il commento di p. A. Maggi al vangelo della domenica

SONO PERDONATI I SUOI MOLTI PECCATI PERCHE’ HA AMATO MOLTO  

commento  di p. A.  Maggi al vangelo della undicesima domenica del tempo ordinario (12 giugno 2016):

Maggi 

Lc 7,36-8,3

In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo.
Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!». Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». «Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene».
E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco». Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!».
In seguito egli se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio. C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni.

Gesù e i farisei

E’ solo nel vangelo di Luca che troviamo un episodio sconcertante, a tratti scabroso. E’ l’unico incontro ravvicinato di Gesù con una prostituta.
E’ nel capitolo 7 del vangelo di Luca dal versetto 36. Leggiamo.
Uno dei farisei… I farisei lo sappiamo chi sono. L’evangelista in questa narrazione li presenta come persone che per i loro meriti, la loro santità di vita si ritenevano le più vicine a Dio. Fariseo significa separato, colui che attraverso l’osservanza di regole e precetti si separa dal resto degli uomini per avvicinarsi a Dio. Quindi la persona più vicina a Dio che vedremo invece sembrare la più lontana.
Uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Perché il fariseo, notoriamente rivale e ostile a Gesù, lo invita a pranzo? Probabilmente per prendere pubblicamente le distanze, per fare un affronto a questo Gesù. Perché questo? Perché nessuno dei gesti di accoglienza che si rivolgevano specialmente ad un ospite di riguardo il fariseo compie nei confronti di Gesù.
La sorpresa l’evangelista la presenta ora.
Ed ecco… espressione che indica qualcosa di inaspettato, anche perché i pranzi in quella cultura sono di soli maschi. Le donne non si vedono nei pranzi, stanno in cucina e neanche servono a tavola, ma fanno servire i figli maschi. Quindi è un pranzo di soli uomini, ma non solo. Sono farisei, cioè persone ossessionate dall’idea della purezza, dall’idea dell’osservanza delle regole che permettono la vicinanza a Dio.
Ed ecco, una donna… e l’evangelista afferma che è una peccatrice. Quindi una prostituta di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo. E qui l’evangelista presenta una scena sconcertante perché questa donna non soltanto una donna, ma per di più impura in quanto peccatrice, irrompe nella sala del banchetto, ma entra spudoratamente con gli attrezzi del mestiere.
Portò un vaso di profumo; il profumo con il quale ungeva i suoi clienti.
Non solo. Stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime. La donna, come vedremo in tutta la narrazione, esprime la sua incontenibile riconoscenza per un perdono che sente già di aver avuto da quel Gesù che nella sua predicazione ha parlato di un Padre che è benevolo verso gli ingrati e i malvagi.
E i colpi di scena non sono finiti. Scrive l’evangelista, Poi li asciugava con i suoi capelli. Inaudito! La donna, dal momento della pubertà e per tutta la vita non mostra mai il capo pubblicamente, i capelli, ma solo in casa al marito e ai figli, ma non fuori. Era addirittura occasione di divorzio se una donna osava farsi vedere con le chiome. I capelli sciolti erano un’arma dal grande contenuto erotico. Ne sa qualcosa Oloferne, un nemico del popolo di Israele, che quando accolse Giuditta, questa eroina del popolo ebraico, come lo sedusse? Sciogliendosi i capelli. E il povero Oloferne perse la testa in tutti i sensi.
Quindi è una scena dall’alto contenuto erotico. Ma non è finita, continua l’evangelista, Li baciava. Con quella bocca questa donna, questa prostituta bacia i piedi di Gesù, e li cospargeva di profumo.  E’ troppo, alché il fariseo, la persona pia, la persona che osserva tutti i precetti, sbotta.
Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé… e traduco l’espressione letteralmente, perché è piena di disprezzo: “Questo, se fosse un profeta…”. Evita di nominare il nome di Gesù, lo tratta con disprezzo. “Questo se fosse un profeta”, non sembra certo un profeta. Del resto poco prima l’evangelista al versetto 34 di questo capitolo aveva detto che di Gesù si diceva che fosse un mangione e un ubriacone, amico dei pubblicani e dei peccatori. Ecco la prova, quindi altro che profeta!
“Saprebbe chi.. “ e notiamo il disprezzo, “chi è e di quale genere è la donna che lo tocca”. Qui l’evangelista adopera il verbo “tastare, palpare”, indicato per i rapporti sessuali. Quindi il fariseo o la persona pia vede come una tentazione al peccato l’azione della donna. E infatti dice: “E’ una peccatrice!”
Ed ecco che Gesù reagisce. Gesù lo chiama col nome. Il fariseo non si è rivolto a Gesù col nome, ma lui lo fa e gli propone un piccolo racconto, una piccola parabola. E il fariseo, che ha espresso questo disprezzo nei confronti di Gesù gli si rivolge con ipocrisia: «Di’ pure, maestro». Gesù narra questa parabola breve di un creditore che aveva due debitori.  «Uno gli doveva cinquecento denari” Il denaro era la paga giornaliera di un operario, quindi quasi due anni di lavoro, “un altro cinquanta”, quasi due mesi.  “Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?”. La risposta è così chiara. Uno gli deve quasi due anni di lavoro, un altro appena due mesi, la risposta è chiarissima.
E invece il fariseo risponde di malavoglia usando il verbo “suppongo”. Come fai a supporre? E’ chiaro che l’amerà di più colui al quale è stato condonato di più. “Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene».
E ora Gesù passa a rimproverare il fariseo che lo ha invitato a pranzo ma non lo ha accolto. E non gli ha fatto nessuno dei gesti di accoglienza che si facevano a un ospite. Lui, la persona più vicina a Dio, ha mancato di riguardo nei confronti di Gesù. La donna, ritenuta in quanto donna e peccatrice la più lontana da Dio, invece lo ha espresso. Allora Gesù qui presenta tre gesti di ospitalità: l’offerta dell’acqua, gesto di accoglienza, il bacio che è un segno di benvenuto, e il profumare il capo della persona che era un segno di onore.
Nessuno di questi gesti ha compiuto il fariseo nei confronti di Gesù, a differenza della donna che li ha fatti abbondantemente. E allora ecco Gesù che afferma: “Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco”.
Cosa vuol dire Gesù? Sia Simone che la donna sono già stati perdonati, ma solo la donna è cosciente di questo amore e lo esprime in maniera incontenibile. Poi Gesù si rivolge alla donna: “I tuoi peccati sono perdonati”. Gesù non perdona in questo istante la donna, ma conferma che il suo passato di peccato è perdonato. Naturalmente nasce uno scandalo tra i commensali che di nuovo senza nominarlo, ma in maniera dispregiativa, si chiedono «Chi è costui che perdona anche i peccati?».
Perché è solo Dio che perdona. Ed ecco la sensazionale affermazione di Gesù: quello che agli occhi della religione è stato un sacrilegio, una donna impura ha toccato un uomo – da queste donne bisognava tenere una distanza di almeno due metri – agli occhi di Gesù è un’espressione di fede. Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!».
Quindi quello che agli occhi della religione era un sacrilegio agli occhi di Gesù è stato un gesto di fede. Non una punizione, né un rimprovero, ma un benedizione. Scandalizza il fatto che Gesù non chieda alla donna – come farà poi con l’adultera – “va e non peccare più”.
Ma che fine ha fatto questa donna? L’evangelista forse ci dà un’indicazione continuando, parlando di Gesù che va per i villaggi e per le città, e con lui, cosa inaudita per l’epoca, c’è anche un gruppetto di donne. Nulla esclude che questa donna, questa peccatrice, si sia aggiunta al gruppo dei discepoli e delle discepole di Gesù.

