recupero della ‘teologia della liberazione’?

Gutierrez

La teologia liberata e liberante

È in atto il superamento dell’incomunicabilità della teologia della liberazione (TdL) col magistero
Conquiste, correzioni e discussioni per un pensiero utile alla Chiesa
Il senso degli interventi vaticani e il cammino dei teologi
Il silenzioso lavoro di quattro decenni

fuori dai riflettori dei media la ‘teologia della liberazione’ ha forse dato i suoi frutti migliori nel ripensamento costante e umile, e ora li offre alla chiesa perché mai dimentichi i poveri, preferiti di Dio e immagine vivente del Cristo crocifisso e risorto

 

La pubblicazione del libro scritto a quattro mani dal card. G. Müller e dal teologo G. Gutiérrez, indicato come padre della TdL (Teologia della Liberazione), Dalla parte dei poveri, pare aver messo fine, se non al dibattito e alla discussione, quantomeno all’incomunicabilità tra il magistero e la stessa TdL, aprendo il tempo del dialogo costruttivo.

All’esito ha contribuito la fine del socialismo reale con l’attrattiva del marxismo e lo scorrere del tempo che ha portato diversi teologi a ripensare, alla luce delle critiche ricevute, quanto debba restare e quanto invece debba essere superato all’interno della teologia liberazionistica. Ma non senza peso è stato anche il pontificato di papa Francesco. In quanto pensiero umano su Dio, la TdL può anche scomparire dopo aver segnalato la necessità di mantenere vivo l’aspetto fondante, ovvero il rapporto Vangelo/poveri ai quali è preferenzialmente destinata la buona notizia. A partire da loro, il Vangelo diventa richiamo esigente ad una conversione delle strutture economiche e politiche, generatrici di ingiustizia e di sfruttamento.

Per una valutazione interna della TdL e dei cinquant’anni dal concilio in America Latina (cf. Sett. 39/2012, pp. 8-9).

