strani ‘cattolici’ che inchiodano croci da tutte le parti ma disprezzano i veri ‘crocifissi’

catto-fascio-leghisti alla ribalta

di Luca Kocci
in “il manifesto” del 6 agosto

migranti-tuttacronaca

 inchiodano i crocefissi sulle pareti delle aule scolastiche perché sono un segno della «nostra civiltà», ma aggrediscono papa, vescovi e preti quando si schierano dalla parte degli immigrati. Rivendicano le «radici cristiane» dell’Europa, ma se qualche cristiano afferma che la “fortezza Europa” deve abbattere i muri di protezione e di separazione lo marchiano come complice degli scafisti e amico dei terroristi.

croce

È il cattolicesimo dei fascio-leghisti, sempre più compenetrati gli uni negli altri dopo la “svolta nazionale” di Salvini, a cui si sono prontamente accodati nostalgici del ventennio e residuati in camicia nera sedotti dalla possibilità di superare la barriera dello zero virgola delle loro fiacche prestazioni elettorali. Ma anche dei perbenisti borghesi che iscrivono i figli nella scuola cattolica e poi sbraitano se il vescovo decide di ospitare un gruppo di profughi vicino all’istituto frequentato dai loro rampolli. Un cattolicesimo svuotato del Vangelo, trasformato in religione civile di un’Italia «Dio, Patria e famiglia», in piena sintonia con quel pezzo di Chiesa gerarchica, conservatrice e maschilista che ha opportunisticamente lasciato fare, quando non benedetto. Poche battaglie, strumentalmente selezionate: sì alla «famiglia naturale»; sì al crocefisso e al presepe in ogni aula; sì al finanziamento pubblico delle scuole paritarie; no agli immigrati, soprattutto se islamici, quindi no alle moschee; no agli omosessuali che rivendicano i propri diritti; no alla «ideologia del gender», senza sforzarsi di capire davvero di cosa si tratta. Alcuni episodi delle ultime settimane rivelano la contraddizione di una religione senza fede, brandita come una clava dai fascio-leghisti e da quella «vecchia piccola borghesia» – cantava Claudio Lolli – «contenta se un ladro muore o se si arresta una puttana, se la parrocchia del Sacro Cuore acquista una nuova campana».

presepi

Il primo nell’ex Veneto bianco, area Marca trevigiana. A metà luglio, alcuni abitanti di Quinto di Treviso, spalleggiati dal leghista presidente della Regione Luca Zaia, protestano con veemenza e respingono il trasferimento di un centinaio di profughi in un condominio. Pochi giorni fa due vescovi, mons. Gardin (Treviso) e mons. Pizziolo (Vittorio Veneto), scrivono una lettera aperta, per condannare la rivolta: siamo cristiani «nella maniera che ci è richiesta dal Vangelo o secondo un cristianesimo accomodante che ci siamo rimodellati sulle nostre ideologie o sulle nostre chiusure?», chiedono i due vescovi, «sconcertati di fronte alla deformazione di un cristianesimo professato a gran voce, e magari “difeso” con decisione nelle sue tradizioni e nei suoi simboli, ma svuotato dell’attenzione ai poveri, agli ultimi». Non si scompone Zaia: «I vescovi, che rispetto in quanto cattolico, io li capisco perché il Vangelo predica la solidarietà, ma i veneti hanno capito che molti di questi che noi aiutiamo come profughi non sono affatto in difficoltà. I vescovi hanno dato tutto quello che potevano dare? I seminari sono tutti pieni di immigrati e di profughi? Non mi risulta. Chi è senza peccato scagli la prima pietra». Pochi giorni prima il capo di Zaia, Matteo Salvini, segretario della Lega Nord e paladino dei presepi nelle scuole, dopo aver criticato il papa sempre sul tema immigrati, se l’era presa con don Formenton, un prete veneto da anni trapiantato in Umbria, che all’indomani della protesta anti-immigrati di Quinto (e di Roma, con i fascisti di Casa Pound ad alzare le barricate contro il trasferimento di un gruppo di rifugiati in un centro di accoglienza), aveva affisso sul portone della sua parrocchia a Sant’Angelo in Mercole (Spoleto), un cartello: «In questa Chiesa è vietato l’ingresso ai razzisti, tornate a casa vostra!», e le parole di Gesù del Vangelo di Matteo «Ero straniero e non mi avete accolto… Lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno». Salvini commenta su Facebook: «Don Gianfranco Formenton attacca la Lega, parlando di razzismo, odio, squadrismo, Hitler e Mussolini “Vietato l’ingresso ai razzisti” si legge all’ingresso
della “sua” chiesa. Forse il parroco preferisce gli affaristi alla Mafia Capitale? Preferisce gli scafisti, gli schiavisti, i terroristi? Povera Spoleto e povera Chiesa, se questo è un prete…». Dalla Lega a Forza Nuova. A fine luglio alcuni militanti del movimento politico fondato da Roberto Fiore e Massimo Morsello affiggono di fronte alla cattedrale di Avezzano (Aq) un manifesto contro il vescovo, mons. Santoro, reo di una pastorale di accoglienza verso i migranti: «Per il vescovo prima i clandestini, per Forza Nuova prima gli italiani». Forza Nuova non è nuova ad iniziative di questo tipo: l’anno scorso striscioni con la scritta «No fiabe gay. Proteggiamo i nostri bambini» vennero issati davanti alle librerie Paoline di Treviso, Trieste e Verona perché negli scaffali erano i vendita alcuni libri contro la violenza di genere e l’omofobia. E qualche anno prima i neofascisti si erano arrabbiati con un altro prete, don Armando Zappolini, che nella sua parrocchia a Perignano (Pisa) accanto al presepe aveva piazzato un cartello a sostegno della legge per la cittadinanza ai bambini stranieri nati in Italia: «Gesù, bambino nato in Italia nella notte fra il 24 e il 25 dicembre da genitori palestinesi senza documenti di soggiorno, non potrà diventare cittadino italiano». Eppure Forza Nuova è movimento che rivendica la propria cattolicità: il 20 giugno era in piazza a Roma, insieme ai neocatecumenali e ad altri gruppi cattolici, “per la famiglia e contro il gender”; e l’8 agosto i forzanovisti calabresi concluderanno il proprio Campo d’azione – durante il quale è prevista la proiezione di Sodom. La rivoluzione antropologica in atto, documentario a cura dell’associazione cattolica Pro Vita – a Belmonte Calabro (Cs) con il rito del “presente” a Michele Bianchi (gerarca fascista calabrese morto nel 1930) al termine di una messa officiata da don Giulio Tam, prete lefevriano – quindi fuori dalla Chiesa cattolica – espulso anche dalla Fraternità San Pio X, che dice del proprio look: «la mia tonaca è una camicia nera taglia XXL». Il terzo episodio a Crema, dove il vescovo, mons. Cantoni, su richiesta della Prefettura, decide di accogliere in un ex convento di suore una ventina di giovani profughi extracomunitari. Ma non aveva considerato, il vescovo, che accanto al convento c’è una scuola cattolica, e che i cattolicissimi genitori dei bambini si sarebbero ribellati: proteste in Municipio e in Curia, raccolta di firme, minacce di ritirare dalla scuola i propri figli al grido «gli immigrati dove ci sono i nostri figli non li vogliamo». Il vescovo fa dietrofront, ma bacchetta le «reazioni sconsiderate e irrazionali», dettate dal «demone della paura dell’altro, del diverso da noi, dello straniero» e «dal nostro perbenismo fondato sul pensare solo a noi stessi o ai nostri figli». Si può chiedere alla Chiesa, se davvero è lontana da questo cattolicesimo antievangelico, di impiegare la stessa energia e la stessa determinazione usata in altre situazioni e contro altri “nemici” per isolare questi “buoni cattolici”?

