il contratto coi sinti per poter … esistere!

Pulizia, bimbi a scuola, cani vaccinati e niente roghi o schiamazzi. Il contratto stipulato tra il Comune e i nomadi

La prima pagina dello 'schema del contratto'

così  Silvia Senette ricostruisce il ‘contratto’ tra il Comune di Lucca e i sinti che da sempre sono a Lucca:

LUCCA, 28 agosto

Nella conversazione avvenuta ieri e riportata nell’articolo sull’inaugurazione dei contatori singoli al campo nomadi di via delle Tagliate, il dirigente del servizio alle politiche sociali del Comune di Lucca, Graziano Angeli, aveva riferito di un precedente importante nei rapporti tra la pubblica amministrazione locale e gli ospiti ormai stanziali su suolo pubblico lucchese.

“Il primo passo”, ci aveva raccontato Angeli, “era stato, lo scorso novembre, l’introduzione di una contribuzione forfettaria mensile di cinque euro a testa per ciascuno degli ospiti residenti, minori inclusi, e la sottoscrizione di un contratto condiviso per il rispetto di poche ma fondamentali norme di comportamento”. Una serie di regole e punti fermi destinati a cambiare gli assetti della permanenza della comunità rom e sinti e a migliorare l’integrazione con i regolari contribuenti.

E il decisivo passaggio alle utenze singole e regolarmente saldate dai consumatori era già incluso nel documento sottoposto ai nomadi dal Comune e sottoscritto dai titolari di ciascuna delle 23 piazzole data in usufrutto per la durata di un anno. Il contratto, datato ottobre 2012, è intitolato “atto di autorizzazione alla permanenza temporanea sull’area di via delle Tagliate e concessione provvisoria di uso della piazzola” e a farsi garante per l’amministrazione civica è lo stesso dirigente del servizio.

Presso la sede comunale di via S.Giustina, Angeli ha incontrato i capofamiglia a cui sono stati illustrati punto per punto i contenuti del contratto, anticipati dalla seguente premessa: “Sull’area di via delle Tagliate, fin dagli anni novanta, sono stati realizzati – anche con specifici contributi della Regione Toscana – manufatti ad uso comune per consentire temporaneamente l’ospitalità di roulotte, camper e case mobili di nuclei familiari formati prevalentemente da rom e sinti, nell’ambito di piazzole appositamente delimitate; i nuclei ospitati sono stati individuati, nel tempo, con ordinanza del sindaco, periodicamente rinnovata sulla base delle indicazioni del servizio sociale”.

Chiarito e sanato il pregresso, il documento entra nel vivo esplicitando che, archiviando quanto è stato, da ora “si rende necessario convenire impegni diretti tra il Comune e ciascuno dei nuclei familiari che si trovino ad essere ospiti dell’area”. Da qui in poi, il contratto enuncia gli otto articoli fondamentali destinati a regolare i rapporti tra le parti. Il primo e l’ultimo, come espressamente citato in calce al documento, racchiudono i fondamenti imprescindibili dell’accoglienza.

“Articolo 1: entro il 30 novembre 2013 il servizio sociale verificherà il permanere delle condizioni che hanno determinato l’autorizzazione iniziale allo scopo di poter valutare la conferma dell’ospitalità sull’area anche per l’anno successivo, tenendo conto – in particolare – dell’impegno profuso dagli adulti e dai minori che abbiano assolto l’obbligo scolastico nella ricerca di un’occupazione o in un percorso di formazione professionale e, comunque, del positivo inserimento nel contesto della città oltre che del rispetto delle condizioni che regolano la permanenza e le corrette modalità di utilizzazione dell’area e della piazzola”.

