papa Francesco eretico, parola di A. Socci

Socci scomunica papa Francesco

papa Francesco è ormai eretico, così sentenzia con depresso e delirante sgomento Antonio Socci:

Socci

«Si fonderà una ‘nuova Chiesa’ basata sul verbo cattoprogressista di Bergoglio e di Walter Kasper, anziché sul Vangelo di Cristo?»

un ‘delirio in progress’:

“Bergoglio non lavora ‘a maggior gloria di Dio’, ma ‘a maggior gloria di io’ “

papa francesco messico trump

«Vogliono vedere sino a che punto può arrivare» viene spiegato nel film ‘Private Parts’ modellato sul conduttore radiofonico statunitense Howard Allan Stern per chiarire il successo della sua assoluta scorrettezza. Il nostro Howard Stern per orgogliosa elezione è in primo luogo Giuseppe Cruciani, che lo rivendica a tal punto da mettere quel passaggio audio come ricorrente apertura della sua quotidiana trasmissione radiofonica ‘La Zanzara’ su ‘Radio24’. Ma a Cruciani che si destreggia tra eccessi sessuali e passioni stercorarie fa da speculare contraltare l’altra faccia della rincorsa all’eccesso, il cattolicissimo per autodefinizione Antonio Socci. Totalmente privo di remore nella sua fissazione antifrancescana, nel senso di Jorge Mario Bergoglio-Papa Francesco, lui pure raggiunge ormai vette di delirio masturbatorio. E si vede che i preti non gli devono avere ben spiegato che se abusare della pratica potrebbe forse essere dannoso per la vista, certamente lo è per il pensiero quando ci si avviluppa unicamente al rapporto con se stessi.Il Papa che vuole mettersi al posto di Dio’ titola il suo consueto intervento domenicale del 20 marzo 2016 sul quotidiano ‘Libero’. «Si fonderà una ‘nuova Chiesa’ basata sul verbo cattoprogressista di Bergoglio e di Walter Kasper, anziché sul Vangelo di Cristo?». Dopo un così delicato esordio si passa alla rilevazione degli intenti del perfido gesuita: «(…) se è evidente il proposito di Bergoglio di ribaltare la Chiesa Cattolica, è anche vero che lui sa di dover agire con astuzia e gradualità, in modo di non cadere nella fattispecie del ‘papa eretico’, che pure è previsto dal diritto canonico, con tutto ciò che ne conseguirebbe». Cioè, evidentemente, quanto già oggi nella teologia socciana è assodato: Papa Francesco è eretico. Prosegue titolando di ‘Apostasia’: «Ovviamente la dottrina della Chiesa dice l’opposto» e «La teoria morale di Bergoglio (…) non ha niente di cattolico ed è esplicitamente condannata dal Concilio di Trento (…)». Alé. Passando poi a trattare della ‘Vittoria di Kasper sulla Chiesa’, preconizza lo scontro finale: «Se uscirà un documento siffatto si aprono dunque scenari drammatici nella Chiesa» riferendosi all’imminente pubblicazione dell’Esortazione papale post Sinodo sulla famiglia.

La conclusione di questo ‘capitolo’ è affidata da Socci all’imperdibile opinione del Venerabile piemontese Pio Brunone Lanteri, vissuto tra diciottesimo e diciannovesimo secolo, che sosteneva «il Santo Padre (…) è vicario di Dio, ma non è Dio, né può distruggere l’opera di Dio» come evidentemente a parer di Socci sta oggi facendo. Lo stigma finale è poi mutuato dal Cardinale svizzero Charles Journet, defunto una quarantina di anni fa e quindi anche lui momentaneamente impossibilitato a dissociarsi: «Quanto all’assioma ‘dove è il papa lì è la Chiesa’, vale quando il papa si comporta come papa e capo della Chiesa; nel caso contrario né la Chiesa è in lui, né lui nella Chiesa». E così Bergoglio è sistemato, con l’annuncio della sua ormai pressoché certa dichiarazione di eresia da parte del Supremo Tribunale dell’Inquisizione composto e presieduto dal Socci medesimo. E queste sono solo alcune delle ricorrenti intemerate espressione della fissazione ossessiva di Socci per la denuncia del ‘traditore’ Bergoglio.

Questa ultima, ma certo non ultima, uscita viene infatti dopo averci già offerto sullo stesso quotidiano il 13 marzo precedente un sagace ‘Lutero in affitto’. Gustoso calembour, assai poco gustoso contenuto di cui offriamo qualche assaggio. «A tre anni dall’elezione di papa Bergoglio, sia i suoi sfegatati sostenitori, sia i suoi critici, sono d’accordo su un punto: egli rappresenta una rottura nella millenaria storia della Chiesa. Su questo c’è unanimità.(…) il Papa è servo della verità rivelata, non padrone. Non può mutarla o disporne a suo arbitrio, altrimenti decade dal papato. O sarebbe l’apostasia e la fine stessa della Chiesa Cattolica. È proprio in mezzo a questo vertiginoso guado – fra una rottura radicale, che pare continuamente vagheggiata, e la paura di compiere lo strappo ufficiale – che sembra trovarsi oggi il pontificato di Bergoglio». Tratteggiando anche «La sua ambiguità, da Giano bifronte (…)». E ancora. «Si è scelto di picconare gradualmente e quotidianamente l’edificio sacro, anziché abbatterlo di colpo. Tuttavia i danni sono già enormi. (…) Fra gli applausi dei nemici di Cristo (…). Così ora la situazione sembra precipitare ogni giorno di più». Un ‘delirio in progress’, ma col fascino di farti venire voglia di seguirlo proprio per vedere dove ancora possa arrivare. Giusto per cogliere fior da fiore in una produzione a tal proposito assidua il 27 settembre 2015 aveva già avanzato, sempre su ‘Libero’, il drammatico interrogativo ‘Per chi lavora il vescovo argentino?’. «(…)  papa Bergoglio è instancabile, un vero ciclone. Ma il suo travolgente viaggio americano ha fatto sorgere in alcuni cattolici una domanda: quali obiettivi persegue? Per chi lavora?  È improbabile che lavori per il Dio dei cattolici (…). Del resto chi finora ha cercato nei suoi discorsi americani il nome di Gesù Cristo l’ha trovato raramente e spesso in citazioni formali e marginali. Un ecclesiastico ironico sostiene che Bergoglio non lavora ‘a maggior gloria di Dio’, ma ‘a maggior gloria di io’». 