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il commento di E. Ronchi al vangelo della domenica

la peccatrice ai piedi di Gesù e il nostro «perbenismo»

Avvenire http://avvenire.ita.app.newsmemory.com/publink.php?shareid=3093c8772

il commento di Ermes Ronchi al vangelo della undicesima domenica del tempo ordinario (12 giugno 2016)

Lc 7,36-8,3

Ronchi1

In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!».

Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!». Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». «Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene».
E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco». Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!».
In seguito egli se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio. C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni.

Entro in questo racconto grondante di lacrime e di profumo, grondante di vita, e provo a mettermi dalla parte della peccatrice, a guardare con i suoi occhi. Lo faccio perché così fa Gesù. Il suo sguardo si fa largo nel groviglio delle contraddizioni morali della donna per fissarsi sul germe intatto, sul germe divino che è nel cuore anche dell’ultima prostituta. E risvegliarlo. Che spinta potente deve aver sentito quella donna per decidere di sfidare tutte le buone consuetudini, di calpestare i rituali consolidati, solo per dare ascolto al suo cuore inquieto. E che convinzione altrettanto forte deve aver avuto, per sapere con tutte le sue fibre che quel giovane rabbi, di cui aveva sentito raccontare gesti e parole, non l’avrebbe disprezzata, non l’avrebbe cacciata. Va diritta davanti a lui, non gli chiede permesso, fa una cosa inaudita tanto è sconveniente: mani, bocca, lacrime, capelli, profumo su quei piedi. Lei ha capito il cuore di Gesù meglio di tutti. Simone, tu non mi hai dato un bacio, questa donna invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi. Dal poco al molto amore: Gesù desidera essere amato, va in cerca di persone e ambienti pronti a dargli affetto.

Il racconto rivela tutta l’umanità di Gesù, volto alto di Dio e dell’uomo. Gesù non solo dà affetto, ma sa anche riceverlo. Ama e si lascia amare, e in questo atteggiamento la sua umanità e la sua divinità si riconoscono, si ricongiungono.

Simone era un fariseo molto religioso e molto duro. Perché a volte la religiosità ha tolto sensibilità al nostro cuore? Forse è accaduto quando abbiamo vissuto la fede come osservanza delle regole e non come risposta all’amore di Dio.

Molto le è perdonato perché molto ha amato. Gesù ci invita ancora a convertirci a un Dio diverso da quello che temiamo e non amiamo, a un Dio che mette la persona prima della sua stessa legge. Anzi la sua prima legge, la prima sua gioia è che l’uomo viva.

Gesù ci invita ancora a cambiare il paradigma della nostra fede: dal paradigma del peccato a quello dell’amore. Non è il peccato l’asse portante del nostro rapporto con Dio, ma il ricevere e restituire amore. Noi pensiamo la fede come un insieme complicato di dogmi e di doveri, con molte leggi e poco profumo; Gesù invece va dritto al cuore: ama, hai fatto tutto.

L’amore non fa peccati. L’amore contiene tutto, tutti i doni e tutti i doveri (M. Bellet). La vita non si sbaglia scommettendo in partenza sull’amore.

Quella donna mostra che un solo gesto d’amore, anche se muto e senza eco, è più utile per questo nostro mondo dell’azione più clamorosa, dell’opera più grandiosa. Questa è la vera rivoluzione portata da Gesù, possibile a tutti, possibile a me, ogni giorno.

(Letture: 2 Samuele 12,7-10.13; Salmo 31; Galati 2,16.19-21; Luca 7,36-8,3)

di Ermes Ronchi

Moretto da Brescia

Cena in casa di Simone il fariseo

Ronchi

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la prassi di Gesù mette in pratica Dio stesso

Gesù teoprassico

“dai loro frutti li riconoscerete”

di J.M. Vigil

Gesù è di quelli che pensano che “bisogna mettere in pratica Dio”. O, detto con linguaggio biblico, che si deve “conoscerlo”, sapendo però che nella Bibbia, questo “conoscere” è sempre pratico, prassico, etico, di comportamento, di intervento nella storia… Per Gesù, Dio non è un entelechia, una ragione suprema, una teoria, nè una dottrina o un’ortodossia. In continuità con la migliore tradizione profetica (Ger 22,16), Gesù proclama che Dio vuole la pratica della giustizia e dell’amore. Fuori da questa pratica, la religione, ridotta a confessione orale, a ortodossia dottrinale o a liturgie rituali, diventa inutile: “Non chiunque dice: Signore, Signore… ma chi fa la volontà del Padre mio” (Mt 7,21-27); “Beati piuttosto quelli che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 11,27-28). La religione è “teoprassi”, messa in pratica della volontà di Dio. Questo sarebbe un criterio per misurare la veridicità di ogni religione, secondo Gesù. Vigil

Gesù pone nella prassi il criterio di verifica del nostro discorso su Dio e con Dio: quale dei due fratelli ha fatto la volontà del Padre, quello che da detto sì, ma in realtà si è eclissato, o quello che detto che non sarebbe andato ma in realtà vi è andato? (Mt 21,28-32). Quello che “è andato”, dice Gesù, non quello che “ha detto che sarebbe andato”. Ossia: Gesù giunge a dire che mentre rimaniamo nel terreno delle parole e dei propositi, non si può definire la verità decisiva; bisogna aspettare che arrivi l’ora della pratica, e lì ciò che importa è quello che si fa, non quello che si dice. E’ proprio della Verità l’essere principalmente praticata, e non semplicemente professata, dichiarata, ammessa mentalmente, creduta o riconosciuta. 
Non ha molta importanza ciò che una religione dice, la bellezza della sua teologia, l’elaborazione del suo credo o la brillantezza dei suoi dogmi, bensì la storia della sua prassi, il suo comportamento storico, il bene o il male che ha compiuto o tralasciato di fare. 
Gesù è deciso e afferma: “Dai loro frutti li riconoscerete… non può un albero buono dare frutti cattivi” (Mt 7,16-18; Lc 6,43).
J.M. Vigil, Teologia del pluralismo religioso
 
