papa Francesco che parla di ‘lotta’ anche in senso politico

 

Udienza Generale del mercoledì di Papa Francesco

il ‘popolo’ al centro della ‘teologia’ e della ‘politica’ di papa Francesco: “Il popolo è soggetto, la chiesa è il popolo di Dio e l’insieme dei fedeli è infallibile … “

la democrazia è davvero tale se è ‘ad alta intensità’, caratterizzata da una forte partecipazione popolare volta al superamento del ‘divorzio’ tra élite politica e popolo

non teme di usare spesso una parola da noi inusuale in bocca a personalità ecclesiastiche: la parola ‘lotta’

“essere cittadini significa essere convocati per una scelta, chiamati ad una lotta … “, una lotta non solo spirituale (come in genere da noi si pensa possa dire un cardinale o un papa), ma anche sociale, culturale, politica

di seguito una bella puntualizzazione di A. M. Valli:

Quando Bergoglio parlava di lotta

di Aldo Maria Valli
in “Europa” del 9 novembre 2013

In questi primi mesi del pontificato di Francesco abbiamo visto quanto sia importante per papa Bergoglio l’idea di popolo. Partiamo dalla teologia. Ispirandosi alla teología del pueblo (corrente teologica argentina che ha avuto in Lucio Gera e Juan Carlos Scannone, maestro di Bergoglio, i principali rappresentanti), l’attuale pontefice ha messo in primo piano nella riflessione pastorale la religiosità popolare, che qui in Europa è stata invece a lungo denigrata. Nell’intervista alla Civiltà cattolica Francesco dice: «L’immagine della Chiesa che mi piace è quella del santo popolo fedele di Dio […]. L’appartenenza a un popolo ha un forte valore teologico: Dio nella storia della salvezza ha salvato un popolo. Non c’è identità piena senza appartenenza a un popolo». E ancora: «Il popolo è soggetto. E la Chiesa è il popolo di Dio in cammino nella storia, con gioie e dolori […]. E l’insieme dei fedeli è infallibile nel credere, e manifesta questa sua infallibilitas in credendo mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo che cammina». Consapevole di aver espresso un concetto forte, il papa, poco dopo, precisa che bisogna stare bene attenti a non pensare che questa infallibilitas di tutti i credenti sia una forma di populismo. È, piuttosto, una valorizzazione del messaggio del Concilio, ma anche del pensiero di sant’Ignazio, fondatore dei gesuiti. Fu infatti il Concilio a proporre l’idea di Chiesa come popolo, come comunità di tutti i battezzati, senza distinzioni gerarchiche, e fu Ignazio a parlare di Iglesia militante. Quando parla della santità del popolo di Dio, Francesco dice di vederla nella pazienza di tanti uomini e donne che fanno il loro dovere, che servono la vita, che si mettono a disposizione dei più svantaggiati. È stata, dice, «la santità dei miei genitori: di mio papà, di mia mamma, di mia nonna Rosa che ma ha fatto tanto bene». Ma la valorizzazione del popolo, da parte di Bergolio, oltre che sul piano teologico, e quindi pastorale, avviene anche su quello sociale e politico. Lo si vede bene leggendo Noi come cittadini. Noi come popolo, il testo del discorso che l’allora arcivescovo di Buenos Aires tenne il 16 ottobre 2010 per i duecento anni dell’indipendenza argentina e che la Jaca Book opportunamente propone in traduzione italiana (96 pagine, 9 euro) con la prefazione di monsignor Mario Toso, segretario del Pontificio consiglio della giustizia e della pace. Viene fuori qui un Bergoglio sociale la cui idea di democrazia va conosciuta. Il futuro papa si dichiara infatti a favore di una democrazia «ad alta intensità», caratterizzata da una forte partecipazione popolare, e denuncia con decisione il «divorzio», così lo chiama, tra élite politica e popolo, così come la politica che si mette al servizio di interessi particolari e non del bene comune. Il contesto, lo ripetiamo, è quello argentino, ma la riflessione di Bergoglio supera i confini del suo paese natale. Così, quando punta il dito contro la politica asservita a interessi settoriali e individuali e ridotta a strumento di gestione di posti e di spazi, senza capacità progettuale e  senza limiti e contrappesi nei confronti del capitale, è evidente che il messaggio ha una valenza molto ampia e riguarda anche noi. La riflessione sul significato della parola cittadino è particolarmente stimolante. Cittadino, spiega Bergoglio, viene dal latino citatorium. Dunque «il cittadino è il convocato, il chiamato al bene comune, convocato perché si associ in vista del bene comune». Perché ci sia comunità ognuno deve avere un munus, un compito, un obbligo, un impegno nei confronti di sé e degli altri. Sono, queste, categorie messe ormai in secondo piano o del tutto dimenticate, dice Bergoglio, nell’epoca dell’individualismo consumistico, perché oggi il cittadino è più che altro colui che chiede, critica, domanda, esige e, semmai, moraleggia, ma non è più colui che aggrega e si mette in gioco. Da dove ripartire, allora? Occorre valorizzare l’identità, e questa la si recupera con il senso di appartenenza a un popolo in cammino. In questo modo non abbiamo più, da un lato, l’individuo isolato e dall’altro il mucchio indistinto, la massa amorfa, ma abbiamo il popolo, e «popolo è la cittadinanza impegnata, riflessiva, consapevole e unita in vista di un obiettivo o un progetto comune». Contro il particolarismo e la frammentazione, grandi mali delle nostre comunità disgregate, occorre passare dall’essere semplice abitante all’essere cittadino. Nell’idea di cittadinanza c’è la dignità e la responsabilità, ma la cittadinanza deve essere “integrale”: i diritti vanno rispettati sempre. All’interno di questi ragionamenti, Bergoglio utilizza spesso una parola che non siamo abituati a trovare nel vocabolario sociale e politico di un ecclesiastico. È la parola lotta. Ecco un esempio: «Essere cittadini significa essere convocati per una scelta, chiamati a una lotta, a questa lotta di appartenenza a una società e a un popolo. Smettere di essere mucchio, di essere gente massificata, per essere persone, per essere società, per essere popolo. Questo presuppone una lotta». Il concetto ritorna più volte e fa sensazione. I vescovi, di solito, parlano semmai di lotta interiore, di lotta morale, ma la lotta alla quale si riferisce Bergoglio è non solo spirituale: è culturale, sociale e politica. «La lotta – dice Bergoglio – ha due nemici: il menefreghismo, mi lavo le mani di fronte al problema e non faccio niente, ma così non sono cittadino, e la lamentela». Ma nessuna di queste reazioni è cristiana. Il cristiano scende in campo e lotta. Lotta per i diritti umani (ben sapendo che «affermare i diritti umani comporta anche la lotta per cambiare queste strutture ingiuste»), per la giustizia sociale («Dobbiamo recuperare la missione fondamentale dello Stato, che è quella di assicurare la giustizia e un ordine sociale giusto al fine di garantire a ognuno la sua parte di beni comuni, rispettando il principio di sussidiarietà e quello di solidarietà»), per «sradicare la povertà», per la «cultura dell’incontro» che salvaguardi le differenze «convergendo sui valori che garantiscono la dignità della vita umana, l’equità e la libertà». Costola argentina della teologia della liberazione, la teología del pueblo, così importante per la formazione del gesuita Bergoglio, rifiuta la lettura della società in chiave marxista e soprattutto prende le distanze dalla lotta di classe, ma la valorizzazione del ruolo storico e culturale del popolo è netta, così come il richiamo alla lotta in quanto consapevolezza della tensione agonistica che deve caratterizzare la partecipazione del cristiano alla vita sociale.