Così tra fuochi d’artificio vari e ricerca di ‘nuovi livelli’ prosegue l’escalation di Socci. I suoi ‘compari d’avversione’ nei confronti di Francesco seguono a ruota, ma un po’ in affanno a confronto di tale fuoriclasse. Aspettiamo però fiduciosi le prossime mosse dei sempre vivaci Giuliano Ferrara e Sandro Magister, che pure dell’opposizione al sacerdote venuto dai confini del mondo hanno fatto un elemento distintivo. Mentre sullo sfondo, minaccioso ed autorevole, si staglia il silenzio sul tema del più credibile di tutti. Vittorio Messori tace, di fatto, sull’argomento dall’esplosivo articolo ‘I dubbi sulla svolta di Papa Francesco’ nel ‘Corriere della Sera’ del 24 dicembre 2014. Astensione significativamente condita solo da due interventi su testate a diffusione di nicchia: ‘Una mattina nell’eremo del Papa emerito’ su ‘La nuova Bussola Quotidiana’ del 16 settembre 2015 e l’intervista titolata ‘Per Vittorio Messori ‘certe parole del Papa’ possono essere fraintese da persone non vicine alla Chiesa’ su ‘La Fede Quotidiana’ del 27 novembre 2015. Un silenzio che parla.

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E. Bianchi mette a nudo il nostro tradimento del vangelo

“Delitto e castigo. La tentazione di noi credenti”

di Enzo Bianchi

Bianchi

Dobbiamo confessarlo: ciò che di Gesù ancora oggi scandalizza non sono le sue parole di giudizio, le sue parole severe, a volte dure; non scandalizza neppure il suo operare, perché si riconosce il suo “fare il bene” (cfr. Mc 7,37; At 10,38). No, ciò che scandalizza è la misericordia, interpretata da Gesù in un modo che è all’opposto di quello pensato dagli uomini religiosi, da noi!
A volte sembra che la misericordia sia invocata da Dio, sia augurata e facile da mettersi in atto, e invece — dobbiamo riconoscerlo umilmente — in tutta la storia della chiesa la misericordia ha scandalizzato, e per questo è stata poco esercitata. Quasi sempre è apparso più attestato il ministero di condanna piuttosto che quello della misericordia e della riconciliazione. Basterebbe leggere la storia con attenzione, soprattutto quella dei concili, per vedere con quale sicurezza lungo i secoli si è usata la parabola della zizzania (cfr. Mt 13,24-30), pervertendola. In essa Gesù chiede di non sradicare la zizzania, anche se minaccia il buon grano, e di attendere la mietitura e il giudizio alla fine dei tempi. E invece nella chiesa si è indicato il nemico, il diverso come zizzania, autorizzando il suo sradicamento, fino alla sua condanna al rogo. O si guardi alle nostre storie personali: quanto ci è difficile perdonare, fare concretamente misericordia, lasciarci commuovere da chi è nel bisogno, fino a fare per lui il bene, omettendo di compiere ciò che avevamo pensato contro di lui…
Di più, se è vero che la parola misericordia sembra indicare nella nostra società un sentimento che manca di vigore e di verità — per questo si arriva a dire: “La misericordia, troppo facile!” —, quando poi essa è praticata in modo autentico, in realtà turba, desta obiezioni. Questo perché la misericordia è temibile più della giustizia: “é un ripudio del male in nome della condivisione di un amore”. Il messaggio della misericordia scandalizza, non è capito da quanti si sentono giusti, in pace con Dio (e per i quali Gesù non è venuto: cfr. Mc 2,17), mentre invece è compreso e atteso da chi si sente nel peccato, bisognoso del perdono di Dio. I credenti “religiosi” di ieri e di oggi hanno difficoltà a sentirsi fratelli e sorelle dei peccatori, delle peccatrici, perché nella loro vita non hanno commesso peccati “gravi”, quindi si mettono dalla parte dei giusti, di quelli che possono vantarsi di qualcosa presso il Signore: vantarsi di non aver sbagliato gravemente. é stato così durante il ministero di Gesù, è stato così nella storia della chiesa, è così ancora ai nostri giorni, quando siamo interrogati da papa Francesco proprio sulla nostra capacità di misericordia: misericordia della chiesa, misericordia di ognuno di noi verso chi ha sbagliato o chi ha bisogno del nostro amore. Spesso siamo disposti a fare misericordia se c’è stata punizione, castigo di chi ha fatto il male (e diciamo che questa è giustizia!), se il peccatore è stato sufficientemente umiliato e solo se chiede misericordia come un mendicante. In ogni caso, stabiliamo dei precisi confini alla misericordia, perché pensiamo che certi errori, certi sbagli, certe scelte avvenute nel male e non più riparabili debbano essere punite per sempre dalla disciplina ecclesiastica: per alcuni errori dai quali non si può tornare indietro non c’è misericordia, dunque la misericordia non è infinita, ma può essere concessa solo a precise condizioni…
 

Ecco il nostro tradimento del Vangelo, ecco come la misericordia ci scandalizza.

 
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siamo pieni di tanti tanti pregiudizi!

pregiudizio e realtà

di Leonardo Becchetti
in “Avvenire” del 12 marzo 2016

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I migranti stanno invadendo i Paesi ricchi?

Rapporto rifugiati per 1.000 abitanti: Libano 232, Giordania 87, Malta 23, Svezia 9, Italia 2 (media Ue 2).

I musulmani ci invadono?

Meno di un terzo tra gli immigrati che arrivano in Italia sono musulmani.

Gli immigrati ci tolgono ricchezza?

Con i 5 miliardi di differenza tra contributi versati e percepiti dagli immigrati l’Inps paga le pensioni di 600mila italiani.

Saremo travolti da milioni di poverissimi?

Sono prevalentemente quelli dei ceti medi che riescono ad arrivare nei nostri Paesi perché i soli con le risorse economiche necessarie per fare il viaggio.

