la chiesa di papa Francesco: illusoria o realisticamente evangelica?

papa Franc

sembra ai più ispirato dal e al vangelo, papa Francesco, nel suo parlare e nel suo agire cercano così di modulare e declinare una chiesa secondo criteri evangelici

ma ad alcuni non va proprio giù, specie ad alcuni cattolici tradizionalisti, di solito schierati ‘senza se e senza ma’ in difesa del papa e del papato (quasi a prescindere!), ma non di questo papa

questo papa sembra, ad esempio a V. Messori, propugnatore astratto di un “mito sempre antico e sempre ricorrente” di un ritorno astorico “alla chiesa primitiva, tutta povertà, fraternità, semplicità, assenza di strutture gerarchiche, di leggi canoniche”, una chiesa più da sogno che realistica, non riproponibile oggi in altro contesto culturale e storico

V. Mancuso risponde con puntualità a questa critica evidenziando nella ‘chiesa di papa Francesco’ tratti non onirici e astorici ma realisticamente evangelici

qui sotto i due articoli a confronto:

L’illusione di un ritorno alla chiesa primitiva

di Vittorio Messori
in “Corriere della Sera” del 10 novembre 2013

Alcune delle molte cose dette da papa Francesco e alcune sue scelte inedite — a cominciare dal rifiuto del palazzo vaticano e della villa di Castelgandolfo — stanno risvegliando un mito antico e sempre ricorrente tra i cattolici. Il sogno, cioè, di un ritorno alla Chiesa primitiva, tutta povertà, fraternità, semplicità, assenza di strutture gerarchiche, di leggi canoniche. Uno snello, democratico «movimento», insomma, non una pesante Chiesa, soffocatrice dello Spirito. Si smantelli l’istituzione clericale, basta con il Vaticano, la sua Curia, le sue banche, i suoi diplomatici, si torni finalmente alla comunità di Gerusalemme dopo la Pentecoste, In verità, il mito delle origini è smentito già dagli stessi Atti degli Apostoli: due tra i primissimi convertiti, i coniugi Anania e Saffira, fanno i furbetti sul prezzo del campo che dicono di avere venduto per la comunità e Pietro assiste addirittura alla loro morte immediata. Le lettere di Paolo sono roventi verso i comportamenti riprovevoli delle comunità da lui fondate o, in ogni caso, sorte da pochissimo. Chi conosce la storia della Chiesa primitiva sa che è anche una storia di lotte tra correnti, di mutue accuse di eresia, di scismi, talvolta di violenze interne, di martiri ma pure di disertori in tal numero che divenne centrale la disputa se e come riammettere nella comunità la folla dei lapsi, quelli che rinnegavano la fede per paura. Sin dall’inizio, secondo l’avvertimento di Gesù stesso, il buon grano si mescolò con l’infestante zizzania. Ma la nostalgia ricorrente, e che oggi sembra rilanciata, per una Chiesa delle origini, egualitaria, povera, dove la fede sia libera da sovrastrutture — a cominciare dalla Curia vaticana — non va solo contro la testimonianza della storia. Va anche contro una legge implacabile che i sociologi ben conoscono. La legge per la quale le grandi realtà sociali nascono come « movimenti», di solito ad opera di una persona carismatica, ma si dissolvono sempre e presto se, raffreddati gli entusiasmi iniziali, non accettano di trasformarsi in istituzioni gerarchiche, in strutture solide e ordinate. Solo queste assicurano la durata e la possibilità di incidere sulla società. La politica fornisce continue conferme di quanto siano illusori i bollori di chi si scaglia contro la istituzione-partito, bollata come gerarchica, burocratica, dogmatica, costosa. Occorre liberarsi da capi, tessere, cassieri, disciplina interna! Di quelle chimere abbiamo proprio ora l’esempio vistoso nello showman passato alla politica, Beppe Grillo. Costui ha predicato, e predica, come novità dirompente (mentre è vecchia e logora come il mondo) la possibilità di opporre ai malefici partiti un «movimento», nato e guidato dal basso, avendo oggi, tra