il vescovo Tardelli risponde – ancorché in modo un po’ abbottonato – alle lettera dei cristiani omosessuali

Omosessualità. Lettera aperta alla Chiesa di Pistoia

omosessualità

lettera aperta alla Chiesa di Pistoia

Siamo un gruppo di donne e di uomini cristiani omosessuali che da quattro anni hanno dato vita ad una esperienza pastorale presso la comunità parrocchiale di Vicofaro (Pt). Con la guida di don Massimo Biancalani ci incontriamo per camminare insieme, per conciliare due dimensioni fondamentali e irrinunciabili della nostra vita: la fede in Gesù Cristo e l’omosessualità

https://www.youtube.com/watch?v=mkxUbJF6HX0&feature=youtu.be

Sollecitati e incoraggiati dal magistero di papa Francesco e da una nuova stagione di apertura e dialogo della Chiesa, vogliamo far giungere alla nostra comunità diocesana un appello: che tra i credenti e nelle comunità si compia uno sforzo per superare ataviche diffidenze, storici pregiudizi e talvolta atteggiamenti discriminatori nei confronti delle persone omosessuali ma soprattutto ci si impegni ad ascoltarle e accoglierle. Ai feriti e ai delusi dalla Chiesa, come spesso si sentono le persone omosessuali, la comunità cristiana non offra semplicemente una “dottrina sull’omosessualità” ma prima di tutto disponibilità all’ascolto, misericordia e soprattutto la disponibilità a fare un cammino insieme.

Conosciamo molto bene ciò che le persone omosessuali vivono, in termini di frustrazioni e immotivati sensi di colpa, in rapporto alla vita nella Chiesa e al personale cammino di fede. Comprendiamo anche che certe “durezze” di un insegnamento antico di secoli non possono essere riviste in un giorno. Accogliamo positivamente il recente appello dei padri sinodali e di papa Francesco, i quali ribadiscono «che ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione». Anche questa è dottrina! Rimaniamo dunque convinti che la Chiesa non cesserà mai di essere in cammino per raggiungere «verità sempre più grandi».

Vogliamo essere fratelli e sorelle attivi protagonisti in una Chiesa che non sappia dire soltanto dei “no”, che non si chiuda dietro antiche sicurezze, paralizzata da tante paure, trincerata dietro supposti “principi non negoziabili” ma che sappia invece leggere i “segni dei tempi”. Riteniamo doveroso chiedere che le nostre comunità si aprano ad una pastorale rivolta agli omosessuali e ai transessuali: ciò aiuterebbe molte persone a sentirsi finalmente accolte, per quello che sono, nella Chiesa, abbattendo quel muro di diffidenza e incomprensione.

La nostra esperienza pastorale con e per le persone omosessuali si esprime come un gruppo aperto ed ecumenico. Molti di noi sono impegnati nella società e nella Chiesa, alcuni come catechisti, operatori pastorali e della carità. Tutti siamo passati attraverso il dolore della solitudine e  della incomprensione da parte delle persone più care, attraverso la paura di aprirsi, per condividere i propri sentimenti e le proprie angosce.

Rivolgiamo un appello alla nostra Chiesa, al vescovo, ai presbiteri, ai diaconi, alle religiose e ai religiosi, ai consigli pastorali, alle comunità parrocchiali: incontriamoci! Il dialogo e la conoscenza reciproca possono fare tanto per far crescere la nostra Chiesa nel suo intento di condividere «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi».

Spesso ci siamo detti o ci siamo sentiti dire: “Tu non puoi essere così, Dio non può volere questo”. Oggi, dopo anni di sofferenze, sappiamo che negare a se stessi o ad altri di essere ciò che nel profondo siamo, può fare più male di un’ingiusta discriminazione.

Siamo certi che Dio ci ama così come siamo, come ama l’umanità intera e che siamo chiamati a mettere a frutto la nostra capacità di amare pienamente come persone. È con questo intento colmo di speranza nel futuro che continueremo a camminare insieme.

