il commento al vangelo della domenica

BENEDETTO COLUI CHE VIENE NEL NOME DEL SIGNORE 

commento al Vangelo della domenica delle palme (20 marzo 2016) di P. Alberto Maggi:

p. Maggi

Lc 19,28-40

In quel tempo, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo: «Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. E se qualcuno vi domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha bisogno”».
Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. Mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: «Perché slegate il puledro?». Essi risposero: «Il Signore ne ha bisogno». Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo:
«Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!». Alcuni farisei tra la folla gli dissero: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli». Ma egli rispose: «Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre».

Nella domenica delle Palme la chiesa ci presenta nella liturgia l’ingresso di Gesù a Gerusalemme secondo il vangelo di Luca capitolo 19, dai versetti 28 al 40. Per comprendere quello che l’evangelista ci scrive dobbiamo tener presente la profezia nel libro del profeta Zaccaria, capitolo 9 versetto 9.
Leggiamo questa profezia che ci fa comprendere quanto poi l’evangelista svilupperà. Esulta grandemente figlia di Sion, cioè Gerusalemme, ma indica anche tutto il popolo, giubila figlia di Gerusalemme. Ecco a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso.
E fino a qui era l’attesa del re, del messia, del liberatore di Israele, ma poi Zaccaria presenta una novità, un’immagine clamorosa. Umile cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. La cavalcatura regale normalmente era la mula o il cavallo. Non si era mai visto un re cavalcare un puledro d’asino. Il profeta vuole indicare che c’è una modalità di essere messia completamente differente da quella che era l’attesa. Un messia modesto, un messia umile, un messia che cavalca la cavalcatura che era quella del popolo, ma non solo. Farà sparire i carri da Efraim e i cavalli da Gerusalemme. I carri sono i carri da guerra. L’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle genti.
Questa era la profezia di Zaccaria. Ma una profezia che era stata come accantonata, come dimenticata, perché il messia che doveva venire doveva essere il figlio di Davide, cioè uno che, come il grande re che riuscì ad unificare le tribù di Israele, attraverso il potere, la forza e la violenza, restaurasse il defunto regno di Israele.
Allora leggiamo a questo punto come l’evangelista ci presenta tutto questo.
Dette queste cose, si riferisce alla parabola delle mine, la parabola dei talenti, nelle quali c’è un gruppo di persone che non desidera che un tale venga nominato loro re. Quindi c’è il rifiuto della regalità, anticipa quello che sarà il rifiuto da parte del popolo di Gesù come re.
Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. E’ la tappa finale del suo viaggio. Quando fu vicino a Bètfage e a Betània… E’ una caratteristica di tutti gli evangelisti mai alludere alla morte di Gesù senza poi mettere un riferimento alla sua risurrezione. Se Gerusalemme sarà la città in cui Gesù sarà assassinato, Betania sarà il luogo della risurrezione e dell’ascensione di Gesù.
Presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo: “Andate nel villaggio di fronte”. Il villaggio nei vangeli ha sempre un significato negativo, il villaggio è il luogo della tradizione, il luogo dove le novità vengono sempre viste con sospetto, quindi quest’immagine del villaggio è quella di un luogo attaccato al passato e che rifiuta il nuovo.
Entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno, (letteralmente nessuno mai degli uomini). Slegatelo e conducetelo qui. E’ importante in questo brano l’uso del verbo slegare che sarà ripetuto per ben quattro volte. Qual è il significato che l’evangelista vuole dare a questo che di per sé sembra illogico. Cos’è che devono slegare? Devono slegare questa profezia che era stata come incatenata, come legata, perché non volevano un messia modesto, un messia di pace. Questo devono slegare. Ma per primi sono i discepoli che si devono convincere di questo.
E se qualcuno vi domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha bisogno”».  Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. Abbiamo detto che il discorso sembra irreale, illogico. Questi che arrivano lì e slegano questo puledro e, scrive l’evangelista, mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: «Perché slegate il puledro?». Essi risposero: «Il Signore ne ha bisogno». “Ah va bene!” Quindi è un discorso irreale. Ma l’evangelista, attraverso questa illogicità della narrazione, ci vuol far comprendere il significato: Gesù slega questa profezia che era rimasta legata perché a nessuno interessava un re così.
E mentre i signori (cioè i proprietari) legano, il Signore Gesù è colui che scioglie.
Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro… il mantello nella simbologia ebraica indica la persona, l’identità della persona, allora i discepoli accettano questo messia di pace e lo  gettano sul puledro, questo veicolo di pace. Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. Cioè ci sono altri che non comprendono questo, allora si rifanno al gesto di intronizzazione del re quando il popolo stendeva il mantello – il mantello come abbiamo detto indica la persona – sulla strada e il re ci passava sopra, o a cavallo o a piedi, e significava sottomissione.
Questa ambiguità nel testo porterà alla fine tragica di  Gesù quando verrà abbandonato. Quando si accorgono che non è il re, il messia, il liberatore, il trionfatore con la violenza, lo stesso popolo che ora lo acclama, sarà quello che griderà poi: “Crocifiggi!”
Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo … E qui c’è la citazione di un salmo, il salmo 118, quello dell’intronizzazione del messia:
“Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore.” E poi l’evangelista ci aggiunge l’annuncio che gli angeli hanno fatto a pastori per indicare la nascita di Gesù.
“Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!». Gesù è un messia di pace, è un messia che è il dono di Dio. Questa acclamazione da parte dei discepoli provoca la reazione furibonda dei farisei. Alcuni farisei tra la folla gli dissero: “Maestro, rimprovera i tuoi discepoli”. Questo verbo rimproverare si usa per i demoni, gli indemoniati. Per i farisei è come se i discepoli fossero posseduti da un’ideologia demoniaca acclamando un messia non violento, non l’accettano.
Ma egli rispose: “Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre”.   E si rifà ad una profezia conosciuta, quella del profeta Abacuc in cui le pietre gridano contro l’ingiustizia. L’ingiustizia sarà la morte del messia liberatore.

 

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“i migranti di oggi che soffrono all’aria, senza cibo e non possono entrare, non sentono l’accoglienza”.

 

migranti

papa Francesco: “belli i Paesi che aprono le porte”

“Dio si è dimenticato di me!”

Questa esclamazione, ha affermato Papa Francesco, “sale spontanea alle labbra di tante persone che soffrono, si sentono abbandonate come i nostri fratelli che stanno vivendo una drammatica situazione di esilio lontani dalla loro patria, con negli occhi le macerie delle loro case e spesso il dolore per la perdita delle persone care”. “In questi casi – ha detto papa Francesco nella sua catechesi all’Udienza Generale – uno può chiedersi dove è Dio? Come è possibile che tanta sofferenza possa abbattersi su uomini, donne e bambini innocenti ai quali chiudono la porta quando cercano di entrare da un’altra parte, e sono lì al confine perché tante porte e tanti cuori sono chiusi. I migranti di oggi che soffrono all’aria, senza cibo e non possono entrare, non sentono l’accoglienza”.

