i migranti e le chiusure di Londra ai limiti della disumanizzazione

i militari di Londra

l’aiuto dell’Italia

i due volti dell’Europa sui profughi

migranti

di Maria Serena Natale
in “Corriere della Sera” del 5 agosto 2015

Londra manda uomini e cani addestrati per rafforzare i controlli sul lato francese della Manica e il premier David Cameron spiega l’emergenza in tv parlando di «uno sciame che attraversa il mare in cerca di una vita migliore». Budapest e Vienna studiano forme congiunte di monitoraggio dei confini, quei confini dove il varco aperto nell’agosto 1989 nella Cortina di ferro innescò il domino che avrebbe riunito il continente. Più a sud cresce il muro di filo spinato tra la Serbia e l’Ungheria per arginare la marea di disperati che risale dai Balcani. Di fronte alle migliaia in fuga da guerra e povertà c’è un’Europa che arretra nel tempo e nello spazio, alza barriere fisiche e mentali. L’inasprimento della retorica britannica, con termini che richiamano gli «sciami di stranieri» di Hitler, segna l’apice della disumanizzazione del dibattito. Già l’enfasi sulla ripartizione dei migranti nel negoziato Ue aveva spostato il focus sull’«onere» dell’accoglienza. Ora i toni diventano ancora più duri, complici dinamiche politiche come nel caso britannico, dove il premier conservatore deve difendersi dagli attacchi dell’ala più dura del partito e dall’estrema destra. Lo stesso Nigel Farage, il leader nazionalista dell’Ukip, ha preso le distanze dalle dichiarazioni di Cameron. «Non parlerei mai così» ha commentato, lui che era stato il primo a usare quella parola, «swarm», sciame, che equipara persone e animali, cancella i contorni dei volti riducendo uomini, donne e bambini a un flusso indistinto che avanza minaccioso con obiettivi comuni e manovre coordinate. In comune solo una scommessa con il destino. Forse Cameron voleva evitare termini biblici come «piaga», ragionano i commentatori su una stampa ugualmente polarizzata, con i tabloid più agguerriti che chiedono al governo di «mandare l’esercito» a Calais, come nell’assedio del Trecento. A Calais l’area dei campi di accoglienza è stata soprannominata «la giungla», ancora quel pericolo oscuro e selvaggio. Il Regno Unito ha fatto valere la clausola di opt-out per sfilarsi dalla cooperazione nello smistamento dei richiedenti asilo. Per scoraggiare la traversata della Manica, il ministero dell’Interno ha annunciato un piano che prevede una stretta su sussidi e benefici del welfare. Misure simili erano già state annunciate in Danimarca. Le fondamenta dello Stato sociale nordico vacillano.
Non piacciono, a Bruxelles, le resistenze britanniche. «C’è bisogno di più solidarietà e responsabilità nel modo in cui affrontiamo la pressione migratoria» commentano i portavoce della Commissione europea. Né piacciono alla Francia che chiede cooperazione, o all’Italia con i suoi 90 mila arrivi dall’inizio dell’anno, o alla Germania che secondo le previsioni entro la fine del 2015 dovrà gestire 400 mila ingressi, la cifra più alta dall’ondata di profughi delle guerre balcaniche. Nel 2014 la Gran Bretagna ha ricevuto 26 mila domande d’asilo, ne ha accettate 10 mila. Ieri il Financial Times contrapponeva gli scrupoli inglesi agli sforzi di Italia, Germania e Paesi come l’Irlanda, che pur potendo sfilarsi con l’aiuto dei meccanismi di opt-out ha scelto di essere della partita. Le ricadute politiche sono difficili da gestire ovunque. Nella stessa Germania che con il suo rodato sistema di distribuzione dei rifugiati nei sedici Länder si pone come modello di integrazione, crescono le tensioni, spinte dal linguaggio esasperato della destra xenofoba. Negli ultimi mesi si sono verificati numerosi attacchi a strutture che accolgono i migranti. C’è chi reagisce come il deputato Martin Patzelt, dell’Unione cristiano-democratica della cancelliera Angela Merkel, che rivela alla tv Ard di aver ospitato due rifugiati eritrei, «così si combatte l’odio».

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