Per molti essa è la trasposizione contestuale e continentale delle istanze del concilio Vaticano II, ove si afferma che le gioie e i dolori dell’umanità appartengono indissolubilmente al corpo ecclesiale e in modo specifico le sofferenze degli impoveriti devono trovare eco e difesa nella comunità dei discepoli di Gesù. Tale ansia evangelizzatrice e liberatrice, si sedimenta nelle riunioni continentali dei vescovi latinoamericani che si traduce nel metodo vedere-giudicare -agire e nella scelta preferenziale per i poveri e i giovani sempre riaffermate nelle assemblee di Medellín (1968), Puebla (1979), Santo Domingo (1992) e Aparecida (2007). La necessità di riflettere a partire dalla fede per servire i poveri e difenderne la dignità umana, viene a calarsi negli anni ’60-’70 in una realtà continentale segnata dai venti della guerra fredda: gli stati latinoamericani vivono sotto dittature militari violente e repressive, alleate ai potentati economici, in conflitto anche violento con i movimenti di guerriglia di ispirazione marxista. Le tre correnti maggiori Alcuni rappresentanti del movimento teologico della TdL non vedono altra possibilità di agire a favore degli sfruttati se non alleandosi con i rivoluzionari, non trovando altre possibilità di lettura della realtà in grado di giustificare l’impegno politico liberazionista. Si viene a creare in questa corrente, minoritaria ma amplificata volutamente nelle sue prospettive, una sorta di contaminazione tra marxismo, fede, Bibbia e agire concreto. Si fi- nisce col leggere la Bibbia con categorie esclusivamente sociologiche e si fa della lotta di classe, anche violenta, l’unica strada per servire i poveri. A questa corrente si rivolgerà direttamente l’istruzione vaticana del 1984 Libertatis nuntius, che segnalerà il pericolo di rileggere i dati della rivelazione alla luce della prospettiva marxista, creando un corto circuito inaccettabile. L’istruzione vaticana successiva del 1986 – Libertatis conscientia – offrirà ai credenti le coordinate per essere nel processo di liberazione veri discepoli del Cristo unico liberatore dell’umanità dal peccato e dalla morte. Ci sono state altre correnti significative. Come quella derivante dalla predicazione e dall’azione di vescovi lungimiranti, ancorata al magistero sociale della chiesa dalla prassi storica dei popoli latinoamericani, escludendo la violenza o la rivoluzione armata. Di essa hanno fatto parte i più conosciuti teologi: G. Gutiérrez, i fratelli Boff (Clodovis e Leonardo), J. Sobrino, J. Ellacuría, S. Galilea, E. Dussel. Anche questa corrente però, pur escludendo odio e violenze, ha ricevuto critiche notevoli. Il punto più discusso è l’identificazione, in alcuni, del proprio impegno con quello dell’intellettuale organico (Gramsci). I dati della fede sono tali solo come stimolo per la prassi, sottomettendo così tutto il patrimonio biblico ad una selezione fatta in funzione dell’azione efficace da realizzare nella società, spingendo i cristiani ad una militanza quasi totalizzante. L’urgenza legittima di ridare vita ai poveri portava a considerare la TdL come l’unica forma valida di tutta la teologia, escludendo qualsiasi altra prospettiva accusata di ideologizzare, nell’ottica dello status quo, la fede e di servire il potere oppressore. Il martirio È esistita anche una corrente che, senza rinnegare l’analisi sociale, ha posto l’attenzione sulle energie proprie della religiosità del popolo per ritrovare in esso le coordinate per resistere all’ingiustizia imperante e sostenere progetti di trasformazione della società senza farsi condizionare da ideologie atee. La sapienza del popolo, soggetto attivo della sua storia, è alimento vitale per costruire una teologia autenticamente liberatrice che lo aiuti a produrre una prassi efficace ma libera da schemi socioolitici estranei al suo humus vitale. Di questa corrente i nomi più importanti sono quelli di alcuni teologi argentini come L. Gera e J.C. Scannone (che è stato professore di papa Francesco), e facenti capo alla Facoltà di teologia dei gesuiti di Buenos Aires. Le nette critiche del magistero sono state utili per un valido ripensamento della TdL, anche se va detto con amarezza che molti le hanno utilizzate non come elementi teologici, bensì politici, volendo eliminare e far tacere tutta la voce della Chiesa latinoamericana che invece si spendeva coraggiosamente a favore del popolo povero, indipendentemente dall’adesione formale a una teologia, seppur importante, come è stato il caso ad esempio, di mons. Oscar Romero ucciso in San Salvador nel 1980. Diversi teologi si sono fatti carico di rivisitare le questioni metodologiche della TdL in modo che fosse davvero più aderente alla natura stessa della teologia in quanto intelligenza della fede che divenisse anche intelligenza dell’amore, in grado di guidare la testimonianza cristiana a favore della giustizia e fraternità, a partire dalla qualità rinnovatrice insita alla fede stessa. Anzitutto G. Gutiérrez, negli anni successivi alle prese di posizione del magistero e rispondendo anche alle osservazioni a lui fatte nel 1985 dalla Conferenza episcopale del Perù, ha avuto modo di focalizzare alcuni punti importanti. Egli afferma che il sorgere della teologia è radicato non solo nell’efficacia della prassi, bensì in un’esperienza mistica, ovvero nell’incontro col Dio della vita, presente nel mondo dei poveri. La struttura che realmente cementa e sostiene la prassi trasformatrice è la spiritualità, la rea- le esperienza globale di vita come assenso e totale donazione al Signore percepito come il vivente nel cuore della storia. L’esperienza di questa spiritualità si nutre di gratuità poiché ci si sente sostenuti dalla grazia di Cristo nella gioia interiore alimentata dal Risorto. Si manifesta concretamente come infanzia spirituale, ovvero come disponibilità ad abbandonarsi totalmente nelle mani di Dio condividendo i patimenti dei poveri al cui fianco aprire squarci di speranza nella lotta spasmodica tra le forze di morte e quelle della vita. Spiritualità e prassi Il primo momento della teologia è quindi per Gutiérrez la fede che si esprime in preghiera e im- pegno. La scelta preferenziale per i poveri è conseguentemente teocentrica poiché in essi agisce il Dio vivente e la prassi del credente a loro favore è cristocentrica, poiché trova in Gesù la sua origine e regola definitiva. Si comprende il cammino compiuto dal teologo peruviano: non è la prassi a determinare la fede e la Rivelazione, ma è la fede a guidare l’impegno a favore degli oppressi. In questa prospettiva si è posto anche il teologo argentino J.C. Scannone. Egli riconferma l’utilità e la necessità di una teologia contestuale che si caratterizzi come intellectus misericordiae, ovvero come riflessione sulla verità della fede che faccia scoprire come questa verità sia amore condiscendente e gratuito della Trinità per l’umanità intera a partire però dagli esclusi e dai sofferenti. L’autore che maggiormente ha insistito sulla qualità della dimensione cristocentrica della TdL è stato Clodovis Boff,in un poderoso studio di ripensamento delle sue prospettive, Teoria do método teológico, (Petropolis 1998). La teologia, anche quella a favore dei poveri, ha come fondamento la fede in Dio e non la realtà concreta da trasformare. L’ortoprassi suppone l’ortodossia. Il giudizio sulla verità della prassi deriva dalla parola di Dio. La definizione classica dela TdL come riflessione critica sulla prassi storica alla luce della parola di Dio – sottolinea C. Boff – non considera la prassi come istanza determinante ma viene sottomessa al giudizio della fede che resta criterio definitivo di orientamento. All’accusa che la TdL sottometta la fede alla prassi, C. Boff ora risponde che è la prassi giustamente a essere sottomessa alla fede, luce unica che illumina la vita personale e la storia intera. Collocare la prassi all’inizio di ogni ri- flessione teologica è, per C. Boff, un cedimento alla modernità e una fissazione culturale nell’idea del sapere-potere che si esprime nell’attivismo tecnico-storico. La prassi che si concretizza nell’amore non deve essere cieca, ma veritiera, altrimenti vi è il rischio di amare un idolo qualsiasi e non il Dio vivo rivelato in Gesù. La ragione teologica non è immediatamente utilitaristica. La teologia serve per conoscere il Dio amore: essa conosce per amare e ama per liberare e promuovere la vita. L’azione testimoniale come tale è un fine medio, quello ultimo è godere la comunione con Dio sommo bene. La fede, quindi, resta sempre la ragione formale del fare teologia anche in contesti di sofferenza e di ingiustizia, riaffermando il primato di Dio, non però un Dio astratto ma coinvolto nella salvezza anche storica delle sue creature. I nuovi cammini Questa prospettiva riaffermata più volte da C. Boff, anche alla vigilia dell’incontro dei vescovi latinoamericani in Aparecida (Brasile), ha trovato un’opposizione critica nel fratello Leonardo Boff, secondo il quale la realtà dei poveri resta atto primo del fare teologia in quanto in essi è presente il Dio della vita. La TdL deve restare an- corata alla sua primigenia intui zione: servire alla liberazione de- gli oppressi amati e preferiti da Dio stesso nella vita storica di Gesù. Sinceramente, non si vede una contraddizione insanabile tra le prospettive dei fratelli Boff. Leonardo invita a guardare i poveri con gli occhi amorevoli di Dio e depositari della sua preferenza, Clodivis ci ricorda che in tale impegno a loro favore non possiamo però esaurire tutta l’esperienza cristiana o ridurla a prassi limitata sebbene necessaria. Il rischio di esaurire la fede in strategia è sempre presente e per questo la luce della fede deve sempre illuminare la testimonianza del credente nella mischia pericolosa della storia da cambiare nella logica del regno di Dio. Bisogna aggiungere che, anche negli anni del silenzio e delle censure, la TdL ha proseguito il suo cammino di riflessione, aprendosi a nuove prospettive e tentando di rispondere a nuove sfide. Anzitutto si è posta al servizio dell’inculturazione della fede nelle culture indigene dell’America Latina. Ha riflettuto con profondità sulla necessità di difendere l’ambiente, deturpato e stravolto dalla sete di ricchezza, considerandolo dono di Dio da difendere e da custodire. È nata una teologia ecoliberatrice di cui tutto il mondo ha bisogno se vogliamo avere un futuro come umanità. Così l’autore brasiliano Jun Mo Sung si è preso il compi- to di elaborare una critica teologica dell’economia odierna per poter abbattere alla radice la visione idolatrica del liberismo imperante ed escludente. Fuori dai riflettori dei media, la TdL ha forse dato i suoi frutti migliori nel ripensamento costante e umile e ora li offre alla Chiesa per- ché mai dimentichi i poveri preferiti di Dio e immagine vivente del Cristo crocifisso e risorto.

Antonio Agnelli

(in ‘Settimana’- attualità pastorale del 29.9.2013)

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il dialogo interreligioso

croce

 

Il dialogo interreligioso

di Andrés Torres Queiruga
in “Missione Oggi” n. 7 del agosto-settembre 2013

Dagli atti del convegno di Missione Oggi, su “Siamo gli ultimi cristiani? Alle soglie di un nuovo mondo”, riprendiamo l’intervento del teologo spagnolo Andrés Torres Queiruga sulla missione in tempo di pluralismo religioso. Il problema del dialogo tra le religioni oggi si pone in modo nuovo e richiede un cambiamento di mentalità: vedere l’altro non più come un concorrente, ma come un compagno di ricerca. Ogni religione è vera, nel senso che tutte le religioni sono parzialmente vere e quindi non nella stessa misura, tutte hanno qualcosa da insegnare e da imparare. Il dialogo religioso è un vero processo. Accanto alla Bibbia (ritenuta dai cristiani la rivelazione più completa) altre rivelazioni. Gesù unico salvatore e volontà salvifica universale: una unicità non escludente. Oltre l’esclusivismo  (nessuna salvezza fuori della chiesa), oltre l’inclusivismo (tutta la verità delle altre religioni è già inclusa nel cristianesimo). Per l’universalismo asimmetrico (‘finesettimana’-rassegna stampa)