 

A me piace tanto – ha poi confidato Francesco ai 40mila fedeli presenti in piazza San Pietro – quando vedo nazioni e governanti che aprono il cuore e aprono le porte“. Per rinnovare il suo appello all’accoglienza, pronunciato con evidente riferimento alle chiusure di alcuni paesi europei, il Papa ha preso spunto “dalla promessa del profeta Geremia che risponde popolo esiliato che tornerà nella sua Terra”. “Dio – ha scandito – non è assente nemmeno oggi in queste drammatiche situazioni”. Per questo, ha concluso, “non bisogna cedere alla disperazione. Il bene vince il male e il Signore asciugherà ogni lacrima e libererà da ogni paura”.

(AGI)

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caro papa, riesci ad ascoltare anche noi?

“Caro Papa Francesco,

sono Daniele, e voglio scriverti questa lettera parlandoti come farei con mio padre”

chiesa ascoltaci
Io sono sicuro che se non fossi Cristiano non avrei accettato la mia omosessualità con la serenità con cui in passato ho affrontato questa scoperta di me. Quando mi sono preso una cotta per il mio primo ragazzo avevo appena 16 anni, ed ero un membro attivo dell’Azione Cattolica Italiana. Ho riflettuto su quell’affetto, quell’omoaffettività che mi aveva lasciato con un grande punto interrogativo. La Parola di Vita che è la Sacra scrittura, la stessa Parola che mi ha creato, mi ha dato risposta “Tu sei il figlio mio l’Amato: in te ho posto il mio compiacimento.” .
Mi sono fidato di Dio, se mi ha pensato e creato omosessuale è perché ha un progetto su di me, e non vedo l’ora di realizzare la Sua Volontà.
Non mi sono mai sentito sbagliato, né in errore oggettivo, no, io ho sempre amato e rispettato le persone che Dio mi ha messo nel percorso della vita. Un giorno amerò e rispetterò mio marito, e lo farò nel nome di Dio, e vorrei farlo in casa mia, nella mia Chiesa, ma se non vorrà accogliermi so di non essere privo dell’amore di Dio e della Sua Benedizione. So che avrò uno stato che mi riconoscerà come persona legata a lui. Tuttavia Soffrirò, perché la mia Famiglia Cristiana non loderà il Signore con me per il grande Dono della Famiglia che è la Sintesi dell’Amore gratuito di Cristo, dono totale di se all’altro.”
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l’invito di Zanotelli a votare sì al referendum ‘no triv’

REFERENDUM ‘NO TRIV’

IL PETROLIO RESTI SOTTOTERRA!

“le ragioni date dai comitati NO TRIV per votare SI’ sono tante”

Il 17 aprile dobbiamo tutti/e prepararci ad andare a votare il nostro SI’per il Referendum, proposto da nove regioni e dai comitati No Triv . (Ricordiamoci che si tratta di un Referendum abrogativo di una legge del governo Renzi sulle trivellazioni petrolifere, per cui è da votare SI’ all’abrogazione!) La sola domanda referendaria su cui dovremo esprimerci sarà : “Si può estrarre petrolio fino all’esaurimento dei pozzi autorizzati che si trovano lungo le coste italiane entro le 12 miglia?”

zanotelli (2)

Inizialmente erano sei le domande referendarie proposte dalle nove regioni (Basilicata, Puglia, Molise, Veneto, Campania, Calabria, Liguria, Sardegna e Marche). Ma la Cassazione ha bocciato l’8 gennaio le altre cinque domande perché il Governo Renzi, nel frattempo, aveva furbescamente riscritto due commi del Decreto Sblocca Italia 2016. Per cui ne rimane una sola. Le ragioni date dai comitati NO TRIV per votare SI’ sono tante: il pericolo di sversamenti di petrolio in mare con enormi danni alle spiagge e al turismo, il rischio di movimenti tellurici legati soprattutto all’estrazione di gas e l’alterazione della fauna marina per l’uso dei bombardamenti con l’aria compressa.

Ma la ragione fondamentale per votare SI’ è ,che se vogliamo salvarci con il Pianeta, dobbiamo lasciare il petrolio ed il carbone là dove sono, cioè sottoterra! Il Referendum ci offre un’occasione d’oro per dire NO alla politica del governo Renzi di una eccesiva dipendenza dal petrolio e dal carbone per il nostro fabbisogno energetico. Gli scienziati ci dicono a chiare lettere, che se continuiamo su questa strada, rischiamo di avere a fine secolo dai tre ai cinque centigradi in più. Sarà una tragedia!

Papa Francesco ce lo ripete in quel suo appassionato Laudato Si’: ”Infatti la maggior parte del riscaldamento globale è dovuto alla grande concentrazione di gas serra emessi soprattutto a causa dell’attività umana. Ciò viene potenziato specialmente dal modello di sviluppo basato sull’uso intensivo dei combustili fossili(petrolio e carbone) che sta al centro del sistema energetico mondiale.” Il Vertice di Parigi sul clima , il cosidetto COP 21, dello scorso dicembre , lo ha evidenziato , ma purtroppo ha solo invitato gli Stati a ridurre la dipendenza da petrolio e carbone. E così gli Stati, che sono prigionieri dei poteri economico-finanziari, continuano nella loro folle corsa verso il disastro. Per questo il Referendum contro le trivellazioni diventa un potente grimaldello in mano al popolo per forzare il governo Renzi ad abbandonare l’uso dei combustibili fossili a favore delle energie rinnovabili.

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Trovo incredibile che il governo Renzi non solo non abbia obbedito a quanto deciso nel vertice di Parigi, ma che non abbia ancora calendarizzato la discussione parlamentare per sottoscrivere gli impegni di Parigi entro il 22 aprile. In quel giorno infatti le nazioni che hanno firmato l’Accordo di Parigi si ritroveranno a New York per rilanciare lo sforzo mondiale per salvare il Pianeta. Sarebbe grave se mancasse l’Italia.

Per questo mi appello alla Conferenza Episcopale Italiana perché, proprio sulla spinta di Laudato Si’, inviti le comunità cristiane ad informarsi su questi temi vitali per il futuro dell’uomo e del Pianeta, e votare quindi di conseguenza.

Mi appello a tutti i sacerdoti perché nelle omelie domenicali spieghino ai fedeli la drammatica crisi ecologica che ci attende se continueremo a usare petrolio e carbone.

Mi appello alle grandi associazioni cattoliche (ACLI, Agesci, Azione Cattolica…) a mobilitare i propri aderenti perché si impegnino per la promozione del SI’ al Referendum.

“Abbiamo bisogno di un confronto che ci unisca tutti, perché la sfida ambientale che viviamo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti….Gli atteggiamenti che ostacolano le vie di soluzione, anche fra i credenti, vanno dalla negazione del problema all’indifferenza, alla rassegnazione comoda o alla fiducia cieca nelle soluzioni tecniche. Abbiamo bisogno di nuova solidarietà universale. Come hanno detto i vescovi del Sudafrica” I talenti e il coinvolgimento di tutti sono necessari per riparare il danno causato dagli umani sulla creazione di Dio.”