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i migranti e le chiusure di Londra ai limiti della disumanizzazione

i militari di Londra

l’aiuto dell’Italia

i due volti dell’Europa sui profughi

migranti

di Maria Serena Natale
in “Corriere della Sera” del 5 agosto 2015

Londra manda uomini e cani addestrati per rafforzare i controlli sul lato francese della Manica e il premier David Cameron spiega l’emergenza in tv parlando di «uno sciame che attraversa il mare in cerca di una vita migliore». Budapest e Vienna studiano forme congiunte di monitoraggio dei confini, quei confini dove il varco aperto nell’agosto 1989 nella Cortina di ferro innescò il domino che avrebbe riunito il continente. Più a sud cresce il muro di filo spinato tra la Serbia e l’Ungheria per arginare la marea di disperati che risale dai Balcani. Di fronte alle migliaia in fuga da guerra e povertà c’è un’Europa che arretra nel tempo e nello spazio, alza barriere fisiche e mentali. L’inasprimento della retorica britannica, con termini che richiamano gli «sciami di stranieri» di Hitler, segna l’apice della disumanizzazione del dibattito. Già l’enfasi sulla ripartizione dei migranti nel negoziato Ue aveva spostato il focus sull’«onere» dell’accoglienza. Ora i toni diventano ancora più duri, complici dinamiche politiche come nel caso britannico, dove il premier conservatore deve difendersi dagli attacchi dell’ala più dura del partito e dall’estrema destra. Lo stesso Nigel Farage, il leader nazionalista dell’Ukip, ha preso le distanze dalle dichiarazioni di Cameron. «Non parlerei mai così» ha commentato, lui che era stato il primo a usare quella parola, «swarm», sciame, che equipara persone e animali, cancella i contorni dei volti riducendo uomini, donne e bambini a un flusso indistinto che avanza minaccioso con obiettivi comuni e manovre coordinate. In comune solo una scommessa con il destino. Forse Cameron voleva evitare termini biblici come «piaga», ragionano i commentatori su una stampa ugualmente polarizzata, con i tabloid più agguerriti che chiedono al governo di «mandare l’esercito» a Calais, come nell’assedio del Trecento. A Calais l’area dei campi di accoglienza è stata soprannominata «la giungla», ancora quel pericolo oscuro e selvaggio. Il Regno Unito ha fatto valere la clausola di opt-out per sfilarsi dalla cooperazione nello smistamento dei richiedenti asilo. Per scoraggiare la traversata della Manica, il ministero dell’Interno ha annunciato un piano che prevede una stretta su sussidi e benefici del welfare. Misure simili erano già state annunciate in Danimarca. Le fondamenta dello Stato sociale nordico vacillano.
Non piacciono, a Bruxelles, le resistenze britanniche. «C’è bisogno di più solidarietà e responsabilità nel modo in cui affrontiamo la pressione migratoria» commentano i portavoce della Commissione europea. Né piacciono alla Francia che chiede cooperazione, o all’Italia con i suoi 90 mila arrivi dall’inizio dell’anno, o alla Germania che secondo le previsioni entro la fine del 2015 dovrà gestire 400 mila ingressi, la cifra più alta dall’ondata di profughi delle guerre balcaniche. Nel 2014 la Gran Bretagna ha ricevuto 26 mila domande d’asilo, ne ha accettate 10 mila. Ieri il Financial Times contrapponeva gli scrupoli inglesi agli sforzi di Italia, Germania e Paesi come l’Irlanda, che pur potendo sfilarsi con l’aiuto dei meccanismi di opt-out ha scelto di essere della partita. Le ricadute politiche sono difficili da gestire ovunque. Nella stessa Germania che con il suo rodato sistema di distribuzione dei rifugiati nei sedici Länder si pone come modello di integrazione, crescono le tensioni, spinte dal linguaggio esasperato della destra xenofoba. Negli ultimi mesi si sono verificati numerosi attacchi a strutture che accolgono i migranti. C’è chi reagisce come il deputato Martin Patzelt, dell’Unione cristiano-democratica della cancelliera Angela Merkel, che rivela alla tv Ard di aver ospitato due rifugiati eritrei, «così si combatte l’odio».