 

Il problema del dialogo tra le religioni è antico quanto l’umanità, poiché in un modo o nell’altro le diverse tradizioni religiose sono sempre state in contatto e si sono sempre influenzate reciprocamente. La stessa Bibbia, quanto più ne conosciamo la genesi e le complesse evoluzioni nella storia, appare un modello di questo dialogo interno: religioni molto più antiche, come quelle mesopotamiche ed egizie, ne accompagnarono la formazione, influenzando profondamente tanto i libri cosiddetti storici quanto quelli profetici, dei salmi e sapienziali. Ma indubbiamente il fenomeno acquista oggi un’intensità eccezionale, non solo per l’esponenziale intensificazione dei contatti, ma anche perché la necessità di un dialogo aperto e riflessivo tra le diverse religioni si è imposto con evidenza nel pensiero religioso attuale. In realtà il problema è divenuto così urgente che comporta un radicale cambiamento nel modo di affrontarlo, un autentico mutamento di paradigma. E questo implica la necessità di una profonda trasformazione non solo nei nuovi concetti, ma anche negli atteggiamenti e nei sentimenti. Un nuovo modo di avvicinarsi all’altro, in cui è opportuno vedere non più un concorrente, ma un compagno di ricerca; perciò davanti al Mistero comune risulta privo di senso insistere sul “tuo” e sul “mio”, giacché, essendo identica la ricerca e comune il Mistero, il mio è anche tuo come il tuo è ugualmente mio e tutto è di tutti.
ogni religione è vera Troppe volte ci è stato detto che Dio ci ha creato “per la sua gloria” o affinché “lo servissimo”; un’idea che — almeno in senso letterale — risulta chiaramente contraddittoria col suo Essere. Infatti, persino sul piano filosofico — Dio come Pienezza assoluta — e naturalmente in una concezione cristiana — Dio come amore (1Gv 2,4-8) — è ovvio che, se Dio crea, può essere solo per dare, per regalare. Nella creazione, ben intesa, l’unico interesse di Dio siamo noi: tutto in noi e tutti e tutte noi. Per questo la teologia attenta a questo dato fondamentale deve ripensare molto a fondo l’idea di rivelazione. Si deve capire che dall’inizio della creazione Dio, come Padre/Madre che crea per amore, cerca di manifestarsi nel modo migliore e più pieno possibile a ogni donna e a ogni uomo, a ogni razza e a ogni cultura. La creazione è già salvezza, sforzo amoroso di Dio per manifestarsi e salvarci. I limiti — che, per disgrazia, sono così certi, duri ed evidenti — non derivano dalla sua mancanza di generosità, ma dalla nostra piccolezza: finiti, non siamo capaci di comprendere l’infinito; mondani, ci è molto difficile cogliere in qualche modo il Trascendente; finitamente liberi, resistiamo spesso ad accoglierne la manifestazione. Però qualcosa Dio riesce a ottenere nella lunga pazienza storica della sua “lotta amorosa” coi nostri limiti e le nostre resistenze. Osservando bene, questo spiega la storia delle religioni, che, in definitiva, consiste nella lenta, difficile e tortuosa percezione umana di quanto Dio cerca da sempre di rivelare. Ogni religione è un modo di configurare in credenza, rito e prassi questa percezione nel proprio tempo e nella propria cultura. Per questo —varrebbe la pena dilungarsi su questo punto —non c’è privilegio né “elezione”: gli stessi profeti sono stati nella Bibbia molto critici su questa categoria e, contro le pretese elitarie, lo stesso Giovanni Battista avvisava che “Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre” (Mt 3,9; cfr. le parole di Gesù in Gv 8,33-40). Di conseguenza, e col massimo rigore, è opportuno porre come principio fondamentale: ogni religione è vera. In questo senso fondamentale ciò, infatti, equivale esattamente ad affermare che ogni religione è una percezione della presenza rivelatrice e salvatrice di Dio. Lo è, certo, in modo umano, cioè carente e limitato, con una mescolanza di errori e oscurità, progressi e passi indietro, deformazioni e persino perversioni molte volte terribili. Cosa che vale per tutte, compresa quella biblica nella sua storia reale, e non solo, come si potrebbe pensare, per le religioni più “arretrate” o “primitive”. In realtà, il principio deve, allora, essere riformulato: “Tutte le religioni sono
parzialmente vere”. Constatazione decisiva per tre fondamentali motivi. Prima di tutto, perché proprio per questo una riflessione realista comprende che, come succede in tutto ciò che è umano, pur essendo tutte vere, non lo sono nella stessa misura: per eliminare ogni dubbio è sufficiente uno sguardo alla storia delle religioni o alla stessa attualità, In secondo luogo, perché allora diventa evidente che, nessuna essendo perfetta e conclusa, tutte hanno qualcosa che alle altre manca e quindi in tutte e in ciascuna c’è sempre qualcosa che possono insegnare e qualcosa che devono apprendere. Il che, in terzo luogo, mostra qualcosa di decisivo: che il dialogo religioso, qualunque siano i partecipanti, può e deve essere un processo reale, che chiede al contempo apertura e umiltà, disponibilità a dare e a ricevere, atteggiamento critico e recettività autocritica.
fine del “bibliocentrismo” Riconoscere la nuova situazione e accettare gli atteggiamenti che essa comporta implica una disposizione esigente a non resistere al cambiamento e ad aprirsi al rinnovamento. In termini religiosi, implica una metanoia, cioè un “cambiamento di mente”, una conversione. Una cosa che non accade mai senza inevitabili rinunce, ma che, se ben condotta, è anche sempre carica di promesse. Questo coinvolge, come è logico, tutte le religioni, ma qui, per realismo e modestia, dobbiamo concentrarci sulla nostra. Al suo interno ci sono due punti che devono essere posti in primo piano. Il primo è l’inevitabile fine del “bibliocentrismo”. Se, come si è detto, tutte le religioni sono — nella propria, ma reale, misura — rivelate, risulta evidentemente impensabile che la Bibbia sia un libro assolutamente unico, per cui solo in esso sia adeguato parlare di rivelazione divina. Riconoscerlo implica situarla nel continuum dei diversi libri e delle diverse tradizioni sacre dell’umanità. Il che, in partenza, non le concede alcun privilegio; ma ha il grande vantaggio di rendere possibile il dialogo critico reale con tutte. In questo modo, senza pericolo di imposizione di alcun tipo, la tradizione biblica può dispiegare la propria profondità e ricchezza, offrendola alle altre religioni, mentre si lascia interrogare e, a sua volta, arricchire da loro. Perché allora, all’interno di questo dialogo e ormai a posteriori, ci sarà spazio per stabilire paragoni e rendere evidenti i motivi per cui noi cristiani crediamo che nella Bibbia si sia raggiunta una rivelazione che nel suo insieme — non in tutti i dettagli! — risulta la più completa e riveste addirittura carattere ultimo e definitivo.