l’altro, a disposizione la Grande Rete, dove tutti possono illudersi di essere eguali. Grillo, però, è stato subito vittima del peggior infortunio per un tribunus plebis : un successo elettorale inaspettato ed eccessivo. Finché si trattava di appellarsi alle viscere delle folle nelle piazze, tra urla e insulti, sembrava — almeno ai semplici — che il «movimentismo» fosse la soluzione. Ma si può essere gratificati dagli applausi solo quando si è al riparo in una nicchia, quando si grida no a tutto e si sta ai margini. Quando, non avendo responsabilità di governo, ci si può permettere di non fare i conti con la realtà. E, invece, allo sfortunato Grillo proprio questo è capitato: una fastidiosa responsabilità, che ha subito mostrato che il «movimento» non funziona, non può funzionare e che due sole sono le prospettive. O l’inazione e poi la dissoluzione coll’esodo dei delusi e coll’anarchia di sètte l’un contro l’altra armata; oppure, rassegnarsi e trasformarsi in uno di quei partiti già coperti di insulti. Tutte le ideologie politiche che hanno devastato il secolo scorso (comunismo, fascismo, nazionalsocialismo), tutte si presentarono, agli inizi, come «movimenti», contro la perfida casta partitica. E tutte divennero assai presto partiti unici, crearono regimi oppressivi, totalitari, come mai si era visto. In nome degli entusiasmi «movimentisti», crearono nomenklature privilegiate e gerarchie intoccabili come mai si erano viste. Ma allora, per tornare alla Chiesa: nella prospettiva di fede, nella logica dell’incarnazione, Dio ha voluto avere bisogno degli uomini, ha affidato loro la Parola e i Sacramenti della salvezza perché li annunciassero e li gestissero con una comunità. Comunità che — sempre per la dialettica del Deus incarnatus — nella sua struttura visibile, esterna, non è esentata dalle dinamiche che reggono ogni altra realtà umana. Dunque, all’inizio fu il «Movimento del Cristo», fu il «Gruppo del Nazareno», animato direttamente dagli apostoli, tra grandi entusiasmi. Ma, terminato lo «stato nascente», si passò rapidamente e necessariamente alla istituzione, alla struttura con una comunità gerarchica e, via via, organizzata con leggi interne ed esterne, e con proprietà mobili e immobili. Così come, in politica, il movimento iniziale — se vuol durare e contare — diventa necessariamente partito, qui si passò alla Chiesa come struttura stabile, organizzata, docente con autorità. Non fu, come pretendono gli utopisti, una deviazione, una deformazione, un tradimento del Cristo servo e povero, fu una evoluzione inevitabile, anzi doverosa per la realtà umane. E la Chiesa cattolica è una di esse, anche se qui — caso ovviamente unico — la struttura istituzionale non è che un contenitore, esiste solo per servire il Mistero di un Dio che insegna e redime. Insomma, è una illusione quella dei cristiani che, oggi più che mai numerosi, auspicano il ritorno alla semplicità degli inizi . Indietro non si può tornare. Dunque, non vi è posto per certa animosità pregiudiziale verso la Curia vaticana, verso coloro che, giorno dopo giorno, gestiscono la struttura ecclesiale. Non ha senso il manicheismo di chi volesse distinguere tra un «Pontefice buono» e una «Curia cattiva». Papa Francesco, gesuita, viene dal più compatto ordine ecclesiale ed è il primo a rifiutare una simile contrapposizione: anzi, ha più volte ringraziato i suoi collaboratori, verso i quali si dice pienamente solidale. Certo, Ecclesia semper reformanda, almeno nella sua struttura umana: la «macchina vaticana» va di continuo adattata ai tempi, semplificata nei metodi, migliorata (se possibile) nel suo personale, dal cardinale sino al minutante. Non dimenticando però che, senza la trasformazione in solida istituzione, del «Movimento di Cristo» sarebbe rimasto solo un cenno in qualche testo di storia antica dell’ebraismo.

margheritissime

 

