perché l’adesione a Gesù verrà considerata un crimine talmente grave da annullare perfino i legami di sangue. Ma Gesù assicura: “Nonostante queste sofferenze, nonostante queste inevitabili tribolazioni, persecuzioni, siete i vincitori.” E conclude: “Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”.
E Gesù assicura che neanche un capello, la parte più piccola della persona, andrà perduto.
Quindi chi collabora al messaggio di Gesù, all’inaugurazione del Regno di Dio, è già vincitore contro queste forze che sembrano preponderanti, contro queste forze che schiacciano, questi poteri che sembrano indistruttibili, Gesù ci assicura: “Lavorate per il Regno e uno dopo l’altro, cominciando dal tempio di Gerusalemme, tutte queste istituzioni si dissolveranno nel nulla”.
Il brano dell’evangelista continua poi con il versetto 28 in cui conferma che è un’immagine di speranza, di salvezza e non di paura. Gesù annunzia: “Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo perché la vostra liberazione è vicina”. Quindi non catastrofi che mettono paura al gruppo di discepoli, ma l’annunzio di una grande verità: tutto quello che domina, che opprime e umilia l’uomo, man mano nella storia cadrà.
Questo comporterà inevitabili sofferenze ai componenti della comunità cristiana, ma questo non li deve scoraggiare perché sono già i vincitori.

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tutto serve per vendere armi!

Sel denuncia: La Marina militare porta le eccellenze italiane in Africa. Ma… sono armi

marina militare sel

vendita di armi dietro la promozione delle eccellenze italiane in un tour della portaerei Cavour della marina militare italiana in direzione Africa:

È arrivata oggi nel porto di Civitavecchia e salperà il prossimo mercoledì in direzione Africa. È la portaerei Cavour della Marina militare italiana, che, insieme ad altre tre navi battenti il tricolore, sarà impegnata in una missione denominata “Sistema paese in movimento”. Una sorta di tour che, come recita un comunicato ufficiale, “promuoverà le eccellenze italiane tra Penisola Arabica e Af”.

Una missione che coinvolge, oltre il ministero della Difesa, anche lo Sviluppo economico, l’Ice e il ministero dei Beni culturali. E che ha destato l’attenzione di alcuni deputati di Sinistra ecologia e libertà. Già, perché l’ammiraglia della flotta del Belpaese, insieme a “30.000 chilogrammi di pasta, 50.000 di farina, 18.000 di pomodori pelati, 27.000 litri di acqua distribuiti in 54.000 bottigliette e 12.000 litri di vino, Frutta e verdura fresca, ma anche mozzarelle e panettoni e pure 6.000 razioni di emergenza”, imbarcherà “stand delle aziende dell’eccellenza italiana”.

Vale a dire? Oltre a istallazioni dell’Expo 2015 e a uno stand delle infermiere volontarie della Croce Rossa, a bordo ci saranno anche prodotti di Finmeccanica, Blackshape, Beretta, Piaggio Aereo e Gruppo Volo (5 caccia intercettori, tre elicotteri da combattimento e un elicottero antinave e antisommergibile). “Altro che missione umanitaria” – hanno pensato gli esponenti del partito di Nichi Vendola – tanto più che il materiale da guerra verrà presentato in diversi paesi poco soliti ai pesi e contrappesi della democrazia rappresentativa. Senza contare che, a quanto sostengono i deputati, oltre ai 13 milioni di finanziamento da parte delle aziende, l’operazione costerà ai contribuenti sette milioni di euro.

Così Franco Bordo, Arturo Scotto, Donatella Duranti, Michele Piras, Giulio Marcon hanno preso carta e penna e hanno scritto al governo.

“È prevista una preponderante presenza di imprese industriali del settore militare e di produzione di sistemi d’arma con relativo marketing dei propri prodotti – si legge nell’interrogazione – considerato che aziende del gruppo Finmeccanica presenteranno a bordo della Cavour e sul ponte di volo la loro produzione più aggiornata: AgustaWestland (elicotteri NH90 e AW101), OTO Melara (sistema d’arma 127/64 LW Vulcano e relativa famiglia di calibri, STRALES evoluzione dei cannoni navali da 76 mm, munizione guidata DART)”. L’elenco continua, è lungo, e lo si può leggere di seguito nel testo integrale redatto dai deputati di Sel.