Vale a dire che, se si vuole sperare in un rinnovo della concessione, c’è tempo un anno (ormai manca un solo trimestre) per dimostrare di essersi dati da fare – i grandi sul fronte occupazionale, i piccoli su quello scolastico – e di aver rispettato l’area assegnata. Il concetto di “rispetto” viene chiarito nei sei punti successivi: “auto e furgoni devono essere parcheggiati al di fuori del campo”, il transito è consentito “solo per carico e scarico, e comunque a velocità inferiore a 30 km orari”, ogni nucleo familiare è responsabile della piazzola e deve “provvedere alla cura, alla pulizia ed alla buona manutenzione della stessa, eseguendo a proprie spese eventuali riparazioni per i danni causati”,  i componenti del nucleo familiare devono “obbligatoriamente comunicare al dirigente del settore politiche sociali eventuali periodi di allontanamento”, si possono ospitare persone estranee al campo, purché “in regola con la vigente legislazione italiana” e per un tempo massimo di 30 giorni, comunicando i nominativi “tempestivamente al dirigente”.

Infine, ciascun firmatario si è impegnato nero su bianco a “garantire la frequenza a scuola dei figli sottoposti all’obbligo scolastico”, “tenere i cani vaccinati e iscritti all’anagrafe canina”, “non accumulare rifiuti negli spazi comuni dell’area”, “non custodire più di due bombole di gas piene per ogni roulotte”, “non accendere fuochi”, “non costruire tettoie o strutture abitative o ricreative”, “non danneggiare le strutture né manomettere gli impianti di servizio” e “non effettuare schiamazzi o rumori molesti, in particolare nella fascia oraria 24-6”.

L’articolo 4 è il più sintetico ma anche il più chiaro ed è il presupposto che ha portato ieri Geal ad attivare i contatori singoli per l’addebito del flusso idrico: “Il nucleo familiare si fa carico dei consumi di acqua ed elettricità”.

A chiudere l’asettico documento, il decisivo articolo 8: “In caso di mancato rispetto delle regole di cui alla presente scrittura, il nucleo familiare verrà formalmente richiamato a ripristinare le condizioni in un termine non superiore ai trenta giorni. In ogni caso, qualora, nei termini del richiamo, non siano ripristinate le condizioni relative agli impegni assunti, la presente scrittura privata sarà immediatamente ed unilateralmente risolta da parte della amministrazione comunale con conseguente decadenza della autorizzazione alla permanenza nell’area e della concessione della piazzola”.

Un contratto chiaro, inequivocabile e ricco di prescrizioni e clausole precise, in grado di contemplare nelle cinque pagine di scrittura ogni possibile infrazione o situazione si possa presentare, anticipando effetti e decisioni in capo a Palazzo Orsetti. Ciò nonostante nessuno dei 23 capofamiglia ha battuto ciglio e, ben consapevole del fatto che la concessione delle piazzole è tutto tranne che atto dovuto, gli ospiti del campo di via delle Tagliate hanno sottoscritto il documento impegnandosi per sé e per i propri familiari al rispetto delle regole di convivenza.

Regole che, a quanto ci risulta, nei nove mesi appena trascorsi non hanno visto deroghe o infrazioni clamorose. Neppure quando, ieri, sono stati installati i contatori singoli per la lettura dei consumi di acqua.

Silvia Senette

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in memoria di don Baroni

Due eventi per ricordare don Franco Baroni, il cappellano dei nomadi e dei giostrai

don Franco Baroni e Papa Wojtyla

traggo dal sito ‘lo Schermo’ questo programma celebrativo di don Baroni a circa trenta anni dalla morte:

 Giovedì 16 gennaio 2014, alle ore 9, a Segromigno in Monte, paese natale di don Franco Baroni, in località Piaggiori di fronte alla scuola primaria, sarà intitolato uno spazio pubblico al sacerdote che fu cappellano nazionale dei nomadi, dei giostrai e dei circensi ai tempi dell’OASNI e fino alla sua morte avvenuta a Lucca, in ospedale, nel maggio 1985. Don Franco Baroni era nato a Piaggiori il 16 gennaio 1934. La targa, realizzata dal Comune di Capannori, sarà scoperta da Piera Baroni, sorella di don Franco. In programma una cerimonia aperta dai saluti del sindaco di Capannori Giorgio Del Ghingaro, del vicario generale della Diocesi Michelangelo Giannotti, del presidente della Provincia Stefano Baccelli, del governatore della Regione Toscana Enrico Rossi, del presidente del Centro Nazionale per il Volontariato onorevole Edoardo Patrianca, del vice presidente vicario del Cesvot regionale, Andrea Bicocchi.
Seguiranno gli interventi del presidente dell’Associazione «Don Franco Baroni» onlus, Paolo Mandoli, che ricorderà don Franco come maestro di «accoglienza, solidarietà e amore» e di monsignor Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes che parlerà su: «Sinti, Rom, immigrati: 40 anni di storia».
Una seconda parte della giornata di commemorazione è in programma dalle ore 12 a Lucca in piazzale Don Franco Baroni, ovvero nell’area lungo via delle Tagliate che ospita circhi e luna park.
Anche in questo caso ci saranno alcuni saluti introduttivi: del sindaco di Lucca Alessandro Tambellini, del vicario generale della Diocesi Michelangelo Giannotti, del presidente della Provincia Stefano Baccelli, del governatore Enrico Rossi, del vice presidente vicario del Cesvot Andrea Bicocchi. Poi il presidente del Centro nazionale per il volontariato, onorevole Edoardo Patriarca, parlerà del rapporto fra don Franco Baroni e l’onorevole Maria Eletta Martini, mentre la vice sindaco Ilaria Vietina tratterà il tema: «Né stranieri né ospiti ma concittadini».

Infine si svolgerà un pranzo sotto l’etichetta «Siamo tutti fratelli», slogan che riprende il titolo dello spettacolo per bambini che venne organizzato da don Franco Baroni il 5 e 6 settembre 1981 in cortile degli Svizzeri. Tale pranzo, con ingresso a invito, è aperto alla partecipazione di giostrai, circensi e nomadi dei campi lucchesi, e sarà servito dai volontari nella tenda della Protezione civile della Croce Rossa Italiana, con menù personalizzato nel rispetto delle varie culture e tradizioni gastronomiche.
I due appuntamenti hanno il sostegno e il patrocinio del Comune di Capannori, del Comune di Lucca, della Provincia di Lucca, della Regione Toscana, dell’Arcidiocesi di Lucca, della Fondazione Migrantes che è l’organismo pastorale collegato alla Conferenza Episcopale Italiana che è finalizzato alla cura della pastorale delle migrazioni e della mobilità. A promuovere questo doppio incontro è stata l’Associazione «Don Franco Baroni» onlus.

La Redazione @loschermo

vedi anche: celebrazioni di don Baroni

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il contributo dei gay inglesi al sinodo sulla famiglia

due omo

 

IL CONTRIBUTO DEI CATTOLICI LGBT INGLESI AL SINODO

LA CONDIZIONE GAY NON È “DISORDINATA”

 Vita parrocchiale, linguaggio ecclesiale offensivo, necessità di dialogo e riconciliazione, tenacia nel proprio cammino: sono le quattro aree di riflessione proposte dal più influente gruppo di cattolici lgbt inglese, l’lgbt Catholics Westminster Pastoral Council, alla Conferenza episcopale d’Inghilterra e Galles, nel quadro delle risposte al questionario inviato dal Vaticano ai vescovi di tutto il mondo in vista del prossimo Sinodo sulla Famiglia, in programma per il prossimo autunno (v. Adista Notizie nn. 40, 42, 43, 46/13; 1/14). Il rapporto del gruppo – noto un tempo come Soho Masses Pastoral Council per via delle messe inclusive del mondo lgbt che ogni quindici giorni avevano luogo nel quartiere di Soho, mentre ora sono state spostate a Mayfair – è stato inviato appena prima di Natale a Elizabeth Davies, responsabile del Marriage and Family Life Project della Conferenza episcopale. «Nella stragrande maggioranza delle parrocchie cattoliche del Regno Unito – si legge nel rapporto – non c’è una cura pastorale delle persone lgbt», né la percezione delle loro esigenze in quanto gruppo, mentre esiste un’attenzione pastorale «ai vari gruppi linguistici o etnici, alla giustizia e alla pace» e così via: «Tutto lodevole», ma resta il fatto che la realtà dei cattolici omosessuali, bisessuali o trans gender è largamente sconosciuta quando non esclusa, come nel caso di «pronunciamenti distanti e gerarchici che trattano le persone lgbt come se non fossero parte della comunità di fedeli». Ciò è il risultato, si legge nel documento, del «timore di riconoscere in modo visibile e di dedicare ad esse una cura pastorale».