Rischiamo una catastrofe demografica?

Il Paese si sta spopolando, con la perdita di 180mila italiani nel 2015, rimpiazzati da meno di 40mila stranieri immigrati.migranti

L’arrivo degli immigrati ridurrà le nostre possibilità di sviluppo?

Gli Stati Uniti calcolano che l’invecchiamento della popolazione toglierà 0,8% punti di Pil all’anno per i prossimi otto anni: figuriamoci da noi dove la popolazione invecchia ancor più e non vogliamo forza lavoro giovane immigrata. Il Pil è la somma di beni e servizi prodotti e venduti e, a parità di competitività, con più anziani e meno forza lavoro (e forza lavoro più anziana) si produce meno e a tassi di produttività inferiori. Semplice. E drammatico.

La differenza tra realtà e pregiudizio sul tema delle migrazioni è sostanziale. Il tema delle migrazioni è ostaggio delle chiacchiere del bar dello Sport e di una narrativa ansiogena che certa politica, e purtroppo anche certi media, hanno interesse ad alimentare. Questa narrativa è lo specchio delle paure e delle ansie della popolazione nei confronti della globalizzazione, alimenta le opinioni di settori importanti dell’elettorato e riduce lo spazio per le politiche d’integrazione.

Nessun governo può pensare di approvare leggi lungimiranti in materia, conservando il consenso dell’opinione pubblica in presenza di questa congiuntura comunicativa e culturale avversa. Se le statistiche non bastano a contrastare la narrazione distorta (e qualcuno del bar dello Sport arriverà a pensare che la statistica fa parte del ‘complotto’) c’è bisogno di contronarrazioni e di iniziative che possano contrastare il fenomeno. Per risolvere il problema ‘politico’ non basta dunque (anche se è ottimo e doveroso) proporre iniziative eccellenti che tante realtà della società civile organizzano rendendo vivo e tangibile il principio della sussidiarietà. In questo, la nostra cultura del ‘fare il bene, ma non dirlo’ non aiuta affatto. Non si tratta di vantare quello che si fa quanto di affrontare una missione culturale. Bisogna anche sporcarsi le mani ‘entrando nel bar dello Sport’ e affrontando direttamente il problema della narrativa distorta (come, ripeto, su queste pagine si fa spesso). Confutando innanzitutto il falso principio della ‘torta fissa’. Come è noto in letteratura scientifica, la paura e l’ostilità per lo straniero è alimentata dal pregiudizio che l’economia e la società siano un gioco a somma zero. La torta delle risorse è fissa e, se c’è un nuovo arrivato, bisognerà dargliene una fetta e quindi ridurre la nostra (la recessione da questo punto di vista aggrava il problema di percezione in questione perché per anni la torta si è ridotta). L’economia, invece, è un gioco a somma positiva, perché quella torta bisogna produrla, e farlo in un Paese che invecchia è sempre più difficile. La produttività dipende anche dallo spirito imprenditoriale e dalla struttura per età della popolazione. Le nuove risorse ed energie che vengono da altri Paesi diventano quindi preziose per far funzionare l’economia, stimolare creatività e innovazione. Le abilità e le qualifiche degli stranieri sono molto spesso complementari e non sostitute di quelle degli italiani e rendono più vivo e vitale il ‘tessuto produttivo’ del Paese. Per contrastare la narrazione culturale dominante ci vuole un lavoro paziente e capillare di formazione che faccia incontrare concretamente i ‘diversi’. Lo straniero è molto più minaccioso quando è un’entità astratta che entra in casa nostra attraverso le ansie alimentate dalla televisione.
Può diventare relazione quando è persona della porta accanto che entra nella nostra vita. Accanto a questo lavoro paziente e impegnativo c’è anche bisogno di produrre narrative diverse. In questa seconda fase della globalizzazione in cui i movimenti di persone stanno diventando fluidi e veloci quasi come i movimenti di capitali è illusorio (oltre che moralmente ed economicamente sbagliato) opporre resistenza alla società meticcia che verrà ed allora la cosa più giusta che possiamo fare è predisporre nel modo migliore possibile il nostro Paese a un’accoglienza ben regolata e intelligente. Da questo punto di vista c’è bisogno di raccontare in modo efficace storie diverse (quale sarà il commediografo che scriverà l’Indovina chi viene a cena dei nostri giorni?), di abitare sporcandosi le mani lo spazio dei social media perché altrimenti quello spazio lo occuperanno altri producendo livori e diffondendo la cultura del mors tua vita mea e degli ‘italiani prima’. E di organizzare momenti visibili di piazza. È arrivato il momento di mobilitazioni che affrontino il tema. L’Europa di questi anni sarà giudicata per il modo in cui ha accolto chi è nel bisogno e ha ire parato il suo stesso futuro. Oltre al Family day, per valorizzare la troppo sottovalutata bellezza e la forza della famiglia, sta forse arrivando il giorno di un Migration day, per valorizzare la complessità buona e la ricchezza del fenomeno migratorio nel nostro Paese. Per chiedere, anche qui, una legalità salda e accogliente. E per cambiare la percezione della globalizzazione.

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L. Boff individua quattro minacce serie alla terra

QUATTRO MINACCE ALLA MADRE TERRA 

Leonardo Boff

 
quattro sono le minacce che pesano sulla nostra Casa Comune e che esigono da noi un’attenzione speciale:Boff L.
La prima è la vista della Terra impoverita e senza certezze dei tempi moderni. Lei è stata condannata a impietoso sfruttamento per aumentare la ricchezza. Sotto questo aspetto ci ha procurato benefici innegabili,
ma ha portato con sé anche uno squilibrio in tutti gli ecosistemi, che hanno scatenato l’attuale crisi ecologica generalizzata.

In questa ricerca forsennata, intere popolazioni come in America Latina sono state eliminate, devastata la foresta atlantica e, in parte, la savana.