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il vescovo Tardelli non ha dubbi su Medjugorie

«sacrosanti quei dubbi

le veggenti? fanatismo»

il vescovo di Pistoia Tardelli ha adottato la linea dura nei confronti di Medjugorje

«niente incontri pubblici nè immagini di quella Madonna nelle nostre chiese»

 Mons. Fausto Tardelli, 64 anni, lucchese, da pochi mesi vescovo di Pistoia, dopo essere stato per dieci anni alla guida della diocesi di San Miniato, giudica «sacrosante» le parole del papa, mette in guardia dal rischio del business che può annidarsi nel «fenomeno» di Medjugorje. Ma nel contempo invita a cogliere anche «le cose buone» che, a suo giudizio, ci sono nell’esperienza di preghiera che si fa a Medjugorje. Ecco l’intervista che il vescovo di Pistoia ha concesso al Tirreno.

Cosa ne pensa delle parole del papa sulle apparizioni della Madonna?

«Doveroso premettere alcune precisazioni. In realtà il Papa non si è espresso sulle apparizioni della Madonna. Sull’aereo ha detto che presto saranno date indicazioni su Medjugorje mentre alla messa l’altra mattina ha criticato l’atteggiamento di chi ha sempre bisogno di novità dell’identità cristiana e invece che ritrovarla nel fondamento che è Gesù Cristo, va in cerca di veggenti per farsi dare lettere e messaggi della Madonna. Precisata la questione, mi pare che Papa Francesco abbia detto cose più che sacrosante».

Medjugorje: un miracolo della fede o il rischio del business?

« Aldilà del fatto tutto da dimostrare del carattere soprannaturale delle presunte apparizioni e del deleterio fanatismo nei confronti dei cosidetti veggenti, ritengo però che nel fenomeno Medjugorje ci siano anche cose buone. Per tanti ha significato un riavvicinamento sincero al Signore, alla preghiera, alla pratica della vita cristiana. Il rischio del business c’è, eccome. E’ un rischio sempre presente, al quale occorre fare particolarissima attenzione».

A Pisa il vescovo due anni fa redarguì Brosio. Nella sua diocesi quale è la sua linea riguardo ai devoti di Medjugorje?

«Seguo una linea chiara, che poi è quella della chiesa. Non approvo incontri pubblici con i cosiddetti veggenti né che si espongano in chiesa immagini o la statue della Madonna di Medjugorje, né che si facciano pellegrinaggi “ufficiali” da parte della diocesi, delle parrocchie o gruppi ecclesiali. In forma privata singola o collettiva, non ho niente in contrario. La ragione è semplice. Come dicevo, sono convinto che per molte persone non in cerca di veggenti, ma di una ricarica spirituale, Medjugorje come luogo di preghiera e di partecipazione ai sacramenti della Riconciliazione e della Eucaristia, rappresenti una buona occasione».

Lei c’è mai stato in pellegrinaggio a Medjugorje?

«No. Per gli stessi motivi che ho detto, fino ad oggi non sono andato e non ho intenzione di andare. Anche io sto aspettando le decisioni che sulla vicenda assumerà il Santo Padre».

Perché nelle parrocchie tanti gruppi dediti a quel santo o a quella Madonna, e non c’è invece la centralità di Gesù e del Vangelo?.

«Il vero culto della Madonna e dei santi li onora come testimoni di Gesù Cristo. Sennò perché onorarli? Ci devono portare a Cristo, perché solo Lui è la pietra angolare, la via, la verità e la vita. Se si dimentica questa centralità si squalifica ogni “devozione”».

Non sempre è così, ammetterà.

«E’ vero. Il problema è che spesso manca una formazione biblica e liturgica adeguata senza la quale la devozione alla Madonna e ai santi non porta al centro dell’esperienza cristiana, cioè a Cristo». (m.l.)

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il nostro mare è un cimitero!

Mediterraneo cimitero di migranti  piu  di 2000 morti nel 2015

Mediterraneo cimitero di migranti

piu’ di 2.000 morti nel 2015

sono piu’ di 2.000 i migranti morti nel Mediterraneo nel 2015 mentre tentavano di raggiungere le coste europee: e’ la denuncia dell’Organizzazione Internazionale per le migrazioni. “Purtroppo abbiamo raggiunto un nuovo primato, con oltre 2.000 migranti morti fino al weekend scorso”, ha spiegato il portavoce dell’Oim, Itayi Virri, da Ginevra.

La principale organizzazione intergovernativa in ambito migratorio ha fatto sapere che sono 188.000 i migranti soccorsi nel Mediterraneo dall’inizio dell’anno e si potrebbe sfondare il muro dei 200.000 gia’ questa settimana. Per l’Oim i dati confermano come quella lungo nel Mediterraneo centrale sia “la rotta piu’ letale per i migranti in cerca di una vita migliore”, una situazione che potrebbe ulteriormente aggravarsi. Infatti ben 1.930 migranti sono morti tentando la traversata dalla Libia all’Italia, solo 60 mentre tentavano di raggiungere la Grecia. Nei primi sette mesi del 2014 i morti nel Mediterraneo erano stati in tutto 1.607, con un totale di 3.279 a fine anno.
  Il numero piu’ alto di arrivi si e’ registrato in Italia (97.000) e Grecia (90.500), ha fatto sapere l’Oim, che ha sottolineato come la nuova linea assunta dall’Ue da aprile sui salvataggi in mare abbia permesso di “recuperare molte persone che altrimenti sarebbero morte”. Nel corso dell’ultima settimana sono stati circa 20 i morti in mare, ha denunciato l’Oim. Le salme di 14 di loro, appartenenti a un gruppo piu’ grande di 456, sono stati trovati in acque internazionali dalla nave della marina irlandese Le Niamh e portati al porto di Messina il 29 luglio. Lo staff dell’organizzazione, presente nel sud Italia, ha parlato con alcuni dei sopravvissuti: secondo le testimonianze dei migranti, il motore della barca si e’ surriscaldato durante la traversata. Per raffreddarlo, hanno dovuto usare l’acqua potabile a bordo e 14 di loro non ce l’anno fatta a causa della sete e del caldo. “E’ inaccettabile che nel XXI secolo le persone in fuga da conflitti, persecuzioni, miseria e degrado ambientale debbano patire tali terribili esperienze nei loro Paesi, per non dire quello che sopportano durante il viaggio, e poi morire alle porte dell’Europa”, ha sottolineato il direttore generale dell’Oim, William Lacy Swing. Nonostante queste tragedie, l’Oim vuole riconoscere gli sforzi straordinari delle forze navali nel Mediterraneo che continuano a salvare vite umane ogni giorno. Il numero di decessi e’ diminuito in maniera significativa negli ultimi mesi e cio’ e’ dovuto in gran parte al potenziamento dell’operazione Triton, ha sottolineato l’Oim. Il Mediterraneo e’ ora perlustrato da un maggior numero di imbarcazioni che si possono spingere fino a dove partono le richieste di soccorso: sono quasi 188mila i migranti salvati nel Mediterraneo fino a ora e l’Oim sostiene con forza il proseguimento di tali attivita’. (AGI) .

