questa chiesa politicante che continua a manovrare dietro le quinte!

rosellina

 

ma non aveva già messo in chiaro, papa Francesco, che la politica è compito dei laici e dei politici? perché questi monsignori e cardinali intrallazzoni, approfittando del vuoto della Segreteria di stato, si impicciano di giochi politici?

 

Quei vertici in Vaticano con i ministri alfaniani per preparare la scissione

di Claudio Tito
in “la Repubblica” del 18 novembre 2013

L’appuntamento era fissato sempre nello stesso luogo. Un appartamento nei pressi di Piazza Pio XII, Vaticano. Gli incontri ripetuti nel tempo. E da settembre con cadenza molto più serrata. Un gruppo centrale di ministri e rappresentanti del centrodestra e del centro non cambiava mai. A loro si aggiungevano alternativamente altri esponenti del mondo politico, ma mai di sinistra. Nessuno del Pd. Ed è proprio lì che è maturata la scelta di arrivare alla frattura dentro il Pdl: gli alfaniani da una parte e i berlusconiani dall’altra. «I cattolici da una parte, i laici dall’altra», ripetevano. A organizzare le riunioni era Monsignor Fisichella, ex cappellano di Montecitorio ed ora titolare del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. Gli ospiti erano stabilmente tre membri del governo Letta: i due pidiellini Maurizio Lupi e Gaetano Quagliariello; e l’ex montiano Mario Mauro. In almeno una occasione si è unito anche il vicepresidente del consiglio Angelino Alfano. L’obiettivo: provare a ricostruire l’unità politica dei cattolici. O meglio, era lo slogan utilizzato, «restituire una nuova unità politica dei credenti». Porre fine insomma alla fase degli ultimi venti anni in cui i cattolici impegnati nelle istituzioni potessero essere disseminati nei vari partiti — dalla sinistra alla destra — per unirsi sui singoli temi. Riunire quindi gli esponenti “credenti” del centrodestra deberlusconizzato e il gruppo “centrista” di Scelta civica, quello che fa riferimento a Mauro, appunto, e anche all’Udc di Casini. E magari attrarre i cristiani che si trovano in questa fase anche nel Partito Democratico e che non gradiscono l’ascesa di Matteo Renzi e l’iscrizione al Pse. Insomma il sogno spesso invocato di una rinascita in piccolo — e ancora embrionale — di quella che fu la Democrazia Cristiana. Dietro gli incontri a Piazza Pio XII, però, non c’era solo Monsignor Fisichella. Come spesso è accaduto in questi anni, un ruolo determinante l’ha avuto Camillo Ruini. L’ex presidente della Cei ha da tempo preso atto della fine politica di Silvio Berlusconi ed è convinto che si possa costruire un nuovo soggetto politico che interpreti in forme nuove il cattolicesimo in politica. Il messaggio lanciato ai quattro ministri era infatti sempre il medesimo: «Dare vita ad un contenitore svincolato dai due poli principali, e sicuramente non alleato con il centrosinistra». In attesa che l’eredità elettorale del Cavaliere, quel blocco sociale e di voti custodito a Palazzo Grazioli, cada come un frutto maturo all’interno del nuovo soggetto politico. «Perché ricordatevi che se anche il Cavaliere è finito — avvertiva l’ex Vicario di Roma e ora Presidente del comitato scientifico della Fondazione Joseph Ratzinger — i voti ce l’ha». Eppure con il ministro degli Interni ed ex delfino di Berlusconi è stato più che incoraggiante. Attraverso Fisichella