Nel gennaio del 2015, 18 scienziati hanno pubblicato sulla famosa rivista “Science”,, uno studio sopra “I limiti planetari: una guida per lo sviluppo umano in un mondo in cambiamento”. Hanno elencato 9 dati fondamentali
per la continuità della vita. Tra questi stava l’equilibrio dei climi il mantenimento della biodiversità, difesa dello strato di ozono, controllo dell’acidificazione degli oceani, e altri ancora. Tutti gli item sono in stato di erosione. Ma i due più degradati, sono classificati come “limiti fondamentali”: cambiamento climatico e estinzione delle specie. La rottura di queste due frontiere basilari può condurre la civiltà al collasso.
Aver cura della Terra in questo contesto vuol dire che al paradigma della conquista che devasta la natura dobbiamo opporre il paradigma della cura che difende la natura. Dobbiamo certo produrre quello che ci occorre per vivere, ma con attenzione ed entro limiti sopportabili di ogni regione e con la ricchezza di ciascun ecosistema.
La seconda minaccia è la macchina di morte, le armi di distruzione di massa: armi chimiche, biologiche e nucleari. Esse sono già pronte sulle rampe di lancio e possono distruggere tutta la vita del pianeta in 25 forme differenti. Siccome la sicurezza non è mai totale, dobbiamo fare attenzione che non siano usate in guerra e che i meccanismi di sicurezza siano sempre più efficaci.
A questa minaccia dobbiamo opporre una cultura di pace, di rispetto dei diritti della vita, della Natura e della Madre Terra, di distensione e dialogo tra i popoli. Invece di vinci-perdi, vivere il vinci-vinci, cercando convergenze nelle diversità. Questo significa creare equilibrio e generare cura.
La terza minaccia è la scarsità di acqua potabile. Di tutta l’acqua che esiste sulla Terra solo il 3% è dolce, Il resto, salata. Di questi 3%, il 70% viene impiegato in agricoltura, il 20% all’industria e solo il 10% di questo 3% è destinato agli usi domestici. Volume irrisorio che significa che più di un miliardo di persone vivono con quantità insufficienti di acqua potabile.
Aver cura della Terra vuol dire aver cura delle foreste, perché sono la protezione naturale di tutte le acque. Aver cura dell’acqua significa darsi da fare perché le sorgenti siano circondate da alberi, che i fiumi abbiano la loro vegetazione cigliare, perché sono loro che alimentano le sorgenti. Purtroppo più di metà delle foreste umide è stata distrutta, alterando i climi, lasciando i fiumi a secco, o diminuendo l’acqua delle falde acquifere. La cosa migliore che possiamo fare è sempre riforestare.
La quarta grande minaccia è rappresentata dal progressivo riscaldamento della Terra. Fa parte della geofisica del pianeta che conosca fasi alterne di freddo e caldo. La realtà è che questo rito naturale è stato alterato per l’eccesso di intervento umano su tutti i fronti della natura e della Terra. L’anidride carbonica, il metano e altri gas del processo industriale hanno creato una nube che circonda tutta la Terra e mantiene il calore qui in basso. Siamo vicini ai 2 gradi Celsius. Con questa temperatura, si può ancora amministrare i cicli della vita.
La COP 21 di Parigi, sul finire del 2015 ha creato un consenso tra 192 nazioni che si sono impegnate a fare di tutto per non arrivare a 2C, anzi con la tendenza all’1,5, il livello della società preindustriale. Superato tale livello, la specie umana sarà pericolosamente minacciata.
Non senza ragione gli scienziati hanno creato una parola nuova per qualificare il nostro tempo: l’antropocene. Questo configurerebbe una nuova era geologica, nella quale la grande minaccia per la vita, il vero Satana della Terra, è proprio l’essere umano con la sua irresponsabilità, mancanza di attenzione e cura.
C’è chi azzarda l’ipotesi secondo cui la Madre Terra non ci vorrebbe più in casa sua. Troverebbe un modo per eliminarci, o con un disastro ecologico di proporzioni apocalittiche, oppure un super-batterio potentissimo e inattaccabile, che permetterebbe alle altre specie di prosperare, assente la minaccia umana, e il processo di evoluzione.
Contro il riscaldamento globale dobbiamo cercare fonti alternative di energia, quella solare e quella eolica, visto che quella fossile, il petrolio, motore della nostra civiltà industriale, produce la gran parte dell’anidride carbonica. Dobbiamo vivere i vari ‘r’ della Carta della Terra:
Ridurre, Riusare, Riciclare, Riforestare, Rispettare, Rifiutare ogni appello al consumo. Tutto quello che possa inquinare l’aria deve essere evitato per impedire il riscaldamento globale.
 
da leonardoboff.wordpress.com
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dalla copertura istituzionale all’invito a denunciare

“abusata dal prete dell’oratorio”

l’accusa di una suora con l’ok del Vaticano

le violenze subite raccontate in un libro choc. “Ero ragazzina, ora la Chiesa mi ha aiutato a dire tutto”. La confessione dopo aver ascoltato in Duomo l’invito a denunciare del vescovo di Boston O’Malley, chiamato da Scola

 

di ZITA DAZZI

"Abusata dal prete dell'oratorio", l'accusa di una suora con l'ok del Vaticano
La prima volta, lei aveva 14 anni. Lui, il prete dell’oratorio, 30 di più.

“Mi ha fatto sdraiare sul suo grande letto. Io mi ci perdevo, ero magrissima ed esile. Lui aveva modi gentili e paterni. Mi ha invitato a slacciarmi i pantaloni e poi mi ha aiutato a sfilarli, ha fatto lo stesso con le mutandine. Io mi vergognavo, ero tesa e non sapevo come comportarmi. Mi ha aperto le gambe lentamente e mi ha detto: ‘Sei fatta bene'”

Inizia così, un racconto choc di una donna oggi diventata suora, dopo esser stata da bambina abusata per anni dal prete della sua chiesa, un sacerdote ormai morto che operava fino a poco tempo fa nella Diocesi ambrosiana.

La cruda testimonianza delle violenze subite per sette anni dalla ragazzina è in un libro, “Giulia e il Lupo”, curato da Luisa Bove e pubblicato da l’Ancora, casa editrice legata all’ordine dei pavoniani, con la spinta della Curia di Milano e la prefazione di padre Hans Zollner, membro della Pontificia commissione per la tutela dei minori, istituita da Papa Francesco per far luce sugli scandali sessuali e la pedofilia dentro alla chiesa. Il “Lupo” del titolo viene appunto dal nome usato da Bergoglio nei suoi discorsi contro i preti pedofili.