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una ‘teologia della donna’? cosa dicono le donne

 

margheritissime

riuscirà papa Francesco a parlare della donna in modo soddisfacente e liberante, evangelicamente liberante, non solo per gli uomini, ma proprio anche per le donne stesse?

riuscirà a sviluppare una ‘teologia della donna’ non idilliaca, idealizzante per coprire ancora una volta una incapacità teologica di pensare la donna in modo autenticamente liberante?

le donne pongono domande, anzi sembrano contrarie ad una ‘teologia della donna’ chiedendo esplicitamente una “teologia di uomini e donne insieme” (Megan Fincher e Colleen  Dunne)

nel piccolo collage o report che segue si mettono insieme tre apporti diversi come diversificato materiale di riflessione e approfondimento di questa problematica

L. Sebastiani prende atto che nella Mulieris Dignitatem “sono ufficialmente ripudiati secoli di misoginia ecclesiastica e si parla della donna in termini  di alta positività, fin quasi al lirismo”, ma rileva che restano incertezze da superare tradite da una terminologia fatta di astrattismi e generalizzazioni (‘la donna’, il ‘servizio’, la ‘maternità’ … )

Rita Torti pone delle domande (vere e proprie sfide e proposte) sul rapporto tra uomini e donne a proposito del documento preparatorio del Sinodo sulla famiglia:

Le donne sono contrarie ad una teologia della donna

di Megan Fincher e Colleen Dunne
in “ncronline.org” del 4 novembre 2013

Papa Francesco ha invitato ad una teologia delle donne, ma le donne nella Chiesa sono contrarie, e propense invece ad una teologia dei laici. “Vorrei parlare di una teologia di uomini e donne insieme”, scrive, in una mail a NCR, Helen Alvare, avvocata e teologa. Alvare è stata la portavoce in un recente simposio vaticano in occasione del 25° anniversario della lettera apostolica del 1988 di papa Giovanni Paolo II Mulieris Dignitatem (“sulla dignità e vocazione delle donne”). La Sezione femminile del Pontificio Consiglio per i Laici ha ospitato il simposio nel periodo tra il 10 e il 12 ottobre scorso. Circa 100 donne da 25 paesi, rappresentanti di movimenti laicali e di associazioni ecclesiali, hanno analizzato e discusso la Mulieris Dignitatem. Nel giorno conclusivo, Francesco ha incontrato le partecipanti e le loro famiglie. E ha detto loro: “Mi piace pensare che si dica non “il” chiesa, ma “la” chiesa, al femminile. La chiesa è donna! La chiesa è madre! E questo è bello, eh? Dobbiamo riflettere profondamente su questo”. Ha poi aggiunto: “Da qui, dobbiamo riprendere quel lavoro di approfondimento e promozione (delle donne) per il quale ho espresso più volte la speranza. Anche nella Chiesa è importante chiedersi: quale presenza ha la donna?” Nell’intervista apparsa sulle riviste gesuite in settembre, Francesco diceva: “È necessario ampliare le opportunità per una più forte presenza di donne nella chiesa” e “Dobbiamo lavorare più duramente per sviluppare una profonda teologia della donna”. Al seminario del consiglio pontificio, Francesco ha detto: “Soffro – lo dico sinceramente – quando vedo nella chiesa o in alcune organizzazioni ecclesiali che il ruolo di servizio – che noi tutti abbiamo e dovremmo avere – che il ruolo di servizio delle donne viene ridotto a servitù”. Tuttavia, Francesco ha anche detto: “Sull’ordinazione delle donne, la chiesa ha parlato e ha detto no. Giovanni Paolo II, in una formulazione definitiva, ha detto che la porta è chiusa”. La lettera apostolica Mulieris Dignitatem di Giovanni Paolo II è una delle “formulazioni” citate tra quelle che chiudono la porta all’ordinazione delle donne. In quella lettera, Giovanni Paolo scriveva: “Chiamando solo uomini come suoi apostoli, Cristo ha agito in modo del tutto libero e sovrano. Ciò ha fatto con la stessa libertà con cui, in tutto il suo comportamento, ha messo in rilievo la dignità e la vocazione della donna, senza conformarsi al costume prevalente e alla tradizione sancita anche dalla legislazione del tempo”. La lettera sostiene anche un complementarianismo cristiano di generi, che era stato accolto criticamente in alcuni ambienti della Chiesa a quel tempo. Le parole di Francesco, quindi, hanno lasciato molte donne che lavorano in  ruoli diversi a servizio della Chiesa con la curiosità di sapere ciò che egli intenda. “Continuiamo a parlare delle donne come se fossero appena state inventate”, ha detto l’americana Vicki Thorn, che partecipava al seminario. “Se leggete la storia sembra che le donne non abbiano fatto un accidente. Le donne nella chiesa sono state educatrici, hanno diretto ospedali, hanno consigliato papi, ecc.” Thorn è la fondatrice del Ministry Project Rachel post-aborto. Ha espresso la sua opposizione ad una teologia che riguardasse solo le donne, proprio come anche altre hanno detto a NCR. “Personalmente, non capisco perché ci debba essere una teologia delle donne, che comunque non deve certamente essere una teologia scritta da uomini”, ha comunicato per mail Marti Jewell della School of Ministry dell’università di Dallas. “Di una teologia degli uomini non si parla. Siamo tutti discepoli in virtù del battesimo”. Francesco ha elogiato la Mulieris Dignitatem per la sua “riflessione organica profonda, con una solida base antropologica illuminata dalla rivelazione”, e ha detto che il documento era un punto di partenza per ulteriori studi e sforzi di “promozione” delle donne.