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sulle bufale sui rom

“rubano solo, non vogliono integrarsi”

Germano e Piotta smontano le bufale sui rom

 “Lo sapevate che in Italia c’è una delle percentuali di rom più basse di tutta Europa? Che solo uno su cinque vive nei campi? Che la metà ha cittadinanza italiana, con punte del 90 per cento? Che solo il 3 per cento dei rom è nomade?”

Così l’attore Elio Germano e il rapper Piotta rispondono ai pregiudizi sui Rom in un video (vedi qui sotto) a sostegno della campagna di raccolta firme “Accogliamoci”. Un’intervista doppia per sfatare, con simpatia e ironia, luoghi comuni tra i più resistenti e invitare i cittadini a firmare per il superamento dei campi rom e la riforma dei centri per migranti a partire da Roma.

 

Elio Germano e Piotta sono i tra i sottoscrittori delle proposte di delibera popolare lanciate da Radicali Roma, promosse da un ampio comitato di associazioni e organizzazioni e sostenute da personalità come Emma Bonino, Luigi Manconi, Giuseppe Civati. “Con le nostre delibere popolari per il superamento dei campi rom attraverso i percorsi di inclusione e la riforma dell’accoglienza ai rifugiati la Capitale può diventare capofila di una riforma realizzabile anche in altre città di Italia, per mettere fine una volta per tutte la politica dei ghetti”, spiegano Riccardo Magi, presidente di Radicali Italiani e consigliere comunale a Roma, e Alessandro Capriccioli, segretario di Radicali Roma. “Si tratta di proposte chiare e fattibili su due temi che si sono rivelati drammaticamente centrali nel malaffare emerso con ‘mafia capitale’. Attraverso percorsi facilmente monitorabili, con tempi e tappe certe, offriamo l’occasione di superare un sistema fallimentare che  – continuano i Radicali – produce tensioni sociali, crea terreno fertile per le più becere strumentalizzazioni politiche e che ha favorito sprechi e guadagni illeciti”. Il comitato Accogliamoci è composto da Radicali Roma, A Buon Diritto, Arci Roma, Asgi, Associazione 21 Luglio, Cild, Possibile, Un Ponte Per e ZaLab.https://www.youtube.com/watch?v=c0PE26-YL8A

 

 

 

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pulizia nella curia vaticana: niente più sfarzo in Vaticano

papa Francesco cambia la curia

addio auto blu, ristoranti di lusso e vita mondana

la ‘cura Bergoglio’ ai vizi della chiesa

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POPE FRANCIS

Con Francesco l’austerità è arrivata anche in Vaticano: addio alle croci tempestate di lapislazzuli dei cardinali, alle tuniche dispendiose, ai sarti romani che vestono abitualmente i papi e tutta la curia romana. Il pontefice argentino con la sua croce in argento del valore di una cinquantina di euro, la sua tunica low cost (si tratta di una veste in terital che vale 120 euro, mentre quella dei cardinali costa in media tra i 600 e gli 800 euro) e la sua Ford Focus al posto delle dispendiose Bmw e Mercedes del parco-auto vaticano ha cambiato le abitudini della curia.

“Se Francesco va in giro con una “casuletta” che costa come una camicia, 65-70 euro al massimo, è naturale che tutto, intorno a lui, si fa più sobrio. Vescovi e cardinali hanno paura che il Papa li sorprenda”   

Lo afferma Luciano Ghezzi al Corriere. E lui deve saperne davvero, possiede uno storico negozio in via dei Cestari, ha vestito numerosi prelati: adesso però anche lui, navigato commerciante di arredi sacri, deve adeguarsi alla nuova tendenza. Per i saldi propone un’offerta “low cost”, quattro casule a 140 euro.

Finisce anche la storia dei pranzi luculliani nei storici ristoranti tra Borgo Santo Spirito e via Traspontina: pochissimi i cardinali che ancora si fanno vedere a tavola in questi posti, e altrettanto pochi quelli che gradiscono ancora regali particolarmente lussuosi. Il Papa, che usa mangiare al refettorio di Santa Marta, non approverebbe per certo. C’è chi sostiene di averlo visto in giro per la residenza-seminario a vegliare sui suoi preti.

Ma per i cardinali, abituati ad intrattenere ottime relazioni con le case più potenti della capitale, potrebbe trattarsi anche solo di una questione di facciata:

“I cardinali continuano come un tempo a frequentare le case dei nobili, ma sono cene che non finiscono sui giornali”    

Lo dice Sandra Carrara, moglie del senatore di Forza Italia, una delle più famose regine dei salotti romani: solo un po’ di discrezione in più per evitare i paparazzi, dunque?

Forse i cardinali non sono ancora del tutto convinti della virata austera implementata dal loro pontefice, ma Francesco non sembra aver intenzione di lasciare nulla di quel che è in suo potere al caso: del parco-macchine del Vaticano, le due ammiraglie, una Bmw e una Mercedes, risalenti ai tempi di Papa Ratzinger, sono tornate in Germania “per riparazioni”. La sera della sua elezione il cerimoniere aveva già fissato l’appuntamento col sarto e il Papa preferì andare a pregare la Madonna. Non c’è niente da fare, il Pontefice è irremovibile.

Tutti sono colti di sorpresa, ma dopo poco più di due anni dall’elezione di Papa Bergoglio, non c’è più dubbio che l’aria è cambiata: niente più sfarzo in Vaticano.