La donna, oggi 40enne, vive in convento e non aveva mai rivelato le violenze subite a casa del sacerdote prima di questo libro che mette alla prova anche il lettore scafato. “Ogni volta le carezze aumentavano e le sue grandi mani raggiungevano i miei piccoli seni – si legge nei primi capitoli – Un pomeriggio, dopo le prime carezze, mi ha detto che voleva vedermi tutta perché ero bella. Ha iniziato a spogliarmi, un minuto dopo ero completamente nuda, mentre il Lupo mi divorava con gli occhi e non smetteva di accarezzarmi e di baciarmi ovunque. Aveva ottenuto quello che voleva, mentre io ero inerme”.

Un racconto feroce che la vittima ha trovato la forza di tirar fuori l’anno scorso, a 15 anni di distanza dai fatti, dopo aver ascoltato in Duomo a Milano, l’invito a denunciare gli abusi fatto dal vescovo di Boston O’Malley, chiamato a Milano dall’arcivescovo Angelo Scola perché raccontasse la sua battaglia contro i preti pedofili.

Come tutte le ragazze abusate da adulti, si sentiva “sporca”, incapace di opporsi al “don” dell’oratorio, il suo confessore: “Era la mia guida spirituale. Dovevo fidarmi. Mi aveva chiesto di più, avevo concesso di più. Di fronte a ogni sua richiesta non sapevo dire di no. Subito dopo, mi pentivo. Il Lupo no. Mi trovavo bloccata da quella confusione mortale. Percepivo che qualcosa di me era come morto, perché riusciva a fare di me e con me tutto quello che voleva”. Dopo anni, finalmente, il prete maniaco si allontana. Ma rimane un dolore sordo nella testa della ragazza, la fatica di vivere, la paura di ogni uomo, l’orrore per il proprio corpo. La decisione di prendere i voti, spiegata in mezzo a pagine che documentano il tormento psicologico, la difficoltà di trovare qualcuno disposto ad ascoltarla e a crederle.

“Ora si trattava di pronunciare, una volta per tutte, il nome del mio carnefice, rivelare la sua identità. Non lo avevo mai detto, illudendomi così di proteggere me stessa, invece proteggevo lui. Non lo pronunciavo perché mi vergognavo di me stessa”, spiega la suora che, da adulta, ha avuto modo di incontrare ancora altre volte il suo persecutore. “Mi ha detto: ‘Io non ho mai dimenticato. Spero che tu mi abbia perdonato’. Ho risposto d’impulso:

 

“Certo, tanti anni fa”. E lui: ‘Questo per me è un grande sollievo'”.

I ragionamenti nel libro si accavallano, ma le conclusioni sono chiare: “Ho scoperto che il perdono non c’era mai stato, perché c’era la consapevolezza che non eravamo stati due amanti, bensì vittima e carnefice. E la nostra relazione era un abuso e una violenza. Com’era possibile allora perdonare? Non l’ho fatto allora, e neppure oggi”.

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L. Boff e la sconfitta ‘naturale’ del capitalismo

Leonardo Boff: “Il capitalismo sarà sconfitto dalla Natura”

vBoff L.i è un fatto innegabile e desolante: il capitalismo come modo di produzione e la sua ideologia politica, il neoliberismo, si sono infiltrati a livello globale in modo tanto consistente che sembra non ci possa essere nessuna alternativa reale.

Infatti, ha occupato tutti gli spazi ed ha allineato quasi tutti i paesi verso i suoi interessi globali.

Da quando la società è diventata società di mercato e tutto è indirizzato al guadagno, perfino le cose più sacre – come gli organi umani, l’acqua e la capacità di impollinare i fiori – gli Stati, almeno la maggioranza, sono costretti a gestire una macroeconomia integrata a livello globale e non servire al bene comune del proprio popolo.

Il socialismo democratico nella sua versione avanzata di ecosocialismo è un’opzione teorica importante, ma con poca base sociale mondiale che lo implementi. La tesi di Rosa Luxemburg, nel suo libro “Riforma o Rivoluzione”, che “la teoria del collasso del capitalismo è nel cuore del socialismo scientifico”, non si è materializzata. E il socialismo è crollato.

La furia di accumulazione capitalistica ha raggiunto i livelli più alti della sua storia. Praticamente l’1% della popolazione più ricca del mondo controlla circa il 90% di tutta la ricchezza. 85 opulenti, secondo l’ONG Oxfam Intermon, possedevano nel 2014 gli stessi soldi di 3,5 miliardi  di poveri nel mondo. Il grado di irrazionalità e anche di disumanità parlano da soli. Viviamo in tempi di barbarie esplicite.

Finora le crisi congiunturali del sistema si sono verificate nelle economie periferiche, ma dalla crisi del 2007/2008 la crisi è esplosa nel cuore dei paesi centrali, negli Stati Uniti ed in Europa. Tutto sembra indicare che non è una crisi congiunturale, sempre superabile, ma questa volta è una crisi sistemica, che pone fine alla capacità di riproduzione del capitalismo.

Le vie di uscita che cercano i paesi che egemonizzano il processo globale sono sempre dello stesso tipo: non cambiano mai. Ossia, continuare con lo sfruttamento illimitato dei beni e dei servizi naturali, orientati da una unità di misura chiaramente materiale (e materialista) come il PIL. E guai a quei paesi in cui il PIL diminuisce.

Questa crescita peggiora ulteriormente lo stato della Terra. Il prezzo dei tentativi di riproduzione del sistema è quello che i loro corifei chiamano “esternalità” (quelle che non entrano nella contabilità degli affari).

Queste sono principalmente due: un’ingiustizia sociale degradante con alti livelli di disoccupazione e crescente disuguaglianza; e un’ingiustizia ecologica minacciosa, con il degrado di interi ecosistemi, erosione della biodiversità (la scomparsa di 30-100 mila specie di esseri viventi ogni anno, secondo i dati del biologo E. Wilson), l’aumento del riscaldamento globale, la scarsità di acqua potabile e la insostenibilità generale del sistema-vita e del sistema-Terra.