Alvare ha detto: “Forse [Francesco] vuol richiamare l’attenzione su un tema che è emerso più volte nel seminario sulla Mulieris Dignitatem – la necessità di considerare che cosa le donne e gli uomini potrebbero fare insieme fuori casa in maniera complementare”. E ha proseguito affermando che è ora di superare la sfiducia relativa al genere, pensando a quanto viene creato in più, non solo in famiglia, ma ovunque, quando uomini e donne collaborano”. Ana Cristina Villa Betancourt, capo della Sezione femminile del Pontificio Consiglio per i Laici, dice che Francesco ha detto al seminario che “Mulieris Dignitatem è un punto di partenza”. Aggiunge che alcuni teologi non hanno preso la lettera di Giovanni Paolo abbastanza seriamente e ha suggerito: “Forse dovremmo tutti cominciare con il rileggerla senza pregiudizi”. La maternità è un argomento chiave di Mulieris Dignitatem, e Francesco ha riaffermato questa vocazione parlando alle partecipanti al seminario. “Molte cose possono cambiare ed essere cambiate nella nostra evoluzione culturale e sociale”, ha detto Francesco, secondo Radio vaticana. “Ma rimane il fatto che è la donna che rimane incinta, che porta nell’utero e partorisce i figli degli uomini”. Riferendosi a questa citazione, Villa Betancourt ha detto: “Penso che le donne che lo dimenticano o che tentano di accantonare questo fatto come non significativo, finiscono per non sostenere pienamente la causa delle donne”. “Quando papa Francesco mette in rilievo la maternità come una chiave per la comprensione della vocazione delle donne, non pensa solo a madri che danno la vita fisicamente”, ha spiegato. “Pensa ad una espressione più profonda di vocazione femminile… che è presente in donne consacrate, religiose, single, sposate anche senza figli, in ogni donna!” Thorn esprime il suo accordo dicendo: “Guardate Madre Teresa – era una madre spirituale. Posso dare la vita essendo insegnante, infermiera, lavoratrice sociale”. Zeni Fox, professoressa di teologia all’università Seton Hall a South Orange, N.J., è cauta nel definire le donne solo attraverso il ruolo di madre. “Penso che la maternità debba certo essere debitamente lodata”, ha detto Fox, che è membro della commissione direttiva di NCR. “Ma penso che sia solo una parte di ciò che noi facciamo come donne, specialmente tenendo conto del fatto che ci sono molte donne che non sono mai state sposate e che non hanno figli. La maternità è solo una parte della femminilità”. Jewell ha espresso la speranza che Francesco non sottovaluti ciò che le donne possono offrire alla chiesa al di là dei ruoli vocazionali tradizionali. “Starei attenta a non esagerare nell’equazione dei doni femminili tanto nella maternità quanto nella verginità”, ha scritto Jewell in una mail a NCR. Indicando entrambi i doni come bellissime condizioni di vita, ha detto di sperare “che l’analisi prosegua, tuttavia, nella ricerca di doni intellettuali, spirituali e pastorali che le donne possono ugualmente offrire”. Ha anche ricordato che Francesco ha invitato “sia uomini che donne a considerare qualsiasi cosa condizioni le loro attese sul ruolo delle donne nel ministero e nella leadership, e trovare modi in cui possiamo aprirci all’invito dello Spirito per animare i doni di tutti i battezzati”. Quella di Mulieris Dignitatem “è una teologia che accentua il ruolo della donna come moglie e madre, ma a me sembra, quando leggo le osservazioni di Francesco del 12 ottobre, che lui stia realmente aprendo la porta per andare oltre questo”, ha detto Sheila Garcia, precedente direttore associato del Segretariato Laici, Matrimonio, Vita di Famiglia e Giovani per la conferenza episcopale cattolica USA. “Quei ruoli sono importanti, ma abbiamo davvero bisogno di guardare alle donne in maniera più olistica. Le donne hanno altri doni e talenti grazie ai quali possono offrire il loro contributo”. Villa Betancourt ha detto che pensa che Francesco “voglia seriamente contare sulle donne ed è anche convinto di poterlo fare con donne che non sono un’imitazione di uomini; lo intende piuttosto come una collaborazione”. Alvare è d’accordo: “La mia impressione maggiore relativamente alle osservazioni di Francesco è che voglia vedere le donne in posizioni di reale leadership nella chiesa o in effettiva collaborazione con gli uomini”. “Penso che la chiesa potrebbe ottenere maggior beneficio non solo dalla crescente competenza e know-how delle donne…  ma anche nell’acquisire entrambe le prospettive, quella maschile e quella
femminile… lì dove ora non ci sono donne, o ce ne sono poche”, ha detto Alvare. Garcia ha detto di sperare che Francesco “si impegni veramente nel considerare come le donne possano esercitare un’autorità decisionale nella chiesa”. “Occorre fare dei passi intermedi per portare le donne ad una partecipazione nella chiesa, e non si può cominciare con l’ottenere l’ordinazione”, ha spiegato. “Personalmente, penso che abbiamo bisogno di analizzare ciò che possiamo fare ora e non perdere opportunità che stanno proprio davanti a noi”. Esprimendo l’accordo sul fatto che cambiamenti importanti avranno bisogno di tempo, Fox ha detto: “Dobbiamo costruire adagio e non perderci di coraggio”.