L’intero materiale verrà presentato in pompa magna in venti porti “di 13 Paesi africani e di 7 del golfo Arabico (la lista è reperibile in fondo all’articolo n.d.r.). Alcuni di questi sono Stati senza una democrazia parlamentare o caratterizzati da regimi autoritari, ed in alcuni di questi sono in corso conflitti armati”.

Così Bordo e colleghi avanzano alcune domande a Emma Bonino, a Mario Mauro e a Enrico Letta. Vogliono sapere se “il governo ritenga idoneo l’utilizzo di un gruppo navale della nostra flotta militare per scopi di natura commerciale, relativamente a prodotti di natura bellica”, se “si consideri legittima e opportuna la scelta di andare a vendere armamenti a paesi governati da regimi non democratici e/o con conflitti interni in corso, utilizzando peraltro strutture dello Stato Italiano” e se è opportuno stanziare soldi pubblici in tempo di crisi per un’operazione del genere.

Perché le risposte arrivi prima che la Cavour salpi, rimangono solo 48 ore.

Il comunicato della Marina militare italiana:

 La portaerei Cavour,  concreta rappresentazione del “Sistema paese in movimento” che nei prossimi mesi promuoverà le eccellenze italiane tra Penisola Arabica e Africa, si sta preparando a salpare dalla Base Navale di Taranto, sede del COMFORAL. Il conto alla rovescia è iniziato. Entusiasmo, volontà, organizzazione e passione: così l’unità della Marina Militare, comandata dal capitano di vascello Francesco Milazzo, disormeggia alle ore 23 di sabato 9 novembre, subito dopo il saluto delle famiglie; la prua dirigerà quindi  verso il porto di Civitavecchia dove la Nave approderà lunedì  11. L’ammiraglia della flotta riprenderà il largo nella tarda giornata di mercoledì 13 dando il via alla Campagna del Gruppo Navale Cavour che sarà guidato dall’ammiraglio di divisione Paolo Treu. Il Cavour sta terminando l’approntamento e mettendo a punto l’assetto operativo e logistico con il carico delle dotazioni, del carburante e degli olii combustibili. Intensa soprattutto l’attività di stivaggio che ha impegnato l’equipaggio. Qualche curiosità: sono stati imbarcati 30.000 chilogrammi di pasta, 50.000 di farina, 18.000 di pomodori pelati, 27.000 litri di acqua distribuiti in 54.000 bottigliette e 12.000 litri di vino. Frutta e verdura fresca, ma anche mozzarelle e panettoni e pure 6.000 razioni di emergenza  completano la ricca dotazione di una “cambusa” che in questa prima fase permetterà al Cavour l’autonomia per una trentina di giorni di navigazione con circa 800 persone a bordo, compresi i 550 membri dell’equipaggio. Il “cantiere” si completerà nei prossimi giorni con l’installazione degli stand delle aziende dell’eccellenza italiana presenti  a bordo e con l’imbarco delle ultime componenti: Gruppi Volo (cinque Sea Harrier AV8, tre elicotteri EH 101, un AB 212), Brigata Marina San Marco (con una settantina di fucilieri) e specialisti del Gruppo Operativo Subacquei del COMSUBIN. La campagna navale farà rientro a Taranto il 7 aprile del 2014. Quasi cinque mesi di navigazione per compiere il periplo completo del continente africano attraverso il Canale di Suez e per fare rotta verso la Penisola Arabica tornando in Italia attraverso lo Stretto di Gibilterra. Il Gruppo Cavour sara’ completato dalla Fregata Bergamini, dalla nave di supporto logistico Etna e dal pattugliatore Classe Comandanti, Borsini. La lunga navigazione, che toccherà una ventina di scali, oltre alla promozione delle eccellenze del Made in Italy, ricoprirà molteplici ruoli tra cui: assistenza umanitaria nei confronti delle popolazioni, sicurezza marittima attraverso operazioni di antipirateria e protezione del traffico mercantile nazionale, sostegno alle Marine dei paesi rivieraschi, in funzione di cooperazione, sviluppo e modernizzazione e supporto alla politica estera nazionale. Alla missione di promozione partecipano anche i ministeri degli Affari esteri, dello Sviluppo economico e dei Beni culturali e del turismo, l’Istituto per il Commercio estero, Fincantieri, alcune aziende del gruppo Finmeccanica, Expo 2015, Pirelli, Piaggio Aereo, Beretta, Blackshape, FederlegnoArredo, Elt, Intermarine, Mermec Group, MBDA, Sitael, e, per gli aspetti umanitari, le infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana e le onlus Fondazione Francesca Rava e Operation Smile.