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sul cristianesimo del futuro

Oltre le religioni, l'amore. Un libro di Adista e Gabrielli Editore sul cristianesimo del futuro

oltre le religioni, l’amore

un libro di Adista e Gabrielli Editore sul cristianesimo del futuro

 
da: Adista Notizie n° 17 del 07/05/2016
Nell’arco della storia, le religioni hanno fatto tutto e il contrario di tutto: hanno legittimato sistemi di dominio e suscitato movimenti di liberazione; hanno invocato il nome di Dio per benedire il capitale e incoraggiato la creazione di società anticapitaliste, hanno invitato ad amare il prossimo come se stessi e hanno, di fatto, contribuito ad opprimerlo, calpestarlo, umiliarlo, massacrarlo. Cosa c’è allora che non funziona nella nostra idea di Dio, nella nostra visione della religione? È da qui che si muove la ricerca teologica impegnata nella formulazione del cosiddetto paradigma post-religionale, al centro del libro Oltre le religioni. Una nuova epoca per la spiritualità umana, primo frutto di una collaborazione tra Il Segno dei Gabrielli e Adista (2016, pp. 239, euro 16,50; il libro può essere acquistato anche presso Adista, scrivendo ad abbonamenti@adista.it; telefonando allo 06/6868692; o attraverso il nostro sito internet, www.adista.it). Curato dalla nostra redattrice Claudia Fanti e da don Ferdinando Sudati, il libro raccoglie gli interventi (alcuni dei quali già pubblicati in forma ridotta sulle pagine di Adista) di John Shelby Spong, María López Vigil, Roger Lenaers e José María Vigil – quattro tra i nomi più prestigiosi, brillanti e amati della nuova teologia di frontiera –, accomunati dalla tesi che le religioni così come le conosciamo siano destinate a lasciare spazio a qualcosa di nuovo e non ancora facilmente prevedibile, ma sicuramente aprendo all’insopprimibile dimensione spirituale dell’essere umano un futuro ricco di straordinarie possibilità.

Con i loro miti e i loro dogmi, con le loro leggi e la loro morale, le religioni sono state a lungo il motore del sistema operativo delle società. Ma, almeno nella forma che ci è familiare, non sarebbero destinate, secondo gli autori, a durare per sempre. “Per sempre” sarebbe la spiritualità, intesa come dimensione profonda costituiva dell’essere umano, non la religione, che ne costituisce la forma socio-culturale concreta, storica e dunque contingente e mutevole. In questo senso, allora, post-religionale non starebbe a significare post-religioso né post-spirituale, ma più in là del religionale, cioè più in là di ciò che hanno rappresentato le religioni agrarie, quelle religioni, cioè, che si sono formate durante l’età neolitica, quando la nostra specie, passando dalle tribù nomadi di cacciatori e raccoglitori alla vita sedentaria in società urbane legate alla coltivazione della terra, ha dovuto necessariamente creare dei codici che le permettessero di vivere in società, con un diritto, una morale, un senso di coesione sociale e di appartenenza. Un ruolo, quello delle religioni neolitiche, che, come evidenzia il clarettiano spagnolo, naturalizzato nicaraguense, José María Vigil, sta ormai venendo meno di fronte alla profonda metamorfosi che l’essere umano sta vivendo: una trasformazione radicale delle strutture conoscitive ed epistemologiche, con tutti i relativi cambiamenti nel modo di conoscere, nei postulati e negli assiomi millenari su cui l’umanità si basava inconsapevolmente.

Di certo, però, anche nella nuova veste che saranno chiamate ad assumere, le religioni, viste ora non più come un’opera divina, ma come una costruzione degli stessi esseri umani (sia pure spinti dalla forza del mistero divino), «dovranno concentrarsi – sottolinea José María Vigil – sul compito essenziale, che non cambierà: aiutare l’essere umano a sopravvivere diventando sempre più umano». Solo che «questo compito, benché sia quello di sempre, potrà essere espresso con un grande e creativo ventaglio di possibilità». E a chi teme la perdita d’identità, cristiana o più strettamente cattolica, il teologo brasiliano Marcelo Barros, nella sua prefazione, risponde non a caso citando le parole di un amico rabbino, secondo cui «noi siamo umani non tanto per quello che ci costituisce (nella nostra identità originale) quanto per la possibilità di trasformarci o di lasciar evolvere quello che ci costituisce, senza smarrirci».

Che ne sarà allora in questo quadro della tradizione di Gesù? Riuscirà il cristianesimo nell’impresa di trasformare se stesso, reinterpretando e riconvertendo tutto il suo patrimonio simbolico in vista del futuro che lo attende? Riuscirà a liberarsi di dogmi, riti, gerarchie e norme, di tutti quei rituali religioni che, spesso e volentieri, hanno finito per sovrapporsi al Vangelo, per complicare anziché favorire la nostra relazione con Dio e con l’altro?

Il compito non è di certo semplice, richiedendo un lavoro al tempo stesso decostruttivo per superare tutto ciò che è ormai diventato obsoleto – e costruttivo – per esplorare i modi in cui sviluppare in pienezza la nostra dimensione spirituale. Di sicuro, come evidenzia il vescovo episcopaliano John Shelby Spong (sulla cui figura e sulla cui opera si sofferma più estesamente, nella sua introduzione, don Ferdinando Sudati), gli esseri umani continueranno ad aver bisogno di riunirsi, di condividere, di celebrare, di alimentare la loro spiritualità, ma senza più strutture e rapporti di potere che riproducano il potere paternalistico di un Dio in senso teista. Di un Dio, cioè, inteso come «un essere dal potere soprannaturale, che vive nell’alto dei cieli ed è pronto a intervenire periodicamente nella storia umana, perché si compia la sua divina volontà», un essere con poteri miracolosi da supplicare, servire e compiacere, di fronte a cui prostrarsi come uno schiavo di fronte al padrone. Tuttavia, pur nella necessaria – dolorosa ma alla fine liberante – rinuncia all’immagine di un essere soprannaturale che ci faccia da genitore, il messaggio originario della fede cristiana – è la convinzione di fondo attorno a cui ruota la riflessione degli autori – non perde nulla di veramente essenziale, restando inalterata, come spiega il gesuita belga Roger Lenaers, «la confessione di Dio come Creatore del cielo e della terra, inteso come Amore Assoluto, che nel corso dell’evoluzione cosmica si esprime e si rivela progressivamente, prima nella materia, poi nella vita, poi nella coscienza e quindi nell’intelligenza umana, e infine nell’amore totale e disinteressato di Gesù e in coloro in cui Gesù vive». Come pure resta invariata «la confessione di Gesù come la sua più perfetta auto-espressione e la comprensione dello Spirito come un’attività vivificante di questo Amore Assoluto».