Diamoci da fare tutti/e, credenti e non, per arrivare al Referendum con una valanga di SI’ per salvarci con il Pianeta.

Alex Zanotelli

Napoli,14 marzo 2016

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la collaborazione delle varie teologie della liberazione

la teologia della liberazione

messaggio del 33° Congresso di Teologia

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dal 5 all’8 settembre 2013  si è svolto in Madrid il 33° Congresso di Teologia sul tema  ” La Teologia della Liberazione, oggi,”  che ha riunito un migliaio di persone provenienti da vari paesi e continenti in un clima di riflessione, comunione fraterna e dialogo interreligioso, interculturale, interetnico

 
 
1. Viviamo in un mondo gravemente ammalato, ingiusto e crudele, dove la ricchezza si concentra sempre più in meno mani mentre crescono le disuguaglianze e la povertà. Tra 40.000 e 50.000 persone muoiono ogni giorno per la fame e per le guerre, quando ci sono risorse sufficienti per nutrire il doppio della popolazione mondiale. Il problema non è, quindi, la scarsità, ma la competitività, l’accumulo smisurato e la distribuzione ingiusta, prodotte dal modello neoliberale. I governanti lasciano che governino i poteri finanziari e la democrazia non è arrivata all’economia. L’attuale crisi europea ha come effetto lo smantellamento della democrazia.
 Barros
 
2. La crisi economica si è trasformata in una crisi dei diritti umani. Gli eufemisticamente chiamati “tagli” in materia di istruzione e sanità sono, in realtà, violazioni sistematiche dei diritti individuali, sociali e politici, che avevamo ottenuto con tanto sforzo nel corso dei secoli precedenti.
 
 
3. Questa situazione, però, non è inevitabile, né naturale, né risponde alla volontà divina. Si può rompere la passività cambiando il nostro modo di vivere, di produrre, di consumare, di governare, di legiferare e di fare giustizia e cercando modelli alternativi di sviluppo nella direzione che propongono e praticano non poche organizzazioni oggi nel mondo.
 Barros 1
 
4. In questi giorni abbiamo ascoltato le testimonianze e le molteplici voci delle differenti Teologie della Liberazione presenti in tutti i continenti e che cercano di collaborare per dare risposte ai più gravi problemi dell’umanità: in America Latina, in sintonia con il nuovo scenario politico e religioso e con le esperienze del socialismo del XXI secolo; in Asia, in dialogo con le visioni del mondo orientali, scoprendo in esse la loro dimensione liberatrice; in Africa, in comunicazione con le religioni e le culture originarie, alla ricerca delle fonti della vita nella natura.
 
 
5. Abbiamo verificato che la Teologia della Liberazione continua ad essere viva e attiva di fronte ai tentativi del pensiero conservatore e della teologia tradizionale di condannarla e darla per morta. La TdL è storica, contestuale e si riformula nei nuovi processi di liberazione attraverso soggetti emergenti di trasformazione: donne discriminate che prendono coscienza del loro potenziale rivoluzionario; culture, in altri tempi distrutte, che rivendicano la loro identità; comunità contadine che si mobilitano contro i Trattati di Libero Commercio; giovani indignati, ai quali viene negato il presente e chiuse le porte del futuro; la natura saccheggiata, che grida, soffre, si ribella ed esige rispetto; emigranti maltrattati che lottano per migliori condizioni di vita; religioni indigene e di origine africana che rinascono dopo essere state per secoli ridotte al silenzio.
 
 
6. La TdL è teologia della vita, che difende con particolare intensità la vita più minacciata, quella dei poveri, che muoiono presto, prima del tempo. Fa realtà le parole di Gesù di Nazaret: «Sono venuto affinché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza». Chiama a scoprire Dio negli esclusi e crocifissi della terra: questa è la missione fondamentale delle chiese cristiane, una missione dalla quale sono state finora molto lontane.
 Boff L.
 
7. I riformatori religiosi hanno aperto e continuano ad aprire percorsi di compassione e di liberazione integrale, che devono tradursi politicamente, socialmente ed economicamente in ogni momento storico, in modo particolare, Siddhartha Gautama il Buddha e Gesù di Nazareth il Cristo (tema dell’ultima conferenza del Congresso).
 
 
8. Denunciamo la mancanza di etica nelle politiche dello Stato che presentano i tagli come riforme necessarie per la ripresa economica. La nostra denuncia si estende a banche, multinazionali e poteri finanziari come veri responsabili della crisi attuale in connivenza con i governi che lo permettono. Optiamo per un altro modello economico i cui criteri siano il principio del bene comune, la difesa dei beni della terra, la giustizia sociale e la condivisione comunitaria.
 
 
9. Denunciamo l’uso della violenza, il militarismo, la corsa agli armamenti e la guerra come forme irrazionali e distruttive di soluzione dei conflitti locali e internazionali, a volte giustificati religiosamente. Optiamo per un mondo in pace, senza armi, dove i conflitti vengono risolti attraverso la via del dialogo e del negoziato politico. Sosteniamo tutte le iniziative pacifiche che vanno in quella direzione, come la giornata di digiuno e preghiera proposta da Papa Francesco. Rifiutiamo la teologia della guerra giusta e ci impegniamo a elaborare una teologia della pace.
 
 
10. Denunciamo il razzismo e la xenofobia che si manifestano soprattutto nelle leggi discriminatorie, nella negazione dei diritti degli immigrati, nel trattamento umiliante cui sono sottoposti da parte delle autorità e nella mancanza di rispetto per il loro stile di vita, cultura, lingua e costumi. Optiamo per un mondo senza frontiere retto sulla solidarietà, l’ospitalità, il riconoscimento dei diritti umani senza alcuna discriminazione e della cittadinanza-mondo contro la cittadinanza restrittiva vincolata all’appartenenza ad una nazione.
 
 
11. Denunciamo la negazione dei diritti sessuali e riproduttivi e la violenza sistematica contro le donne: fisica, simbolica, religiosa, di lavoro, esercitata dall’alleanza dei differenti poteri: leggi sul lavoro, pubblicità, mezzi di comunicazione, governi, imprese, ecc. Tale alleanza favorisce e rafforza il patriarcato come sistema di oppressione di genere. Nella discriminazione e maltrattamento delle donne hanno una responsabilità non piccola le istituzioni religiose. La teologia femminista della liberazione cerca di rispondere a questa situazione, riconoscendo le donne come soggetto politico, morale, religioso e teologico.
 