bel giglio

 

Due papi e “la” donna

di Lilia Sebastiani
in “Rocca” del 1 novembre 2013

Sabato 12 ottobre i partecipanti al Seminario di studio promosso dal Consiglio pontificio per i Laici sul tema «Dio affida l’essere umano alla donna» (nel XXV anniversario della Lettera apostolica Mulieris Dignitatem di Giovanni Paolo II) sono stati ricevuti in udienza da papa Francesco nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico. Un’udienza, come ha rilevato scherzosamente lo stesso papa, «contro il regolamento, perché non era previsto questo incontro». Anche in questo si può ritrovare dunque la simpatica informalità che dell’attuale papa costituisce senza dubbio uno degli aspetti non solo più gradevoli, ma anche più promettenti e profetici; e nello stesso tempo la volontà di ribadire la sua visione del femminile su cui si è già espresso più volte nei primi sei mesi del suo ministero, sia pure con accenni rapidi e occasionali come in questo caso: l’allocuzione è stata breve, di tono molto spontaneo e anche, sembra, condotta almeno per gran parte ‘a braccio’.

alla donna attraverso la Madonna

La Mulieris Dignitatem fu pubblicata da Giovanni Paolo II il 15 agosto 1988, e si inquadra molto esplicitamente nel contesto del precedente anno mariano 1987 e all’enciclica Redemptoris Mater. Presenta dunque un’intenzionale fisionomia mariana e mariologica, che a suo tempo venne letta da alcuni commentatori come una ricchezza, da altri piuttosto come un vincolo, ma costituisce in ogni caso un’indispensabile chiave di lettura per la comprensione del documento. Come ha sottolineato anche papa Francesco nella sua allocuzione, si tratta del primo documento magisteriale interamente dedicato alla donna e alla sua missione. In effetti è fondamentale perché per la prima volta sono ufficialmente ripudiati secoli di misoginia ecclesiastica e si parla della donna in termini di alta positività, fin quasi al lirismo in certi punti. Inoltre è particolarmente apprezzabile la parte biblica, in cui sono riprese anche intuizioni avanzate dalla ricerca teologica delle donne (peraltro mai nominata), e in genere l’ideale della reciprocità, della relazionalità mutua nel rapporto donna-uomo, in cui si riflette la stessa relazionalità di Dio. Su Maria vertono in particolare i nn. 2-5 della Mulieris Dignitatem, anche se i richiami a lei sono innumerevoli in tutto il resto. L’idea teologica di fondo nell’enciclica è infatti che la donna – anzi, la Donna – si trova al centro dell’evento di salvezza. «L’invio (del) Figlio, consostanziale al padre, come uomo ‘nato da donna’, costituisce il culminante e definitivo punto dell’autorivelazione di Dio all’umanità. Questa auto-rivelazione possiede un carattere salvifico (…). La donna si trova al cuore di questo evento salvifico» (n. 3) e la pienezza del tempo manifesta la straordinaria dignità, anzi costituisce «l’archetipo della personale dignità della donna» (n. 5). In questo caso, certo, la donna rappresenta tutto intero il genere umano, formato da uomini e donne. «D’altra parte, però», aggiungeva Giovanni Paolo II, «l’evento di Nazareth mette in rilievo una forma di unione col Dio vivo che può appartenere solo alla ‘donna’, Maria: l’unione tra madre e figlio» (n. 4). Viene anche avanzata un’osservazione rilevante su Maria come soggetto nell’evento, dunque sul ruolo della soggettualità femminile nella stessa opera di salvezza. L’enciclica sembra accentuare di preferenza la tradizionale lettura ancillare di Maria rispetto a quella discepolare, a causa delle sue valenze simboliche. Proprio l’espressione «serva del Signore» consente di stabilire un parallelo con Gesù ‘venuto per servire’ e quindi sottolinea l’unione della Madre con il Figlio. Questo, che consente di riaffermare la centralità del servizio nella vocazione dell’uomo e della donna, è però uno dei nodi problematici dell’enciclica: la tendenza almeno implicita a porre in parallelo il rapporto uomo-donna e quello Cristo-Maria. E vi è un altro limite che vorremmo sottolineare, perché non estraneo neanche a papa Francesco, almeno come uso linguistico: l’uso di parlare ancora de «la donna» (che non esiste, è solo un’astrazione simbolica su cui gli uomini proiettano il meglio e il peggio delle loro fantasie!) anziché delle donne, storiche e concrete e tutte diverse l’una dall’altra.