significato della rivelazione in Cristo Si tratta, come si vede, di un tema delicato e decisivo. Però più delicato e decisivo risulta il secondo, peraltro intimamente collegato: il significato che noi cristiani attribuiamo al culminare della rivelazione in Cristo. Nel linguaggio della “confessione” gli Atti degli Apostoli arrivano ad affermare: “In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (At 4,12). Però la riflessione più austera della “teo- logia” deve precisare l’intenzione oggettiva, cercandone il vero significato, in modo che non contraddica la volontà salvifica universale di Dio, “il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati” (1 Tm 2,4) né, come ha detto il Concilio, neghi tutto quanto nelle altre religioni “c’è di vero e santo”. Da subito è opportuno riconoscere, allora, che non può trattarsi di una negazione che escluda gli altri, ma di un’affermazione cordiale ed entusiasta del proprio vissuto, così tipica del linguaggio dell’amore: “Tu sei unica o unico per me”. Per tanto non può mai indicare una dialettica intransigente del tutto o niente, del vero e falso, ma un dialogo cordiale del buono e migliore, del vero o più vero, nella consapevolezza che la conclusione non si può proclamare a priori né, tanto meno, imporre con la forza, ma deve essere frutto di analisi critica e discussione dialogante. Questo è peraltro quanto accade di fatto: chi sceglie di appartenere a una religione sta manifestando, con coscienza più o meno esplicita e rigorosa, che nel suo insieme la considera migliore, più completa e convincente delle altre. Il che succede anche in religioni che, come l’induismo o il buddhismo, paiono proclamare l’uguaglianza di tutte. “Coloro che adorano altri dei con fede e devozione, adorano anche me, anche quando non osservano le forme usuali. Io sono l’oggetto di ogni adorazione, il suo recettore e Signore”, dice Krishna (Bhagavad-Gita IX). Pericolosa non è la
scelta, ma il dogmatismo; non è la scelta, ma l’esclusivismo. Inoltre, com’è indicato all’inizio, un atteggiamento aperto e umile davanti al Mistero non cerca di appropriarsi di nulla, ma di condividere tutto, vedendo in ogni differenza non una minaccia, ma una promessa di progresso e completamento.
insufficienza delle categorie: esclusivismo, inclusivismo, universalismo Il cambiamento che tutto ciò presuppone fa sì che le categorie finora usate per affrontare il problema risultino oggi insufficienti. Alcune in modo così chiaro da esigere semplicemente un rifiuto. Altre, mostrandosi utili, chiedono di essere profondamente riformulate. Alle prime appartiene, senza dubbio, l’esclusivismo, il quale presupponeva — letteralmente —che tutte le persone collocate fuori dall’orbita cristiana fossero destinate alla condanna eterna: è il famoso “Nessuna salvezza fuori della Chiesa”. Francis A. Sullivan, che fa la storia dettagliata della “atroce formulazione di questa dottrina”, indica che su questo punto ancora “nell’ultimo quarto del XVIII secolo erano sostanzialmente d’accordo” cattolici e protestanti. Oggi la semplice formulazione suscita un rifiuto così istintivo che costituisce la migliore dimostrazione della sua falsità. Si capisce che di fronte a questa teoria sia nato l’ inclusivismo, che ha costituito un grande progresso. Il suo fondamento cordiale, che costituisce la sua verità incancellabile, si radica nel riconoscimento che salvezza e bontà non sono esclusive dei cristiani, ma sono anche lì dove qualcuno, a partire dalla propria religione, risponde all’appello profondo del Signore. Qualcosa che, in definitiva, è già stato detto da Gesù di Nazaret negli stessi Vangeli: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7,21); o, con maggior rigore, quando nella parabola del giudizio finale afferma che chi conosce davvero Dio è colui o colei che pratica l’amore reale, sebbene teoricamente non professi la fede. In questa linea si muoveva la teoria patristica dei logoi spermatikoi, che nelle verità dei filosofi vedeva i “semi di verità” che non venivano annullati, ma, al contrario, arrivavano alla loro pienezza nella rivelazione di Gesù. Karl Rahner, col suo “cristianesimo anonimo”, ha aperto strade e detto cose memorabili in materia. E a partire dal Vaticano II l’accettazione di questa visione di fondo è divenuta patrimonio praticamente unanime della teologia. Però il limite di questa categoria consiste in due punti importanti. Da una parte, nella mancanza di realismo storico, quando pretende che sia la “grazia cristiana” a operare in tutte le religioni. Dall’altra, nel fatto che, pretendendo che “tutta la verità” delle altre religioni sia già inclusa nel cristianesimo, rende impossibile un dialogo realista, che non si riduca a mera strategia retorica. Non possiamo dare l’impressione che tutte le religioni, per il fatto di essere vere e condurre a Dio, debbano passare per la fede cristiana, poiché la storia mostra che Dio, a seconda delle circostanze e delle possibilità, ha seguito e segue vie specifiche con ciascuna. L’alternativa all’inclusivismo è rappresentata dal pluralismo o universalismo, sostenuto principalmente da John Hick e, poi, da molti altri. Anche questa categoria riconosce qualcosa di fondamentale e indiscutibile: il fatto che la risposta a Dio è data sempre nel proprio tempo e nella propria cultura. Per questo dicevamo che tutte le religioni sono vere. E per questo non può stupire che questa posizione, per il superamento dell’etnocentrismo e per il suo spirito di rispetto e tolleranza, susciti oggi una spontanea simpatia. Tuttavia, se prima parlavamo di mancanza di realismo storico, adesso bisogna parlare anche di mancanza di realismo antropologico. Se da parte di Dio l’universalismo è totale e assoluto, senza favoritismi, “elezioni” o “preferenza di persone”, da parte umana le risposte non sono mai uguali né simmetriche. Da ciò deriva il fatto che perfino nello stesso ambito culturale esistano religioni diverse e addirittura contraddittorie in aspetti importanti. Ancor più decisivo: in ogni religione c’è sempre un’insoddisfazione, una necessità di cambiamento e purificazione, che si manifesta in movimenti profetici e di rinnovamento, quando non in conflitti e rotture (si pensi pure che quanto più si studia lo stesso Nuovo Testamento, tanto più si apprezzano le profonde differenze e contrapposizioni tra le diverse teologie contenutevi). Il fatto stesso che i più radicali sostenitori dell’universalismo debbano distinguere tra “grandi” e “piccole” religioni indica in modo incontrovertibile che esistono criteri di discriminazione per distinguere la maggiore o minore profondità, completezza o purezza; altrimenti il mero numero di adepti diventerebbe criterio
di verità.