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2 agosto 1944 olocausto dei rom

 

porajmos

l’olocausto dei rom

olocausto zingari

di  Giovanni Princigalli

in “il manifesto” del 2 agosto 2015

Il 15 aprile del 2015, il Parlamento Europeo ha votato una risoluzione per adottare il 2 agosto come «giornata europea della commemorazione dell’olocausto dei rom». La  risoluzione   ricorda«I 500.000 rom sterminati dai nazisti e da altri regimi (…) e che nelle camere a gas nello Zigeunerlager (campo degli zingari) di Auschwitz-Birkenau in una notte, tra il 2 e il 3 agosto 1944, 2.897 rom, principalmente donne, bambini e anziani, sono stati uccisi». 

Si ricorda altresì che in alcuni paesi fu eliminata oltre l’80% della popolazione rom. Secondo le stime di Grattan Pruxon, morirono 15.000 dei 20.000 zingari tedeschi, in Croazia ne sono uccisi 28.000 (ne sopravvivono solo in 500), in Belgio 500 su 600, ed in Lituania, Lussemburgo, Olanda e Belgio lo sterminio è totale, il 100% dei rom.

  La studiosa Mirella Karpati riporta che la maggior parte dei rom polacchi fu trucidata sul posto dalla Gestapo e dalle milizie fasciste ucraine, le quali, in molti casi, uccidevano i bambini fracassando le loro teste contro gli alberi. Le testimonianze raccolte dalla Karpati sui crimini dei fascisti croati (gli ustascia) sono altrettanto aggancianti: donne incinte sventrate o a cui venivano tagliati i seni, neonati infilzati con le baionette, decapitazioni, ed altri orrori ancora. Per tali motivi i rom sloveni e croati oltrepassavano clandestinamente il confine con l’Italia, ma finivano in uno dei 23 campi di prigionia loro riservati e sparpagliati sull’intera penisola.

La risoluzione del Parlamento europeo prima citata considera l’«antiziganismo» come «un’ideologia basata sulla superiorità razziale, una forma di disumanizzazione e razzismo istituzionale nutrita da discriminazioni storiche». Il rom funge da sempre il capro espiatorio, a cui negare il suo carattere europeo, per farne una sorta di straniero interno (nonostante le loro comunità, e gli stessi termini rom e zingaro, si siano formati in Europa tra il 1300 ed il 1400).

I nazisti-fascisti hanno perfezionato le politiche europee anti-rom dei secoli XVI e XIX. Come ricorda l’antropologo Leonardo Piasere, il maggior numero degli editti anti-rom dell’epoca moderna furono emanati dagli stati preunitari tedeschi ed italiani. Forse non è un caso, ma saranno proprio Germania ed Italia, secoli dopo, a pianificare l’olocausto rom, oltre che quello ebraico. Secondo Stefania Pontrandolfo, in Italia, tra il 500 e il 700, ad applicare con più zelo tali editti furono gli Stati del Nord, contro una certa tolleranza del Meridione.

«Puri o impuri, comunque asociali»

I nazisti, ossessionati com’erano dalla presunta razza ariana, si erano interessati ai rom a causa della loro origine indiana. Li classificarono in quattro categorie, secondo il loro grado di «purezza» o «incrocio» con i non rom. Alla fine ritennero che tutti rom, puri o impuri che fossero, erano «asociali». Da qui la decisione della loro eliminazione. I bimbi rom (ed ebrei) deportati nei campi di sterminio erano vittime di esperimenti sadici: iniezione d’inchiostro negli occhi; fratture delle ginocchia, per poi iniettare nelle ferite ancora fresche i virus della malaria, del vaiolo e d’altro ancora.

Anche in Italia, come riporta Giovanna Boursier, con “il manifesto della razza” del 1940, l’antropologo fascista Guido Landra, inveiva contro «il pericolo dell’incrocio con gli zingari» che definiva randagi e anti-sociali. Ma già nel 1927 il Ministero dell’interno, ricorda sempre la Boursier, emanava direttive ai prefetti per «epurare il territorio nazionale» dagli zingari e «colpire nel suo fulcro l’organismo zingaresco».

Gli studiosi Luca Bravi, Matteo Bassoli e Rosa Corbelletto, suddividono in quattro fasi le politiche fasciste anti-rom e sinti (popolazioni di origine rom, ma che si autodefiniscono sinti e che vivono tra sud della Francia, nord Italia, Austria e Germania): tra il 1922 e il 1938 vengono respinti ed espulsi rom e sinti stranieri, o anche italiani ma privi di documenti; dal 1938 al 1940 si ordina la pulizia etnica di tutti i sinti e rom (anche italiani con regolari documenti), presenti nelle regioni di frontiera ed il loro confino a Perdasdefogu in Sardegna; dal 1940 al 1943 i rom e sinti, anche italiani sono rinchiusi in 23 campi di concentramento; dal 1943 al 1945 vengono rom e sinti sono deportati nei campi di sterminio nazisti.

La prima fase è segnata da una politica al tempo stesso xenofoba e rom-fobica, per cui si colpiscono quei rom, colpevoli di essere sia zingari che stranieri. In seguito si passa a reprime anche i rom italiani. Inoltre, dalla prigioniera nel campo si passa all’eliminazione fisica.

Grazie alle ricerche della Karpati, sappiamo che nei 23 campi in Italia le condizioni di vita erano molto dure. Racconta una donna: «Eravamo in un campo di concentramento a Perdasdefogu. Un giorno, non so come, una gallina si è infiltrata nel campo. Mi sono gettata sopra come una volpe, l’ho ammazzata e mangiata dalla fame che avevo. Mi hanno picchiata e mi son presa sei mesi di galera per furto».

Giuseppe Goman a 14 anni fu rinchiuso nel campo nei pressi di Agnone e i fascisti lo vollero fucilare per aver rubato del cibo in cucina, ma all’ultimo momento la pena fu commutata in «bastonature e segregazione». Nel campo di Teramo invece, un tenente dei carabinieri ebbe cosi pietà di quei «rom chiusi in condizioni miserevoli, che dormivano per terra con mangiare poco e razionato (…) che permise alle donne di andare ad elemosinare in paese. Nel campo di Campobasso, Zlato Levak ricorda: «Cosa davano da mangiare? Quasi niente. Il mio figlio più grande è morto nel campo. Era un bravo pittore e molto intelligente».