Il secondo punto sottolineato dai cattolici lgbt è quello del linguaggio usato dalla Chiesa nei loro confronti: «Termini come “oggettivamente disordinata” [come il Catechismo definisce la condotta omosessuale], così come la diffusa mancanza di una attenzione pastorale ha fatto sì che molti cattolici lgbt si sentissero rifiutati nella Chiesa cattolica in cui erano stati cresciuti e ha portato in molti casi a situazioni di profondo disagio», causa di «suicidi, depressione e problemi fisici, mentali e emotivi». Si tratta di una «responsabilità molto grave per i vescovi», di fronte alla quale si chiede «un processo pastorale globale per far sì che i cattolici lgbt vengano sostenuti il più possibile nella loro fede e nel loro percorso esistenziale».

Si arriva così al terzo punto messo in luce: la necessità di «un profondo processo di dialogo e di ascolto tra gerarchia e laicato», del quale la consultazione intrapresa dal Vaticano in vista del Sinodo è un esempio lodevole. Tuttavia, esso deve essere «accompagnato da un’esperienza vissuta a livello parrocchiale e diocesano» affinché possa essere il più fecondo possibile, nella prospettiva di «risanare le molte ferite presenti nella Chiesa».

Infine, i cattolici Lgbt mettono l’accento sui molti cristiani di altre confessioni impegnati nell’avvicinamento al cattolicesimo: «Nonostante il vetriolo talvolta lanciato contro le persone lgbt dalla gerarchia cattolica – si legge nel documento – siamo testimoni della volontà di cristiani lgbt che si avvicinano alla nostra Chiesa. Crediamo che questo sia un segno del fatto che Dio chiama tutti a credere e a vivere con lui in comunità»

da Adista, a cura di ludovica eugenio

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preti contro

I preti contro discarica di Poiatica: ‘Cloaca nauseante. Noi preoccupati per la salute’

La lettera è stata indirizzata dai parroci dell’Appennino reggiano ai rappresentanti della politica e alle associazioni: “Non si possono solo seppellire i morti senza farsi domande”. La multiutility Iran ha chiesto l’allargamento dell’area destinata ai rifiuti di altri 500mila metri cubi. La risposta dell’Asl: “Nessun decesso sospetto o dato rilevante di tumori maligni nella zona”

I preti contro discarica di Poiatica: ‘Cloaca nauseante. Noi preoccupati per la salute’

 

Porcheria, cloaca nauseante, buco nero. Le parole non sono tenere e arrivano dai parroci dell’appennino reggiano, che alcuni giorni fa hanno deciso di schierarsi apertamente contro la discarica di Poiatica

Dopo mesi di dibattito e una manifestazione di piazza organizzata dai comitati cittadini, i sacerdoti hanno preso carta e penna per scrivere una lettera aperta alla politica e alle associazioni. “A Poiatica da ormai 20 anni si seppelliscono montagne di rifiuti”, si legge nell’appello dei preti della valle. “Che cosa potrà produrre in negativo e sulla salute umana tanta porcheria?”. E ancora: ”Noi parroci della valle notiamo con sofferenza la nascita di bambini con patologie gravi e soprattutto morti per malattie cancerogene in età giovanile. Far finta di non vedere per malafede o ignoranza è imperdonabile”.

La questione è nota tra i comuni dell’Appennino reggiano e riguarda l’ampliamento della discarica di Poiatica, con la creazione del sesto e ultimo lotto. Il sito si trova in una vallata ricavata da una ex cava di argilla, circondata dal fiume Secchia e all’interno del territorio del comune di Carpineti, in provincia di Reggio Emilia. È classificata come discarica di prima categoria, quindi può smaltire rifiuti solidi urbani e speciali non pericolosi. Gestita dalla multiservizi Iren Ambiente, ha una capacità di 937mila metri cubi e accoglie due milioni di tonnellate.