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la diffamazione di Paolini nei confronti di Ratzinger

Paolini: “Ho conosciuto Ratzinger in una sauna per gay”

 Diffamazione?

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Parole di diffamazione secondo gli avvocati Marcello e Michelangelo Melandri, legali della Rai che hanno già chiesto che il tribunale trasmetta gli atti alla Procura. A far scoppiare la bomba è stata una dichiarazione spontanea rilasciata da, Gabriele Paolini, nell’ambito di uno dei processi per una delle sue incursioni ai danni di due collegamenti in diretta della Rai, nella quale il “disturbatore” ha affermato:

“Ho conosciuto Joseph Ratzinger in una sauna per gay, a Torino, quando avevo 14 anni”

e poi ha proseguito:

“Sono vent’anni che vengo ai processi. Oggi per me è emozionante perché vengo da detenuto per un altro motivo e perché è presente in aula mia madre. Nel periodo dei fatti che mi sono contestati in questo processo, gridavo di una infanzia rubata. Ho nella mia vita scelto di stare dietro ai giornalisti non per disturbare, ma per dire la mia verità. E per un motivo o un altro, la mia voce è stata sempre ascoltata a metà. Nelle due occasioni di cui si occupa questo processo chiedevo le dimissioni di Ratzinger”.

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Bergoglio o papa Francesco?

Quella tremenda lettera di Bergoglio contro i matrimoni gay

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“Ma chi sono io per giudicare?”. Applicato all’omosessuale “che cerca il Signore e ha buona volontà”, è l’interrogativo che più ha fatto colpo finora, tra le mille parole dette da papa Jorge Mario Bergoglio. Interrogativo quasi universalmente interpretato come una sua rinuncia a esprimere un qualsivoglia giudizio sia sulle persone omosessuali che sui loro atti e le loro rivendicazioni.

Ma c’è una lettera del 2010 dell’allora arcivescovo di Buenos Aires che aiuta a decifrare il senso autentico di quel “Ma chi sono io per giudicare?”.

È la lettera che Bergoglio scrisse al presidente della commissione per i laici della conferenza episcopale argentina, Justo Carbajales, alla vigilia della discussione nel parlamento della legge che avrebbe autorizzato il matrimonio tra persone dello stesso e la loro facoltà di adottare dei bambini.

Nel servizio di www.chiesa che ha ricostruito l’iter vittorioso di quella legge si forniva il link al testo originale in spagnolo della lettera. Ma nessuno l’aveva tradotta in italiano e offerta al grande pubblico, prima che ieri lo facesse, con opera meritoria, il professor Massimo Introvigne sul blog “La Nuova Bussola“.

Nella lettera, Bergoglio effettivamente scrive che “non vogliamo giudicare quanti pensano e sentono in modo diverso”. E chiede ai cristiani “rispetto” e “mansuetudine” nei confronti degli omosessuali.

Ma quando dalle persone passa agli atti, e dagli omosessuali alla rivendicazione di un matrimonio tra persone dello stesso sesso, l’allora arcivescovo di Buenos Aires eccome se giudica e condanna! La sua lettera diventa un implacabile atto d’accusa contro ciò che definisce un “reale e grave regresso antropologico”.

Ecco qui di seguito la traduzione integrale della lettera.

 

Caro Justo,

La commissione episcopale per i laici della conferenza episcopale argentina, nell’esercizio della libertà propria di tutti i cittadini, ha preso l’iniziativa di organizzare una manifestazione contro la possibile approvazione di una legge sul matrimonio fra persone dello stesso sesso, riaffermando nel contempo la necessità che ai bambini sia riconosciuto il diritto ad avere un padre e una madre, necessari per la loro crescita ed educazione. Con questa lettera desidero dare il mio appoggio a questa espressione di responsabilità del laicato.

So, perché me lo avete detto, che non sarà un evento contro nessuno, perché non vogliamo giudicare quanti pensano e sentono in modo diverso. Senza dubbio, più che mai, di fronte al bicentenario [dell’Argentina] e con la certezza di costruire una nazione che deve includere la pluralità e la diversità dei suoi cittadini, sosteniamo chiaramente che non si può considerare uguale quello che è diverso e che in una convivenza sociale è necessario accettare le differenze.

Non si tratta di una questione di semplice terminologia o di convenzioni formali relative a una relazione privata, ma di un vincolo di natura antropologica. L’essenza dell’essere umano tende all’unione dell’uomo e della donna come realizzazione reciproca, come attenzione e cura, come cammino naturale verso la procreazione. Questo conferisce al matrimonio la sua elevatezza sociale e il suo carattere pubblico. Il matrimonio precede lo Stato ed è la base della famiglia, che è cellula della società precedente a ogni legislazione e precedente perfino alla Chiesa. Da questo deriva che l’approvazione del progetto di legge in discussione significherebbe un reale e grave regresso antropologico.

No, il matrimonio di un uomo e di una donna non è la stessa cosa dell’unione di due persone dello stesso sesso. Distinguere non è discriminare, al contrario è rispettare. Differenziare per discernere è valutare in modo proprio, non è discriminare. In un’epoca in cui si insiste tanto sulla ricchezza del pluralismo e della diversità culturale e sociale, è davvero contraddittorio minimizzare le differenze umane fondamentali. Un padre e una madre non sono la stessa cosa. Non possiamo insegnare alle future generazioni che è la stessa cosa prepararsi a un progetto di famiglia assumendo l’impegno di una relazione stabile tra uomo e donna e convivere con una persona dello stesso sesso.

Stiamo attenti a che, cercando di mettere davanti un preteso diritto degli adulti che lo nasconde, non ci capiti di lasciare da parte il diritto prioritario dei bambini – gli unici che devono essere privilegiati – a fruire di modelli di padre e di madre, ad avere un papà e una mamma.

Ti affido un incarico: da parte vostra, nel linguaggio ma anche nel cuore, non ci siano aggressività e violenza contro nessun fratello. I cristiani si comportano come servitori di una verità, non come suoi padroni. Prego il Signore che con la sua mansuetudine – quella mansuetudine che chiede a tutti noi – vi accompagni nell’evento.

Ti chiedo per favore di pregare e far pregare per me. Che Gesù ti benedica e che la Vergine Santa ti custodisca.

Fraternamente,

Card. Jorge Mario Bergoglio s.j., arcivescovo di Buenos Aires

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uno degli stereotipi più frequenti nei confronti dei rom

 

i nostri giornali veicolano stereotipi pericolosi

gli esposti dell’ ‘Associazione 21 luglio’

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L’articolo pubblicato il 13 novembre sulla versione cartacea del quotidiano Il Messaggero.

 

«Rapisce neonato davanti alla madre, nomade arrestata a Ponte Mammolo».

In seguito alla pubblicazione di un articolo così titolato, lo scorso 13 novembre, da parte della testata Il Messaggero, l’Associazione 21 luglio ha presentato un esposto all’Ordine dei Giornalisti del Lazio per chiedere la verifica di eventuali illeciti deontologici a carico della giornalista professionista Laura Bogliolo.

Nell’articolo, secondo l’Associazione 21 luglio, l’autrice si è discostata dall’obbligo deontologico di attenersi alla verità accertata dei fatti, pubblicando non solo accuse aleatorie, ma anche congetture di carattere discriminatorio su base etnica capaci di alimentare un infondato allarmismo sociale nei confronti dell’intera comunità rom a Roma e in Italia.