 
12. Chiediamo la sospensione immediata delle sanzioni e la riabilitazione di tutti le teologhe e teologi discriminati (coloro che hanno visto le proprie opere proibite, condannate o soggette a censura, coloro che sono stati espulsi dalle cattedre di insegnamento, coloro ai quali è stato ritirato il riconoscimento di “teologi cattolici”, quelli sospesi a divinis, ecc.), soprattutto durante i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che furono particolarmente repressivi in questioni di teologia morale e dogmatica, nella maggioranza dei casi per il loro coinvolgimento con la Teologia della Liberazione e anche per seguire gli orientamenti del Concilio Vaticano II. Tale riabilitazione è esigenza di giustizia, condizione necessaria per la tanto attesa riforma della Chiesa e prova dell’autenticità della stessa. Rivendichiamo, a sua volta, all’interno delle chiese, l’esercizio dei diritti e libertà di pensiero, riunione, espressione, insegnamento, pubblicazione, spesso non rispettati, e il riconoscimento dell’opzione per i poveri come criterio teologico fondamentale.
Con Pedro Casaldáliga affermiamo che tutto è relativo, compresa la teologia, e che sono assoluti soltanto Dio, la fame e la liberazione.
 
 
Madrid, 8 settembre 2013
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il sostegno di C. Barros ai quattro preti in tenda

profeti del nostro tempo

lettera aperta ai quattro preti bergamaschi

Barros 
  Adista Segni Nuovi n° 11 del 19/03/2016
Il sostegno di Marcelo Barros, teologo della Liberazione brasiliano, all’iniziativa dei quattro preti bergamaschi che, in solidarietà coi migranti, hanno deciso di passare la Quaresima in tenda sul sagrato della chiesa di Ambivere

Emanuele, Alessandro, Andrea e Gianluca, carissimi fratelli e compagni di cammino, prima di tornare in Brasile, dove mi attendono incontri teologici e diversi ministeri, vorrei ringraziarvi di tutto cuore per questo vostro gesto ministeriale e profetico durante la Quaresima. Senza dubbio, come la Dabar biblica, parola che si fa vita, questo vostro gesto è un’anticipazione dell’Exultet, l’annuncio della Pasqua di Gesù, che oggi si esprime come Crocifisso-Risorto nelle tante tende dei migranti, dei rifugiati e dei profughi di questo mondo così segnato dalla crudeltà.Barros 1

La rapida visita che ho avuto modo di farvi è stata per me una grazia divina e mi ha confermato nel cammino della fede e della speranza. Ho potuto constatare il vostro coraggio nell’affrontare il freddo delle notti invernali, la sfida dei tanti lavori pastorali che continuate a svolgere, anche in questo periodo speciale, e principalmente la chiarezza della vostra opzione evangelica, che è alla base di tutto questo cammino. Porterò al Brasile e ai miei compagni/e dell’Associazione dei Teologi del Terzo Mondo la vostra profezia che ci anima tutti/e.

Ringrazio Dio per il fatto che, come mi avete detto, il vostro vescovo è stato in grado di rispettare la vostra decisione e di comprenderla. Grazie a Dio, questo pastore ha ascoltato la parola che Gesù ha detto a Pietro: «Simone, ho pregato per te, perché tu confermi i tuoi fratelli» (Lc 22,32). Purtroppo, non si può contare sulla solidarietà umana e cristiana da parte di tutti i fratelli nel ministero presbiterale. Sembra che si sentano più eredi dei dottori della legge e dei sacerdoti del tempio di Gerusalemme che dei profeti biblici. Infatti, Amasia, sacerdote di Betel, nei confronti del profeta Amos e i sacerdoti del tempio di Gerusalemme nei riguardi di Geremia hanno iniziato una “tradizione”. E secondo Giovanni, dopo l’inizio del ministero di Gesù, i sacerdoti e i dottori di Gerusalemme inviarono leviti e funzionari del tempio per interrogare, vigilare e bloccare la profezia di Gesù (Gv 1,19 ss).

Ancora oggi, funzionari ecclesiastici che vivono in un sistema poco democratico usano argomenti democratici quando si tratta di soffocare la profezia. Certamente, pensano che Gesù avrebbe dovuto consultare almeno i discepoli e gli amici prima di cenare con persone considerate di malaffare o ricorrere a una votazione comunitaria se si dovesse o meno perdonare la donna adultera o comunicare con la samaritana…  È importante per tutti noi, in ogni momento, valutare se non stiamo cadendo nella tentazione del clericalismo. Siamo ecclesiastici e clericali quando ci fermiamo su posizioni di potere e di privilegio. Il vostro cammino non è questo. La vostra lettera rivela una visione del mondo; è un grido profetico importante. Non preoccupatevi se non avete condotto un lavoro scientifico o uno studio sociologico documentato sulla realtà. Non è questo il linguaggio dei profeti. Sono uomini e donne di Dio che gridano quello che vedono.

Alcuni vi criticano dicendo che volete mettervi in mostra. Non siete voi che lo avete scelto. È lo stesso Spirito di Dio. Paolo ha scritto ai Corinzi: Dio ha messo noi apostoli come «spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini» (1 Cor 4,9).

Mantenetevi saldi nel vostro cammino. In altri tempi, i dottori della legge hanno rivolto le stesse accuse e obiezioni a mons. Oscar Romero in El Salvador, a Don Hélder Câmara, il mio vescovo in Brasile, e a Samuel Ruiz, il vescovo degli indios in Chiapas, un profeta che in questi giorni è stato riabilitato da papa Francesco nel suo viaggio in Messico. State tranquilli. Siete in buona compagnia.

«Il Dio della pace che ha fatto tornare dai morti il Pastore grande delle pecore, in virtù del sangue di un’alleanza eterna, il Signore nostro Gesù, vi renda perfetti in ogni bene, perché possiate compiere la sua volontà, operando in voi ciò che a lui è gradito per mezzo di Gesù Cristo, al quale sia gloria nei secoli dei secoli» (Ebrei 13,20-21).

Il vostro fratello Marcelo Barros

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l’escatologia negativa di Socci che vede tutto nero

Socci sui primi tre anni di Francesco

“Occhio, che cosa sta per crollare”

Socci sui primi tre anni di Francesco:
A tre anni dall’elezione di papa Bergoglio, sia i suoi sfegatati sostenitori, sia i suoi critici, sono d’accordo su un punto: egli rappresenta una rottura nella millenaria storia della Chiesa. Su questo c’è unanimità.
Molti però ignorano che la Chiesa – per la sua divina costituzione – non può avere rotture nella sua tradizione magisteriale.
Deve restare sempre fedele al «depositum fidei» ricevuto da Gesù Cristo e contenuto nella Sacra Scrittura: il Papa è servo della verità rivelata, non padrone. Non può mutarla o disporne a suo arbitrio, altrimenti decade dal papato. O sarebbe l’apostasia e la fine stessa della Chiesa Cattolica.
È proprio in mezzo a questo vertiginoso guado – fra una rottura radicale, che pare continuamente vagheggiata, e la paura di compiere lo strappo ufficiale – che sembra trovarsi oggi il pontificato di Bergoglio. La sua ambiguità, da Giano bifronte, ha indotto Newsweek a fare la celebre copertina: «Is the Pope Catholic?» (il Papa è cattolico?). Su nessun altro Pontefice si è mai potuta porre una domanda così inquietante. D’altra parte lo stesso Bergoglio nel 2013 dichiarò a Scalfari: «Non esiste un Dio cattolico».