Questi due aspetti stanno mettendo in ginocchio il sistema capitalista. Se si volesse universalizzare il benessere offerto dai paesi ricchi, avremmo bisogno di almeno tre Terre uguali a quelle che abbiamo, il che è ovviamente impossibile. Il livello di sfruttamento dei “regali della natura”, come chiamano i popoli indigeni andini i beni ed i servizi della natura, è tale che nel settembre passato è successo “il giorno del sovraccarico della Terra” (the Earth Overshoot Day). In altre parole, la Terra non ha più ormai la capacità, in sé, di soddisfare le richieste umane. C’è bisogno di un anno e mezzo per sostituire quello che le viene sottratto in un anno.

E’ diventato insostenibilepericolosamente. O freniamo la voracità di accumulazione della ricchezza, per permetterle alla terra di riposare e ricostituirsi, o dobbiamo prepararci al peggio. Dato che si tratta di un super-Ente vivo (Gaia), limitato, con carenza di beni e servizi ed ora malato, ma che unisce sempre tutti i fattori che garantiscono le basi fisiche, chimiche ed ecologiche per la riproduzione della vita, questo processo di eccessivo degrado può generare un collasso ecologico e sociale di proporzioni dantesche.

La conseguenza sarebbe che la Terra sconfiggerebbe definitivamente il sistema del capitale, incapace di riprodursi con la sua cultura materialista  di consumo illimitato e individualista. Quello che non abbiamo raggiunto storicamente con processi alternativi (era lo scopo del socialismo), lo otterranno la natura e la Terra. Essa, infatti, si libererà di una cellula tumorale che minaccia con metastasi tutto il corpo di Gaia.

Nel frattempo, il nostro compito è all’interno del sistema, allargando le breccie, esplorando tutte le sue contraddizioni per garantire in particolare ai più umili della Terra gli elementi essenziali per la sopravvivenza: cibo, lavoro, alloggio, educazione, servizi di base e un po’di tempo libero. Questo è quello che si sta facendo in Brasile e in molti altri paesi. Dal male tirar fuori il minimo necessario per la continuità della vita e della civiltà. E poi, pregare e prepararsi al peggio…

di Leonardo Boff

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contro i mercanti d’acqua

maledetti voi, mercanti d’acqua

di Alex Zanotelli
le decisioni prese in questi giorni, sia dal governo Renzi che dal parlamento, sulla gestione pubblica dell’ acqua, sono di una gravità estrema perché un governo democratico rifiuta quello che il popolo aveva già deciso con il Referendum del 2011
È stato diffuso il Testo unico sui servizi pubblici locali, decreto attuativo della Legge Madia n. 124/2015, che si prefigge gli obiettivi di “ridurre la gestione pubblica dei servizi ai soli casi di stretta necessità” e di “garantire la razionalizzazione delle modalità di gestione dei servizi pubblici locali in un’ottica di rafforzamento del ruolo dei soggetti privati”. In questo Testo unico c’è l’obbligo di gestione dei servizi pubblici locali attraverso società per azioni, nonché l’obbligo, ove la società per azioni sia a totale capitale pubblico, di rendere conto delle ragioni del mancato ricorso del mercato ed infine di presentare un piano economico-finanziario sottoscritto da un Istituto di credito. Un segnale più chiaro del totale disprezzo della volontà popolare espressa nel Referendum, non ci potrebbe essere.
A questo si aggiunge il “blitz” di pochi giorni fa, fatto da Renzi-Madia inCommissione Ambiente della Camera, dov’era in discussione la Legge d’iniziativa  Popolare per la ripubblicizzazione dell’acqua, che aveva ricevuto nel 2007 oltre quattrocentomila firme, che è stata ripresentata in questa legislatura da un inter-gruppo  parlamentare  (M5S , Sel e alcuni Pd) . Il “blitz” Renzi- Madia è avvenuto il 15 marzo, quando in Commissione Ambiente è stato approvato un emendamento che abroga l’articolo 6 del progetto di legge che definiva il servizio idrico integrato quale servizio pubblico locale privo di rilevanza economica e ne disponeva l’affidamento esclusivo a enti di diritto pubblico, vietando l’acquisizione di quote azionarie. Tutto questo è stato cancellato per volontà del governo Renzi e del PD.
Un atto parlamentare questo che costituisce il tradimento totale della volontà popolare espressa nel Referendum del 2011. I deputati M5S e Sinistra Italiana hanno abbandonato i lavori della Commissione, lasciando che fosse approvata dalla sola maggioranza con l’accordo del governo. Il Pd si difende dicendo che l’acqua resta pubblica, ma che può essere gestita dai privati! Infatti il nodo centrale è proprio la gestione, perché questo Testo unico e le nuove norme sui servizi locali rendono eccezionale una gestione pubblica e reintroducono “l’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”, cancellata dal referendum del 2011. E pensare che Renzi nel 2011, allora sindaco di Firenze, aveva proclamato il suo Sì per l’acqua pubblica.
Quello che sta avvenendo sotto i nostri occhi è di una gravità estrema. Per questo mi appello a i 26 milioni di italiani/e perché si informino e si mobilitino (sit-in, sensibilizzazione nelle proprie realtà locali) contro la stravittoria del neoliberismo, del mercato, dei profitti e si ribellino scendendo in piazza. Mi appello ai vescovi italiani perché si esprimano sulla questione acqua, che già il papa nell’enciclica Laudato Sì ha definito “diritto umano essenziale, fondamentale e universale” anzi, ”diritto alla vita”. Mi appello ai preti, perché sensibilizzino i loro fedeli nelle omelie domenicali.
 
