la prassi di Gesù mette in pratica Dio stesso

Gesù teoprassico

“dai loro frutti li riconoscerete”

di J.M. Vigil

Gesù è di quelli che pensano che “bisogna mettere in pratica Dio”. O, detto con linguaggio biblico, che si deve “conoscerlo”, sapendo però che nella Bibbia, questo “conoscere” è sempre pratico, prassico, etico, di comportamento, di intervento nella storia… Per Gesù, Dio non è un entelechia, una ragione suprema, una teoria, nè una dottrina o un’ortodossia. In continuità con la migliore tradizione profetica (Ger 22,16), Gesù proclama che Dio vuole la pratica della giustizia e dell’amore. Fuori da questa pratica, la religione, ridotta a confessione orale, a ortodossia dottrinale o a liturgie rituali, diventa inutile: “Non chiunque dice: Signore, Signore… ma chi fa la volontà del Padre mio” (Mt 7,21-27); “Beati piuttosto quelli che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 11,27-28). La religione è “teoprassi”, messa in pratica della volontà di Dio. Questo sarebbe un criterio per misurare la veridicità di ogni religione, secondo Gesù. Vigil

Gesù pone nella prassi il criterio di verifica del nostro discorso su Dio e con Dio: quale dei due fratelli ha fatto la volontà del Padre, quello che da detto sì, ma in realtà si è eclissato, o quello che detto che non sarebbe andato ma in realtà vi è andato? (Mt 21,28-32). Quello che “è andato”, dice Gesù, non quello che “ha detto che sarebbe andato”. Ossia: Gesù giunge a dire che mentre rimaniamo nel terreno delle parole e dei propositi, non si può definire la verità decisiva; bisogna aspettare che arrivi l’ora della pratica, e lì ciò che importa è quello che si fa, non quello che si dice. E’ proprio della Verità l’essere principalmente praticata, e non semplicemente professata, dichiarata, ammessa mentalmente, creduta o riconosciuta. 
Non ha molta importanza ciò che una religione dice, la bellezza della sua teologia, l’elaborazione del suo credo o la brillantezza dei suoi dogmi, bensì la storia della sua prassi, il suo comportamento storico, il bene o il male che ha compiuto o tralasciato di fare. 
Gesù è deciso e afferma: “Dai loro frutti li riconoscerete… non può un albero buono dare frutti cattivi” (Mt 7,16-18; Lc 6,43).
J.M. Vigil, Teologia del pluralismo religioso
 
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