Quell’intervista svelò il personaggio. Ross Douthat, sul New York Times, nei giorni del Sinodo 2015, ha firmato un editoriale («Il complotto per cambiare il cattolicesimo») dove scriveva: «In questo momento il primo cospiratore è il papa stesso. Lo scopo di Francesco è semplice: egli favorisce la proposta dei cardinali liberal» cioè «un cambiamento di dottrina».

Però, al Sinodo, Bergoglio è finito in minoranza, com’era accaduto già a quello del 2014 e al Concistoro. Dunque ora la patata bollente è tutta nelle sue mani perché se nell’Esortazione post-sinodale sulla famiglia, che firmerà il 19 marzo, per tirare le conclusioni, volesse davvero sancire l’ufficiale cambiamento di dottrina – ovvero il tradimento del Vangelo – non potrebbe nascondersi dietro al mandato del Sinodo (che non c’è stato), ma dovrebbe metterci la sua sola firma e assumersi – davanti a Dio e agli uomini – la responsabilità personale di una rottura che può diventare un tragico scisma. Se non lo farà potrebbe esplodere la delusione dei suoi sostenitori modernisti. Che già sobbollono.

Per esempio, Vito Mancuso sulla Repubblica dice: «Il problema di questo pontificato è che alla radicalità dei gesti non corrisponde quella del governo (…). La fortissima popolarità di Francesco, in particolare nel primo periodo, poteva consentirgli scelte di maggiore coraggio (…). Io temo l’effetto boomerang. Ci è apparso come un papa che avrebbe cambiato tutto, e invece è quasi tutto fermo».

Mancuso rimprovera a Bergoglio di non aver fatto subito un blitz rivoluzionario, cosa che ha permesso ai cattolici di capirne i pericoli e organizzare la resistenza.

Nel corso dei mesi, in effetti, di fronte al Bergoglio che civetta con i nemici della Chiesa, fino a esaltare la Bonino e Napolitano, il Bergoglio che accantona l’insegnamento della Chiesa fissandosi solo sugli immigrati (fino a esaltare i «benefici» di un’«invasione araba dell’Europa»), il Bergoglio che arringa il Centro sociale Leoncavallo e disprezza il Family day – il popolo cristiano si è raffreddato con lui.

Mancuso riconosce che «c’è stato un netto calo di fedeli alle udienze del 2015 rispetto al 2014. E anche il Giubileo non sta andando come previsto. Nella Chiesa Cattolica stanno aumentando di intensità due forze diametralmente opposte: gli innovatori come me, e chi invece chiede di tornare alla “sana tradizione”. Una caratteristica diffusa soprattutto tra i giovani sacerdoti. Il Papa sta al centro».

Mancuso gli chiede di decidere da che parte buttarsi. In effetti con Bergoglio il vecchio modernismo cerca l’assalto finale alla Chiesa: l’ideologia postconciliare del ’68 si sta giocando tutto per appropriarsi della Chiesa e ridurla a cimitero «politically correct».

E la resistenza più forte, a difesa della Chiesa di Cristo, viene proprio dai giovani cresciuti con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Se papa Bergoglio non ha fatto il «colpo» nei primi mesi, come auspicava Mancuso, probabilmente è proprio per la presenza silenziosa e carismatica del «papa emerito», la cui autorevolezza ha frenato e intimidito lo spirito rivoluzionario.

Bergoglio ha scelto un’altra via. In una memorabile copertina dello Spectator, col titolo: «Pope vs Church» (il Papa contro la Chiesa), Bergoglio era disegnato su una macchina demolitrice che, un colpo dopo l’altro, abbatteva una chiesa. Si è scelto di picconare gradualmente e quotidianamente l’edificio sacro, anziché abbatterlo di colpo.

Tuttavia i danni sono già enormi. Bergoglio, per esempio, ha sottratto alla Chiesa la sua missione di Kathécon, cioè di presenza che si oppone al dilagare del «mysteryum iniquitatis». Cioè all’Impero, all’ideologia anticristiana che ha deciso la cancellazione della legge naturale, della famiglia e della sacralità della vita (oltreché delle radici cristiane).

Fra gli applausi dei nemici di Cristo, Bergoglio ha accantonato la grandiosa opposizione di Benedetto XVI e Giovanni Paolo II alla «dittatura del relativismo». Così ora la situazione sembra precipitare ogni giorno di più. C’è un impazzimento sempre più veloce delle società e degli individui.

Lo mostrano le vicende internazionali, ma anche le cronache di questi giorni, con tanti efferati delitti. E a quest’umanità precipitata in un abisso di follie, guerre, persecuzioni e atti di barbarie, la «nuova Chiesa» di Bergoglio si presenta con queste testuali parole affidate dal papa a Eugenio Scalfari: «Ciascuno di noi ha una sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene».

Se così fosse anche i più sanguinari tiranni sarebbero legittimati perché non fanno che perseguire la «propria idea» di bene. Nessuno potrebbe condannarli.

Se il Bene e il Male non sono oggettivi, tutto è lecito. È la notte del relativismo dove il Bene è quello che piace a me o ciò che uno Stato o un tiranno impongono. È solo la forza a decidere.

E non si può nemmeno più ricordare che incombe su tutti noi il giudizio divino. Infatti la «nuova Chiesa» di Bergoglio – come si è sentito nei giorni scorsi – si scaglia addirittura sulla Chiesa di sempre perché avrebbe «per lungo tempo trasmesso una fede impastata di paura. Che ruotava attorno al paradigma colpa/castigo». Così ora nessuno più griderà, come Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi, rivolto ai mafiosi: «Verrà un giorno in cui risponderete davanti al Giudice supremo» (anche Gesù aveva gridato: «Se non vi convertirete perirete tutti allo stesso modo». E ancora: «Guai a te Korazym! Guai a te, Cafarnao!»).

Al contrario la Chiesa di Bergoglio vuole eliminare la paura (cioè il timor di Dio) e tace al mondo la luce della Verità. Così l’umanità finisce nel baratro e «il papa non s’immischia». Del resto le quotidiane picconate di Bergoglio hanno preso di mira soprattutto la dottrina cattolica fondamentale: quella dei sacramenti che sono i pilastri della Chiesa. Quasi non c’è sacramento che non sia stato terremotato dai tanti «sperimentalismi dottrinali» vagheggiati da Bergoglio o dai suoi supporter che – se fossero formalizzati in affermazioni magisteriali – sarebbero per la Chiesa più devastanti di Lutero. Abbiamo per ora Lutero in affitto.