Oggi si sta riempiendo il quinto lotto, ma in ballo c’è un progetto di Iren, depositato in Provincia, che prevede l’allargamento con altri 500mila metri cubi. Il Comune di Carpineti ha già dato parere favorevole, ma a patto che si limiti al minimo l’impatto ambientale e che tutta la zona sia messa in sicurezza. L’ultima parola però spetta alla Regione, che entro poche settimane dovrebbe esprimersi attraverso il piano regionale di gestione dei rifiuti.

Intanto, il fronte del no alla discarica incassa l’appoggio delle parrocchie di un gruppo di frazioni e comuni disseminati sull’appenino, tra cui Toano, Cavola, Valestra e Bebbio. La lettera è firmata da Raimondo Zanelli, William Neviani, Graziano Gigli. Nel testo i tre sacerdoti non usano il guanto di velluto: “Questa valle sta diventando la valle dei rifiuti”, scrivono. “Abbiamo portato via la terra, il verde, le persone per portare rifiuti e inquinamento. Poiatica è diventata una nauseante cloaca, un buco nero, infinito”.

E ancora: “Chi visita la discarica sente un olezzo insopportabile con miasmi pungenti. Se contassimo i camion che sono entrati e usciti in 20 anni faremmo una fila da circuire il mondo. Chi sa quanto è grande il business di ‘monnezza’ e quali interessi ci stanno dietro? Se per frane o terremoti scoppiasse l’involucro di Poiatica, riversandosi nel fiume Secchia, quale disastro ecologico di avvelenamento ci sarebbe?”.

Le loro voci si uniscono a quelle del comitato di Carpineti ”Fermare la discarica“, che da mesi chiede la chiusura definitiva del sito, la sua gestione post mortem e indagini sulle eventuali ripercussioni sulla salute dei residenti. “C’è un discorso relativo ai rischi sulla salute: vogliamo sapere se ci sono delle correlazioni tra la discarica e l’insorgere di allergie e patologie respiratorie”, spiega Valentina Barozzi, un’esponente del gruppo. “E poi c’è un discorso di leggi e amministrazione: che senso ha allargare una discarica mentre l’Europa ci chiede di eliminarle e mentre in regione aumenta la raccolta differenziata?”.

E mentre il gruppo di maggioranza in comune Insieme per Carpineti assicura che “il completamento del sesto lotto coinciderà con la chiusura definitiva della discarica”, l’Asl di Reggio Emilia nega qualsiasi pericolo per la salute. “L’analisi dell’incidenza dei tumori maligni e della mortalità infantile nei residenti del comune di Toano e del comune di Carpineti e il relativo confronto con i dati della provincia di Reggio Emilia non hanno messo in evidenza nessun eccesso di rischio, tantomeno attribuibile a una eventuale esposizione ambientale”, si legge in un comunicato diffuso dopo la pubblicazione dell’appello dei parroci. “Non si vuole sottovalutare il disagio dovuto ai cattivi odori segnalati dalla popolazione locale, ma si vuole precisare che, per quanto noto a oggi, non esiste una correlazione certa tra le emanazioni prodotte da sostanze organiche trattate meccanicamente e biologicamente e lo sviluppo di malattie organiche”.

Porcheria, cloaca nauseante, buco nero. Le parole non sono tenere e arrivano dai parroci dell’appennino reggiano, che alcuni giorni fa hanno deciso di schierarsi apertamente contro la discarica di Poiatica

questo il resoconto di  ne ‘il Fattoquotidiano’ del 12 gennaio 2014:

Dopo mesi di dibattito e una manifestazione di piazza organizzata dai comitati cittadini, i sacerdoti hanno preso carta e penna per scrivere una lettera aperta alla politica e alle associazioni. “A Poiatica da ormai 20 anni si seppelliscono montagne di rifiuti”, si legge nell’appello dei preti della valle. “Che cosa potrà produrre in negativo e sulla salute umana tanta porcheria?”. E ancora: ”Noi parroci della valle notiamo con sofferenza la nascita di bambini con patologie gravi e soprattutto morti per malattie cancerogene in età giovanile. Far finta di non vedere per malafede o ignoranza è imperdonabile”.

