strani ‘cattolici’ che inchiodano croci da tutte le parti ma disprezzano i veri ‘crocifissi’

catto-fascio-leghisti alla ribalta

di Luca Kocci
in “il manifesto” del 6 agosto

migranti-tuttacronaca

 inchiodano i crocefissi sulle pareti delle aule scolastiche perché sono un segno della «nostra civiltà», ma aggrediscono papa, vescovi e preti quando si schierano dalla parte degli immigrati. Rivendicano le «radici cristiane» dell’Europa, ma se qualche cristiano afferma che la “fortezza Europa” deve abbattere i muri di protezione e di separazione lo marchiano come complice degli scafisti e amico dei terroristi.

croce

È il cattolicesimo dei fascio-leghisti, sempre più compenetrati gli uni negli altri dopo la “svolta nazionale” di Salvini, a cui si sono prontamente accodati nostalgici del ventennio e residuati in camicia nera sedotti dalla possibilità di superare la barriera dello zero virgola delle loro fiacche prestazioni elettorali. Ma anche dei perbenisti borghesi che iscrivono i figli nella scuola cattolica e poi sbraitano se il vescovo decide di ospitare un gruppo di profughi vicino all’istituto frequentato dai loro rampolli. Un cattolicesimo svuotato del Vangelo, trasformato in religione civile di un’Italia «Dio, Patria e famiglia», in piena sintonia con quel pezzo di Chiesa gerarchica, conservatrice e maschilista che ha opportunisticamente lasciato fare, quando non benedetto. Poche battaglie, strumentalmente selezionate: sì alla «famiglia naturale»; sì al crocefisso e al presepe in ogni aula; sì al finanziamento pubblico delle scuole paritarie; no agli immigrati, soprattutto se islamici, quindi no alle moschee; no agli omosessuali che rivendicano i propri diritti; no alla «ideologia del gender», senza sforzarsi di capire davvero di cosa si tratta. Alcuni episodi delle ultime settimane rivelano la contraddizione di una religione senza fede, brandita come una clava dai fascio-leghisti e da quella «vecchia piccola borghesia» – cantava Claudio Lolli – «contenta se un ladro muore o se si arresta una puttana, se la parrocchia del Sacro Cuore acquista una nuova campana».