Così la giornalista riportava la notizia del presunto tentato rapimento del neonato: «Chissà cosa si prova a essere strappati violentemente dallo sguardo della propria madre, a perdersi nel vuoto di un abbraccio di una sconosciuta che ti prende per una gamba, ti solleva, ti scuote stringendoti con violenza e corre verso l’ignoto di un’altra vita. Chissà quale traccia, profonda e dolorosa, rimarrà nella memoria di Marco (il nome è di fantasia), un neonato di 8 mesi che lunedì è riuscito a fuggire a un sequestro da parte di una nomade nel cuore delle viscere rumorose della metropolitana di Roma».

L’articolo in oggetto, pubblicato sia sul sito che sulla versione cartacea del quotidiano, anziché limitarsi alla mera cronaca dei fatti accaduti, insiste sulla presunta appartenenza etnica dell’aggressore («Marco è ormai in braccio a una donna, una nomade di 25 anni, bulgara, che in pochi secondi è riuscita a portare via il neonato e si sta dirigendo verso l’uscita») arrivando persino ad evocare in un clima sensibile sull’argomento a causa delle recentissime vicende che hanno visto protagonista la piccola Maria in Grecia, «una lunga lista di bambini scomparsi e mai più ritrovati».

Dando ampio e acritico spazio a dichiarazioni, di carattere congetturale e generalizzante, senza evidenziarle come pure e semplici supposizioni, l’articolo, secondo l’Associazione 21 luglio, contribuisce alla diffusione dell’allarme sociale nei confronti dei rom basato su ipotesi e pregiudizi.

Dal resoconto pubblicato dal quotidiano, peraltro, emergono alcune discrepanze rilevanti. La giornalista scrive infatti che «la nomade risiede in un campo nomadi a Striano, in provincia di Napoli» ma dalle verifiche effettuate dall’Associazione 21 luglio non risulta, nella cittadina campana, l’esistenza di alcun “campo nomadi”.

Nell’articolo, inoltre, si legge che a riprendere il neonato dalle mani della “nomade” sarebbero state due ragazzine di 16 anni intervenute in soccorso della madre. In un secondo articolo, redatto dalla stessa Laura Bogliolo e pubblicato sul sito de Il Messaggero il 14 novembre, la madre del bambino riporta invece un’altra versione dei fatti: «Mi ha strappato via mio figlio con forza, sono riuscita a riprenderlo mentre lei continuava a strattonarlo».

Alla luce di quanto riportato, l’Associazione 21 luglio ritiene che nell’articolo di Laura Bogliolo non appaiono rispettate le tre condizioni in presenza delle quali il diritto di stampa è da ritenersi legittimo:1) utilità sociale dell’informazione; 2) verità (oggettiva o anche soltanto putativa purché, in quest’ultimo caso, frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) dei fatti esposti; 3) forma “civile” della esposizione dei fatti e della loro valutazione.

Tale articolo si pone poi in contrasto con quanto stabilito dalla Carta di Roma la quale invita ad «evitare la diffusione di informazioni imprecise, sommarie o distorte» e richiama «l’attenzione di tutti i colleghi, e dei responsabili di redazione in particolare, sul danno che può essere arrecato da comportamenti superficiali e non corretti, che possano suscitare allarmi ingiustificati, anche attraverso improprie associazioni di notizie, alle persone oggetto di notizia e servizio».

«La diffusione di articoli di questo tipo – è il commento dell’Associazione 21 luglio in seguito all’invio dell’esposto all’Ordine dei Giornalisti del Lazio –  reca un grave danno a tutta la comunità rom in Italia, finendo con il trasmettere un’immagine criminosa di un intero gruppo di persone. Ancora una volta, ci troviamo pertanto a chiedere ai media di agire in maniera consapevole, considerata la grande responsabilità che i professionisti dell’informazione hanno nella creazione di stereotipi e pregiudizi».

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stereotipi sui rom

Rapporto “Antiziganismo 2.0″:

stereotipi sui rom alimentati da politici e stampa

COPERTINA-ANTIZIGANISMO

copertina rapporto Antiziganismo

Ogni giorno, in Italia, si registrano 1,43 casi di incitamento all’odio e discriminazione nei confronti di rom e sinti, per lo più attraverso dichiarazioni di esponenti politici diffuse da giornali, siti web e social network. Stereotipi e pregiudizi verso tali comunità, del resto, sono alimentati da una media giornaliera di 1,86 episodi di informazione scorretta ad opera di giornalisti di testate locali e nazionali.

Sono questi i dati che emergono da “Antiziganismo 2.0”, il rapporto dell’Osservatorio nazionale sull’incitamento alla discriminazione e all’odio razziale dell’Associazione 21 luglio, presentato questa mattina a Roma nella sede della Federazione Nazionale della Stampa Italiana.

Dal 1 settembre 2012 al 15 maggio 2013, il monitoraggio dell’Osservatorio 21 luglio, effetuato su circa 140 fonti, ha rilevato 370 casi di incitamento all’odio e discriminazione e 482 casi di informazione scorretta in grado di alimentare il cosiddetto fenomeno dell’antiziganismo, definito dalla Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza come «una forma di razzismo particolarmente persistente, violenta, ricorrente e comune che viene espressa, tra gli altri, attraverso violenza, discorsi d’odio, sfruttamento, stigmatizzazione e attraverso le più evidenti forme di discriminazione».

Dei 370 casi di incitamento all’odio e discriminazione, 281 (il 75% del totale) sono riconducibili ad esponenti politici, 58 a privati cittadini e 20 a giornalisti. I giornali si sono rivelati il principale strumento di diffusione (234 casi), seguiti da siti internet (51),Twitter (23) e Facebook (10).

Dal rapporto emerge che il 59% delle segnalazioni si riferisce ad iscritti ad un partito di destra e di centro destra. In 90 casi, l’autore di una dichiarazione discriminatoria e incitante all’odio è stato un esponente della Lega Nord; seguono il Popolo della Libertà (74), La Destra (30) e Forza Nuova (11). In 9 casi l’autore è stato invece un esponente del Partito Democratico.

Dal punto di vista della collocazione geografica delle segnalazioni, al centro-nord va il primato relativo, con una percentuale del 52% delle segnalazioni, con il 22% nella sola Lombardia, mentre il centro-sud si attesta al 43%. Il dato più significativo appare quello relativo alla città di Roma, che da sola copre il 32% circa delle segnalazioni, praticamente un terzo di tutto il territorio nazionale.

Per quanto riguarda i casi di informazione scorretta, ovvero quelle notizie, diffuse in maniera acritica, atte ad alimentare e rinforzare stereotipi e pregiudizi nei confronti di rom e sinti, tra le testate monitorate il rapporto evidenzia che il Corriere della Sera, nelle sue numerose edizioni locali, oltre a quella nazionale, raggiunge il numero più elevato di segnalazioni (12,9%), mentre il Tirreno si attesta su una percentuale dell’11%.

