“lettera a una Chiesa che ha dimenticato Gesù”

“cara Chiesa tra riti e scandali hai tradito Gesù Cristo”

Ermanno Olmi

Olmi

Lettera a una Chiesa che ha dimenticato Gesù

 

questo l’inizio:

Cara Chiesa, non so più a chi rivolgermi e anche tu non mi vieni in aiuto. Ci parli di Dio ma sai bene che nessun dio è mai venuto in soccorso dell’umanità.
Nella lotta tra bene e male, l’uomo è sempre stato solo. Già nel racconto biblico si comincia con un delitto: «Che hai fatto Caino? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo dove sei nato…» dunque, dio ha udito benissimo il grido del fratello ucciso, ma non ha fatto nulla per trattenere la mano fratricida.

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E adesso?  Cosa sta accadendo a tutti noi?  Come abbiamo fatto a ridurci così ?  troppo spesso ho la sensazione di non sentirmi in relazione con gli altri. Anche con le persone che mi sono più vicine. Mi trovo in uno stato confusionale, come se ognuno parlasse per conto proprio annaspando nel nulla.
Cara Chiesa di cristiani smarriti, ho deciso di scriverti non tanto per fede ma perché tu hai più di duemila anni di storia e forse puoi aiutarci a capire i nostri comportamenti. Abbiamo smarrito la via maestra della pacifica convivenza. Ovunque conflitti di religione, separazioni di razze. Chi crede in dio sa bene che il Creatore ha fatto l’uomo e la donna, ma non le razze. E che neppure ha dato di più ad alcuni per farli ricchi perché con il loro denaro umiliassero i poveri. Così ho deciso di scriverti.
Perché in questo tempo bastardo anche tu mi deludi, e mi dispiace. Probabilmente sono mosso più dal sentimento che dalla ragione. Del resto, è il sentimento che presiede ogni ragionamento.
Voglio credere, Chiesa di Cristo Gesù, che tu abbia i tuoi buoni motivi che io non posso conoscere né sarei in grado di capire: questioni istituzionali, ragioni di Stato. Ma ugualmente non riesco del tutto a giustificarti, perché vorrei sentire che prima d’ogni altro motivo c’è il tuo impulso di madre a proteggerci, e che sopra tutti i tuoi pensieri ci siamo noi, i tuoi figli. Io, e tanti come me, vorremmo che nelle difficoltà che ogni giorno dobbiamo affrontare non mancasse mai il tuo conforto. In momenti come questi che stiamo vivendo, sembra perduta ogni solidarietà fra gli uomini. Non mi dimentico che ci sono tanti cristiani di buona volontà, preti e laici, che prima ancora che nelle gerarchie ecclesiastiche si riconoscono in coloro che hanno più bisogno del nostro aiuto. Non sono soprattutto gli umiliati, i reietti che Cristo ti ha affidato?
Ma chi sono io, cara Chiesa, per pretendere di interrogarti e tirarti dentro a questioni di cui non sono all’altezza? Mi faccio coraggio pensando che chiunque poteva rivolgersi con confidenza a Gesù come ora io mi rivolgo a te. Non tanto perché tu debba a me delle spiegazioni. Tu sai bene quali sono i tuoi compiti e come agire, ma almeno aiutami a capire certi tuoi comportamenti a cominciare dall’attaccamento ai beni temporali. Mostraci che hai davvero a cuore i più deboli e diseredati. Che come vedi, sono sempre più numerosi e vengono al mondo solo per morire. Ma tu, Chiesa, ci dici che sono proprio costoro i primi presso il cuore di Gesù. E allora, se sei davvero Chiesa soccorritrice, ricordati anche della solitudine dei ricchi che non troveranno mai quiete nelle loro ricchezze.
Quel che adesso sto per dire disturberà gerarchie e devoti benpensanti e tutti coloro che proclamano la Chiesa madre di tutti. Ma tu, Chiesa dell’ufficialità, sei una madre distratta, più sollecita nei fasti dei cerimoniali che nell’annunciare la prima di tutte le santità: quella di coloro che credono in te anche soffrendo per le ingiustizie subite.
Sono convinto che tutto l’Occidente – e questa nostra Italia sempre più sfiduciata e incapace di nuovi slanci – abbia bisogno di un supplemento d’anima. Quel Gesù di Nazareth, falegname e maestro, col suo esempio può farci ancora ritrovare la gioia di come spendere il bene prezioso della nostra esistenza.
Invece tu, vecchia Chiesa che hai innalzato tanti altari di Cristo, sembri averlo dimenticato. Proprio tu! ecco perché oggi molti s’interrogano: «Quale sarà il luogo delle beatitudini dove il Maestro tornerà all’appuntamento coi nuovi discepoli di questo nostro tempo?…». Sei davvero tu, Chiesa cattolica, la casa aperta non solo ai cristiani obbedienti, ma anche a coloro che cercano dio nella libertà, oltre i loro dubbi?
Assisto sconsolato a quanto sta accadendo in Vaticano in questi ultimi mesi: intrighi, processi, scandali di pedofilia, movimenti di capitali nelle banche della stessa Chiesa. Il compianto cardinal Martini, nel momento estremo del suo congedo ci ha lasciato il suo ammonimento: «Siamo una Chiesa rimasta indietro di duecento anni, una Chiesa carica di addobbi e orpelli…». Una Chiesa ricca per i ricchi.
Ho nella mente un turbinare di interrogativi che non mi danno tregua. Quanti anni sono passati dal Concilio Vaticano II? E dal poverello di Assisi cosa abbiamo imparato e poi trascurato? E dai martiri di ogni tempo e di ogni fede? Cattolici, protestanti, ortodossi: eppure eravamo tutti ai piedi della stessa Croce. Ma cosa sono duemila anni nella storia dell’umanità? Ne sono trascorsi appena cinquanta dal Concilio Vaticano II e troppo poco è rimasto della buona novella di quella straordinaria assemblea di fedeli. E che grande fermento: in quei giorni si sentì la brezza di una nuova primavera. Giovanni XXIII scosse la sonnolenza di una Chiesa che si affidava più alla “liturgia del rito” che alla “liturgia della vita”. E tutto il mondo, cristiano e no, accolse l’invito ad aprire menti e cuori perché entrasse nella Casa di Cristo aria fresca e luce limpida. Ma poco è davvero cambiato nella Chiesa di Roma. Né dopo il Concilio né dopo duemila anni di cristianità.
Ancora una volta, come dopo quella notte nel Getzemani, qualcuno ha tradito. Ancora una volta, su tutti i monti degli ulivi, Gesù è uno sconfitto. Siamo tutti degli sconfitti
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gli immigrati ripopolano e ringiovaniscono l’Italia