donne servizio e … servidumbre

Papa Francesco appare consapevole dell’emarginazione strumentalizzante che troppo spesso è stata attuata nei confronti delle donne, nella/nelle società e nella chiesa, anche attraverso un uso perverso dell’ideale del servizio. Allora è tornato a sottolineare due cose, forse non per tutti ovvie, delle quali gli siamo riconoscenti. La prima è che al servizio siamo chiamati tutti, uomini e donne. La seconda, che il servizio non dev’essere confuso con la ‘servitù’, nelle sue varie forme. Parlando a braccio, il Papa non ha trovato qui la parola italiana giusta e ha usato quella spagnola: servidumbre. «Anche nella Chiesa è importante chiedersi: quale presenza ha la donna? Io soffro – dico la verità – quando vedo nella Chiesa o in alcune organizzazioni ecclesiali che il ruolo di servizio – che tutti noi abbiamo e dobbiamo avere – che il ruolo di servizio della donna scivola verso un ruolo di servidumbre. Non so se si dice così in italiano. Mi capite? Servizio. Quando io vedo donne che fanno cose di servidumbre, è che non si capisce bene quello che deve fare una donna». Sì, il servizio è l’agire più alto in una prospettiva davvero umana e cristiana, ma richiede persone almeno tendenzialmente libere, intere, e al servizio non si può pervenire se non ci si affranca dalla servitù. Da ogni servitù: e servitù nella vita di una donna può essere anche l’errata priorità conferita a servizi e doveri che, quantunque spesso dettati dall’amore, impediscono di evolversi, di pensare, di studiare, di sviluppare i propri talenti per porli al servizio della comunità umana; servitù è ogni forma di appartenenza cieca (a un uomo, a un gruppo familiare, perfino a un gruppo ecclesiale totalizzante…) che toglie libertà e autonomia; servitù è ogni forma di dipendenza passiva dalla parola e dalle direttive degli uomini di chiesa. Servitù, infine (e qui ci riconnettiamo a un’osservazione avanzata da papa Francesco nel passaggio che riguarda la maternità) potrebbe essere perfino l’ansia di affermarsi a qualsiasi costo, in contesti che ancora sono prevalentemente occupati e diretti da uomini, rinunciando al proprio modo di essere e assumendo i tratti peggiori del maschile…, quelli che in verità anche ogni uomo intelligente e libero e pienamente ‘umano’ dovrebbe evitare a ogni costo  la donna chiamata alla maternità Papa Francesco legge dunque l’affidamento privilegiato del genere umano alla donna di cui si parla al n. 30 dell’enciclica (e su cui verteva il Seminario di approfondimento organizzato dal Consiglio per i Laici) come chiamata fondamentale, ontologica alla maternità – idea che nella Mulieris Dignitatem era forse presente, ma non asserita a chiare lettere. «Avete approfondito in particolare quel punto dove si dice che Dio affida in un modo speciale l’uomo, l’essere umano, alla donna… Che cosa significa questo «speciale affidamento», speciale affidamento dell’essere umano alla donna? Mi pare evidente che il mio Predecessore si riferisca alla maternità. Tante cose possono cambiare e sono cambiate nell’evoluzione culturale e sociale, ma rimane il fatto che è la donna che concepisce, porta in grembo e partorisce i figli degli uomini. E questo non è semplicemente un dato biologico, ma comporta una ricchezza di implicazioni sia per la donna stessa, per il suo modo di essere, sia per le sue relazioni, per il modo di porsi rispetto alla vita umana e alla vita in genere. Chiamando la donna alla maternità, Dio le ha affidato in una maniera del tutto speciale l’essere umano». È senza dubbio la frase centrale nell’allocuzione del papa. Questa idea della chiamata alla maternità come specifico femminile può essere rischiosissima, evidentemente, anche al di là o al contrario delle intenzioni di chi parla. Perché la maternità in senso stretto è una `funzione’: certo essenziale e nobilissima, legata alle scelte più intime e personali, ma funzione comunque; e non sembra di poter definire una persona, nell’infinito del suo mistero e nell’infinita varietà delle sue scelte possibili, a partire da una funzione. Non tutte le donne la vivono nel concreto dell’esistenza – alcune per scelta, alcune no -, e diventa quasi inevitabile, nell’orizzonte di questa visione, che non vivere anche concretamente, fisicamente la maternità significhi essere meno pienamente realizzate. Se d’altra parte ci si riferisce alla maternità in senso spirituale, o se esaltando la maternità ci si riferisce a valori e atteggiamenti quali il ‘prendersi cura’, la tenerezza e la misericordia, tanto cari a papa Francesco (il quale infatti poco oltre dice anche: «Vorrei sottolineare come la donna abbia una sensibilità particolare per le ‘cose di Dio’, soprattutto nell’aiutarci a comprendere la misericordia, la  tenerezza e l’amore che Dio ha per noi»), diventa riduttivo riferirli in modo privilegiato alla metà femminile del genere umano: rappresentano il vertice di ogni esistenza vissuta e donata secondo una logica di amore, e dunque riguardano gli uomini allo stesso modo delle donne. Ancora papa Francesco ha sottolineato due estremi opposti che mortificano la donna e la sua vocazione: il primo, quello di ridurre la maternità a un molo sociale che impedisce alla donna di collaborare veramente alla costruzione della comunità, il secondo quello di realizzare un’emancipazione che tolga alla donna i tratti preziosi del femminile.

la chiesa è donna?