gli ha fatto pervenire un messaggio esplicito: «Le sue intenzioni sono positive, vada avanti». L’operazione guidata dunque da Ruini e dall’ex cappellano della Camera ha però provocato più di un dissidio all’interno delle sale ovattate di San Pietro. Soprattutto non ha ricevuto l’avallo della Segreteria di Stato. Anzi, molti sospettano che la Conferenza episcopale, guidata da un altro ruiniano come Bagnasco, si sia mossa approfittando dell’assenza del successore di Bertone al vertice della Curia. Pietro Parolin, infatti, sebbene nominato da tempo, si insedierà a Roma concretamente solo oggi. E pur stando a Padova non avrebbe gradito l’interferenza di una parte della Cei nei fatti della politica italiana. Anche perché Papa Bergoglio, fin dall’inizio del suo pontificato, ha sempre spiegato di volersi attenere ad una linea di “non intervento” nelle questioni dei partiti lasciando spazio al protagonismo dei laici. Non è un caso che solo una parte dei vescovi italiani abbia assecondato i progetti “ruiniani”. Le più attive in questo senso sono state le diocesi del “Triangolo del nord”: Milano-Genova-Venezia. Tutte e tre guidate da esponenti vicini a Don Camillo: Bagnasco, appunto, a Genova, Scola a Milano e Moraglia a Venezia. E tra le associazioni cattoliche di base è stata soprattutto Comunione e
Liberazione, di cui sono esponenti di spicco proprio i ministri Lupi e Mauro (e alcuni scissionisti come Formigoni), e Rinnovamento nello Spirito Santo a promuovere l’operazione a favore del Nuovo Centrodestra. Il resto della galassia cattolica è rimasta in attesa, forse anche consapevole che alcuni equilibri all’interno della Conferenza episcopale appaiono “congelati” ma non “confermati”. Basti pensare alla semplice “proroga” concessa a Monsignor Crociata, segretario generale della Cei. O anche all’arcivescovo di Firenze Betori che potrebbe essere presto trasferito e che non ha mai nascosto una certa avversione nei confronti del sindaco fiorentino, Matteo Renzi, cattolico ma probabile leader del centrosinistra. «E’ chiaro — spiegava qualche mese fa proprio il candidato alla segretaria del Pd — che non sto simpatico all’Arcivescovo». Ed è chiaro che il disegno ruiniano punta a strappare anche una parte consistente dei cattolici del Partito democratico, i suoi dirigenti e anche i suoi elettori, minando le basi originarie del progetto che ha unificato gli ex Ds e gli ex Ppi. Nella consapevolezza che in questa fase la tolda di comando del fronte progressista è proprio occupata da ex popolari come Letta e Renzi, non interessati ad un’operazione neocentrista, e quindi simbolicamente in grado di sgonfiare gli scenari a favore della Nuova unità dei cattolici. E del resto non è un caso che tra i pilastri della separazione da Berlusconi ci siano quegli esponenti del Pdl che nel 2009 si sono battuti in sintonia con le richieste del mondo ecclesiastico sul caso Englaro. Allora in prima fila spiccavano proprio uomini come Lupi, Quagliariello, Sacconi. Alcuni di loro cattolici dell’ultima ora che hanno abbracciato con vigore la ragioni della Chiesa. «In quei giorni — raccontava qualche mese fa Beppe Pisanu — Sacconi mi diceva “noi cattolici non possiamo cedere sul caso di questa ragazza”. E io gli rispondevo: voi ex socialisti atei in effetti sì che siete cattolici, mica un democristiano come me…».