Quei nemici devoti di papa Bergoglio

di Vito Mancuso
in “la Repubblica” del 11 novembre 2013

Fin dalla sua elezione papa Francesco sta producendo una serie di benefici per l’azione della Chiesa che non accennano a diminuire, come è dato riscontrare dall’aumento dei fedeli alle udienze e agli angelus domenicali. E, soprattutto, dalle molte persone che nel mondo intero grazie al Papa tornano al desiderio di una vita spirituale e riprendono a frequentare le chiese e ad accostarsi ai sacramenti. “Il mondo è innamorato di papa Francesco — ha scritto il cardinale di New York — e se io avessi avuto un dollaro per ogni newyorkese, cattolico e non, che mi ha detto quanto ama l’attuale Santo Padre, avrei pagato il conto salato dei restauri della cattedrale di St. Patrick! Lungo i nostri 2000 anni di storia abbiamo avuto ben pochi papi così degni dell’alto officio”. Ci sarebbe quindi da essere molto felici di papa Francesco, ma per non pochi cattolici cosiddetti “doc” e per qualche “ateo devoto” in passato solerte difensore di Ratzinger, le cose non stanno affatto così: anzi hanno iniziato a dar vita ad un’esplicita contestazione, punta dell’iceberg di una campagna conservatrice che vede in Bergoglio il simbolo da colpire. Proprio ciò che per il mondo risulta affascinante, per tali cattolici è causa di scandalo, e giungono a descrivere il Papa come il più dozzinale dei populisti. Il primato della coscienza personale, l’apertura alla cultura moderna, la scelta di non insistere su valori cosiddetti non negoziabili di vita-scuola-famiglia, il non volere ingerenze nella vita dei singoli (come quando disse “chi sono io per giudicare?” a proposito dei gay), l’istituzione di una consultazione popolare in tutto il mondo sui temi spinosi della morale familiare, la preferenza verso i poveri e il conseguente riaccredito della teologia della liberazione condannata da Wojtyla e Ratzinger, il parlare della Chiesa come di “un ospedale da campo”, lo stile conciliare permanente auspicato dal cardinal Martini, l’attacco al clericalismo e alla cortigianeria della curia, la condanna di ogni forma di proselitismo, la simpatia verso i media fino a concedere un’intervista al fondatore di questo giornale, lo stile di vita austero che lo porta a rifiutare l’appartamento papale e la villa di Castelgandolfo e a camminare sulle sue scarpe nere portandosi da sé la borsa di lavoro, la preferenza per le piccole autovetture, il chinarsi a lavare i piedi a una donna e per di più musulmana… ecco alcuni elementi che affascinano molti contemporanei e che invece risultano fonte di disappunto per quei cattolici di solito impegnati nella fedeltà “senza se e senza ma” al papa e al papato. Ma non in questo caso. Tra essi uno dei più moderati è Vittorio Messori che ieri sul Corriere criticava quanto definiva “un mito antico e sempre ricorrente”, cioè il sogno suscitato in molti dall’azione di papa Francesco “di un ritorno alla Chiesa primitiva, tutta povertà, fraternità, semplicità, assenza di strutture gerarchiche, di leggi canoniche”, un sogno che per Messori non è altro che un mito privo di fondamento biblico e storico. La posta in gioco nell’azione di papa Francesco però è, a mio avviso, molto più semplice di tale mito e consiste nel diritto di tutti i battezzati di avere una Chiesa semplicemente normale, di cui ci si possa fidare, una Chiesa dove i vescovi non abbiano residenze lussuosissime e costose auto blu, dove la banca vaticana sia per lo meno al livello etico di un’ordinaria banca italiana, dove il carrierismo e la sporcizia (termini utilizzati da Benedetto XVI) non siano così plateali da condizionare il governo papale, dove le nomine dei vescovi avvengano per effettive qualità umane e pastorali e non per servilismi che promuovono incolori yes-men, dove gli scandali di pedofilia non siano insabbiati e i colpevoli protetti, dove nella curia non volino corvi fino alla scrivania papale a testimonianza di velenose lotte intestine al cui confronto un qualsiasi condominio con tutte le sue beghe diviene un’immagine della concordia paradisiaca, una Chiesa dove gli ordini religiosi non siano guidati da personaggi colpevoli di pedofilia come nei Legionari di Cristo oppure di sequestro di persona e truffa come nei Camilliani, eccetera, eccetera. Questa è la posta in gioco dell’azione papale: non il mito della Chiesa primitiva, ma la realtà della Chiesa attuale, perché possa tornare a essere una Chiesa normale, pulita, affidabile, degna della
fiducia dei genitori di mandare all’oratorio i loro figli e di tutti i credenti di affidare le loro risorse per soccorrere i bisognosi. Ne viene che il Papa che oggi governa la Chiesa è, come dice il Vangelo, “un segno di contraddizione”, nel senso che è destinato a manifestare la vera natura di chi si dice credente, se cioè è tale per amore della Chiesa oppure per amore del mondo. Nel primo caso la religione è una delle tante ideologie tese alla conquista del potere, nel secondo è il segnale di un modo nuovo e rivoluzionario di stare al mondo e trasmette l’aria fresca del Vangelo.