È a questo complesso compito di riformulare il messaggio cristiano in un linguaggio che possa risultare nuovamente rilevante e significativo che hanno rivolto le loro riflessioni, e dedicato la loro vita, gli autori di questo libro, ma a cui guardano con interesse e passione anche tutti coloro che avvertono la necessità di trasformare radicalmente la propria religiosità, proprio per sentirsi più vicini «alla Vita che Gesù ha difeso e a cui ha dato dignità», come spiega nel suo modo impareggiabile la scrittrice cubana-nicaraguense María Lopez Vigil. E così scoprire che, in questo viaggio iniziato nell’età adulta della nostra vita spirituale, non si è in fondo perso nulla di importante. Che, come sottolinea Claudia Fanti nella presentazione, «il nostro bagaglio è ora molto più leggero, ma c’è ancora tutto quello di cui abbiamo veramente bisogno». E che, anzi, «questo bagaglio diventato così lieve ci permette ora di camminare più spediti, di godere realmente di tutto ciò che ci circonda, sentendoci parte di questo paesaggio e cogliendone tutta la struggente bellezza. Ci permette di sentire il respiro dell’universo, il nostro indistruttibile legame con la Vita, con l’Amore senza limiti».Barros 1

Che è, poi, la stessa conclusione di Marcelo Barros: «Oltre le religioni: l’amore».

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Ascoltare significa letteralmente «stare a sentire attentamente, prestare l’orecchio» (da auris, orecchio)

un’oasi tra le chiacchiere

di Nunzio Galantino
in “Il Sole 24 Ore”

Galantino

ascoltare significa letteralmente «stare a sentire attentamente, prestare l’orecchio» (da auris, orecchio). Proprio per questo, vuol dire anche «ubbidire, esaudire». L’ascolto è collegato al volgere attenzione all’animo, alla mente ma anche all’altro, al mondo o anche a se stesso. L’ascolto, svalutato sin dal vocabolario dantesco rispetto al “sentire” dei sensi, in realtà nasconde l’intima natura di chi si presta all’altro senza essere distratto dalla confusione, dentro e fuori di sé. Ascoltatore è chi riesce a far tacere le tante voci, chi fa silenzio. «Per ascoltare occorre tacere. Non soltanto attenersi a un silenzio fisico che non interrompa il discorso altrui (o se lo interrompe, lo faccia per rimettersi a un successivo ascolto), ma a un silenzio interiore, ossia un atteggiamento tutto rivolto ad accogliere la parola altrui. Bisogna far tacere il lavorio del proprio pensiero, sedare l’irrequietezza del cuore, il tumulto dei fastidi, ogni sorta di distrazioni» (G. Pozzi, Tacet, Adelphi, Milano 2013, pag. 20)

Nella mitologia greca “ascoltare” e “vedere” erano considerate facoltà noetiche che mettevano in comunicazione l’uomo con il volere divino. Nella tradizione biblica è Dio ad ascoltare il grido dell’uomo che soffre (Es 3,7), il grido del sangue di Caino che proviene dalla terra (Gen 4,10). A sua volta, l’uomo ascolta la Parola di Dio come un discepolo, come uno che ha sempre da imparare, per indirizzare allo sfiduciato, a chi è stanco, una parola (Is 50,4-5). Saper ascoltare è come apprendere un’arte, affermava Plutarco e per saper usare bene la parola bisogna prima imparare ad accoglierla. Richiamandosi a Spintaro che elogiava Epaminonda, Plutarco ricorda che egli diceva che se la natura ci ha dotato di due orecchie e di una lingua sola, è perché si è tenuti ad ascoltare più che a parlare. Si ascoltano tanti rumori e tante chiacchiere: «Il mondo è oppresso da una pesante cappa di parole, suoni e rumori. Credevano i babilonesi che gli dèi avessero inviato sulla terra il diluvio perché infastiditi dal chiacchiericcio degli uomini» (G. Pozzi, cit., pag. 22). L’ascolto non è mai fine a se stesso. Dopo aver accolto e aver bene inteso una parola, esso implica anche un’obbedienza, una realizzazione di quanto si è udito. Secondo Heidegger l’uomo è chiamato a scegliere tra un’esistenza autentica e una, invece, segnata dall’equivoco. Quest’ultima è caratterizzata dalla chiacchiera del “si dice”, dalla curiosità che va da una cosa all’altra, dalla ricerca sempre… di altro. L’esistenza autentica è quella del pieno Esser-ci, della coesistenza fondata sulla ricerca della verità della nostra esistenza, e ciò è possibile soprattutto attraverso un profondo ascolto di sé, dell’altro e della storia nella quale siamo inseriti.

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le ‘beatitudini’ secondo papa Francesco

«Le beatitudini sono i navigatori della vita cristiana… sono gli scalini che portano avanti nella vita»

Papa Francesco – S. Messa Cappella della Casa Santa Marta 
(video e testo)
S. Messa – Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
6 giugno 2016



p
apa Francesco:

Il navigatore e i quattro guai

Se le beatitudini sono «il navigatore per la nostra vita cristiana», ci sono anche le «anti-beatitudini» che sicuramente ci faranno «sbagliare strada»: è dall’attaccamento alle ricchezze, dalla vanità e dall’orgoglio che ha messo in guardia Francesco indicando nella mitezza, che non va confusa certo per «sciocchezza», la beatitudine sui cui riflettere di più. E così nella messa celebrata lunedì mattina 6 giugno, nella cappella della Casa Santa Marta, il Pontefice ha suggerito di rileggere le pagine evangeliche sulle beatitudini scritte da Matteo e Luca.