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google, finalmente!

 

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Google sembra deciso a lottare contro la pedopornografia

E’’ stato l’amministratore delegato di Google, Eric Schmidt, a spiegare che il gruppo è al lavoro sullo sviluppo di una nuova tecnologia che consentirà di bloccare oltre 100mila richerche connesse al tema della pedopornografia. Per far questo, il colosso informatico ha mobilitato oltre 200 dipendenti sullo sviluppo della nuova tecnologia. Le limitazioni verranno applicate inizialmente ai Paesi di lingua inglese, ma saranno estese al resto del mondo (altre 158 lingue) in sei mesi. Spiega l’amministratore: “Abbiamo impostato con precisione Google Search per individuare nei nostri risultati i link legati all’abuso sessuale sui bambini. Anche se nessun algoritmo è perfetto e Google non può impedire che i pedofili aggiungano nuove immagini sul web, le novità introdotte hanno consentito di ripulire i risultati di più di 100.000 applicazioni potenzialmente correlati di abusi sessuali sui minori”.

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papa Francesco telefona al giornalista cui non piace questo papa

Francesco ha telefonato a Mario Palmaro

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M. Palmaro è uno dei due giornalisti che su ‘il Foglio’ di G. Ferrara non molto tempo fa hanno pubblicato un articolo in cui esprimevano forti critiche nei confronti del nuovo indirizzo innovativo di papa Francesco:

 

Roberto Beretta
in “VinoNuovo” (www.vinonuovo.it) del 16 novembre 2013

Sono sicuro che nessuno dei due interessati vorrebbe che si sapesse, e per nobili ragioni che rispetto. Epperò io faccio il giornalista… e le notizie – se le ho – le devo pur dare. Soprattutto quando sono notizie che fanno onore ad ambedue i protagonisti. Papa Bergoglio ha telefonato a Mario Palmaro. Si sa che papa Francesco ama fare di queste sorprese telefoniche. Ma stavolta l’evento ha un sapore un po’ diverso, perché Palmaro (insieme al co-autore Alessandro Gnocchi con cui fa coppia fissa) è anche il firmatario dell’articolo «Questo Papa non ci piace» che a partire dalla prima pagina del «Foglio» di qualche settimana fa ha suscitato una ridda di reazioni un po’ dappertutto – Vino Nuovo compreso. Dunque il Papa che telefona a uno dei suoi critici è di per sé una bella cosa, molto evangelica; e alcuni testimoni assicurano che Palmaro – il quale è persona molto retta e devota, al di là dei toni che talvolta usa (come chi scrive, del resto…) – ha accusato il touché. Sono poi certo che né all’un capo del filo né all’altro in quel momento si è pensato di fare o di subire una sorta di atto «mediatico», ed immediatamente è stata scacciata la tentazione di pensare che si trattasse di un tentativo strumentale per rintuzzare la critica subìta ovvero ribaltare l’attacco, e i due interlocutori hanno potuto invece assaporare il gesto per quel che era: un atto paterno e fraterno di affetto, vicinanza, sollecitudine cristiana. Perché Palmaro purtroppo è anche malato: lo si può dire, in quanto egli stesso lo ha rivelato in una recente e lucida intervista rilasciata al periodico dehoniano «Settimana»; malato seriamente. Giovane, con 4 figli piccoli, da sempre difensore della vita in tutte le sue forme, tanto da dedicare proprio alla bioetica gran parte della sua attività di studioso e scrittore: si può dunque ben immaginare quali rovelli passino per la sua mente, al di là della serenità e della fede che – mi dicono – grazie a Dio continuano a presiedere alla sua esistenza. La telefonata del Papa non era dunque l’occasione per tentare un dibattito pur sempre intellettuale tra le ragioni dell’uno e dell’altro. Non era nemmeno soltanto la dimostrazione pratica dell’evangelico «se amate solo quelli che vi amano, che merito ne avrete?» – che pure sarebbe già un bell’esempio. Era anche l’attenzione a una persona in quanto tale, nella sua difficoltà e oltre ogni differenza d’opinione. La distanza è rimasta, perché c’è rispetto delle posizioni altrui; ma ci si è parlati, ci si è scambiata una reciproca stima; siamo sinceri: quante volte vorremmo che la Chiesa fosse così? E il paradosso – molto cattolico – è che Mario Palmaro ha avuto la consolazione di provarne la rara carezza proprio grazie a quell’invettiva. Siamo davvero contenti che sia toccata a lui.

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i vescovi americani non sembrano in sintonia con papa Francesco

papa

 

Intervista allo storico Faggioli: il 20% dei vescovi Usa volta le spalle a Papa Francesco

EPISCOPATO USA, LO STORICO FAGGIOLI: <DUE VESCOVI SU DIECI SONO CONTRO IL PAPA>

Articolo pubblicato sul Resto del Carlino, edizione di Ferrara, il 16 novembre 2013