 

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da ‘campo nomadi’ a ‘grande contenitore di disagio’

 

«Strutture abitative per nomadi tra cimitero e campo Coni»

L’assessore regionale Allocca conferma il progetto allo studio

Controlli alle Tagliate

riproduco qui sotto l’ articolo  comparso sul sito de ‘la Nazione-Lucca’ sulla trasformazione dell’area di transito che da decenni ospita sinti e rom
può anche prendere le mosse  da un’intenzione positiva questo progetto di dotare di casette in legno il ‘campo nomadi’ o ‘campo di transito’ situato tra il cimitero urbano e il palazzetto dello sport, e in quanto tale non può che essere guardato  con favore, ma …
in più di trent’anni ho sempre costatato una cosa: si discute su di loro, si progetta su di loro, ‘per il loro bene’, ma sempre senza di loro, sempre sulle loro teste … ‘loro’ sono , evidentemente, i sinti, i rom, gli zingari, anzi pudicamente ‘i nomadi’ (che sono a Lucca da circa 30-40 anni) le cui personali esigenze, problemi, richieste poco interessano
proprio ieri ho giocato a lungo coi loro bambini e ho chiesto loro cosa ne pensassero di questo progetto: non ne hanno neanche sentito parlare
saranno contenti quando vedranno che l’area del ‘campo’  dove elaborano la loro vita coi propri gusti, criteri culturali, e coi propri stili di vita (pur con tanti disagi a motivo delle strutture igieniche fatiscenti) avrà subito una radicale trasformazione  e sarà diventata, ancorché migliorata in queste strutture, un grande contenitore, di disagio sociale, di situazioni problematiche, in un “campo di raccolta per persone immigrate da paesi del terzo e quarto mondo”?
chi ci dà il diritto di considerarli o, strumentalmente, come ‘nomadi’ (dopo aver loro precluso normativamente ogni possibilità di vita nomade, piegandoli di fatto ad una sedentarietà forzata) in modo da concludere: dunque vadano via o passiamo mandarli via; o riduttivamente e ingiuriosamente come dei ‘poveracci’ nei cui confronti progettare un assistenzialismo a prescindere da tutto ciò che in realtà sono  nei loro stili di vita, nelle loro tradizioni, cultura, bisogni, esigenze, spesso molto personali?
anche loro hanno il piacere, come ciascuno di noi, di poter dire: ‘a casa mia’ faccio le cose come voglio io, non come vogliono gli altri, fosse anche l’amministrazione pubblica e … ‘per il loro bene’