Il momento della verità sarà dunque l’ormai prossima Esortazione post-sinodale dove Bergoglio dovrà uscire dal guado. Se vuol essere Papa non può rinnegare la verità cattolica. Vale infatti ciò che Ratzinger scriveva anni fa sottolineando che il papa non può «imporre una propria opinione», deve «richiamare proprio il fatto che la Chiesa non può fare ciò che vuole e che anch’egli, anzi proprio lui, non ha facoltà di farlo: in materia di fede e di sacramenti, come circa i problemi fondamentali della morale», la Chiesa può solo «acconsentire alla volontà di Cristo». Se no si autodemolisce.

di Antonio Socci

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caro papa Francesco, questa volta ti scriviamo anche noi …

caro papa Francesco,

siamo un gruppetto di persone, composto da laici, religiosi e sacerdoti, che si è praticamente formato attraverso l’amicizia con i Rom e Sinti, una lunga amicizia frutto di frequentazioni e di vita vissuta dentro i loro campi.

In effetti i Sinti e i Rom sono stati i protagonisti del nostro incontro di fede e del cammino che stiamo portando avanti ancora nella Chiesa. Anche per questo, siamo molto riconoscenti ai Rom, perché è l’amicizia con loro che dà senso e arricchimento alla nostra esperienza.

A vario titolo siamo stati un’espressione dell’UNPReS (Ufficio Nazionale Pastorale Rom e Sinti) della Migrantes, fino a quando, per una riforma infelice si è demandato alle diocesi, non solo la responsabilità pastorale, il che è più che giusto, ma si è abolito l’ufficio nazionale che sensibilizzava e richiamava l’attenzione su questo ambito, che aveva il compito di preparare specificamente gli operatori pastorali e far sorgere una pastorale specifica e coordinata a livello nazionale, anche questo legame si è in parte affievolito. Ci dispiace che questo lungo cammino di Chiesa si stia disperdendo, anche se rimane ancora il legame con le nostre Chiese e comunità di appartenenza che ci fa sentire inviati a vivere, annunciare e scoprire la bellezza del Vangelo con questo popolo che vive in gran parte nelle periferie e ai margini delle nostre città. Un tempo ci piaceva definirci come la “Chiesa che vive in carovana”.

Vorremmo scriverti tante cose, innanzitutto la simpatia che nutriamo verso di te, la tua parola e il tuo stile ci fa sentire in comunione e giustificano il nostro stare dentro e a fianco la vita dei Rom e Sinti.

Ci siamo interrogati varie volte sull’utilità di scrivere queste nostre impressioni. A distanza di qualche mese abbiamo deciso di farlo e di diffondere questo nostro scritto, nella speranza che possa essere compreso e accolto.papa4

Quello che ci spinge a scriverti, con spirito fraterno, è il discorso che hai tenuto all’udienza con i Rom e Sinti in occasione dell’anniversario del pellegrinaggio a Pomezia di cinquant’anni fa. Pure noi eravamo presenti all’udienza e agli appuntamenti dei giorni precedenti e uno di noi ha partecipato anche a quello di Pomezia.papa7

Sostanzialmente noi, nelle parole che hai rivolto ai Sinti e Rom non abbiamo ritrovato lo Spirito di quel cammino pluridecennale di una Chiesa (sia pur piccola e fragile) che vive a contatto con questo popolo. Una Chiesa che con uno sguardo di Fede, cerca e trova anche in questo popolo, il riflesso del Volto Misericordioso di Dio. Siamo convinti che la loro vita continua ad essere per noi un “luogo teologico”, dal quale veniamo anche noi “evangelizzati” da loro. E’ possibile “vivere il Vangelo con i piedi dentro queste periferie”, che in genere sono i campi Rom-Sinti. Lo stupore nello scoprire che c’è anche un “magistero” che fiorisce dalle periferie, da chi vive al margine della società. Non a distanza ma da dentro: condividendo, accompagnando e custodendo amicizie, percorsi anche difficili, ma vissuti insieme. La nostra “missione” non è tanto quella di organizzare progetti, nemmeno quella di volerli integrare nei nostri schemi o di porci come risolutori del “problema Rom”, anche per il fatto che per noi questo popolo non è affatto un ‘problema’, come lo è per i più, ma un’opportunità umana e spirituale. Desideriamo semplicemente essere una “presenza ponte” capace di accogliere, di bene-dire, di comprendere punti di vista diversi dai nostri e di raccogliere con cura e attenzione la voce dello Spirito che sussurra, attraverso le vite dei Sinti e Rom, il Suo Magistero. papa3

Alcuni di noi vivono ancora dentro dei campi Rom, c’è anche chi ha speso la sua vita in questi “mondi di mondi”, imparando a conoscerli e ad amarli per come sono, con i loro difetti e le loro ricchezze.

Condividendo la loro vita, ha significato per ognuno di noi dei cambiamenti, graduali ma arricchenti, non sempre facili o scontati. Siamo riconoscenti a loro perché ci hanno permesso di entrare nelle loro vite, ci siamo lasciati accompagnare da loro e questa fiducia ci ha permesso di vedere e leggere la realtà con occhi diversi, fino a scoprire, quasi con stupore e meraviglia che anche “il punto di vista” di chi vive nelle carovane, nelle baracche dei campi merita attenzione, rispetto e ascolto. Siamo testimoni di perle di Vangelo, nascoste nelle loro esistenze, che nonostante il disprezzo e il pregiudizio di cui sono spesso vittime brillano e illuminano dando senso anche alle nostre vite. Ma per notare questa loro ricchezza, è importante spogliarsi dei pregiudizi presenti e radicati nella maggioranza, e che purtroppo non mancano neanche in chi li avvicina a fin di bene. L’abbassamento può avvenire a condizione di saper perdere le nostre rigidità mentali, sociali e religiose. La condizione, almeno per noi è “stare dentro” questo mondo. Non può certo avvenire a distanza. A distanza le cose si vedono sfocate, notiamo solo quello che a noi disturba, difficile percepire le sfumature o i suoi contorni, si rischia di non comprendere in profondità la realtà, le sue dinamiche.papa2

Scusaci se te lo diciamo con franchezza, il tuo discorso rivolto ai Sinti e Rom ci è sembrato un pò distante, perché abbiamo sentito riproporre più o meno gli stessi schemi della maggioranza che osserva le cose a distanza, spesso si limita fare discorsi moralistici: dovete cambiare, scuola, minori, legalità, integrazione..ma senza accompagnamento, senza abbassamento. In altre occasioni e contesti, invece sei riuscito a immergerti, capire le situazioni e fare una lettura altra, coraggiosa e non per niente scontata. Ecco questa lettura “altra” ci è sembrata assente nel tuo intervento, eppure il cammino della Chiesa che vive in carovana, da Pomezia ad oggi, ci ha reso sensibili a questa lettura altra e alta.

I campi Rom e Sinti sono quelle ‘periferie’ di cui ci parli e solleciti la Chiesa a prestare attenzione e ascolto.

E’ un’immagine che ci piace tanto, stimolante ed arricchente: per noi i campi Rom sono un “luogo teologico” da contemplare innanzitutto, perché sovente “lo Spirito Santo precede l’arrivo e l’azione dei missionari” ( Evangeli Nuntiandi).