A Ferrara ha lasciato i genitori, lui è salito in cattedra Oltreoceano. Non in senso figurato, ma con tanto di lezioni e studenti pronti ad ascoltarlo. Indirizzo, l’Università di St.Thomas, a St Paul (Minnesota), dove Massimo Faggioli insegna Storia del cristianesimo. Classe 1970, autore di diverse pubblicazioni (fra queste Nello spirito del concilio. Movimenti ecclesiali e recezione del Vaticano II) il professore si è formato al prestigioso Istituto per le scienze religiose di Bologna, per decenni diretto dallo storico Giuseppe Alberigo, padre della monumentale e discussa Storia del Concilio Vaticano II. Negli Usa Faggioli ha messo su famiglia, una moglie e una figlia, e soprattutto si sta facendo apprezzare come osservatore di una delle Chiese in cui la polarizzazione tra conservatori e liberal è tra le più marcate del pianeta. Di questo dovrà tenere conto anche il presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, monsignor Joseph Edward Kurtz (Louisville), fresco di nomina al posto del gagliardo cardinale Timothy Dolan di New York.

I vescovi a stelle e strisce tornano al passato e, dopo lo strappo del 2010, come tradizione, hanno eletto al vertice il vice in carica: professor Faggioli, era una scelta prevedibile?

<Alcuni l’avevano prevista ed era una delle opzioni probabili. La scelta di Kurtz al primo turno e con larga maggioranza testimonia che l’elezione di Dolan, che scavalcò l’allora numero due, il progressista Gerald Kicanas, fu un’operazione della fazione più conservatrice>.

Con quale obiettivo?

<Quello di tentare di uniformare l’episcopato Usa alla linea ratzingeriana. Ora la Conferenza episcopale degli Stati uniti sembra tornare a una normalità istituzionale violata tre anni fa>.

Che tipo è monsignor Kurtz?

<Un moderato, lontano dagli ideologi che hanno dominato la scena nell’ultimo decennio, tra il cardinale Francis George e Dolan. Dalle credenziali pro-life inattaccabili, è un vescovo che sta meno sotto i riflettori rispetto al cardinale di New York. Dolan ha lasciato molti cattolici, anche tra i vescovi, delusi dal suo triennio di presidenza>.

L’elezione dell’arcivescovo di Louisville è una vittoria della linea moderata di papa Bergoglio su Dolan che ha schierato l’episcopato in trincea contro l’Obamacare in nome della lotta all’aborto, senza dimenticare qualche frecciatina allo stesso Francesco?

<È una vittoria della linea ‘moderata’: quello che è chiaro, però, è che c’è un 20% dei vescovi che non è contento del papa. Sono gli 87 prelati che hanno votato come vicepresidente per Charles Chaput, l’arcivescovo di Philadelphia, una personalità ideologica e divisiva>.

Proprio il pellerossa in questi mesi ha alzato il tiro, criticando apertamente Bergoglio. Per il momento, comunque, come numero due è stato scelto l’arcivescovo di Galveston-Houston, Daniel DiNardo, un italo-americano.

<Sì, un cardinale. Questo è forse il sintomo della voglia della Chiesa americana di alzare il profilo della sua dirigenza internamente e nei confronti di Roma>.

 

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papa Francesco: il nuovo eroe dei progressisti e degli atei?

 

 

papa Franc

papa Francesco sembra ilnuovo eroe delle sinistra, e anche degli atei, in America come anche da noi:”E’ il nome più cliccato su internet nel 2013, prima di “Obamacare” e “NSA”. E l’account Twitter di Francesco, @Pontifex, è al quarto posto. In Italia, Francesco è perfino diventato il nome quasi più diffuso per i neonati. Roma registra un’impennata nel numero dei turisti ed è aumentata anche la frequentazione delle chiese – entrambi i fenomeni sono attribuiti all’ “effetto Francesco” “

così un bell’articolo di J. Freedland e così anche una entusiasta ‘confessione’-esternazione di R. Armeni: “Dovete capirci, noi di sinistra, se ci piace Papa Francesco. Non fate del sarcasmo, non diteci con ironica condiscendenza: «E che? Ora sei diventato cattolico» quando diamo segnali di soddisfazione per le parole del Pontefice. Dovete capirci, davvero”

qui di seguito i due contributi significativi di una radicale novità culturale :