Mi appello alle comunità cristiane, dopo una così forte dichiarazione del papa sull’acqua, perché ritornino a impegnarsi e a ricongiungersi con il grande Forum Italiano dei Movimenti dell’acqua pubblica, che ha portato nel 2011 alla vittoria referendaria. Dobbiamo ora ottenerne un’altra! Si tratta di vita o di morte per noi e per gli impoveriti. Infatti sia per noi, ma soprattutto per gli impoveriti, è l’acqua (la Madre di tutta la vita) il bene più prezioso, che sarà sempre più scarso per il surriscaldamento del Pianeta. Se permetteremo alle multinazionali di mettere le mani sull’acqua, avremo milioni di morti di sete. La gestione dell’acqua deve essere  pubblica, fuori dal mercato e senza profitto, come sta avvenendo a Napoli, unica grande città italiana ad aver obbedito al Referendum.
Diamoci tutti/e da fare perché il nostro governo obbedisca a quanto ha deciso il popolo italiano nel 2011.
da comune-info.net
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occorreva una giornata così per metterci di fronte la nostra vergogna

il 3 ottobre sarà Giornata in memoria delle vittime dell’immigrazione

Importante l’istituzione di una Giornata della memoria per le vittime dell’immigrazione, ma non basta. Ora normativa che renda possibile per tutti coloro che fuggono da morte e disperazione, il diritto all’accoglienza e il sostegno per poter ricominciare

Antonella Napoli

La Giornata della memoria delle vittime dell’immigrazione è legge. Con il voto in Senato, pressoché unanime fatta eccezione per il prevedibile ‘no’ della Lega, la Repubblica italiana ha riconosciuto il 3 ottobre quale data simbolo per conservare e rinnovare la memoria di quanti hanno perso la vita nel tentativo di emigrare verso il nostro Paese per sfuggire alle guerre, alle persecuzioni e alla miseria. Prima di tutto per ricordare la tragedia del 3 ottobre del 2013, uno dei giorni più bui nella storia delle migrazioni. Quel giorno morirono 366 persone, annegate dopo il naufragio di un barcone al largo di Lampedusa. E nell’ultimo anno le vittime accertate nel Mediterraneo sono state almeno 4200. Uomini, donne, bambini… Ognuno con un nome, un volto. Con sogni e desideri, debolezze e paure. Accomunati da un solo elemento, la tragedia che si consuma giorno dopo giorno a largo delle nostre coste i cui fondali sono disseminati di barconi affondati con il loro carico di disperazione ma anche per il peso della responsabilità di chi su quelle carrette del mare ce li ha spinti quei disperati perché altre vie di fuga dalle crisi umanitarie, dalle guerre, dalla povertà assoluta che vessano milioni di persone non ce ne sono. Oggi sarà più difficile ignorare queste realtà, una Giornata della memoria ci ‘ancora’ alle nostre responsabilità. Certo è più facile piangere che accogliere le migliaia, le centinaia di migliaia, di profughi che arrivano alla ricerca di un futuro in Europa, quell’Europa che stenta a superare egoismi e divisioni.
E’ giusto, doveroso, ricordare le vittime ma, prima di ogni cosa, serve agire. Eppure nonostante l’impegno di pochi in tanti continuano a osteggiare qualsiasi iniziativa comune che possa portare alla condivisione del carico di disperazione che si riversa sulle nostre terre. Ogni volta che arriva un barcone in Italia, che riesca ad approdare o che affondi in mare aperto lasciando l’incombenza alla nostra Guardia Costiera di recuperarne i naufraghi, c’è chi storce il naso e grida allo scandalo dei rifugiati accolti indiscriminatamente nel nostro Paese come negli altri Stati europei. Visti da molti come ‘pesi morti’ che lo Stato si ‘accolla’ a scapito dei tanti italiani in difficoltà, non vengono considerati per quello che sono: dei disperati che rischiano la vita attraversando il Mediterraneo su imbarcazioni fatiscenti e pericolose, sempre stracolme, perché non hanno alternative.
Sapete quanti immigrati arrivati nel 2015, e cito statistiche pubblicate dal Ministero dell’Interno, hanno finora ottenuto lo status di rifugiati in Italia?
Solo il 50% dei richiedenti asilo (circa 2.800 persone) ha ottenuto il riconoscimento di qualche forma di protezione e non tutti viene attribuita, come prevede l’ordinamento italiano, anche la ‘protezione sussidiaria’, che viene concessa solo a coloro per i quali sussistono ‘fondati motivi di ritenere che, se ritornassero nel Paesi dal quali provengono correrebbero un rischio effettivo di subire un grave danno’.
La maggior parte dei profughi può però contare esclusivamente sull’accoglimento e la protezione umanitaria (ovvero il permesso di soggiorno per motivi umanitari), concessa nel caso,sussistano gravi motivi, come guerre o crisi di altra natura.
Il numero di rifugiati accolti dall’Italia appare ancor più modesto se comparato a quello di altri paesi europei e del resto del mondo
Secondo i dati dell’Agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite) in Italia sono circa 50mila e ogni anno vengono presentate dalle 30mila alle 40mila richieste di asilo.
Il trend registrato in tutta Europa dagli anni ‘90 ad oggi, ovvero l’aumento di domande a causa di nuovi conflitti e violazioni dei diritti umani, si è verificato anche in Italia.
Gli ultimi dati forniti da UNHCR rilevano che “a titolo di comparazione la Germania accoglie circa 580mila rifugiati ed il Regno Unito circa 290mila, mentre i Paesi Bassi e la Francia ne ospitano rispettivamente 80mila e 160mila. In Danimarca, Paesi Bassi e Svezia i rifugiati tra i 4,2 e gli 8,5 ogni 1.000 abitanti, in Germania oltre 7, nel Regno Unito quasi 5, mentre in Italia appena 0,7, ovvero 1 ogni 1.500 abitanti”.
La legislazione del nostro Paese non facilita (volutamente?) l’incremento del numero di rifugiati. E la domanda sorge spontanea: come è possibile che l’Italia, a fronte di un’emergenza così pressante non abbia nel proprio ordinamento una normativa organica sull’accoglienza?
La disciplina dello status di rifugiato, pur essendo stata concepita a tal fine, non è mai risultata coincidente con il diritto di asilo. È frammentaria e incompleta, essendo contenuta in diversi strumenti che si sono sovrapposti nel tempo senza mai ricevere una revisione organica.

E il punto, dunque, è proprio questo. Se l’importante successo di oggi, l’istituzione di una giornata della memoria per le vittime dell’immigrazione, è senza dubbio un punto fermo, una vittoria per quanti si impegnano quotidianamente nell’assistenza ai profughi, come il Comitato 3 ottobre promotore della legge, la vera battaglia, quella che dobbiamo affrontare con ancor più vigore e determinazione è proprio il raggiungimento di una normativa che renda possibile per tutti coloro che fuggono da morte e disperazione, il diritto all’accoglienza e il sostegno per poter ricominciare. Riappropriarsi di un futuro, della propria vita.