Lucca, 10 novembre 2013 

Via delle Tagliate: non chiamatelo più campo nomadi, per favore. Quell’area accanto al cimitero urbano, in futuro, potrebbe divenire un vero e proprio campo di accoglienza. Da temporaneo a definitivo: al servizio non solo dei rom, ma anche di tutti coloro che, in futuro, ne avessero bisogno. Parola dell’assessore regionale al Welfare Salvatore Allocca, che fa il punto sul futuro del più grande campo nomadi cittadino, una vera e propria fucina di problemi sociali, ma anche di ordine pubblico: basti pensare al numero delle persone agli arresti domiciliari presenti nel campo che si incastra tra il camposanto monumentale e il campo Coni. Da giorni in città monta polemica sul futuro dell’area e sul possibile progetto, finanziato con soldi dell’Unione Europea che giungerebbero attraverso la Regione, per trasformare radicalmente il campo. Da campo di transito, per quanto di transito, come detto, non lo è mai stato, a un vero e proprio insediamento abitativo permanente con casette in legno a un piano.
Pagate naturalmente con i soldi pubblici: 7-800 mila euro arriverebbero dalla Regione, via Europa; ne servissero di più, ecco che allora ci sarebbe da capire se il Comune dovrà mettere mano al portafoglio. «Il progetto, che vede un qualcosa di simile anche a Pistoia – spiega l’assessore Allocca – nasce all’interno delle linee europee di inclusione delle popolazioni rom, ma non solo di esse. Anche a Lucca stiamo provando a realizzare un campo di accoglienza che non sia destinato esclusivamente alla popolazione rom, che così com’è, ci sono stato nel giugno scorso, è davvero malmesso. Vogliamo provare a realizzare una struttura abitativa che non ghettizzi e che, come detto, non sia solo per i rom. Una struttura del genere, domani, potrà essere a disposizione di altri soggetti in difficoltà. Vanno chiariti comunque gli aspetti urbanistici». Già, il domani potrebbe riservare dunque nuovi arrivi. Per quanto, come confermato dall’assessore Vietina, il progetto, nell’immediato è destinato agli attuali abitanti del campo. Ma se questi, come del resto sta avvenendo progressivamente a causa dei punteggi elevati che raccolgono nelle graduatorie, dovessero risultare assegnatari di appartamenti di edilizia residenziale pubblica? Il loro posto verrebbe preso con ogni probabilità da altri. Questo è quello che in molti temono.
Il campo nominalmente temporaneo, a quel punto, diverrebbe formalmente definitivo, andando ad ospitare altre situazioni di disagio. Un terreno delicato, per certi versi minato. E non a caso sull’argomento anche in alcuni settori della maggioranza si registrano perplessità. Impiegare altro denaro pubblico, perché di questo si tratta a prescindere dalla sua provenienza, dopo tutto quello già impiegato, ultimi i 70 mila euro per il rifacimento delle piazzole e i contatori dell’acqua, fa storcere il naso. Senza considerare che di fatto si rende permanente una struttura che, piaccia o meno, è in qualche modo un coacervo di marginalità. Ma le obiezioni di natura politica non sono le uniche. Anche da un punto di vista urbanistico il progetto non appare dei più semplici. Siamo praticamente nella zona cimiteriale, a un passo dal fiume e nel punto di ingresso di quello che sarebbe il parco fluviale.
I vincoli non paiono così semplici da essere superati. Sicuramente servirebbero delle varianti urbanistiche. Per ora, a Palazzo Orsetti, si stanno limitando a una prima panoramica della situazione, come conferma l’assessore all’Urbanistica Serena Mammini. «Ce ne siamo interessati, al momento, solo in un incontro — spiega — per capire quali potrebbero essere le difficoltà, da un punto di vista urbanistico, derivanti dalla realizzazione di un progetto simile. Serve sicuramente un’analisi accurata».

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discriminazioni istituzionali

divieto ai nomadi

succede ancora in Italia: discriminazioni che periodicamente si ripropongono

Sta facendo parecchio discutere un singolare divieto di sosta presente sul territorio comunale di Fermo. Per l’esattezza a Casabianca, in un’area comunale, a due passi dal centralissimo viale che porta al mare. Cos’è? Un divieto di sosta “ai nomadi” che rischiano, stando al messaggio che arriva dal cartello, la rimozione forzata della vettura.
Chiaramente il messaggio non è rivolto al noto gruppo pop rock che tanti successi ha mietuto nella storia musicale italiana che, anzi, se venisse a soggiornare a Fermo sarebbe certamente benvenuto. No, il messaggio è per i nomadi veri, ovvero per quelle popolazioni che vivono spostandosi da un posto all’altro. Ma attenzione: non ai pastori, ai beduini o ai berberi ma, mettiamola così, agli zingari, ecco! Nessuna multa è stata finora elevata e, a quanto risulta, nemmeno un’auto, una roulotte o un camper sono stati portati via dal carroattrezzi.
Allora a che serve quel cartello? E soprattutto: non rischia di essere discriminatorio? Se non lo è allora il sindaco di Porto Sant’Elpidio Nazareno Franchellucci può mandare una pattuglia dei suoi vigili a Fermo per apprendere le modalità in base alle quali i nomadi possono essere multati, i camperisti “normali” no. Così risolverebbe una volta per tutte l’annoso problema dell’area camper sul lungomare della sua cittadina dove d’estate arrivano, insieme ai camperisti, carovane di zingari e nessuno può dire loro niente perché altrimenti sarebbe discriminatorio. Se funziona potrebbe piazzare un cartello come quello di Casabianca e via. Problema risolto.

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