Seguono Il Messaggero con il 7,5%, il Tempo (6%), La Repubblica, soprattutto nelle edizioni milanesi e romane ((6%) e il Giornale d’Italia (4%). Il territorio lombardo, accumulando le percentuali di Libero, Il Giornale e Il Giorno raggiunge una rappresentatività sul campione di quasi il 20%.

In seguito ai casi descritti, l’area legale dell’Associazione 21 luglio ha intrapreso 135 azioni correttive, tra cui 75 segnalazioni all’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali), 29 lettere di diffida, 10 esposti al Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti, 7 segnalazioni all’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori di Polizia di Stato e Carabinieri (OSCAD).

Tra i riscontri positivi ottenuti, la chiusura di due blog che diffondevano contenuti lesivi della dignità delle comunità rom e la rettifica dei contenuti di un paragrafo della guida National Geographic su Roma che criminalizzava indistintamente i rom.

«Il fenomeno dell’antiziganismo assume oggi in Italia dimensioni preoccupanti. Ai rom si associano indistintamente ed automaticamente degrado, incuria, malvivenza, pericolosità sociale, incapacità genitoriale, inadeguatezza sociale, rifiuto consapevole delle regole e una “genetica” attitudine alla delinquenza e alla non-integrazione», afferma l’Associazione 21 luglio.

«È necessario contrastare questi stereotipi e pregiudizi, alimentati da dichiarazioni di esponenti politici che intendono parlare alla pancia del proprio elettorato e da notizie giornalistiche incapaci di approfondimento e di analisi complessa, attraverso tutte le forme possibili, istituzionali e governative, attraverso il diritto e la produzione intellettuale, nella lotta politica e nel lavoro nei territori, nei media, a scuola e in strada. Si potrebbe cominciare dal linguaggio: i termini “nomadi” e “zingari” denotano una connotazione negativa e pertanto non andrebbero più utilizzati, né dai politici né dai giornalisti».

 

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novità dal sinodo anglicano

 

singolare alleanza Chiesa-associazioni gay

“Insieme contro il bullismo omofobico”

L’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby
Inghilterra: la novità discussa al sinodo anglicano
L’allarme dell’ex arcivescovo di Canterbury: «Nel Regno Unito il cristianesimo rischia di scomparire a breve»

Con un alleanza fino a qualche decennio fa impensabile, la Chiesa d’Inghilterra e l’associazione per i diritti dei gay Stonewall, hanno deciso di lavorare insieme per contrastare il bullismo omofobico nelle scuole cristiane. La notizia è trapelata nel corso dei lavori del sinodo anglicano. Stonewall ha detto alla Bbc che sebbene ci sia stato spesso disaccordo con la Chiesa, “su questo argomento siamo sempre stati dalla stessa parte”. Gli anglicani, infatti, restano per ora contrari al matrimonio tra persone dello stesso sesso.

 

Sull’argomento era già intervenuto a luglio l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, che aveva promesso di impegnarsi personalmente contro la piaga del bullsimo anti-gay. “La maggior parte della popolazione – aveva detto – detesta giustamente i comportamenti omofobici, e qualche volta guardandoci osserva cose che non le piacciono. Con quasi un milione di ragazzi che frequentano le nostre scuole, dobbiamo non soltanto un profondo impegno nel combattere questi stereotipi ma anche intraprendere azioni concrete”.

 

Welby continua a opporsi al riconoscimento ecclesiastico delle coppie gay, anche se alcune osservazioni fanno pensare che presto o tardi ci potrà essere un cambiamento di rotta. L’arcivescovo ha infatti riconosciuto che alcuni legami omosessuali sono “straordinari dal punto di vista della qualità della relazione”.

 

Sempre al sinodo anglicano, l’ex arcivescovo di Canterbury Lord Carey ha dato voce a una visione più pessimistica, dicendo che se la Chiesa non tornerà all’evangelizzazione, “Nel Regno Unito il cristianesimo rischia di scomparire nel corso di una generazione”. Sottolineando l’urgenza nell’attirare i giovani, Carey ha detto che “Stiamo spostando i mobili mentre la casa brucia”.

C. Gallo

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Zanotelli

Napoli, padre Zanotelli caricato dalla Polizia. Si opponeva al trasferimento di richiedenti asilo in un CIE

zanotelli

Fonte: Repubblica

“Sono bambini. Li state mandando in un lager. Dovete passare su di me”. Ma la furia di chi obbedisce al governo e alla legge che punisce gli immigrati non risparmia neanche un uomo di chiesa, padre Alex Zanotelli. Pur di far partire in fretta in una camionetta i nove africani della “Vera D.”, pur di chiudere la questione che ha agitato il porto di Napoli e le coscienze nell’ultima settimana, senza il minimo rispetto hanno buttato a terra persino il sacerdote che difende i diritti civili e si prodiga per l’umanità. Sta bene, il paladino di chi non ha voce e lotta per sopravvivere, ma è tornato a casa addolorato, come chi ha sostenuto una battaglia persa.

Intorno alle 21 la protesta era davanti ai garage della questura in via dei Fiorentini: “Siamo tutti clandestini” gridavano i manifestanti. Organizzazioni umanitarie, centri sociali, la Cgil con Jamal Quoddorack che hanno seguito dall’inizio la vicenda. L’assessore Giulio Riccio e il sindaco Iervolino vanno via aprendo le braccia: “Non c’è niente da fare”. Ma Zanotelli resta, con i suoi collaboratori, tra i quali Felicetta Parisi, che è in lacrime. “Li abbiamo visti, li abbiamo visti bene, erano vicino a noi – piange – non c’è alcun dubbio che sono minorenni”, riferendosi alla querelle sull’età dei cinque clandestini più giovani, tre dei quali erano stati giudicati maggiorenni dall’ospedale dove erano stati visitati. “Anche secondo il parere dei medici ospedalieri l’età scheletrica era intorno ai 18 anni – dice ancora Parisi – ma ci sono due anni di scarto in quell’analisi. Me ne assumo io la responsabilità. Sono un medico, un pediatra: erano minori. Li hanno spediti in un lager. Questa è una ignominia, una vergogna, viviamo l’epoca della disumanità”.

Padre Zanotelli ha salito le scale della questura ed è tornato indietro poco dopo amareggiato: “Non c’è niente da fare, li portano via”. Intanto i celerini si radunavano sotto il palazzo. “Dopo ore di trattative, di promesse, all’improvviso è arrivata la celere e abbiamo capito che li avrebbero portati a Brindisi – dice il sacerdote – Eppure c’era la richiesta di asilo politico, il Comune aveva trovato per loro una sistemazione”. Zanotelli viene accompagnato dai collaboratori, a proseguire nel racconto è Felicetta Parisi: “Quando Alex è sceso noi ci siamo messi davanti al garage da dove doveva uscire la camionetta – dice – Zanotelli voleva stendersi per terra, voleva protestare contro questo sopruso. E ha detto ai poliziotti: “Nessuno ha chiesto a questa gente che cosa ha fatto nell’ultimo mese, come ha vissuto, di che cosa ha bisogno. È una vergogna. Per me potete passare sul mio corpo, prima di prenderli”. Allora è scoppiato un tafferuglio, i poliziotti si sono lanciati verso di noi e Alex è stato scaraventato per terra”.