Per i rom italiani, l’essere rinchiusi nei campi di prigionia, non per aver commesso un reato, ma per la loro identità, fu uno shock. E pensare, che a causa della leva obbligatoria, gli uomini avevano servito nell’esercito durante la grande guerra o nelle colonie. Sarà forse per questo trauma, che molti di loro hanno una certa reticenza ad affermare in pubblico la propria identità, ed infatti l’opinione pubblica italiana ignora che dei circa 150.000 rom e sinti presenti in Italia, ben il 60– 70% sono italiani da secoli e sono per lo più sedentari. Ignoriamo anche le vicende di molti rom, che fuggiti dai campi, si unirono alle formazioni partigiane e che alcuni di essi furono fucilati dai fascisti.

Luca Bravi e Matteo Bassoli fanno notare che il Parlamento italiano ha approvato nel 1999 la legge sulle minoranze storiche linguistiche (riconoscendone 12) «solo dopo aver stralciato l’inserimento delle comunità rom e sinti» (tra le più antiche d’Italia, dove sono presenti dal XIV secolo).

La nostra rimozione

La rimozione del nostro contributo ideologico e pratico all’olocausto dei rom, s’inserisce in un’operazione di oblio ben più ampia, che tocca anche i nostri crimini di guerra sotto il fascismo in Africa ed ex Jugoslavia. Come ben spiegato nel documentario Fascist Legacy della BBC, tali crimini non furono compiuti non solo dalle camicie nere, ma anche da soldati e carabinieri, tanto che lo stesso Badoglio era nella lista dei primi 10 criminali di guerra italiani da processare. Il processo non si è mai svolto, grazie al cambio di alleanza nel 1943 e al nostro contributo di sangue alla lotta nazi-fascista.

Ma il paradosso resta: Badoglio il primo capo di governo dell’Italia anti-fascista era stato un criminale di guerra agli ordini di Mussolini. La Legge 20 luglio 2000 sulla «memoria», parla si di olocausto ma non di rom. Su iniziativa dell’on. Maria Letizia De Torre le persecuzioni fasciste contro i rom sono finalmente ricordate dalla Camera dei Deputati in un ordine del giorno nel 2009. E pensare che il parlamento tedesco aveva riconosciuto l’olocausto rom già nel 1979, e nel 2013 una poesia del rom italiano Santino Spinelli (il cui padre fu internato dai fascisti) è incisa sul monumento eretto a Berlino.

Molti studiosi ed associazioni, per definire l’Olocausto rom, hanno adottato il termine porajmos, che in romanes significa «divoramento». Fu introdotto nel 1993 dal professore rom Ian Hancock dell’università del Texas, che lo sentì da un sopravvissuto ai campi di stermino. Il linguista Marcel Courthiade, esperto di romanes, ha proposto in alternativa samudaripen (tutti morti). Per amore del vero, va precisato, che il rom comune, che spesso non s’identifica nelle tante associazioni nazionali o internazionali rom e di non rom, e che resta lontano dai dibattitti accademici, non utilizza alcuno di questi termini.

Il ricordo di Pietro Terracina

Eppure quando pensiamo al 2 agosto 1944, quando tutti i 2.897 rom dello Zigeunerlager di Auschwitz-Birkenau furono inghiottiti nei forni crematori, ecco che sia «divoramento» che «tutti morti», ci appaiono così adatti ed evocativi. Ma perché ucciderli tutti in una sola notte? Forse si trattò di una punizione, poiché pochi mesi primi, armati di mazze e pietre, i rom si ribellarono, mettendo in fuga i nazisti.

Testimone oculare della notte del 2 agosto fu l’ebreo italiano Pietro Terracina, che ha raccontato a Roberto Olia : «Con i rom eravamo separati solo dal filo spinato. C’erano tante famiglie e bambini, di cui molti nati lì. Certo soffrivano anche loro, ma mi sembrava gente felice. Sono sicuro che pensavano che un giorno quei cancelli si sarebbero riaperti e che avrebbero ripreso i loro carri per ritornare liberi. Ma quella notte sentii all’improvviso l’arrivo e le urla delle SS e l’abbaiare dei loro cani. I rom avevano capito che si prepara qualcosa di terribile.

Sentii una confusione tremenda: il pianto dei bambini svegliati in piena notte, la gente che si perdeva ed i parenti che si cercavano chiamandosi a gran voce. Poi all’improvviso silenzio. La mattina dopo, appena sveglio alle 4 e mezza, il mio primo pensiero fu quello di andare a vedere dall’altra parte del filo spinato. Non c’era più nessuno.

Solo qualche porta che sbatteva, perché a Birkenau c’era sempre tanto vento. C’era un silenzio innaturale, paragonabile ai rumori ed ai suoni dei giorni precedenti, perché i rom avevano conservato i loro strumenti e facevano musica, che noi dall’altra parte del filo spinato sentivamo. Quel silenzio era una cosa terribile che non si può dimenticare. Ci bastò dare un’occhiata alle ciminiere dei forni crematori, che andavano al massimo della potenza, per capire che tutti i prigionieri dello Zigeunerlager furono mandati a morire. Dobbiamo ricordare questa giornata del 2 agosto 1944».