Sì certo, siamo ben consapevoli delle difficoltà, delle ferite che ci sono all’interno, come ci sono, in modi diversi, in ogni gruppo sociale; alcune sono ben visibili, altre più nascoste e spesso passano inosservate, inascoltate. Contempliamo e celebriamo la vita, fatta di resistenze, di attenzione, di lotta, di fatiche, di paure, di violenza, di prevaricazioni, di riconciliazioni, di gioie, di attaccamento alla vita, nonostante tutto, di sogni e di delusioni.. Come tutte le periferie, sono spazi dove il bello e il brutto convivono insieme, si attraversano, si contagiano, ma per noi rimangono spazi di Vita, perché riconosciamo che anche nei loro campi, ci sono manifestazioni di vita buona. Quasi mai questo emerge, si fa risaltare invece solo ciò che è brutto, si sottolinea esclusivamente la devianza o il maltrattamento di pochissimi. Eppure, questa periferia, la vita dei Rom, ha qualcosa da insegnare nella Chiesa e con essa alla società. Così è successo a noi.Presidente-Museveni_Papa-Francesco

Tempo fa hai usato l’immagine (bellissima!) del pastore con l’odore delle pecore. L’abbiamo sentita adatta alla nostra esperienza , calzante con la nostra vita a fianco dei Rom e Sinti. Il loro “odore” è anche un po’ il nostro, e il nostro si è trasmesso un po’ a loro e spesso questo disturba non pochi, sia dentro la Chiesa che nella società. C’è chi vorrebbe spruzzare del deodorante sulle pecore, per coprire il loro odore, e renderlo simile al nostro presunto profumo, più presentabile ai nostri occhi (nasi).
Sono molti oggi che avvicinano queste periferie dei Rom con in mano i “deodoranti”, sentendosi incaricati, inviati a decidere cosa devono fare, cosa devono cambiare, decretando anche i tempi e le modalità. Quasi sempre ciò avviene sulle loro teste, senza alcun coinvolgimento e partecipazione dei diretti interessati. La nostra esperienza invece, proprio perché cerchiamo di contemplare la vita che pulsa nei campi, ci dice che i Sinti e Rom sanno cosa è il meglio per il loro futuro, quali strade intraprendere e cosa cambiare.
Vediamo il rischio che non pochi si avvicinino alle periferie solo perché sono colpiti dal degrado, animati solo della volontà di voler cambiare gli altri attraverso i loro occhi; molti si avvicinano, entrano anche nei campi, ma fanno fatica ad accompagnare, ad abbassarsi e sedersi a mani vuote nelle loro esistenze per comprenderle meglio. E’ triste questo: non trovare la strada per saper riconoscere i valori che l’altro ci può comunicare.

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Un’ultima nota riguarda il silenzio di una triste realtà che coinvolge migliaia di Rom in Italia e non solo, senz’altro toccava la maggioranza di quelli che erano presenti all’udienza: la realtà degli sgomberi e il suo uso politico. Ci saremmo aspettati almeno un accenno di condanna per il fatto che, sull’altare della sicurezza e del consenso elettorale, vengono scartati interi nuclei famigliari, buttati per strada e abbandonati a se stessi, privati dei loro diritti riconosciuti anche dalla Legge: tanto sono “zingari”!

Viviamo in città che costruiscono torri, centri commerciali, fanno affari immobiliari ma abbandonano una parte di sé ai margini, nelle periferie. Quanto fa male sentire che gli insediamenti poveri sono emarginati o, peggio ancora, che li si vuole sradicare! Sono crudeli le immagini degli sgomberi forzati, delle gru che demoliscono baracche, immagini tanto simili a quelle della guerra. E questo si vede oggi.”

(papa Francesco ai movimenti popolari dell’America Latina)

Caro Papa Francesco ti abbracciamo forte, sappi che la nostra fiducia in te non è per nulla scalfita, ma ci preme farti conoscere anche questo lungo e arricchente cammino pastorale che stiamo portando avanti, anche grazie ai Sinti e Rom che ci accolgono e sostengono con la loro fiduciosa amicizia.

Ti auguriamo ogni bene e mentre ti chiediamo la benedizione del Signore, sappi che preghiamo per te, insieme a tanti Sinti e Rom che ti ammirano e ti guardano con amicizia.

suor Carla  e suor Rita Viberti (campo Rom Torino)

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p. Luciano Meli (Lucca)

luciano meli

don Piero Gabella (Brescia)

Piero Gabella

don Agostino Rota Martir (campo Rom Pisa)

Ago

Marcello  Palagi  e Franca Felici (Carrara – Avenza)

Marcello e Franca

Marzo 2016

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no alla guerra!

perché No alla guerra in Libia 

alcune proposte costruttive

zanotelli (2)

noi rappresentanti di movimenti, associazioni e gruppi del mondo della pace e della nonviolenza siamo preoccupati delle pressioni esercitate sul nostro governo perché assuma un ruolo guida nell’intervento militare in Libia a fianco di altre potenze occidentali. Il Presidente del Consiglio ha detto che “non è in programma una missione militare italiana in Libia”. Ne prendiamo atto. Ma i problemi restano: – il contrasto all’espansione del terrorismo del sedicente Stato islamico; – una minaccia alla sicurezza del nostro paese; – la stabilizzazione della nazione nordafricana. La guerra non è il mezzo adeguato per sconfiggere il terrorismo né tantomeno per portare stabilità alla Libia. Basterebbe guardare alla storia di questi ultimi anni per capire che gli interventi militari non hanno risolto i problemi, li hanno invece aggravati

A partire dalla dissennata guerra lanciata dalla Nato nel 2011 contro il regime di Gheddafi che avrebbe dovuto inaugurare un’era nuova di pace e democrazia. Invece la Libia è precipitata nel caos e nella guerra intestina. Non solo. Quella guerra ha posto le basi per altri conflitti. È ormai risaputo e documentato che il saccheggio di vasti arsenali di armi del colonnello durante l’operazione della Nato ha alimentato la guerra civile in Siria, rafforzato gruppi terroristici e criminali dalla Nigeria al Sinai e destabilizzato il Mali.

Tresoldi

Di fatto nessuno dei conflitti iniziati dal 1991 ad oggi – Iraq, Somalia, Balcani, Afghanistan, Siria – ha risolto i problemi sul campo, anzi sono tragicamente aggravati. Il fallimento di tali operazioni è sotto gli occhi di tutti: milioni di profughi abbandonati al loro destino che fuggono a causa delle nefaste conseguenze delle recenti guerre.

Oggi poi, un eventuale secondo intervento armato in Libia avrebbe gravi ripercussioni anche sulla vicina Tunisia che teme il debordare della crisi libica oltre i suoi confini, mettendo a repentaglio il suo fragile equilibrio politico e il faticoso cammino verso la democrazia avviato in questi ultimi anni.