 

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la miseria morale troppo spesso fa rima con … pallone e le sue star

quell’energumeno, così europeo

di Enrico Fierro
in “il Fatto Quotidiano” del 19 marzo 2016

sono gonfi come palloni gonfiati spesso i calciatori, e pieni di soldi, perdono il senso della realtà e dell’umanità, ergendosi altezzosamente sugli altri, ma pisciare su un mendicante per ergersi ancora più su rivela solo la piccolezza e miseria morale di essi: merita leggere questa riflessione in merito di E. Fierro:

mendicante

Premessa: il nobile gioco del pallone non c’entra. E poco hanno a che fare con quanto abbiamo visto a Roma, Ponte Sant’Angelo, le imprese, anche le più efferate, degli ultrà. C’è qualcosa di più profondo dietro il gesto di quel l’energumeno tifoso dello Sparta Praga che ieri ha “pisciato” addosso a una mendicante. Sì, abbiamo scritto pisciato, è volgare, ma così deve essere, altrimenti non ci capiamo. mendicante1
Perché scrivere “fare pipì” è troppo delicato, evoca la marachella urinaria del bebé, orinare sa di malattia e di reparto urologico. Pisciare, perché nel verbo c’è tutta la volgarità e la violenza del gesto. L’energumeno stava calpestando la Storia, ma ne era inconsapevole, la vescica, pressata dalle troppe birre ingurgitate, premeva. Gli scappava, e allora perché non farla proprio lì, scegliendo come obiettivo della sua minzione una mendicante? Una delle tante donne avvolte in un velo nero raggomitolate come stracci per le vie di Roma a chiedere qualche spicciolo. Chi era per l’energumeno? Zero, panni puzzolenti. No, il pallone non c’entra, lui, il ceco col pinocchietto e gli occhiali neri, pisciava addosso alla povertà, all’emarginazione, a una vita irregolare e fuori dagli schemi. E in questo si sentiva europeo e padrone, in linea con l’ideologia dominante che vuole l’improduttivo, chi non possiede, chi dispone solo della sua miseria, l’effetto di un male sociale. Da disprezzare, odiare. Estirpare. L’energumeno è l’immagine plastica dell’Europa che chiude le frontiere e costringe migliaia di profughi a varcare le acque gelide di un fiume per cercare una terra amica, che assiste indifferente alla scena di una donna che partorisce in una tenda e lava suo figlio con l’acqua fredda. L’energumeno è incolpevole perché europeo fino in fondo.
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la diversità, anche religiosa, è amata da Dio

La fede in un Dio che ama la diversità. Il pluralismo religioso come imperativo etico

 

la fede in un Dio che ama la diversità

il pluralismo religioso come imperativo etico

 
  Adista Documenti n° 12 del 26/03/2016
È una delle grandi sfide che la teologia mondiale è chiamata urgentemente a raccogliere. Di più: è un imperativo etico e una priorità irrinunciabile per tutta l’umanità. Ma, di sicuro, la questione del pluralismo religioso è anche un campo minato per i teologi, come hanno sperimentato tutti coloro che – dal belga p. Jacques Dupuis (scomparso nel 2004) al gesuita statunitense p. Roger Haight, dal religioso dello Sri Lanka p. Tissa Balasuriya (morto nel 2013) al vietnamita emigrato in Usa Peter Phan, dal galiziano Andrés Torres Queiruga allo spagnolo-nicaraguense José María Vigil – si sono impegnati in vario modo su questioni relative all’unicità salvifica di Cristo, alla funzione della Chiesa nel piano di salvezza, al valore salvifico delle altre religioni, esponendosi a censure, emarginazione, processi e rappresaglie.

Perché, di certo, per la Chiesa cattolica, uscita con fatica dall’assioma esclusivista “fuori dalla Chiesa non c’è salvezza”, il salto dal paradigma inclusivista oggi dominante (secondo cui la salvezza è possibile anche attraverso le altre religioni, “incluse” in qualche modo nell’unico piano di salvezza che ha come centro Cristo) a quello pluralista (in base a cui le religioni non cristiane sono vie di salvezza valide per se stesse e non per una presunta loro partecipazione al mistero di Cristo) è tutt’altro che scontato, mettendo in discussione elementi importanti dell’identità cristiana come la categoria del popolo eletto, la concezione della missione o lo stesso dogma cristologico. Potrebbe sembrare un po’ come la ricerca della quadratura del cerchio: conciliare la piena fedeltà alla testimonianza cristiana con l’impegno in un autentico dialogo interreligioso. Eppure, come ha affermato un altro importante teologo del pluralismo religioso, lo statunitense Paul Knitter, affinché oggi sia possibile fare una scelta religiosa, è sempre più evidente la necessità che ciò avvenga «in maniera interreligiosa», cioè «riconoscendo che esistono altri modi validi di essere religiosi». È, questa, appunto, la strada seguita dal teologo brasiliano Faustino Teixeira, già allievo di Dupuis alla Pontificia Università Gregoriana, docente nel Programma di specializzazione in Scienza della Religione presso l’Università Federale di Juiz de Fora, in Minas Gerais, e autore di diversi libri sui temi del dialogo interreligioso, del pluralismo religioso e della mistica comparata delle religioni, l’ultimo dei quali è stato appena pubblicato da Pazzini Editore con il titolo Cercatori cristiani in dialogo con l’Islam (2015, pp. 139, 14 euro), in cui Teixeira ripercorre le vite di alcuni di questi “dialoganti” cristiani, mistici e profeti che, dalla loro esperienza di frontiera, indicano la rotta da seguire ai credenti del XXI secolo: Louis Massignon, Abd-El-Jalil, Louis Gardet, Georges Anawati, Serge De Beaurecueil, Christian De Chergé, Paolo Dall’Oglio.

proponiamo l’intervento di Faustino Texeira, tratto da una registrazione e non rivisto dall’autore, e alcuni stralci del suo libro, tratti dal capitolo su Christian de Chergé.

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