se la religione divide è possibile andare ‘oltre la religione’?


Oltre i dogmi, la dottrina, le gerarchie. Cosa resta del cristianesimo in tempi post-religionali

oltre i dogmi, la dottrina, le gerarchie

cosa resta del cristianesimo in tempi post-religionali

piazza_san_pietro-vaticano

tratto da: Adista Documenti n° 29 del 05/09/2015
 

è un tema per molti aspetti ancora nuovo quello della crisi e del possibile superamento della religione, intesa come la forma storica concreta, dunque contingente e mutevole, che la spiritualità, cioè la dimensione profonda costitutiva dell’essere umano, ha rivestito a partire dall’età neolitica

Che le religioni così come le conosciamo siano destinate a morire non è in realtà un’idea largamente condivisa dai teologi, molti dei quali sottolineano al contrario segnali di indubbia vitalità del fenomeno religioso. Come già aveva evidenziato nel 2012 un numero di Voices – la rivista di teologia dell’Associazione dei Teologi e delle Teologhe del Terzo Mondo (Asett o Eatwot) – dedicato alla questione, dal titolo “Verso un paradigma post-religionale?” (v. Adista Documenti n. 16/12), la religione sembra mostrare una notevole effervescenza in metà del mondo e una profonda crisi nell’altra metà, benché le due metà si presentino spesso mescolate e non facilmente identificabili. Di certo, però, è impossibile negare che sia in atto in molti luoghi un’evoluzione verso una laicizzazione di dimensioni inedite e che la comprensione della religione – vista non più come un’opera divina, ma come una costruzione umana – ne risulti profondamente trasformata. Ma allora, se il ruolo tradizionale della religione è in crisi irreversibile, quali forme assumerà nel futuro l’insopprimibile dimensione spirituale dell’essere umano? Potrà esistere una religione senza dogmi, senza dottrina, senza gerarchie, senza la pretesa di possedere la verità assoluta? E che ne sarà in questo nuovo quadro della tradizione di Gesù? Riuscirà il cristianesimo a trasformare se stesso, rinnovandosi radicalmente in vista del futuro che lo attende?

È un compito, questo, a cui hanno già rivolto le proprie riflessioni teologi come il gesuita belga Roger Lenaers, con la sua proposta di riformulazione della fede nel linguaggio della modernità (v. Adista nn. 44/09, 26/12, 13/14), o il vescovo episcopaliano John Shelby Spong, con la sua rilettura post-teista del cristianesimo (oltre, cioè, il concetto di Dio come un essere onnipotente che dimora al di fuori e al di sopra di questo mondo e che da “lassù” interviene nelle questioni umane, v. Adista n. 94/10, 28/12, 35 e 39/13, 23/14). Riflessioni che, insieme a quelle di diversi altri autori (di alcune delle quali daremo conto sui prossimi numeri di Adista), figurano in un numero speciale (il 37/2015) della rivista di teologia Horizonte, pubblicata dalla Pontificia Università Cattolica di Minas Gerais, dedicato proprio al paradigma post-religionale. Un numero ricco di spunti e di suggestioni, di valutazioni anche molto distanti tra loro, ma, nella minore o maggiore radicalità dei contenuti, sostanzialmente animate da una convinzione di fondo: che, cioè, pur nella necessaria – dolorosa ma alla fine liberante – rinuncia al teismo, il messaggio originario della fede cristiana non perde comunque nulla di veramente essenziale. Anche in una visione moderna del mondo, che è una visione esplicitamente non-teista, resta inalterata, infatti, spiega Lenaers nel suo intervento, «la confessione di Dio come Creatore del cielo e della terra, inteso come Amore Assoluto, che nel corso dell’evoluzione cosmica si esprime e si rivela progressivamente, prima nella materia, poi nella vita, poi nella coscienza e quindi nell’intelligenza umana, e infine nell’amore totale e disinteressato di Gesù e in coloro in cui Gesù vive». Come pure resta invariata «la confessione di Gesù come la sua più perfetta auto-espressione» e «la comprensione dello Spirito come un’attività vivificante di questo Amore Assoluto». E ciò malgrado Lenaers non nasconda di certo di quale portata siano le conseguenze di una rilettura del messaggio cristiano nel linguaggio della modernità, esprimendo tutta la distanza che separa il quadro concettuale premoderno – secondo cui il nostro mondo sarebbe completamente dipendente dall’altro mondo e dalle sue prescrizioni – da quello “credente moderno”, in cui risulta impensabile che un potere esterno al mondo intervenga nei processi cosmici, in quanto esiste solo un mondo, il nostro, che è un mondo santo, in quanto autorivelazione progressiva dell’Amore Assoluto. Una prospettiva in base a cui Lenaers rilegge in modo nuovo le formulazioni premoderne della dottrina tradizionale relativamente al Credo, alla resurrezione, ai dogmi mariani, alle Sacre Scritture, ai dieci comandamenti, alla gerarchia, ai sacramenti, alla liturgia, alla preghiera di petizione.

si propongono alcuni stralci dell’intervento di Lenaers, rimandando per la lettura integrale del lungo articolo, nella versione originale inglese, al sito della rivista Horizonte e, in quella tradotta in spagnolo, al sito di Servicios Koinonia.