Inutile e ovvio dire che saranno i civili a pagare il prezzo più alto di imprese militari, anche nel caso di attacchi effettuati dai droni. Per quanto si voglia far credere che la precisione di tale velivoli a pilotaggio remoto non causerà vittime tra la popolazione, i fatti dimostrano l’esatto contrario. Indagini condotte su una lunga serie di attacchi hanno messo in evidenza che per un terrorista colpito i droni uccidono altre trenta persone circa, tra cui donne e bambini.

Se un intervento armato di polizia internazionale in Libia ci dovrà essere, sarà da considerarsi come estrema ratio, fatta nell’ambito delle Nazioni Unite e in seguito alla esplicita richiesta del governo unitario libico. Senza la quale – ammoniscono le autorità del governo di Tripoli – “qualsiasi tipo di operazione militare si trasformerebbe da legittima battaglia contro il terrorismo a palese violazione della nostra sovranità nazionale”.

Va aggiunto che la lotta al terrorismo dello Stato Islamico non potrà mai essere vinta con un dispiegamento di forze militari. Anche la macchina bellica più potente è inefficace di fronte al fanatismo e alla capacità di mimetizzarsi dei terroristi in grado di colpire ovunque nel mondo cittadini inermi con attentati sanguinari. La nostra penisola è in una posizione particolarmente vulnerabile perché è la più esposta per la sua vicinanza geografica alle coste libiche.

Per i motivi esplicitati qui sopra, ci rivolgiamo al governo italiano perché assuma un ruolo guida per indicare alla comunità internazionale la ricerca paziente e perseverante di una soluzione politica alla grave crisi libica.

Vermigli

A tale scopo proponiamo con urgenza che l’Italia si impegni:
  • a ricostruire l’assetto statuale della Libia, sostenendo con la diplomazia e la politica l’iniziativa per un accordo tra le controparti e la formazione di un governo unitario tra i governi di Tobruk e di Tripoli;

  • a coinvolgere gli stati membri della Lega araba e dell’Unione africana anche al fine di bloccare i finanziamenti ai movimenti terroristici islamici che provengono da Arabia saudita e Qatar, dal commercio di petrolio e di droga;

  • a valorizzare la partecipazione della società civile della Libia nel processo di ricostruzione della loro nazione;

  • a garantire da parte dell’Europa l’apertura delle frontiere per accogliere e assistere i profughi, mettendo in campo un’operazione di salvataggio in mare.

Valpiana

Sulla base della nostra Carta costituzionale che sancisce che «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa della libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali» chiediamo al governo di adoperarsi con determinazione e concretamente al fine di promuovere e restituire pace e giustizia al popolo della Libia. Lavoro al quale partecipano da tempo schiere di cittadini che a vario titolo e in diverse organizzazione operano per la promozione della pace e della giustizia tramite l’educazione nelle scuole, con corsi di formazione alla nonviolenza attiva, con la disseminazione di informazione, con la ricerca, il monitoraggio e la denuncia di vendita illegale di armi e con una variegata gamma di iniziative e progetti.

Rota

Infine desideriamo rivolgere un appello a papa Francesco che negli anni del suo pontificato non si è stancato di dichiarare la propria ferma opposizione alla guerra. Che anche in questo caso levi la sua voce profetica per denunciare l’assurdità e l’immoralità di un intervento armato in Libia, sollecitando la comunità internazionale a cercare soluzioni pacifiche e giuste.

Valpiana Zanotelli

Efrem Tresoldi, direttore di Nigrizia

Mao Valpiana, direttore di Azione nonviolenta

Alex Zanotelli, direttore di Mosaico di Pace

Mario Menin, direttore di Missione Oggi

Filippo Rota Martir, direttore di Missionari Saveriani

Marco Fratoddi, direttore di La nuova ecologia

Antonio Vermigli, direttore di In dialogo

Pietro Raitano, direttore di Altreconomia

Luigi Anataloni, direttore di Missioni Consolata e segretario della Federazione Stampa Missionaria Italiana

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una pagella preoccupante quella del bambino Gesù

ma in fondo sembra che ce l’abbia fatta, e al meglio!

Gesù, alunno della scuola di Nazareth, rientra a casa con la sua pagella.
Francamente i giudizi riportati non sono un granché.
Sua Madre, dopo averli letti, non dice nulla, ma medita tutte queste cose nel suo cuore.
Resta però la cosa più difficile: farla vedere a Giuseppe…

Gesù a scuola

SCUOLA SIMEONE DI NAZARETH

destinatari: Giuseppe e Maria

oggetto: Pagella scolastica di vostro figlio

Gesù impara

 

SCRITTURA: non porta mai quaderno e penna ed è costretto a scrivere sulla sabbia.

ESPRESSIONE LINGUISTICA: l’alunno presenta grosse difficoltà a parlare con chiarezza. Si esprime continuamente in parabole.

MATEMATICA: l’alunno non è in grado di sottrarre nulla. Sbaglia le addizioni dicendo che lui più il Padre fanno soltanto UNO. Le uniche cose che sa moltiplicare sono il pane e i pesci.

GEOGRAFIA: manca di senso di orientamento: è convinto che c’è una sola strada che conduce al Padre.

CHIMICA: non fa gli esercizi richiesti. Quando l’insegnante è girato trasforma l’acqua in vino e fa stare allegri i suoi compagni.

SCIENZE NATURALI: crede di poter sovvertire le leggi della natura. Ad esempio, anche se sa come si pesca, lo vuol fare a modo suo.

ECONOMIA: rendimento altalenante. Sa trovare tesori e farli fruttare, così come sa far fruttare i talenti dopo averli investiti.
Tuttavia l’allievo non possiede senso di giustizia, perché vuole che siano pagati allo stesso modo quelli che hanno lavorato tutto il giorno e quelli che lo hanno fatto per un’ora sola.

EDUCAZIONE FISICA: invece di imparare a nuotare come fanno tutti, preferisce camminare sull’acqua.

SENSO DELL’ORDINE: ha perso tutte le sue cose e afferma, senza vergognarsi, che gli è rimasta solo una pietra per cuscino.

CONDOTTA: ha una forte tendenza a frequentare gli impuri: malati, specialmente lebbrosi. Ama le persone più strane: poveri, galeotti, pubblicani, prostitute… Non osserva il sabato, né il digiuno. Con i suoi artefici fa resuscitare i morti. Ne hanno paura perfino gli indemoniati!
Manda a lavorare chi sta a letto. Scaccia i mercanti dal Tempio rovesciando le loro bancarelle.

sinagoga1

Giuseppe, letta con attenzione la pagella, riflette e conclude che così non si può andare avanti e che dovrà prendere seri provvedimenti.
Chiama il figlio e gli dice: “Bene, Gesù, siccome le cose sono a questo punto, puoi fare una croce sulle vacanze di Pasqua!”

 

Fate attenzione giovani e vedere di studiare!

ma a parte gli scherzi e i moralismi, Lui le vacanze di pasqua le ha fatte, ma non per una settimana,  ma per sempre!!!

nelle fede è ‘il Risorto’ !

risorto

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