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Porrajmos

PORRAJMOS – AUSCHWITZ BIRKENAU

2 agosto 1944

l’olocausto degli zingari

2 agosto

Sotto la scritta “Arbeit macht frei” del cancello di ingresso di Auschwitz, centinaia di ragazzi rom avanzano a passo lento con gli occhi verso il basso. Sarà il sole accecante di una mattina tersa d’azzurro che impedisce di alzare gli occhi, o sarà invece che nessuno riesce a reggere lo sguardo di fronte alla “fabbrica della morte”. È il 2 Agosto, giorno della memoria del genocidio dei Rom e Sinti. La storia che non si trova sui libri di testo: ad Auschwitz, il 16 maggio 1944 , le SS decidono di chiudere il “campo degli zingari” e sterminare l’ultimo gruppo di 4 mila internati, tra uomini, donne e bambini. Dovevano essere condotti nelle camere a gas e bruciati nei forni crematori. Ma trovarono la forza di ribellarsi, con pietre, mattoni e un coraggio sovrumano, che trassero dai loro corpi esili, sui 30 chili circa. Eroicamente arrivarono al 2 Agosto, stremati senza cibo né acqua. Nei racconti dei rom, c’è chi assicura che le famiglie riuscirono a salutarsi per il Pasomilaj, la festa di mezz’estate del 2 agosto. Ma quella stessa notte, le loro voci scomparvero. Per sempre. I nazisti assassinarono tra la notte del 2 e 3 agosto, nelle camere a gas,

2897 persone. ( 2 agosto 2013)

olocausto zingari

 

 

ogni anno i Rom e i Sinti accendono una candela nella notte unisciti a loro accendendola anche tu davanti alla finestra

 

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“non come Caino!”

lettera dei vescovi alle diocesi di Treviso e Vittorio Veneto

«con i migranti non si faccia come Caino»

IL TESTO INTEGRALE DELLA LETTERA​

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Scola: per i profughi accoglienza diffusa

​non possiamo girarci dall’altra parte

l’accoglienza è un dovere cristiano

l’accoglienza è un dovere cristiano. Di fronte al fenomeno migratorio in corso occorre fare scelte che nascano sia dall’intelligenza che dal cuore. Lo affermano, con forza, i vescovi di Treviso e di Vittorio Veneto in uno scritto indirizzato ai cristiani e agli uomini e donne di buona volontà delle loro diocesi.

“Fratelli e sorelle carissimi, già da qualche anno al territorio delle nostre due diocesi, come del resto a tutto il nostro Paese, è chiesto di offrire accoglienza ad un certo numero di “migranti forzati”, tra i quali vi sono richiedenti asilo, rifugiati e migranti economici. Ad oggi, in provincia di Treviso, sono presenti circa 900 migranti, arrivati sia nel 2014 che nel 2015: in media 10 persone per comune, uno ogni mille abitanti. Recentemente l’arrivo di migranti ha dato luogo a qualche episodio di particolare tensione sociale, anche a causa di scelte improvvide per la loro sistemazione”.

Comincia così una lettera dei Vescovi di Treviso e di Vittorio Veneto, monsignor Gianfranco Agostino Gardin e monsignor Corrado Pizziolo, “ai cristiani e agli uomini e donne di buona volontà delle loro diocesi” pubblicata nei due settimanali diocesani in uscita. I due Vescovi sulla “Vita del popolo” e su “L’Azione” spiegano di aver voluto attendere “che si attenuasse un certo clima surriscaldato” dopo i recenti episodi, desiderando “offrire ai cristiani, e a quanti credono nel valore della solidarietà, alcune considerazioni pacate e, soprattutto, ispirate a ciò che orienta la vita dei credenti”.

Dopo aver ricordato che il fenomeno migratorio ha radici complesse e domanda soluzioni impegnative, i Pastori rilevano come a livello nazionale ed europeo la gestione dei flussi appaia non sufficientemente pensata e organizzata. Nel territorio, però, “a livello di responsabili regionali e comunali si mescolano, alla oggettiva difficoltà di far fronte a richieste improvvisate di accoglienza, alcune componenti ideologiche; queste sembrano impedire di cogliere la dimensione drammatica di tante situazioni umane”.

“Come Chiesa noi vogliamo essere attenti osservatori della realtà, non condizionati da letture preconcette e frettolose di quanto sta avvenendo; e vogliamo cogliere soprattutto il “costo umano”, per chi arriva e per chi accoglie, di questi eventi. Desideriamo – spiegano i Vescovi -, nei limiti delle nostre possibilità, aiutare a dare risposte che partano dalla considerazione della dignità e della situazione drammatica di tante persone. Vorremmo che preclusioni di principio, atteggiamenti di parte dettati dall’appartenenza politica, come pure l’accento posto solo sul “disturbo” che queste persone ci arrecano, non ci togliessero la libertà interiore di pensare e agire secondo alcuni criteri irrinunciabili per i cristiani”.

A partire dal rispetto per la realtà, che significa anzitutto “riconoscere che queste persone fuggono dalle loro terre a causa di situazioni drammatiche e invivibili, spesso ben più insostenibili di quelle che hanno spinto nel passato tanti nostri conterranei ad emigrare in altri Paesi”.

“Che cosa viene chiesto a noi cristiani? La nostra terra, che si connota nell’opinione comune come regione dal cattolicesimo ben radicato, viene dipinta in questi giorni come terra di inospitalità, di durezza, di egoismo. Vorremmo proprio che non fosse così. Una certa integrazione con molti immigrati fa ormai parte della nostra storia recente” scrivono i Vescovi, ringraziando di cuore chi si prodiga con generosità e dedizione verso questi fratelli disperati.

“Come comunità cristiane non dobbiamo rinunciare a fare la nostra parte – sottolineano Gardin e Pizziolo -, per quello che possiamo, senza rifugiarci dietro la vastità del fenomeno e la sua infelice gestione “a livello alto”. Abbiamo cercato strutture, mezzi, persone; invitiamo al dialogo, alla ricerca comune di soluzioni, alla solidarietà. Del resto ci sentiamo interpellati da domande non eludibili. Sono le domande che risuonano nella Bibbia: «Dov’è Abele, tuo fratello?» (Genesi 4,9); «chi è mio prossimo?» (Luca 10,29); «A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere?» (Lett. di Giacomo 2,14)”.

“Sentiamo emergere più che mai l’interrogativo su che cosa significa, in queste precise circostanze, essere cristiani. Lo siamo davvero? Lo siamo oggi di fronte a questi “scarti” dell’umanità? Lo siamo nella maniera che ci è richiesta dal Vangelo o secondo un cristianesimo accomodante che ci siamo rimodellati sulle nostre ideologie o sulle nostre chiusure? Forse questo è il momento di verificare se abbiamo “il coraggio del Vangelo”, se l’essere discepoli di Gesù è un’esperienza che solo ci sfiora o che realmente ci penetra” spiegano i Vescovi, che si dicono “sconcertati di fronte alla deformazione di un cristianesimo professato a gran voce, e magari “difeso” con decisione nelle sue tradizioni e nei suoi simboli, ma svuotato dell’attenzione ai poveri, agli ultimi: dunque svuotato del Vangelo, dunque svuotato di Cristo. I poveri, ci ripete papa Francesco, sono «la carne sofferente di Cristo»”.