La risposta del vescovo di Pistoia, mons. Fausto TardelliTardelli

La lettera inviatami è un invito alla riflessione e come tale la prendo.

Per ora posso dire che ogni persona, qualsiasi siano le sue tendenze sessuali, deve essere rispettata e accolta e sono assolutamente inaccettabili e condannabili tutti i tipi di offesa e tanto più gli atti di violenza.

Gli omosessuali come gli eterosessuali, come ogni persona che voglia essere cristiano d’altra parte, devono sforzarsi di vivere secondo gli insegnamenti di Cristo trasmessi dalla Chiesa.Tardelli1

Tutte le proposte pastorali, anche auspicabili, della Chiesa pistoiese non possono che muoversi su questa duplice linea.

+ Fausto Tardelli

* Immagine di Trishhhh, tratta dal sito Flickr, licenza e immagine originale. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite

image_pdfimage_print

il difficile rapporto delle religioni con le donne

“Dio odia le donne”? Lo dicono le religioni. Un libro di Giuliana Sgrena

“Dio odia le donne”?

lo dicono le religioni

un libro di Giuliana Sgrena

da: Adista Notizie n° 21 del 04/06/2016

Al titolo provocatorio del libro di Giuliana Sgrena Dio odia le donne (Saggiatore, 2016) mi viene da contrapporre l’incipit di un saggio di Giovanni Fioravanti (in Italialaica) «Dio è morto, la religione no. Se si uccide in nome della propria fede, non è Dio che si sta cercando ma esclusivamente la propria affermazione terrena…». Aggiungo: si può uccidere anche senza l’uso delle armi, semplicemente rendendo la persona umana invisibile. L’uomo-maschio si è servito nei secoli del mito dell’onnipotenza della divinità per affermare e difendere il proprio dominio sulle donne create come esseri inferiori.

È questa sorta di complicità che ha mantenuto in vita la religione che non è – come comunemente si pensa – il ponte tra l’umanità e Dio. Basta percorrere la ricchissima documentazione proposta dall’autrice, frutto di un’accurata ricerca sui testi fondamentali delle 3 grandi religioni monoteiste per rendersene conto. Ma quando è morto Dio? E poi, Dio è veramente morto? È morto alcuni secoli fa, se consideriamo le “guerre di religione” che dal Medioevo in poi hanno funestato le nostre società, le persecuzioni degli “eretici”, degli “infedeli”, delle “streghe”. Non così nel mondo antico, dove le guerre venivano scopertamente combattute per estendere il proprio dominio su terre e mercati e agli dei venivano tributati sacrifici e doni propiziatori. Le sconfitte erano considerate vendette per doni mancati o inadeguati… Dio potrebbe essere morto, ucciso dal progresso scientifico e dalla complessità dei centri di potere dell’Età moderna.

Ma Dio non è morto. Segni della sua vitalità sono la ricerca di spiritualità in chiave non fondamentalista, e i fondamentalismi risorgenti dovuti alla crisi dei valori, all’ignoranza, alla sete di protagonismo (cfr. Introduzione). La ricerca di spiritualità passa necessariamente per la laicità fondandosi sul rifiuto delle discriminazioni offerte a piene mani dai testi sacri di ebraismo, cristianesimo e islam, e sulla negazione dell’Assoluto. E laico è nel metodo e nel merito questo saggio di Giuliana Sgrena.

Nel metodo: non si instaura alcun confronto gerarchico tra le 3 religioni. I dettami di ciascuna vengono calati senza pregiudizi nelle realtà conosciute dall’autrice durante la sua attività di giornalista in Medio Oriente e in Nord Africa, e durante i giorni del suo sequestro. Piovono come pietre sul capo di donne che non conoscono la distinzione tra imperativo religioso e leggi dello Stato.