I collaboratori del sacerdote, indignati, denunciano: “Per ore la questura ha portato avanti quello che sembrava un dialogo. Era falso. Per la prima volta Napoli, la città dell’accoglienza e dell’umanità, si è macchiata della strage degli innocenti. Lo sanno tutti i Cie sono dei lager”.

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piccoli miracoli … che trasformano la vita e ci convincono che ‘yes we can’

decisamente belle, queste foto: non ricordo più in quale sito le ho trovate , fanno comunque riflettere sui tanti passi che ancora devono essere fatti per trasformare in ordinari gesti che restano ancora troppo straordinari!

 

Le 15 foto che ti faranno credere nuovamente nell’umanità

1. Un gruppo di cristiani che al gay pride di Chicago hanno chiesto scusa per la loro omofobia

… ed ecco la reazione!

2. I cittadini più anziani di Fukushima che lavorano come volontari alla crisi della centrale nucleare, per evitare che i più giovani si espongano alle radiazioni.

This story about Japanese senior citizens who volunteered to tackle the nuclear crisis at Fukushima power station so that young people wouldn't have to subject themselves to radiation.
Source: bbc.co.uk

3. Questi ragazzi norvegesi che salvano un agnellino dalle correnti gelide dell’artico

4. Questo cartello fuori una libreria

“Quando il negozio è chiuso potete prendere i libri, leggerli e riportarli indietro o pagarmeli dopo. Comunque: se non avete soldi per comprare i libri ma volete comunque leggerli, fatelo!. Aiutate voi stessi!”

5. Questa atleta in Ohio che, una volta tagliato il traguardo, torna indietro per aiutare un’avversaria a finire la gara

6. Questa scritta fuori un ristorante

“Cibo gratuito per i senzatetto dalle 15 alle 17″

7. Quest’uomo che mette in salvo 4 gattini dall innondazione di Cuttack City, India.

8. Questo turista che regala le sue scarpe ad una senzatetto a Rio de Janeiro.

This photograph of a man giving his shoes to a homeless girl in Rio de Janeiro.

9. Questo vigile del fuoco che somministra ossigeno ad un gattino salvato

10. …e anche questo!

And this one.

11. Questo biglietto ad un vicino

This gesture from a neighbor.
“Caro vicino, mi chiamo Mohammad, un musulmano. Stiamo osservando il Ramadhan. Domenica alle 20 vorrei invitare te e la tua famiglia a pranzo in occasione della fine del digiuno”

12. Questi due ragazzi che si aiutano per salvare un cane da un canale

These photos of two children collaborating to rescue a dog who had fallen into a ravine.

13. Questo scambio tra un dimostrante ed un soldato in Brasile

“Durante uno scontro in Brasile un generale ha detto “Non combattiamo, per piacere! Non il giorno del mio compleanno”. Ed i dimostranti hanno pensato di fargli una sorpresa.”

14. Quest’uomo che salta in mare per salvare il cane di un trans sconosciuto.

15. Sii il cambiamento che vuoi nel mondo

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una tragedia e … tante chiacchiere

IL CICLONE FA STRAGE IN SARDEGNA, 16 MORTI E UN DISPERSO. 2.700 SFOLLATI, STATO D’EMERGENZA. POLEMICA SULL’ALLARME

Ciclone

 

Isola in ginocchio, in 24 ore pioggia di 6 mesi. Colpite Olbia e il Nuorese. Trovato vivo un disperso. Vittime in auto e cantine. Governo, 20 milioni per emergenza. Letta sul posto: ‘Stato c’è e fa il massimo’. Aiuti, si muovono Ue e Papa. Sfollati: ‘Nessun avviso’. Gabrielli: ‘Falso’. Orlando: ‘Allarme 12 ore prima’.

Sono 16 i morti provocati dal ciclone che ha investito il nord-est della Sardegna. Tra le vittime due bambini. Un disperso. Olbia e Torpe’ le zone piu’ colpite. “Sono circa 2700 le persone fuori casa ospitate in strutture o da parenti”. In 24 ore caduta la pioggia di sei mesi. Il CdM decide lo stato di emergenza, Letta parla di tragedia nazionale. E si reca a Olbia. Stanziati 20 milioni. Il prefetto Franco Gabrielli: tanta acqua quanta in 6 mesi. Polemiche per il funzionamento della Protezione Civile. “Il sistema di allertamento nazionale ha fatto il suo dovere” e “chi ha lanciato false accuse ne risponderà”, ha detto il capo della Protezione civile in conferenza stampa. In base alla classificazione dei livelli di criticità, le previsioni del maltempo erano ritenute dagli esperti, di ”massimo rischio”», ha spiegato nelle sue comunicazioni alla Camera il ministro dell’Ambiente Andrea Orlando. Previsioni che comprendevano l’esondazione dei corsi d’acqua e “fenomeni di rigurgito dei sistemi di smaltimento”, associati a inondazioni. “I possibili effetti associati a tale evento – ha detto il ministro dell’Ambiente – prevedono possibili perdite di vite umane e danni alle persone, oltre che allagamenti e danni a locali

dopo un primo momento di quasi silenzio e sottovalutazione del fatto (nessun giornale ha ritenuto di doverci aprire come notizia di primissimo rilievo) è scoppiata una di quelle giornate in cui si è parlato molto e tutti hanno detto di tutto ( si sono perfino sentiti membri autorevoli del pdl inveire contro i condoni!), meno che prendere coscienza che il territorio ha bisogno di un’altra politica: così amaramente commenta M. Serra:

Come sono noiosi i commenti alle catastrofi italiane, identici da anni, da decenni: l’incuria del territorio, il dissesto idrogeologico, la cementificazione demente… Si potrebbero scrivere con il “copia e incolla”, magari aggiungendo qualche nota peggiorativa sul riscaldamento causato dai gas serra, altra piaga arcinota e arcimaledetta, e vanamente medicata da quei congressi-placebo nei quali le potenze industriali giurano solennemente che in un paio di secoli ridurranno del niente per cento le emissioni nocive. La verità è che, seppelliti i morti, è comodo e conveniente lasciare che le cose continuino come prima. Ai vivi serve dimenticare in fretta e ritornare ai propri piccoli interessi quotidiani, ai soldi da guadagnare, alle delibere da firmare per fare contento chi ti ha votato. Un paio di anni fa il sindaco di un piccolo paese lombardo decise che il territorio del suo comune non poteva più permettersi un solo metro quadrato di cemento. Finì su tutti i giornali, come se avesse preso una decisione straordinaria, rivoluzionaria. Era, semplicemente, una decisione saggia e lungimirante. Lo si capirà, purtroppo, solo quando le catastrofi assumeranno dimensioni genocide. Pensarlo è triste. Ma è realistico.

Da La Repubblica del 20/11/2013.

 

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