“Non vogliamo credere che l’accoglienza e l’integrazione, per quanto impegnative, siano del tutto impossibili – scrivono ancora i due Pastori -. Esse chiedono però il coinvolgimento di tutti: istituzioni, amministrazioni locali, privato sociale, associazioni, e certamente anche le comunità cristiane. Vorremmo che si potessero perseguire scelte che nascano, nello stesso tempo, dall’intelligenza e dal cuore; vorremmo che si mettesse in atto una progettualità che preveda una accoglienza diffusa nel territorio. Del resto le nostre diocesi, attraverso la Caritas ed in collaborazione con altre realtà del privato sociale, stanno sperimentando questo modello, il quale sta offrendo buoni risultati e mostra una sua efficacia. E se proprio ci ritroviamo a constatare la precarietà delle nostre risposte a questa drammatica emergenza, non rifugiamoci nell’indifferenza, non rispondiamo come Caino: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Genesi 4,9). Almeno lasciamo spazio alla tristezza per non riuscire a fare quanto vorremmo, almeno solidarizziamo con l’amarezza di chi sperimenta il rifiuto di essere accolto, almeno piangiamo. Nell’omelia della Messa di Lampedusa, papa Francesco ha chiesto cinque volte: «Chi di noi ha pianto»?”.

E concludono: “Il Signore ci renda “credenti credibili”, uomini e donne di solidarietà di pace, costruttori di un’umanità nuova”.

IL TESTO INTEGRALE DELLA LETTERA​

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commento al vangelo della domenica

CHI VIENE A ME NON AVRA’ FAME E CHI CREDE IN ME NON AVRA’ SETE MAI! 

  commento al vangelo della domenica diciottesima del tempo ordinario (2 agosto 2015) di p. Alberto Maggi

p. Maggi

Gv 6, 24-35

 

In quel tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafarnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbi, quando sei venuto qua?».
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».
Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mose che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

Con l’episodio della condivisione dei pani Gesù aveva voluto elevare la folla a livello prima di uomini, poi di persone adulte, di persone mature, ma la folla non ha voluto, voleva farlo re. Ha preferito la sottomissione alla libertà che Gesù aveva loro proposto e Gesù era scappato via.
Ebbene ora la folla lo rincorre, ne va in cerca – il verbo ‘ricercare’ nel vangelo di Giovanni è sempre negativo, è sempre per catturare, lapidare, uccidere Gesù – e, quando lo trova, si rivolge a lui chiamandolo ‘Rabbi’. Rabbi è il maestro della legge, non hanno compreso la novità proposta da Gesù, un
rapporto con Dio completamente nuovo, non più basato sull’obbedienza della legge, ma sull’accoglienza del suo amore.
E qui inizia un dialogo tra sordi, un dialogo all’insegna dell’incomprensione, perché la folla chiede il pane per sé  e Gesù li invitava a farsi pane per altri. Ecco che Gesù dice “voi mi cercate non perché avete visto dei segni”. Il segno cos’era? L’accoglienza di un dono generoso per farsi, a loro volta, dono generoso per gli altri, ricevere il pane per poi farsi pane per gli altri.
“Ma perché avete mangiato” – cioè avete preso il pane per voi, “e vi siete saziati”.
E avvisa Gesù “datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna”. La vita ha una parte biologica e ha bisogno di esser nutrita e una parte, quella eterna, che per crescere ha bisogno di nutrire. Quindi noi abbiamo due aspetti:
– La nostra vita biologica, deve essere nutrita
– Quella interiore, per crescere, invece, deve nutrire.
Allora Gesù dice “datevi da fare per questo”. “Perché”, assicura Gesù, “questo è il cibo che vi da il Figlio e su di lui il Padre ha messo il suo sigillo”, cioè Gesù è la garanzia della presenza divina nell’umanità.
Ed ecco che chiedono loro a Gesù cosa devono fare, e Gesù dice: “Questa è l’opera di Dio”. L’unica volta che appare nell’Antico Testamento il termine ‘opera di Dio’, è nel Libro dell’Esodo, capitolo 32, vers. 16, per indicare le tavole della legge. C’è un cambio di alleanza, il rapporto con Dio non è più basato sull’osservanza della legge, ma sull’accoglienza dell’amore di Gesù. Ed è questo che Gesù esprime “che crediate in colui che egli ha mandato”. Quindi non più l’obbedienza alle leggi, ma l’assomiglianza all’amore che in Gesù, garanzia della presenza divina, si manifesta.
Ma la folla non comprende e chiede: “che segno compi perché vediamo e crediamo?” Questo è tipico dell’esperienza religiosa: un segno da vedere per poter credere. E Gesù rifiuta sempre, Gesù non mostra un segno da vedere per credere, ma al contrario dice “credi, e tu stesso diventerai un segno che gli altri possono vedere”.
Allora Gesù, di fronte a questa reazione della folla che si rifà ai padri e non al Padre, che si rifà al passato e dice “i nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto”, si rifanno al passato per Israele, mentre Gesù li aveva invitati al presente, al Padre dell’umanità, Gesù dice che non è stato  Mosè in passato quello che ha dato la vera vita, ma il Padre “vi dà il pane dal cielo, quello vero”.
La richiesta della folla richiama la preghiera del Padre Nostro che, nel vangelo di Giovanni non è presente, “Signore, dacci sempre di questo pane”. Ecco, la folla è cresciuta, da ‘Rabbi’ – Rabbi è colui che insegna la legge – a ‘Signore’, hanno capito che in Gesù c’è una realtà divina.
Ed ecco la dichiarazione di Gesù “Io sono il pane della vita, chi viene a me non avrà pane e chi crede in me non avrà più sete”. Gesù si presenta come la piena risposta alle esigenze di pienezza di vita che ogni uomo porta dentro di sé.

 

 

 

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