presepi

Il primo nell’ex Veneto bianco, area Marca trevigiana. A metà luglio, alcuni abitanti di Quinto di Treviso, spalleggiati dal leghista presidente della Regione Luca Zaia, protestano con veemenza e respingono il trasferimento di un centinaio di profughi in un condominio. Pochi giorni fa due vescovi, mons. Gardin (Treviso) e mons. Pizziolo (Vittorio Veneto), scrivono una lettera aperta, per condannare la rivolta: siamo cristiani «nella maniera che ci è richiesta dal Vangelo o secondo un cristianesimo accomodante che ci siamo rimodellati sulle nostre ideologie o sulle nostre chiusure?», chiedono i due vescovi, «sconcertati di fronte alla deformazione di un cristianesimo professato a gran voce, e magari “difeso” con decisione nelle sue tradizioni e nei suoi simboli, ma svuotato dell’attenzione ai poveri, agli ultimi». Non si scompone Zaia: «I vescovi, che rispetto in quanto cattolico, io li capisco perché il Vangelo predica la solidarietà, ma i veneti hanno capito che molti di questi che noi aiutiamo come profughi non sono affatto in difficoltà. I vescovi hanno dato tutto quello che potevano dare? I seminari sono tutti pieni di immigrati e di profughi? Non mi risulta. Chi è senza peccato scagli la prima pietra». Pochi giorni prima il capo di Zaia, Matteo Salvini, segretario della Lega Nord e paladino dei presepi nelle scuole, dopo aver criticato il papa sempre sul tema immigrati, se l’era presa con don Formenton, un prete veneto da anni trapiantato in Umbria, che all’indomani della protesta anti-immigrati di Quinto (e di Roma, con i fascisti di Casa Pound ad alzare le barricate contro il trasferimento di un gruppo di rifugiati in un centro di accoglienza), aveva affisso sul portone della sua parrocchia a Sant’Angelo in Mercole (Spoleto), un cartello: «In questa Chiesa è vietato l’ingresso ai razzisti, tornate a casa vostra!», e le parole di Gesù del Vangelo di Matteo «Ero straniero e non mi avete accolto… Lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno». Salvini commenta su Facebook: «Don Gianfranco Formenton attacca la Lega, parlando di razzismo, odio, squadrismo, Hitler e Mussolini “Vietato l’ingresso ai razzisti” si legge all’ingresso
della “sua” chiesa. Forse il parroco preferisce gli affaristi alla Mafia Capitale? Preferisce gli scafisti, gli schiavisti, i terroristi? Povera Spoleto e povera Chiesa, se questo è un prete…». Dalla Lega a Forza Nuova. A fine luglio alcuni militanti del movimento politico fondato da Roberto Fiore e Massimo Morsello affiggono di fronte alla cattedrale di Avezzano (Aq) un manifesto contro il vescovo, mons. Santoro, reo di una pastorale di accoglienza verso i migranti: «Per il vescovo prima i clandestini, per Forza Nuova prima gli italiani». Forza Nuova non è nuova ad iniziative di questo tipo: l’anno scorso striscioni con la scritta «No fiabe gay. Proteggiamo i nostri bambini» vennero issati davanti alle librerie Paoline di Treviso, Trieste e Verona perché negli scaffali erano i vendita alcuni libri contro la violenza di genere e l’omofobia. E qualche anno prima i neofascisti si erano arrabbiati con un altro prete, don Armando Zappolini, che nella sua parrocchia a Perignano (Pisa) accanto al presepe aveva piazzato un cartello a sostegno della legge per la cittadinanza ai bambini stranieri nati in Italia: «Gesù, bambino nato in Italia nella notte fra il 24 e il 25 dicembre da genitori palestinesi senza documenti di soggiorno, non potrà diventare cittadino italiano». Eppure Forza Nuova è movimento che rivendica la propria cattolicità: il 20 giugno era in piazza a Roma, insieme ai neocatecumenali e ad altri gruppi cattolici, “per la famiglia e contro il gender”; e l’8 agosto i forzanovisti calabresi concluderanno il proprio Campo d’azione – durante il quale è prevista la proiezione di Sodom. La rivoluzione antropologica in atto, documentario a cura dell’associazione cattolica Pro Vita – a Belmonte Calabro (Cs) con il rito del “presente” a Michele Bianchi (gerarca fascista calabrese morto nel 1930) al termine di una messa officiata da don Giulio Tam, prete lefevriano – quindi fuori dalla Chiesa cattolica – espulso anche dalla Fraternità San Pio X, che dice del proprio look: «la mia tonaca è una camicia nera taglia XXL». Il terzo episodio a Crema, dove il vescovo, mons. Cantoni, su richiesta della Prefettura, decide di accogliere in un ex convento di suore una ventina di giovani profughi extracomunitari. Ma non aveva considerato, il vescovo, che accanto al convento c’è una scuola cattolica, e che i cattolicissimi genitori dei bambini si sarebbero ribellati: proteste in Municipio e in Curia, raccolta di firme, minacce di ritirare dalla scuola i propri figli al grido «gli immigrati dove ci sono i nostri figli non li vogliamo». Il vescovo fa dietrofront, ma bacchetta le «reazioni sconsiderate e irrazionali», dettate dal «demone della paura dell’altro, del diverso da noi, dello straniero» e «dal nostro perbenismo fondato sul pensare solo a noi stessi o ai nostri figli». Si può chiedere alla Chiesa, se davvero è lontana da questo cattolicesimo antievangelico, di impiegare la stessa energia e la stessa determinazione usata in altre situazioni e contro altri “nemici” per isolare questi “buoni cattolici”?