E qui papa Francesco, nella spontaneità del suo discorso, ha fatto anche un’aggiunta sorprendente, in cui desume la ‘femminilità’ della Chiesa dal genere grammaticale del nome: «A me piace anche pensare che la Chiesa non è ‘il’ Chiesa, è ‘la’ Chiesa. La Chiesa è donna, è madre, e questo è bello. Dovete pensare e approfondire su questo». L’idea non è nuova: riflette il simbolismo della Chiesa- Sposa che lo stesso Paolo introduce, ma non ‘inventa’, poiché è un’applicazione alla nuova realtà dell’immagine veterotestamentaria del Signore come Sposo del suo popolo. E in questa chiesa simbolicamente più femminile che maschile, le donne di fatto che ruolo hanno? Rispondiamo noi: un ruolo limitato, troppo limitato, anche se predominano nell”utenza’ ecclesiale (fatto che semmai rende più esplosiva la contraddizione). Il Papa ha detto che bisogna valutare attentamente il ruolo attuale della donna nella Chiesa, per valorizzarlo di più. E propone di ripartire dal solido fondamento antropologico offerto dalla Mulieris Dignitatem per portare avanti questa riflessione. Servizio! Siamo d’accordo. Il servizio è il vertice dell’esistenza cristiana – anzi dell’esistenza umana, in una logica redenta. Può diventare una trappola spirituale grave (e tante esistenze femminili ne sono state rovinate, spietatamente represse nel loro genio, e nei loro più nobili sogni che non hanno mai potuto farsi progetto, e negli aspetti più alti e originali della loro vita di fede) quando viene riferito unilateralmente alle donne, magari usando a questo proposito `ingredienti’ mistico- mariologici. Servizio: il servizio è anche ministero. Non è più possibile cambiar discorso quando si arriva al nocciolo ineliminabile del problema. Finché persisterà il problema dell’esclusione delle donne, solo in base al loro sesso, dai ministeri ordinati e quindi, inevitabilmente, da ogni funzione di governo e di magistero nella chiesa, le donne nella chiesa saranno discriminate e pochissimo influenti anche quando sono ‘importanti’ per qualche ragione. Saranno ignorabili. Non temiamo di affermare che il persistere dell’esclusione delle donne – per la sua natura di indice di autenticità, che non è affatto un problema teorico, e perché un numero crescente di donne, in molti casi delle migliori fra loro, si sta allontanando – può influire negativamente sul futuro della chiesa cattolica, e in misura assai maggiore di quanto possa sembrare a prima vista: non si tratta di un problema circoscritto. Finché sussisterà questa contraddizione di fondo, ‘scandalosa’ oggi (nel senso etimologico) come certo non era in altre epoche, i pur positivi e convinti, ma generici e indolori riconoscimenti che si trovano nella Mulieris Dignitatem e altrove in ordine alla pari dignità, al genio e alla missione della donna non possono che suonare evasivi. Quello che riguarda il ruolo ecclesiale delle donne è stato un limite notevole degli ultimi due pontificati: vorremmo con tutto il cuore che non lo fosse per questo. Perché tutti i cristiani cattolici che hanno sofferto in questi anni, amando la Chiesa, e sentendosi Chiesa, e volendola più trasparente e fedele all’esempio del suo Fondatore, guardano oggi a papa Francesco non solo con grande simpatia, ma anche con grande speranza. Con una speranza esigente.

fiorito

 

Documento preparatorio del Sinodo sulla famiglia: qualche domanda sul rapporto tra uomini e donne