Perché perfino gli atei starebbero già pregando per papa Francesco

di Jonathan Freedland
in “www.theguardian.com” del 15 novembre 2013

Alla parete, quel poster di Obama che promette pace e cambiamento appare oggi alquanto sbiadito. Le delusioni, sia per la guerra con i droni sia per il lancio pasticciato della legge sull’assistenza sanitaria, hanno fatto sì che i liberal e i progressisti nel mondo siano alla ricerca di una nuova “immagine da copertina” che possa prendere il posto del presidente USA. Se è così, il candidato non può che essere lui: il capo di un organismo che quegli stessi liberal e progressisti hanno a lungo considerato sessista, omofobico e, a causa di una serie di scandali di abusi su minori, spaventosamente crudele. L’ovvio, prevedibile nuovo eroe della sinistra è il papa. In carica solo da marzo, papa Francesco è già diventato un fenomeno. È il nome più cliccato su internet nel 2013, prima di “Obamacare” e “NSA”. E l’account Twitter di Francesco, @Pontifex, è al quarto posto. In Italia, Francesco è perfino diventato il nome quasi più diffuso per i neonati. Roma registra un’impennata nel numero dei turisti ed è aumentata anche la frequentazione delle chiese – entrambi i fenomeni sono attribuiti all’ “effetto Francesco”. La sua popolarità non è difficile da capire. I racconti della sua personale modestia sono quasi diventati leggenda. Porta personalmente la sua borsa. Rifiuta la magnificenza del palazzo papale, preferendo vivere in un semplice ostello. Quando gli hanno presentato le tradizionali scarpe rosse da pontefice, le ha rifiutate e ha invece telefonato al suo ottantunenne ciabattino di Buenos Aires chiedendogli di riparare le sue vecchie scarpe. Giovedì Francesco ha fatto visita al Presidente della Repubblica italiana – arrivando su una Ford Focus blu – senza alcuno strombazzare di sirene. Alcuni sottovaluteranno questi atti considerandoli meri gesti esteriori, se non addirittura espedienti pubblicitari. Ma sono atti che comunicano un messaggio potente, un messaggio di un egualitarismo quasi elementare. Il suo impegno consiste nel togliere i segni esteriori, l’edificio della ricchezza vaticana cresciuto nei secoli, e nel riportare la chiesa al suo obiettivo centrale, una chiesa che Gesù stesso potrebbe riconoscere. Dice di voler presiedere “una chiesa povera, per i poveri”. Non è l’istituzione che conta, ma la sua missione. Tutto questo potrebbe scaldare i cuori perfino degli atei più fervidi, a parte il fatto che Francesco è andato molto più in là. Sembra voler fare qualcosa di più che soltanto esprimere sollecitudine e tenerezza per i deboli. Sta sfidando il sistema che li ha resi deboli e li mantiene tali. “I miei pensieri vanno a coloro che sono senza lavoro, spesso a causa di una mentalità autoreferenziale rivolta al profitto ad ogni costo” ha twittato in maggio. Il giorno prima denunciava come “lavoro da schiavi” le condizioni a cui erano sottoposti i lavoratori del Bangladesh uccisi nel crollo di un edificio. In settembre ha detto che Dio vuole che siano gli uomini e le donne al cuore del mondo, mentre invece viviamo in un ordine economico globale che adora “un idolo chiamato denaro”. È innegabile la radicalità del suo messaggio, un attacco frontale e intenso a quello che chiama “capitalismo sfrenato”, con la sua cultura dello scarto riferita al cibo sprecato o alle persone anziane trascurate. I suoi nemici non hanno certo mancato di notarlo. Se una persona dev’essere giudicata dai suoi avversari, notate che questa settimana Sarah Palin lo ha denunciato come una “sorta di liberal”, mentre l’Institute of Economic Affairs favorevole al libero mercato si è lamentato che a questo papa manchi l’approccio “raffinato” del suo predecessore in tali materie. Nel frattempo, un pubblico ministero italiano ha avvertito che la campagna