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i migranti e le chiusure di Londra ai limiti della disumanizzazione

i militari di Londra

l’aiuto dell’Italia

i due volti dell’Europa sui profughi

migranti

di Maria Serena Natale
in “Corriere della Sera” del 5 agosto 2015

Londra manda uomini e cani addestrati per rafforzare i controlli sul lato francese della Manica e il premier David Cameron spiega l’emergenza in tv parlando di «uno sciame che attraversa il mare in cerca di una vita migliore». Budapest e Vienna studiano forme congiunte di monitoraggio dei confini, quei confini dove il varco aperto nell’agosto 1989 nella Cortina di ferro innescò il domino che avrebbe riunito il continente. Più a sud cresce il muro di filo spinato tra la Serbia e l’Ungheria per arginare la marea di disperati che risale dai Balcani. Di fronte alle migliaia in fuga da guerra e povertà c’è un’Europa che arretra nel tempo e nello spazio, alza barriere fisiche e mentali. L’inasprimento della retorica britannica, con termini che richiamano gli «sciami di stranieri» di Hitler, segna l’apice della disumanizzazione del dibattito. Già l’enfasi sulla ripartizione dei migranti nel negoziato Ue aveva spostato il focus sull’«onere» dell’accoglienza. Ora i toni diventano ancora più duri, complici dinamiche politiche come nel caso britannico, dove il premier conservatore deve difendersi dagli attacchi dell’ala più dura del partito e dall’estrema destra. Lo stesso Nigel Farage, il leader nazionalista dell’Ukip, ha preso le distanze dalle dichiarazioni di Cameron. «Non parlerei mai così» ha commentato, lui che era stato il primo a usare quella parola, «swarm», sciame, che equipara persone e animali, cancella i contorni dei volti riducendo uomini, donne e bambini a un flusso indistinto che avanza minaccioso con obiettivi comuni e manovre coordinate. In comune solo una scommessa con il destino. Forse Cameron voleva evitare termini biblici come «piaga», ragionano i commentatori su una stampa ugualmente polarizzata, con i tabloid più agguerriti che chiedono al governo di «mandare l’esercito» a Calais, come nell’assedio del Trecento. A Calais l’area dei campi di accoglienza è stata soprannominata «la giungla», ancora quel pericolo oscuro e selvaggio. Il Regno Unito ha fatto valere la clausola di opt-out per sfilarsi dalla cooperazione nello smistamento dei richiedenti asilo. Per scoraggiare la traversata della Manica, il ministero dell’Interno ha annunciato un piano che prevede una stretta su sussidi e benefici del welfare. Misure simili erano già state annunciate in Danimarca. Le fondamenta dello Stato sociale nordico vacillano.
Non piacciono, a Bruxelles, le resistenze britanniche. «C’è bisogno di più solidarietà e responsabilità nel modo in cui affrontiamo la pressione migratoria» commentano i portavoce della Commissione europea. Né piacciono alla Francia che chiede cooperazione, o all’Italia con i suoi 90 mila arrivi dall’inizio dell’anno, o alla Germania che secondo le previsioni entro la fine del 2015 dovrà gestire 400 mila ingressi, la cifra più alta dall’ondata di profughi delle guerre balcaniche. Nel 2014 la Gran Bretagna ha ricevuto 26 mila domande d’asilo, ne ha accettate 10 mila. Ieri il Financial Times contrapponeva gli scrupoli inglesi agli sforzi di Italia, Germania e Paesi come l’Irlanda, che pur potendo sfilarsi con l’aiuto dei meccanismi di opt-out ha scelto di essere della partita. Le ricadute politiche sono difficili da gestire ovunque. Nella stessa Germania che con il suo rodato sistema di distribuzione dei rifugiati nei sedici Länder si pone come modello di integrazione, crescono le tensioni, spinte dal linguaggio esasperato della destra xenofoba. Negli ultimi mesi si sono verificati numerosi attacchi a strutture che accolgono i migranti. C’è chi reagisce come il deputato Martin Patzelt, dell’Unione cristiano-democratica della cancelliera Angela Merkel, che rivela alla tv Ard di aver ospitato due rifugiati eritrei, «così si combatte l’odio».

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