 
«Possiamo immaginare» ha affermato Francesco, in quale contesto Gesù ha pronunciato il discorso delle beatitudini, così come lo riporta Matteo nel suo Vangelo (5, 1-12). Ecco allora «Gesù, le folle, il monte, i discepoli». E «Gesù si mise a parlare e insegnava la nuova legge, che non cancella l’antica, perché lui stesso ha detto che fino all’ultima jota dell’antica legge dev’essere compiuta». In realtà Gesù «perfeziona l’antica legge, la porta alla sua pienezza». E «questa è la legge nuova, questa che noi chiamiamo le beatitudini». Sì, ha spiegato il Papa, «è la nuova legge del Signore per noi». Infatti le beatitudini «sono la guida di rotta, di itinerario, sono i navigatori della vita cristiana: proprio qui vediamo, su questa strada, secondo le indicazioni di questo navigatore, come possiamo andare avanti nella nostra vita cristiana».
 
Nelle beatitudini, ha fatto notare Francesco, «ci sono tante cose belle: possiamo fermarci in ognuna fino alle dieci del mattino». Ma «io vorrei soffermarmi su come l’evangelista Luca spiega questo». Rispetto al brano di Matteo proposto oggi dalla liturgia, ha affermato il Papa, Luca nel capitolo 6 del suo Vangelo «dice lo stesso, ma alla fine aggiunge qualcosa che Gesù ha detto: i quattro guai». Proprio «i quattro guai». E così ecco che anche Luca elenca quel «beati, beati, beati, beati tutti». Ma poi aggiunge «guai, guai, guai, guai».
 
Sono precisamente «quattro guai». E cioè: «Guai a voi ricchi, perché avete avuto la vostra consolazione; guai a voi se siete sazi, perché avrete fame; guai a voi che ridete: piangerete; guai a voi, quando tutti diranno bene di voi: così hanno fatto i vostri antenati con i falsi profeti». E «questi guai — ha proseguito il Papa — illuminano l’essenziale di questo foglio, di questa guida di cammino cristiano».
 
Il primo «guai» riguarda i ricchi. «Ho detto tante volte» ha ricordato Francesco, che «le ricchezze sono buone» e che «quello che fa male e che è cattivo è l’attaccamento alle ricchezze, guai!». La ricchezza infatti «è un’idolatria: quando io sono attaccato, allora faccio idolatria». Non è certo un caso se «la maggior parte degli idoli sono fatti d’oro». E così ci sono «quelli che si sentono felici, a loro non manca niente», hanno «un cuore soddisfatto, un cuore chiuso, senza orizzonti: ridono, sono sazi, non hanno fame di nulla». E poi ci sono «quelli a cui piace l’incenso: a loro piace che tutti parlino bene di loro e così sono tranquilli». Ma «“guai a voi” dice il Signore: questa è l’anti-legge, è il navigatore sbagliato».
 
È importante notare, ha proseguito il Papa, che «questi sono i tre scalini che portano alla perdizione, così come le beatitudini sono gli scalini che portano avanti nella vita». Il primo dei «tre scalini che portano alla perdizione» è, appunto, «l’attaccamento alle ricchezze», quando si avverte di non aver «bisogno di nulla». Il secondo è «la vanità», la ricerca «che tutti dicano bene di me, tutti parlino bene: mi sento importante, troppo incenso» e io alla fine «credo di essere giusto, non come quello» ha affermato Francesco, suggerendo di pensare «alla parabola del fariseo e il pubblicano: “Ti ringrazio perché non sono come questo”». Tanto che quando siamo presi dalla vanità si finisce persino per dire, e questo accade tutti i giorni, «grazie, Signore, che sono tanto un buon cattolico, non come il vicino, la vicina».
 
Il terzo è «l’orgoglio che è la sazietà», sono «le risate che chiudono il cuore». «Con questi tre scalini andiamo alla perdizione» ha spiegato il Papa, perché «sono le anti-beatitudini: l’attaccamento alle ricchezze, la vanità e l’orgoglio».
 
«Le beatitudini invece sono il cammino, sono la guida per il cammino che ci porta al regno di Dio» ha fatto presente Francesco. Tra tutte però «c’è una che, non dico sia la chiave, ma ci fa pensare tanto: “Beati i miti”». Proprio «la mitezza». Gesù «dice di se stesso: imparate da me che sono mite di cuore, che sono umile e mite di cuore». Dunque «la mitezza è un modo di essere che ci avvicina tanto a Gesù». Invece «l’atteggiamento contrario procura sempre le inimicizie, le guerre e tante cose cose brutte che succedono». Il Papa ha anche messo in guardia dal ritenere che «la mitezza di cuore» possa essere scambiata per «sciocchezza: no, è un’altra cosa, è la profondità nel capire la grandezza di Dio, e adorazione».
 
Prima di riprendere la celebrazione della messa, il Pontefice ha invitato a pensare alle «beatitudini che sono il biglietto, il foglio di guida della nostra vita, per non perdersi e non perderci». E «ci farà bene oggi leggerle: sono poche, cinque minuti, capitolo 5 di Matteo». Sì, ha proposto, «leggerle un pochettino, a casa, cinque minuti, ci farà bene» perché le beatitudini sono «il cammino, la guida». E pensare, poi, ha concluso, anche alle «quattro anti-beatitudini» riportate dall’evangelista Luca, quei quattro guai «che mi faranno sbagliare strada e finire male».
(fonte: L’Osservatore Romano)
 
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i frati cappuccini di fronte al problema dei profughi e rifugiati

  il programma dei cappuccini per i rifugiati a Malta

Ogni anno decine di migliaia di migranti e richiedenti asilo attraversano il Mar Mediterraneo nella speranza di raggiungere l’Europa. Molti di loro finiscono nella piccola isola, nazione, di Malta. Con una popolazione di 420.000, Malta è uno dei paesi più densamente popolati al mondo. In più la piccola isola, con più di 20.000 rifugiati ha uno dei numeri più alti di rifugiati procapite. Negli ultimi tre anni i frati cappuccini a Malta hanno ricevuto e accompagnato eritrei rifugiati