di Francesco contro la corruzione potrebbe metterlo nel mirino della seconda più potente istituzione del paese, cioè la mafia. Come se questo non bastasse perché il volto del settantaseienne Francesco comparisse sulle pareti delle stanze degli studenti in tutto il mondo, il papa sembra destinato a guidare una campagna della chiesa a favore dell’ambiente. Questa settimana è stato fotografato con degli attivisti anti-fracking, mentre il suo biografo, Paul Vallely, ha rivelato che il papa ha preso contatto con Leonardo Boff, un eco-teologo precedentemente ricusato da Roma e condannato ad un “silenzio rispettoso” dalla
Congregazione un tempo conosciuta come “Inquisizione”. Sembra che sia in arrivo un’enciclica sulla salvaguardia del pianeta. Molti a sinistra diranno che tutto ciò è molto gradito, ma inutile, finché il papa non mette ordine in casa propria. Ma anche qui vi sono segnali incoraggianti. Anzi, per essere più precisi, stupefacenti. Recentemente Francesco ha detto ad un intervistatore che la Chiesa era in un certo senso “ossessionata” da problemi come aborto, matrimonio gay e contraccezione. Non voleva che la gerarchia cattolica continuasse a preoccuparsi di “piccoli precetti”. Parlando ai giornalisti durante un volo – una circostanza già di per sé degna di nota – disse: “Se una persona è gay e cerca Dio e ha buona volontà, chi sono io per giudicare?”. La sua mossa più recente è l’invio di un questionario ai cattolici di tutto il mondo per conoscere il loro atteggiamento su quei controversi problemi nella vita moderna. Dovrebbe rivelare un gregge le cui pratiche sono, potremmo dire, in contrasto con l’insegnamento cattolico. In politica si direbbe che Francesco sta preparando il terreno per una riforma. Lo testimonia la sua reazione ad una lettera – inviata a “Sua Santità Francesco, Città del Vaticano” – da una donna single, messa incinta da un uomo sposato che da allora l’ha abbandonata. Con suo grande stupore, il papa le ha telefonato e le ha detto che se, come lei temeva, dei preti si fossero rifiutati di battezzare suo figlio, avrebbe presieduto lui la cerimonia. (Telefonare alle persone che gli scrivono è un’abitudine di Francesco). Confrontate questo con l’atteggiamento cattolico di un tempo nei confronti di queste “peccatrici”, così potentemente drammatizzato nell’attuale film Philomena. Francesco sostituisce la brutalità con l’empatia. Evidentemente, non è perfetto. La sua testimonianza in Argentina durante l’era della dittatura e della “sporca guerra” non è del tutto chiara. “I suoi inizi furono quelli di un personaggio severamente autoritario, reazionario”, dice Vallely. Ma, all’età di cinquant’anni, Francesco attraversò una crisi spirituale dalla quale, afferma il suo biografo, emerse completamente trasformato. Abbandonò i segni esteriori della sua alta funzione ecclesiale, andò nelle favelas e si sporcò le mani. Ora all’interno del Vaticano affronta una sfida diversa – per fronteggiare i conservatori della curia e fissare le sue riforme, in modo che non vengano annullate quando lui non ci sarà più. Data la scaltrezza di quei cortigiani, si tratta di un compito non da poco: avrà bisogno di tutto il sostegno che può ottenere. Qualcuno dirà che le persone di sinistra e i liberal di tutto il mondo non dovrebbero desiderare una “immagine di copertina”, che il desiderio è infantile e rischia di portare ad una delusione. Ma si tratta di un bisogno molto umano e non limitato alla sinistra: pensate ai poster di Reagan e Thatcher che metaforicamente ancora ornano le pareti dei conservatori dopo ben trent’anni. È vero che il papa non ha esercito, né battaglioni, né divisioni, ma ha un pulpito – e proprio ora lo sta usando per essere la voce più forte e più chiara del mondo contro lo status quo. Non è necessario essere credenti per credere a questo.