 

L’interrogazione di Sel

AL MINISTRO DELLA DIFESA AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERIPREMESSO CHE:

il Gruppo Navale della Portaerei Cavour, nave ammiraglia della Marina Militare, effettuerà una crociera di cinque mesi, con partenza il 13 novembre 2013 dal porto di Civitavecchia e rientro nel porto di Taranto il 7 aprile 2014;

la crociera toccherà i porti di 13 Paesi africani e 7 del golfo Arabico, ovvero Jedda (Arabia Saudita), Gibuti (Gibuti), Abu Dhabi (E.A.U.), Mina Sulman (Barhein), Kuwait City (Kuwait), Doha (Qatar), Mascate (Oman), Dubai (E.A.U.), Mombasa (Kenya), Antseranana (Madagascar), Maputo (Mozambico), Durban (Sudafrica), Cape Town (Sudafrica), Luanda (Angola), Pointe-Noire (Congo), Lagos (Nigeria), Tema (Ghana), Dakar (Senegal), Casablanca (Marocco) e Algeri (Algeria);

tale viaggio è chiamato “Sistema Paese in Movimento” e prevede l’utilizzo della Portaerei Cavour come spazio espositivo itinerante per la mostra dei propri prodotti da parte di alcune aziende italiane tra le quali: la ditta Beretta, Gruppo Ferretti, Blackshape, Ferrero, Federlegno Arredo, Elettronica, Intermarine, Mermec Group, Pirelli e Finmeccanica;

è prevista una preponderante presenza di imprese industriali del settore militare e di produzione di sistemi d’arma con relativo marketing dei propri prodotti, considerato che aziende del gruppo Finmeccanica presenteranno a bordo della Cavour e sul ponte di volo la loro produzione più aggiornata: AgustaWestland (elicotteri NH90 e AW101), OTO Melara (sistema d’arma 127/64 LW Vulcano e relativa famiglia di calibri, STRALES evoluzione dei cannoni navali da 76 mm, munizione guidata DART), Selex ES (fornitore e integratore di sistemi radar e di combattimento tra cui i sistemi imbarcati sulle fregate FREMM, una delle quali partecipa alla campagna), WASS (siluro pesante Black Shark, siluro leggero A244/S Mod. 3, contromisure e sonar), Telespazio (comunicazioni integrate e geoinformazione), MBDA (missili Aspide 2000, Aster 15 e 30, Marte MK2/S e Teseo/Otomat);

saranno presentati in tale occasione anche i sistemi d’arma missilistici che compongono il weapon package dell’Eurofighter, come il Marte ER (Extended Range), lo Storm Shadow, il Meteor e il Brimston DM (Dual Mode);

alcuni dei Paesi toccati dalla crociera del Gruppo Navale Cavour sono Stati senza una democrazia parlamentare o caratterizzati da regimi autoritari, ed in alcuni di questi sono in corso conflitti armati;

la crociera prevede un costo complessivo di 20 milioni di euro di cui, pare, 13 coperti dagli sponsor commerciali e 7 a carico dello Stato;

tra i compiti dei membri delle Forze Armate Italiane non risulta quello di facenti funzioni di agenti di commercio;

PER SAPERE:

se il Governo ritenga idoneo l’utilizzo di un gruppo navale della nostra flotta militare per scopi di natura commerciale, relativamente a prodotti di natura bellica;

se il Governo, in una fase come questa caratterizzata da considerevoli tagli alla spesa pubblica, ritenga corretta la scelta di utilizzare ingenti risorse del bilancio dello Stato per un’iniziativa con tali caratteristiche;

se si consideri legittima e opportuna la scelta di andare a vendere armamenti a Paesi governati da regimi non democratici e/o con conflitti interni in corso, utilizzando peraltro strutture dello Stato Italiano;

se il Governo sia stato preventivamente messo a conoscenza di tale iniziativa e se abbia dato il suo assenso;

se i Ministri, per quanto di competenza, non ritengano di dover intervenire immediatamente per la cancellazione di questa crociera.

 

On. Franco Bordo On. Arturo Scotto On Donatella Duranti On Michele Piras On Giulio Marcon

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