Molti di loro scappavano dalla povertà, dal regime totalitario e dalla mancanza di opportunità. Nel 2011 Tegle, uno degli eritrei rifugiati ha deciso di lasciare l’Eritrea e di cercare una vita migliore più sicura in Europa, proprio come avevano fatto diversi altri del suo villaggio. In primo luogo giunse in Sudan,poi affronta il rischio di un duro e infido viaggio attraverso il de-serto del Sara in direzione della Libia. “In Libia abbiamo avuto molti problemi, siamo stati messi in prigione, per essere rilasciati abbiamo dovuto corrompere i poliziotti, ciascuno ha dovuto pagare 1600 USD ai trafficanti per farci portare in Europa attraverso ìl mar Mediterraneo, alcuni sono morti nel mare” ci ha riferito Tegle. In risposta all’arrivo di molti migranti e alle difficoltà che essi incontrano, i frati cappuccini a Malta hanno iniziato un programma di sostegno ai rifugiati. Oltre a provvedere alle necessità di base, il programma prevede aiuto spirituale e psicosociale ai rifugiati. Fr. Philip OFMCap, il segretario delle missioni e il capo del programma mi ha spiegato gli obiettivi del programma che include l’assistenza spirituale ai rifugiati cattolici, provvedendo cure sanitarie, specialmente consulti psicosociali e educazione di base, come lezioni di inglese. Fr. Philip lavora con Vanja Vajagic, l’amministratrice del programma, originaria della Serbia. “Mi considero come un immigrante, perciò condivido il sentire dei rifugiati e la mia missione è supportarli nel loro viaggio”. Così ci ha riportato Vanja, consulente di casi di tossicodipendenza. “I rifugiati fronteggiano diverse sfide che includono la mancanza di lavoro, discriminazioni razziali, conflitti culturali, barriere linguistiche e solitudine. Questo li porta all’abuso di sostanze, comprese le droghe e l’alcool”. Nel recente passato molti rifugiati hanno perso la loro vita a causa della frustrazione. Tegle mi ha raccontato come uno dei rifugiati provenienti dall’Eritrea sono saltati da un ponte a causa della stanchezza e delle sofferenze. In questo caso il programma rifugiati dei cappuccini prevede un programma di consulenza trans culturale e un servizio di prevenzione dall’uso di droghe, con lo scopo di far integrare i rifugiati nella società maltese. I frati e Vanja sono sempre al servizio dei rifugiati. Qui ci sentiamo come una famiglia, apprezzati e curati dai frati cappuccini”, ammette Tegle, mentre mangiamo injera, nel pasto serale preparato da uno dei rifugiati della famiglia. Secondo il programma dei frati maltesi per i rifugiati, il santuario cappuccino a Floriana è stato eretto a parrocchia per i migranti. Ogni domenica vi si celebra la Messa. I rifugiati preparano e guidano la liturgia. “Questo è un grande onore per noi come cappuccini, essere riconosciuti come frati al servizio dei migranti da parte della diocesi” ha affermato il Ministro Provinciale, fr. Martin. “Nei tempi duri migliaia di maltesi e altri europei migravano verso il Nord America e l’Australia, i frati li seguivano per provvedere ai bisogni spirituali e alla cura pastorale. Ora i rifugiati stanno arrivando da noi, dobbiamo rispondere come frati di questi tempi, amare e prenderci cura di loro come se fossero nostri fratelli e sorelle, poiché questo è il nostro carisma di cappuccini francescani”. Martin e Philip hanno ringraziato la curia generale per aver supportato il programma sia a livello finanziario che fraterno grazie alla visita di Benedict dell’ufficio di Giustzia, pace e integrità del Creato.

foto di Frati Cappuccini Italiani.
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l’iniziativa di pax christi Italia e Austria al Brennero una riflessione di p. Agostino Rota Martir

anche in Europa ponti e non muri

Pax Christi Italia e Pax Christi Austria al Brennero

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La croce di Lampedusa costruita col legno dei barconi. Un piccolo ponte ricavato da pietre di un muro distrutto. Mini colombe di filo spinato liberate da una rete metallica srotolata davanti alla Chiesa della “Madonna della strada” del Brennero.
La distribuzione di un passaporto tascabile con scritte di Alexander Langer e di papa Francesco. Il canto di Whe shall overcome sulla tomba di Alexander Langer a Vipiteno.
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Questi i gesti che hanno accompagnato, l’iniziativa ecumenica “Anche in Europa ponti e non muri” promossa da Pax Christi Italia e Austria con il Movimento nonviolento, Caritas Cnca, altre associazioni delle diocesi confinanti, la Federazione delle Chiese evangeliche, sabato 4 giugno 2016 al Brennero.
Un intreccio di simboli conviviali per affermare la necessità di interventi sociali e politici intelligenti e lungimiranti davanti ai dramma dei profughi in fuga da guerre di cui siamo corresponsabili col nostro massiccio invio di armi verso le località di conflitto e di miseria.

La riflessione comune, accompagnata da una preghiera bilingue, ha voluto testimoniare la necessità di diventare esploratori di frontiere e costruttori di ponti. Promotori di un nuovo umanesimo in nome della solidarietà responsabile per il riscatto della dignità umana.

5 giugno 2016

_____________________
contatti:
Segreteria Nazionale di Pax Christi: 055/2020375 info@paxchristi.it
Coordinatore Nazionale di Pax Christi: d. Renato Sacco 348/3035658 drenato@tin.it

 

 

la riflessione in proposito di p. Agostino Rota Martir

agostino

 

La compresenza pluri-etnica sarà la norma più che l’eccezione. L’alternativa è tra esclusivismo etnico e convivenza. Abbiamo bisogno di costruttori di ponti, di saltatori di muri, di esploratori di frontiera”. (Alex Langer 23 Marzo 1994)

Pochi giorni fa al Brennero (4 Giugno) abbiamo vissuto momenti densi di ascolto, di segni carichi di profezia, di preghiera capace di abbattere muri per costruire ponti e di ricordi di chi già decenni or sono intuì la bellezza e il coraggio di pensare oltre i muri.

Il tutto ha avuto luogo nella Chiesa dedicata a Maria, Madonna della strada..la Chiesa è a poche centinaia di metri dal confine con l’Austria, titolo appropriato e più che attuale.

Di certo avrei visto volentieri che questa iniziativa osasse anche uscire dalla Chiesa, per attraversare simbolicamente la frontiera, posta a poche centinaia di metri, anche in silenzio, alzando tra la mano quel passaporto realizzato appositamente per questa iniziativa di Pax Christi, dove è stata stampata la preghiera di papa Francesco: “Sogno l’Europa”.

Sogno una Europa famiglia di popoli.. io sogno un nuovo umanesimo europeo..sogno un’Europa giovane, capace di essere ancora madre..sogno un’Europa, in cui essere migrante non è delitto..”

In compenso i temi trattati sono stati puntuali, coraggiosi ed esposti con passione e

da Avvenire, 05/06/2016

da Avvenire, 05/06/2016

competenza, ma anche i segni che accompagnavano la Liturgia erano tutti “parlanti”: una croce costruita con i legno di un barcone arrivato a Lampedusa, pietre utilizzate per costruire un ponte accerchiato dal filo spinato, un giubbotto salvagente usato dai migranti e da loro firmato, poi la lunga rete metallica posta davanti l’altare quasi ad impedire o isolare la Grazia dell’Eucarestia rappresentata da colombe intrappolate (mia interpretazione), ma che alla fine tre immigrati, un Siriano, un Afghano e un Africano le liberanno dalla rete nel piazzale.