nidiata

 

Sì questo papa ci piace

di Ritanna Armeni

in “Rocca” del 1 novembre 2013

 

Dovete capirci, noi di sinistra, se ci piace Papa Francesco. Non fate del sarcasmo, non diteci con ironica condiscendenza: «E che? Ora sei diventato cattolico» quando diamo segnali di soddisfazione per le parole del Pontefice. Dovete capirci, davvero. Ricordate quando Francesco è stato eletto? Era il 13 marzo di quest’anno, in Italia c’erano appena state le elezioni politiche e, mentre la sinistra dava una delle peggiori prove di incertezza e inettitudine, la chiesa, che aveva avuto lo choc delle dimissioni di Benedetto XVI, in quattro e quattr’otto ha eletto un Papa che veniva dalla «fine del mondo». Sapete, malgrado tanti anni in cui anche noi siamo stati invischiati nel pantano delle decisioni lente e burocratiche della gestione del governo e dello stato, un po’ di sano gusto per l’efficienza ci è rimasto. E quella elezione rapida da parte di una istituzione che era in crisi ci è piaciuta. Sapete anche che abbiamo un passato terzomondista e quel capo della chiesa che veniva dalla «fine del mondo» rinverdiva molti vecchi sogni, ci faceva sperare in una nuova linfa vitale per la vecchia Europa cristiana. Ma queste sono state le prime reazioni, positive, ma limitate e, se volete, superficiali. Poi c’è stato il seguito. Da tanto tempo noi di sinistra, non abbiamo un padre o una madre. Qualcuno che ci dica con chiarezza e, magari anche con qualche eccesso di semplificazione: questo è bene, questo è male, questo si fa, questo non si fa. Presto probabilmente capo della sinistra diventerà Matteo Renzi che – ammetterete – della figura paterna ha ben poco. Al massimo somiglia a quegli amici dei nostri fratelli minori, furbi e bricconcelli ai quali a nessuno di noi sarebbe venuto in testa di chiedere consiglio sulle grandi domande della vita. Di una certa autorevolezza sentiamo disperatamente bisogno. Di qualcuno che dica, per esempio, «vergogna» di fronte alle morti nel Mediterraneo. Per anni in molti – e non solo di sinistra – ricevevamo un pugno allo stomaco alla notizia di quei barconi affondati, di quelle morti innocenti, ma si doveva stare attenti a non dimostrarlo troppo altrimenti nel migliore dei casi si era accusati di «buonismo» (ritenuto evidentemente di caratura morale inferiore al «cattivismo») e quindi di ignoranza delle cose del mondo, di incompetenza sui flussi, sulle leggi, sulle statistiche sulle compatibilità, sui pericoli per l’identità del paese ecc. ecc. Ci dovete capire. Quando il Papa, dopo aver abbracciato un disoccupato e un cassintegrato, dice «Signore Gesù dacci lavoro e insegnaci a lottare per il lavoro» abbiamo un sussulto, quasi un momento di commozione. Davvero. La parola «lotta» l’avevamo dimenticata, avevamo dimenticato che potesse avere un suono elevato, nobile. In tanti l’hanno calpestata in questi anni, disprezzandola come primitiva o usandola male, strumentalizzandola ai loro fini. Francesco invoca Gesù perché sa che non si può avere un lavoro se qualcuno non ci insegna anche come lottare per averlo. Ogni insegnamento, ogni regola, ogni priorità sono andate evidentemente perdute. I sindacati, è chiaro, hanno bisogno anche loro di qualche ripetizione. Come tanti di noi anche il Papa pensa che si deve cominciare proprio tutto daccapo. E allora, per favore, comprendeteci. Comprendete chi per anni a sinistra, quando andava bene, ha sentito parlare di disagio sociale, di crisi che ridimensiona i redditi e di soluzioni che alla fine buttavano sempre ad aumentare quel disagio sociale e a ridimensionare i redditi di chi aveva già poco. Poi abbiamo sentito un Pontefice che vuole mettere al primo posto gli ultimi. Fino ad allora nel dibattito pubblico erano apparsi lontani, lontanissimi, invisibili. Le reazioni, infatti sono state di meraviglia e stupore. Le sue parole sono suonate scandalose. Ma quello scandalo a noi è sembrato benefico. Qualcuno finalmente squarciava un velo. E poi di questo Papa ci è piaciuto anche qualcosa di meno nobile, ma di molto utile. Una sorta di furbizia, qualcuno dice da parroco di campagna, che gli ha fatto intuire immediatamente l’odio crescente nei confronti del privilegio. Il Pontefice