di Rita Torti
in “www.teologhe.org” del 8 novembre 2013

Sulle caratteristiche e sulle importanti implicazioni del Documento preparatorio alla III Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei Vescovi, reso pubblico in questi giorni, molto è già stato scritto. Tuttavia alcuni aspetti rimasti per il momento in ombra suscitano interrogativi che credo valga la pena di condividere, raccogliendo così anche l’invito contenuto nell’ultima domanda del Questionario allegato al testo introduttivo: “Ci sono altre sfide e proposte riguardo ai temi trattati in questo questionario, avvertite come urgenti o utili da parte dei destinatari?”. 1) Un primo dato che balza agli occhi è che nell’elenco delle “numerose nuove situazioni che richiedono l’attenzione e l’impegno pastorale della Chiesa” sono contemplati fenomeni di vario tipo – dai matrimoni misti alle famiglie monoparentali, dai fenomeni migratori ai messaggi dei mass media, dalle legislazioni civili alle madri surrogate –; a dire il vero alcuni di essi non rientrano propriamente nella categoria della “novità” (ad esempio la poligamia o i matrimoni combinati – questi ultimi abbondantemente conosciuti anche dalle società europee). Manca però qualunque accenno, nel testo e nel Questionario, a un fenomeno drammatico, documentato e diffuso in modo trasversale nei diversi contesti geografici, culturali e sociali: quello della violenza di genere (fisica, sessuale, economica…) all’interno delle famiglie. La domanda che ci si può porre è allora questa: come mai a parere degli estensori del documento la violenza maschile nei confronti delle donne non è un problema da mettere in luce, da indagare e da evangelizzare? E’ improbabile che in un testo così ufficiale e importante l’assenza sia casuale. Tuttavia sarà utile ricordare che questa mancanza può aggravare la situazione di milioni di donne – spose, ma anche figlie – di ogni parte del mondo, che a questo punto non solo subiscono violenze all’interno della famiglia, ma si trovano ad essere anche invisibili agli occhi dei pastori della Chiesa. 2) Il silenzio su questa ferita endemica delle relazioni familiari è rafforzato, sempre nell’elenco delle situazioni che richiedono “attenzione e impegno pastorale”, da un’altra scelta: quella di segnalare esplicitamente la presenza di “forme di femminismo ostile alla Chiesa”, e di ignorare invece la presenza – certamente più concreta, diffusa e radicata, anche in contesti cattolici – di mentalità e prassi maschiliste. Anche in questo caso, in molte donne – e auspicabilmente in altrettanti uomini – può sorgere una domanda: davvero il maschilismo nelle sue varie declinazioni non è un problema per le relazioni familiari, e per le donne e gli uomini che ne sperimentano gli effetti? Davvero è un fatto che non suscita alcun interesse nei pastori della Chiesa, e su cui essi non ritengono quindi di dover sollecitare esplicitamente la riflessione delle comunità cristiane?. 3) Passando alla parte del Documento in cui si illustra “la buona novella dell’amore divino” che “va proclamata a quanti vivono questa fondamentale esperienza umana personale, di coppia e di comunione aperta al dono dei figli, che è la comunità familiare”, un altro interrogativo sorge nel seguire quelli che il testo definisce “riferimenti essenziali” delle fonti bibliche su matrimonio e famiglia. Dopo alcuni rimandi a passi della Scrittura che mostrano l’importanza attribuita al matrimonio, all’amore e all’indissolubilità del legame coniugale, il paragrafo intitolato “L’insegnamento della Chiesa sulla famiglia” si apre con questa enunciazione: “Anche nella comunità cristiana primitiva la famiglia apparve come la ‘Chiesa domestica’ (cf. CCC,1655). Nei cosiddetti “codici familiari” delle Lettere apostoliche neotestamentarie, la grande famiglia del mondo antico è identificata come il luogo della solidarietà più profonda tra mogli e mariti, tra genitori e figli, tra ricchi e poveri”. Che gli autori delle Lettere apostoliche considerassero con tanta ammirazione la “famiglia del mondo antico” è affermazione che probabilmente la maggior parte dei biblisti non sottoscriverebbe, anche volendo mettere tra parentesi le notevoli differenze che correvano tra il mondo greco e il  mondo romano in questo ambito del vivere. Ma più immediata e alla portata di tutti è un’altra riflessione: in che senso si può definire “luogo della solidarietà più profonda tra mogli e mariti” la realtà che il Documento preparatorio illustra ad esempio con il rimando alla Prima lettera a Timoteo (2,8-15), che ordina fra l’altro: “La donna impari in silenzio con ogni sottomissione. Poiché non permetto alla donna d’insegnare, né di usare autorità sul marito, ma stia in silenzio. Infatti Adamo fu formato per primo, e poi Eva; e Adamo non fu sedotto; ma la donna, essendo stata sedotta, cadde in trasgressione; tuttavia sarà salvata partorendo figli, se persevererà nella fede, nell’amore e nella santificazione con modestia”?. Quindi, l’ultima domanda: in che modo questo e gli altri testi a cui il Documento rimanda (appunto, i famosi/famigerati codici domestici) possono comunicare la buona novella alle famiglie di oggi? Sarà veramente opportuno portare come esempio di famiglia evangelica brani che per secoli sono stati usati dalla teologia, dalla predicazione e dagli uomini comuni per rafforzare con il sigillo divino quella che era considerata la legge naturale della superiorità maschile e inferiorità femminile?1 Davvero siamo sicuri che nessuno se ne approfitterà per legittimarsi padrone, e davvero siamo sicuri che nessuna penserà che allora subire è cosa buona e giusta? Le esperienze che si registrano in ogni parte del mondo – e che gli estensori del Documento certo non ignorano – sembrano dirci che no, non possiamo essere sicuri.

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