Nel merito: le religioni non sono affrontate come una “disciplina di studio”, ma per le ricadute tutte ugualmente discriminanti nei confronti delle donne. Ben altro approccio rispetto a quella “Storia delle religioni” invocata da molti come antidoto all’insegnamento della religione cattolica concordatario. Infatti è la religione, non le religioni la causa reale della mancata liberazione delle donne. Le religioni sono le varianti contestualizzate nelle diverse culture, ma è la religione quel groviglio di tradizioni, pregiudizi, legami irrinunciabili che formano l’appartenenza, e l’impossibilità per la gran parte delle donne di formarsi una propria identità al di fuori dell’obbedienza.

Dalle pagine di questo terribile libro escono figure come Gulnaz, la giovane donna di Kabul, stuprata dal marito della cugina; potrebbe fuggire, aiutata da un’associazione, ma alla fine resta senza più speranze, sposa il cugino stupratore, vive nella sua casa con la prima moglie, che ha 4 figli, mentre lei ne avrà tre. “È rassegnata, non rivolge mai lo sguardo al marito stupratore”… figure come Amina in Somalia «una donna bellissima ma i suoi occhi sono spenti». Ha sperimentato sulla sua bambina la pratica delle mutilazioni genitali femminili (mgf). Una pratica che viene accettata di buon grado dalle donne di quel Paese (e non solo) poiché il dolore fisico da loro subito rende la famiglia degna di onorabilità…

I primi due capitoli riguardano il tema della creazione e della verginità. Notevole l’immagine di Lilith, la divinità mesopotamica entrata nella cabala ebraica, creata dalla terra come Adamo, ma ribellatasi a lui viene associata al demonio, seminatrice di vento e tempesta. Per questo Dio creò Eva dalla costola di Adamo e non dalla terra, perché gli fosse per sempre sottomessa… I capitoli a seguire evidenziano le inferiorità attribuite alla donna: invisibili e svergognate per l’impurità del corpo di cui sono portatrici e che devono continuare a espiare, a partire da segregazioni, lavaggi, aspersioni, fino al rito macabro del mgf che Sgrena descrive con pagine di intensa partecipazione.

Una riflessione sulle circostanziate descrizioni degli effetti prodotti sulle donne dalle Scritture non può che farci concludere che la religione – emanazione di regole e norme patriarcali per mantenere inalterato il potere in mano maschile – non è certo il ponte che conduce a Dio.

Resta uno scoglio, quello della nostra appartenenza. Il rifugio in un Dio, che depuriamo di tutte le discriminazioni contenute nei Sacri Testi, un Dio che in qualche modo “ci appartiene?” O il passo ulteriore, dalla laicità all’ateismo?

image_pdfimage_print

la spiritualità cristiana ha gli ‘occhi aperti’

LA MISTICA CON GLI OCCHI APERTI

di Johann Baptist Metz

Metz

mistica

La lingua latina usa un’unica parola per dire “salute” e “salvezza”: salus. Aperta, solare, piena, essa suona come un messaggero bello e inclusivo per parlare di integrità e felicità del corpo e dell’anima. Anche la città, il “corpo” sociale chiede salute e salvezza. Come operarle entrambe? Il teologo Johann Baptist Metz ha suggerito, innanzitutto, la distinzione tra “religione civile” e “teologia politica”.
teoòogia del mondo
la fede La prima sarebbe usata per legittimare o imporre un ordine politico e occorre respingerla; la seconda, pone, invece, il problema del rapporto tra la teologia e la prassi, di cui i cristiani debbono farsi responsabilmente carico. In questo compito egli ha introdotto la categoria della compassione e si chiede:
memoria passionis

«Cosa succederebbe se i cristiani, nei loro distinti mondi di vita, osassero questo esperimento della compassione, non importa se in forma modesta, purché sempre nuova e così alla fine si pervenisse a una ecumene della compassione? Non sarebbe questa una luce nuova proiettata sulla nostra terra, su questo mondo globalizzato e tuttavia così dolorosamente lacerato?»

ordini religiosi

Una politica che si faccia a occhi aperti sul bisogno altrui, sul disagio del prossimo, sull’accoglienza e sul diritto di vivere, come un debito da onorare verso la nostra città globale.
image_pdfimage_print
image_pdfimage_print