La questione è nota tra i comuni dell’Appennino reggiano e riguarda l’ampliamento della discarica di Poiatica, con la creazione del sesto e ultimo lotto. Il sito si trova in una vallata ricavata da una ex cava di argilla, circondata dal fiume Secchia e all’interno del territorio del comune di Carpineti, in provincia di Reggio Emilia. È classificata come discarica di prima categoria, quindi può smaltire rifiuti solidi urbani e speciali non pericolosi. Gestita dalla multiservizi Iren Ambiente, ha una capacità di 937mila metri cubi e accoglie due milioni di tonnellate.

Oggi si sta riempiendo il quinto lotto, ma in ballo c’è un progetto di Iren, depositato in Provincia, che prevede l’allargamento con altri 500mila metri cubi. Il Comune di Carpineti ha già dato parere favorevole, ma a patto che si limiti al minimo l’impatto ambientale e che tutta la zona sia messa in sicurezza. L’ultima parola però spetta alla Regione, che entro poche settimane dovrebbe esprimersi attraverso il piano regionale di gestione dei rifiuti.

Intanto, il fronte del no alla discarica incassa l’appoggio delle parrocchie di un gruppo di frazioni e comuni disseminati sull’appenino, tra cui Toano, Cavola, Valestra e Bebbio. La lettera è firmata da Raimondo Zanelli, William Neviani, Graziano Gigli. Nel testo i tre sacerdoti non usano il guanto di velluto: “Questa valle sta diventando la valle dei rifiuti”, scrivono. “Abbiamo portato via la terra, il verde, le persone per portare rifiuti e inquinamento. Poiatica è diventata una nauseante cloaca, un buco nero, infinito”.

E ancora: “Chi visita la discarica sente un olezzo insopportabile con miasmi pungenti. Se contassimo i camion che sono entrati e usciti in 20 anni faremmo una fila da circuire il mondo. Chi sa quanto è grande il business di ‘monnezza’ e quali interessi ci stanno dietro? Se per frane o terremoti scoppiasse l’involucro di Poiatica, riversandosi nel fiume Secchia, quale disastro ecologico di avvelenamento ci sarebbe?”.

Le loro voci si uniscono a quelle del comitato di Carpineti ”Fermare la discarica“, che da mesi chiede la chiusura definitiva del sito, la sua gestione post mortem e indagini sulle eventuali ripercussioni sulla salute dei residenti. “C’è un discorso relativo ai rischi sulla salute: vogliamo sapere se ci sono delle correlazioni tra la discarica e l’insorgere di allergie e patologie respiratorie”, spiega Valentina Barozzi, un’esponente del gruppo. “E poi c’è un discorso di leggi e amministrazione: che senso ha allargare una discarica mentre l’Europa ci chiede di eliminarle e mentre in regione aumenta la raccolta differenziata?”.

E mentre il gruppo di maggioranza in comune Insieme per Carpineti assicura che “il completamento del sesto lotto coinciderà con la chiusura definitiva della discarica”, l’Asl di Reggio Emilia nega qualsiasi pericolo per la salute. “L’analisi dell’incidenza dei tumori maligni e della mortalità infantile nei residenti del comune di Toano e del comune di Carpineti e il relativo confronto con i dati della provincia di Reggio Emilia non hanno messo in evidenza nessun eccesso di rischio, tantomeno attribuibile a una eventuale esposizione ambientale”, si legge in un comunicato diffuso dopo la pubblicazione dell’appello dei parroci. “Non si vuole sottovalutare il disagio dovuto ai cattivi odori segnalati dalla popolazione locale, ma si vuole precisare che, per quanto noto a oggi, non esiste una correlazione certa tra le emanazioni prodotte da sostanze organiche trattate meccanicamente e biologicamente e lo sviluppo di malattie organiche”.

 
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