che porta la sua borsa da viaggio, il Papa che telefona agli amici, il successore di Pietro che paga il conto in albergo, il capo della chiesa che non abita negli appartamenti vaticani, ma nel convento di Santa Marta. Non siamo così ingenui da pensare a gesti che non siano ponderati e inviati come messaggi, ma ci siamo chiesti perché tanti politici, anche di sinistra, non hanno sentito il bisogno di mandare messaggi analoghi. Per furbizia, magari, se non per convinzione. Ma quella furbizia avrebbe indicato una sintonia e un rispetto, un senso dell’opportunità che ai nostri antichi padri e antiche madri non mancava. Ma la dottrina, direte, la dottrina? Quando questo Papa parlerà di matrimonio gay, di aborto, divorzio, allora voi di sinistra che direte? Sarete ancora così entusiasti, così «papisti»? Probabilmente no. Probabilmente avremo molto da dire, da contestare, da criticare. Per il momento abbiamo provato una certa consolazione quando il Papa ha parlato degli omosessuali come «feriti sociali» e ha detto che la chiesa è la casa di tutti, anche e soprattutto, degli irregolari. E quando abbiamo constatato che dopo anni di affermazione di valori «non negoziabili» questo Pontefice ci ha detto: «L’opinione della chiesa su questi temi è nota e non c’è bisogno di parlarne sempre». Per il momento ci basta. E anche qui dovete capire: non ne potevamo più di quella perdita di buon senso a cui sempre più spesso portano le discussioni di dottrina. Non è inevitabile che sia così, ma così finora è stato. E allora per il momento attendiamo e pensiamo che non sarebbe male cominciare a discuterne prima di litigare con la chiesa. E chissà perché ci viene da pensare che, quando ne discuteremo con chi segue «la nota dottrina», troveremo orecchie più attente, una testa più aperta, e gli steccati, anche quelli dei laici, potranno essere più fragili. Sì, questo Papa ci piace. E chi alla chiesa ha sempre creduto dovrebbe essere contento della possibilità di una nuova fratellanza che si fonda su una fiducia reciproca. Di recente il mio amico Fausto Bertinotti, anche lui «papista» convinto, mi ha passato un numero del 2007 della rivista 30 giorni diretta da Giulio Andreotti. Contiene una stupenda intervista a Papa Francesco allora cardinale di Buenos Aires. Ne consiglio la lettura. Nell’intervista, nella quale con assoluta coerenza c’è già tutto Francesco, il Papa parla fra l’altro della necessità di «uscire dal recinto dell’orto dei propri convincimenti considerati inamovibili se questi rischiano di diventare un ostacolo, se chiudono l’orizzonte che è Dio». «Questo vale anche per i laici?», chiede l’intervistatrice Stefania Falasca. E il cardinale Bergoglio risponde: «La loro clericalizzazione è un problema. I preti clericalizzano i laici e i laici ci pregano di essere clericalizzati… È proprio una complicità peccatrice». E prosegue: «E pensare che potrebbe bastare il solo battesimo. Penso a quelle comunità cristiane in Giappone che erano rimaste senza preti per più di duecento anni. Quando tornarono i missionari li trovarono tutti battezzati, tutti validamente sposati per la chiesa, i loro defunti avevano avuto un funerale cattolico. La fede era rimasta intatta per i doni di grazia che avevano allietato la vita di questi laici che avevano ricevuto solo il battesimo e avevano vissuto la loro missione apostolica in virtù del loro battesimo. Non si deve aver paura di dipendere solo dalla Sua tenerezza». Adesso è chiaro perché ci dovete capire? Perché molti di noi di sinistra sono quelli che Karl Rahner definiva «cristiani anonimi», siamo fuori dal perimetro della chiesa, però ne possiamo condividere idee e convinzioni. E questo – rassicuratevi – sempre per dirla con Rahner «non rende superfluo il cristianesimo esplicito, anzi lo reclama per la sua stessa essenza e per la sua specifica dinamica». Allora tranquilli. Niente di male se il Papa piace a sinistra. Se piace ai laici, ai non credenti, agli atei e ai miscredenti. Abbiate un po’ di comprensione. Anche noi abbiamo bisogno di un padre che abbia fiducia in noi. Che poi sia santo, questo lo ammetto, è fatto che vi riguarda quasi esclusivamente.

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