image_pdfimage_print

schiavismo italiano

i nuovi schiavi dei campi sono africani ed europei

per un euro a quintale

I nuovi schiavi dei campi sono africani ed europei per un euro a quintale

 

lavorare in nero, cioè senza uno straccio di contratto, o in grigio, con un contratto finto, da cui risulti un salario doppio o triplo di quello reale è una pratica molto ben collaudata nei grandi lavori stagionali agricoli. Specialmente nel Sud Italia

Nelle campagne questo sfruttamento grigio-nero è molto più «nero» che grigio. Per il colore della pelle della maggioranza dei lavoratori. Per la fatica bestiale che richiede, non meno di 10-12 ore sotto il sole cocente, con paga «a cottimo», 3 euro per ogni cassone di 3 quintali di pomodori. Per gli abusi d’ogni tipo sulle persone, che nei confronti delle donne sono ovviamente abusi sessuali. Per il taglieggiamento continuo sui lavoratori: la percentuale di 50 centesimi per ogni cassone di pomodori; il «biglietto» di 5 euro a cranio per il trasporto sul luogo di lavoro, stipati anche in quindici in furgoni e in utilitarie; il «contributo» di un euro su ogni bottiglia di acqua per dissetarsi.

Secondo i dati dell’Unar, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, 15 province italiane assorbono il 50,6 per cento della manodopera agricola straniera e, tra queste, la provincia di Foggia è al primo posto, con il 6,4 per cento. Il Tavoliere è dunque soltanto il picco più alto di questo infinito dramma, che nonostante i proclami è l’unica «filiera» agricola che funzioni davvero. Una «filiera» in cui vengono triturati non solo i neri africani concentrati in ghetti come quello di Rignano Garganico, che è solo il più grande e il più mediaticamente efficace, ma anche i bianchi europei della ex Europa dell’Est – romeni e bulgari su tutti -, che fanno i «pendolari» e terminata la stagione «da neri» tornano in patria, con qualche euro e molte umiliazioni in più.

L’emergenza quindi è stabile, endemica, aggravata dall’aumento di offerta di manodopera dovuta ai sempre più numerosi arrivi di clandestini e di rifugiati richiedenti asilo in cerca di lavoro. Tutto questo è manna per i «caporali» e per la grande distribuzione agroalimentare. Anche per i produttori, certo, ma questi, se non sono latifondisti, sono in qualche modo anch’essi vittime della «filiera», perché i prezzi del prodotto li fa la distribuzione, e il produttore, «per stare nei costi», si risolve a impiegare la manodopera arruolata dai caporali. Non solo. C’è poi la burocrazia, che spesso e volentieri, per concedere agli immigrati il permesso di soggiorno si ostina a chiedere loro «la residenza» (che non c’entra nulla), così da alimentare tutta una compagnia di giro – composta da avvocati, consulenti, cooperative di servizi vari – che procaccia e vende contratti di affitto e documenti di varia natura che gli immigrati comprano per non diventare «fuorilegge».

E così un altro giro di giostra ricomincia. Fino al prossimo «caso umano», alla «scoperta» del prossimo ghetto, alla solenne istituzione del prossimo «Tavolo istituzionale interforze permanente contro l’illegalità e il lavoro nero» (nientedimeno). Ma strutture da campo mobili e temporanee per i lavoratori stagionali, con permesso di soggiorno e garanzia del diritto alla salute, con costi di residenza e trasporto anche a carico della grande distribuzione e delle organizzazioni dei produttori, no? Una cosa del genere, la fece Jacob Fugger ad Augusta, nel 1516. Non era Mao Zedong, ma uno dei più grandi capitalisti dell’età moderna.

Carlo Vulpio

image_pdfimage_print

papa Francesco contro le crociate anti ‘gender’

  autrice gender scrive a Papa Francesco che le risponde: “Vai avanti” 

papa-francesco

Francesca Pardi, fondatrice con la compagna Maria Silvia Fiengo, della casa editrice per bambini Lo Stampatello, racconta la sorpresa di aver ricevuto una lettera dal Papa

”Mi ha detto di andare avanti e mi ha impartito la benedizione”

Francesca Pardi, fondatrice con la compagna Maria Silvia Fiengo, della casa editrice per bambini Lo Stampatello, autrice di libri come Piccolo Uovo, Piccola storia di una famiglia: perché hai due mamme? e Qual è il segreto di papà? nell’occhio del ciclone gender dopo la messa all’indice dei libri da parte del sindaco di Venezia, racconta la sorpresa di aver ricevuto una lettera dal Papa. E’ fiera la Pardi di tenere tra le mani la missiva firmata da mons. Peter B. Wells per conto di Francesco, ”sperando – dice l’autrice – che questo gesto avvii un cambiamento di toni sul tema delle famiglie ‘altre’, un maggiore rispetto per persone come me in un momento in cui ci sentiamo oggetto di una crociata”. La Pardi aveva mandato a giugno al Papa l’intero catalogo dei libri editi da Lo Stampatello sperando in una lettura. ”Non troverebbe, tra queste pagine – ha scritto – neanche l’ombra di quella teoria del gender di cui questi libri sarebbero lo strumento principale: dov’è che diciamo ai bambini che possono scegliere il proprio genere? dove parliamo loro di sesso?”.
image_pdfimage_print
image_pdfimage_print