Circa tre anni fa un amico di Pax Christi di Pisa mi manda da Betlemme l’immagine della “Madonna che abbatte i muri” così l’ha chiamata l’autore, dipinta sul muro che separa i due popoli: Israeliani e Palestinesi.

Santissima Madre di Dio,

Ti preghiamo, Madre della Chiesa, Madre dei Cristiani che soffrono, Madre dell’umanità divisa a causa delle separazioni.

Ti supplichiamo, con la tua ardente intercessione abbatti questo muro,

abbatti le pareti del nostro cuore e tutte le pareti che generano l’odio,

la violenza, la paura e l’indifferenza tra le persone e tra le nazioni.

Tu che hai schiacciato il serpente antico con il tuo “Fiat”,

Raccogli e unisci tutti noi sotto il tuo mantello verginale, preservaci da ogni male.

Apri per sempre nelle nostre vite la porta della speranza.

Fa nascere in noi e nel nostro mondo la civiltà dell’Amore che scaturisce dalla Crocee dalla Risurrezione del tuo figlio Divino Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo, che vive e regna nei secoli dei secoli.

Amen”.

(Betlemme, Monastero Suore Melkite dell’Emanuele)

Che tristezza constatare che oggi la logica del muro si sta diramando, ha contagiato le cancellerie dell’Europa, si insinua abilmente anche dentro di noi, nelle nostre vite..quella stessa logica che fino a pochi anni fa condannavamo convinti e decisamente. Ma quella piccola Croce costruita con il legno dei barconi può sollevare in noi delle domande in grado di interrogare le nostre coscienze e la nostra fede, e forse l’unica capace di salvarci sempre: quella di non rinnegare mai la nostra umanità.

p. Agostino Rota Martir

campo Rom di Coltano – 7 Giugno 2016

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dietro al nuovo attacco a papa Francesco c’è la teologia di Ratzinger

il bravo e stimato vaticanista del tg1 fa riemergere improvvisamente la sua anima opusdeista che sembrava aver superato negli ultimi anni  (ha scritto perfino appezzabili riflessioni nel suo libro dedicato al card. Martini);

di seguito una breve ‘rassegna stampa’ della notizia e del dialogo tra Andrea Grillo che gli addebita ben 6 prergiudizi nei confronti della teologia di papa Francesco e lostesso A. M. Valli che ribadisce  il proprio punto di vista, senza però tener veramente conto delle osservazione critiche rivoltegli da Grillo, e avendo come teologi di riferimento Ratzinger e Inos BiffiValli

(nei link sottostanti la discussione che si è sviluppata in proposito)

 

il vaticanista del Tg1 all’attacco del Papa

di Carlo Tecce
in “il Fatto Quotidiano” del 4 giugno 2016

Carlo Tecce

Aldo Maria Valli è il vaticanista del Tg1, esperto e stimato. Il giornalista gestisce un portale in Internet che alimenta con lunghe riflessioni, mai banali. Con un pezzo di tre pagine, qualche giorno fa, ha stroncato il pontificato di papa Francesco, che avrebbe introdotto una fastidiosa confusione nella Chiesa con la logica del “ma anche” (per chi è appassionato di politica, rievoca la retorica di Walter Veltroni): “Da qualche tempo (…) sembra di notare che alla logica dell’et et si stia sostituendo nella nostra Chiesa una logica diversa: quella del non solum, sed etiam, cioè del ‘non solo, ma anche’

Potrebbe sembrare che, tutto sommato, non vi siano differenze, ma non è così”. Valli contesta l’esortazione apostolica di papa Francesco, Amoris laetitia, la sintesi dei sinodi sulla famiglia: “Pensiamo ad Amoris laetiti a, nella quale la logica del ‘ma anche’ si trova un po’ ovunque. Dando vita spesso ad affermazioni singolari. Prendiamo per esempio il punto 308, dove si dice: ‘I Pastori che propongono ai fedeli l’ideale pieno del Vangelo e la dottrina della Chiesa devono aiutarli anche ad assumere la logica della compassione verso le persone fragili e ad evitare persecuzioni o giudizi troppo duri e impazienti’. Dobbiamo dedurne che il modo più efficace per essere compassionevoli non è esattamente quello di proporre l’ideale pieno del Vangelo? Quanto poi alla vexata quaestio circa la comunione ai divorziati risposati, qual è la conclusione? Dopo aver letto e riletto il testo più e più volte, la risposta è: comunione sì, ma anche no. Oppure: comunione no, ma anche sì. Nel documento, in effetti, entrambe le conclusioni sono legittimate. A ciò conduce la logica del caso per caso, a sua volta figlia dell’etica della situazione. Mi devo considerare un peccatore? Sì, ma anche no. No, ma anche sì. Dipende”. Per l’autorevolezza del giornalista e per l’impatto mediatico che ne scaturisce, molti quotidiani hanno ripreso e commentato l’articolo di Valli. E anche in Vaticano, ovvio, l’hanno esaminato con attenzione. Il vaticanista Roberto Balducci (Tg3), dopo un servizio in cui definiva “quattro gatti” i fedeli che ascoltavano papa Ratzinger (effettivamente, piazza San Pietro era vuota), fu rimosso dall’incarico e il direttore Antonio Di Bella fu costretto a scusarsi. Stavolta, la vicenda è diversa. Valli non è intervenuto dagli schermi della televisione pubblica, ma l’opinione di Valli –la voce e il volto di Viale Mazzini che accompagna Jorge Mario Bergoglio –è da valutare con assoluta considerazione. Anche perché, allargando lo sguardo, il gruppo di vaticanisti critici con papa Francesco è sempre più folto. Il cronista del Tg1, in maniera forse involontaria, ha compilato un manifesto dei non bergogliani: “Essere uomini e donne dell’et et significa non essere ambigui e non lasciare spazio alla confusione. La logica dell’et et sfocia nell ’inclusione, non nella confusione. Gesù, campione dell’et et e non dell’aut aut, ha raccomandato che il nostro parlare sia ‘sì sì, no no’. La confusione e la doppiezza sono specialità del diavolo, che in questo modo persegue il suo obiettivo: separare”.Andrea Grillo

 

A. M. Valli e la caricatura di papa Francesco. Gli stereotipi tradizionalistici di bravi giornalisti

di Andrea Grillo in Come se non del 3 giugno 2016 (http://www.cittadellaeditrice.com/munera/come-se-non/)

i 6 pregiudizi di una lettura teologica del pontificato di Francesco del tutto inadeguata, falsa e profondamente fuorviante:

1) non è vero che Francesco ponga attenzione solo al soggetto a scapito del riferimento alla verità (è stato Benedetto Xvi ad appiattire il vangelo solo sulle verità oggettive, erodendo ogni possibilità di discernimento)
2) la dottrina se vuol essere nutriente deve farsi pastorale
3) pressapochismo sui concetti di legge e di coscienza, che vanno messi in relazione, e il giudizio finale non va anticipato
4) società liquida non è società malvagia
5) il punti di partenza non è un obbligo ma un dono
6) una problematica figura paterna. Incapsulato in categorie tradizionalistiche
di Aldo Maria Valli in www.aldomariavalli.it del 2 giugno 2016
Aldo Maria Valli risponde a Andrea Grillo, ribadendo il proprio punto di vista, senza però tener veramente conto delle osservazione critiche rivoltegli da Grillo, e avendo come teologi di riferimento Ratzinger e Inos Biffi. Il rapporto tra dottrina e pastorale, la pastorale vista come applicativa di una dottrina (che ha a questo punto il primato assoluto). La contrapposizione tra oggettività della verità e soggetto ricondotto al soggettivismo-relativismo: senza alternative. Non riesce a fare davvero i conti con la modernità
di Andrea Grillo in Come se non del 5 giugno 2016 (http://www.cittadellaeditrice.com/munera/come-se-non/)
poiché di recente è stato A.M. Valli a “tradurre” il linguaggio più reazionario in “parole di buon senso per pater familias”, userò le sue stesse formulazioni per mostrarne meglio la infondatezza e la falsità. “Sono preoccupato per questo bisogno di costruire caricature maldestre e distorte del papa, sulla base delle quali si cerca di portare gli altri a sdegnarsi per “fatti” che si rivelano menzogne senza fondamento.”
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il vescovo Tardelli risponde – ancorché in modo un po’ abbottonato – alle lettera dei cristiani omosessuali

Omosessualità. Lettera aperta alla Chiesa di Pistoia

omosessualità

lettera aperta alla Chiesa di Pistoia

Siamo un gruppo di donne e di uomini cristiani omosessuali che da quattro anni hanno dato vita ad una esperienza pastorale presso la comunità parrocchiale di Vicofaro (Pt). Con la guida di don Massimo Biancalani ci incontriamo per camminare insieme, per conciliare due dimensioni fondamentali e irrinunciabili della nostra vita: la fede in Gesù Cristo e l’omosessualità

https://www.youtube.com/watch?v=mkxUbJF6HX0&feature=youtu.be

Sollecitati e incoraggiati dal magistero di papa Francesco e da una nuova stagione di apertura e dialogo della Chiesa, vogliamo far giungere alla nostra comunità diocesana un appello: che tra i credenti e nelle comunità si compia uno sforzo per superare ataviche diffidenze, storici pregiudizi e talvolta atteggiamenti discriminatori nei confronti delle persone omosessuali ma soprattutto ci si impegni ad ascoltarle e accoglierle. Ai feriti e ai delusi dalla Chiesa, come spesso si sentono le persone omosessuali, la comunità cristiana non offra semplicemente una “dottrina sull’omosessualità” ma prima di tutto disponibilità all’ascolto, misericordia e soprattutto la disponibilità a fare un cammino insieme.

Conosciamo molto bene ciò che le persone omosessuali vivono, in termini di frustrazioni e immotivati sensi di colpa, in rapporto alla vita nella Chiesa e al personale cammino di fede. Comprendiamo anche che certe “durezze” di un insegnamento antico di secoli non possono essere riviste in un giorno. Accogliamo positivamente il recente appello dei padri sinodali e di papa Francesco, i quali ribadiscono «che ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione». Anche questa è dottrina! Rimaniamo dunque convinti che la Chiesa non cesserà mai di essere in cammino per raggiungere «verità sempre più grandi».

Vogliamo essere fratelli e sorelle attivi protagonisti in una Chiesa che non sappia dire soltanto dei “no”, che non si chiuda dietro antiche sicurezze, paralizzata da tante paure, trincerata dietro supposti “principi non negoziabili” ma che sappia invece leggere i “segni dei tempi”. Riteniamo doveroso chiedere che le nostre comunità si aprano ad una pastorale rivolta agli omosessuali e ai transessuali: ciò aiuterebbe molte persone a sentirsi finalmente accolte, per quello che sono, nella Chiesa, abbattendo quel muro di diffidenza e incomprensione.

La nostra esperienza pastorale con e per le persone omosessuali si esprime come un gruppo aperto ed ecumenico. Molti di noi sono impegnati nella società e nella Chiesa, alcuni come catechisti, operatori pastorali e della carità. Tutti siamo passati attraverso il dolore della solitudine e  della incomprensione da parte delle persone più care, attraverso la paura di aprirsi, per condividere i propri sentimenti e le proprie angosce.

Rivolgiamo un appello alla nostra Chiesa, al vescovo, ai presbiteri, ai diaconi, alle religiose e ai religiosi, ai consigli pastorali, alle comunità parrocchiali: incontriamoci! Il dialogo e la conoscenza reciproca possono fare tanto per far crescere la nostra Chiesa nel suo intento di condividere «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi».

Spesso ci siamo detti o ci siamo sentiti dire: “Tu non puoi essere così, Dio non può volere questo”. Oggi, dopo anni di sofferenze, sappiamo che negare a se stessi o ad altri di essere ciò che nel profondo siamo, può fare più male di un’ingiusta discriminazione.

Siamo certi che Dio ci ama così come siamo, come ama l’umanità intera e che siamo chiamati a mettere a frutto la nostra capacità di amare pienamente come persone. È con questo intento colmo di speranza nel futuro che continueremo a camminare insieme.

La risposta del vescovo di Pistoia, mons. Fausto TardelliTardelli

La lettera inviatami è un invito alla riflessione e come tale la prendo.

Per ora posso dire che ogni persona, qualsiasi siano le sue tendenze sessuali, deve essere rispettata e accolta e sono assolutamente inaccettabili e condannabili tutti i tipi di offesa e tanto più gli atti di violenza.

Gli omosessuali come gli eterosessuali, come ogni persona che voglia essere cristiano d’altra parte, devono sforzarsi di vivere secondo gli insegnamenti di Cristo trasmessi dalla Chiesa.Tardelli1

Tutte le proposte pastorali, anche auspicabili, della Chiesa pistoiese non possono che muoversi su questa duplice linea.

+ Fausto Tardelli

* Immagine di Trishhhh, tratta dal sito Flickr, licenza e immagine originale. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite

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