Italia senza figli

(se non fosse per gli immigrati)

Chierici

 

di Maurizio Chierici
in “il Fatto Quotidiano” del 23 febbraio 2016

Quasi una favola quando nasce un bambino. Ottant’anni fa, Mussolini ammoniva le donne senza figli: se le bare supereranno le culle prenderò provvedimenti dragoniani. Ottant’anni dopo, famiglie cambiate, bambini sempre meno. Meno della metà dei piccoli che aprivano gli occhi nei favolosi anni Sessanta quando i “profughi economici” (oggi maledetti dai pifferai della politica pop) non arrivavano a 63mila. Ormai sono sei milioni. Per fortuna. Senza le loro facce nere, gialle, marron saremmo in ginocchio.

Non solo perché aiutano le promesse di Renzi con 7 miliardi di tasse, ma soprattutto per aver addolcito le abitudini delle generazioni on line allergiche ai lavori fangosi: contadini che sudano, operai Cinq’ ghej, cinque soldi come i migranti lombardi nella Svizzera del dopoguerra. Muratori su e giù da impalcature traballanti, mani nelle immondizie, schiavi nella raccolta di arance e pomodori: 12 ore sotto l’occhio dei caporali pagando oro il piatto delle brodaglie e le baracche del sonno. Anni così che ogni giorno dimentichiamo.

foto premio migranti E dimentichiamo i turbanti dei sikh che alle tre del mattino mungono nelle stalle il Parmigiano Reggiano, Grana Padano e ogni formaggio della pianura del benessere perché bergamini lombardo-emiliani non se ne trovano più. Qualcuno va meglio nel nord delle fabbriche. Migliaia di artigiani e piccoli imprenditori si affacciano con l’ottimismo di chi vuol cambiare ma si allarga ogni anno la folla di chi scappa dalle guerre o dalla fame: piega la testa e tira la vita. Non tutti sono angeli: chi ruba, chi spaccia, chi beve e poi orrori di sangue che la nostra innocenza non può sopportare. Siamo perbene: mai femminicidi o esaltati che fanno a pezzi donne troppo sole. Mai clan oscuri, niente mafie, nessuna corruzione. Per carità, gli italiani non imbrogliano, quindi non sopportano la barbarie dei profughi selvaggi. “Nigeriano strangola la fidanzata; marocchino strappa la borsa alla vecchia signora”: gli appositi giornali informano così. Quarant’anni fa, Basaglia approvava ogni deformazione a patto che i titoloni annunciassero “sano di mente stermina la famiglia”. IN PIÙ GLI EXTRA fanno figli. Troppi. Si ammalano e pretendono due stanze per fare casa: “Paghiamo sempre noi”. Bisogna riconoscere che senza i bambini arcobaleno, le scuole dei paesi abbandonati nei mille chilometri dell’Appennino sarebbero scatole vuote, maestri disoccupati nel silenzio delle comunità fantasma. Perché le nostre ragazze non fanno figli o li cercano a 40 anni? Come mai i bambini non rientrano nei programmi degli gnomi che controllano mercati, finanza, segreti delle banche? Li considerano clienti da coccolare ma fino a una certa età. Intanto i giovani studiano o lavorano inseguendo la stabilità necessaria a mettere su famiglia. Disoccupate e disoccupati bussano a porte che non si aprono. E fanno i conti. Un bambino costa più di un peccato mortale: asili nido talmente cari da scoraggiare la voglia di tenerezze mentre dalla Francia ai paradisi del nord, lo Stato “rimborsa” per 3 anni madre e padre e allunga la protezione contante fino alla maggiore età. C’è da dire che la famiglia è cambiata: meno matrimoni (civili e religiosi) mentre si allunga l’anticamera delle convivenze nell’attesa di chissà quale domani. Meno male che i profughi da tante cose continuano a fare bambini neri, gialli, marron. Non è semplice mescolarli a scuola o nel lavoro ai piccoli bianchi dell’Italia che invecchia. Loro non sanno niente di noi; noi niente di loro. La politica guarda e tace: si arrangino da soli.

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l’immagine negativa dei palestinesi che emerge dai testi scolastici israeliani

la Palestina nei testi scolastici israeliani

 

edito dal Gruppo Abele il libro, in traduzione italiana, della professoressa Nurit Peled, la cui figlia è stata uccisa in un attentato kamikaze

 

foto1Nurit Peled-Elhanan è professoressa di lingua e pedagogia all’università ebraica di Gerusalemme,  è stata tra le fondatrici del Parent’s Circle, associazione di parenti palestinesi e israeliani che hanno avuto vittime; in un attentato kamikaze compiuto a Gerusalemme in Ben Yehuda sua figlia di 13 anni è stata uccisa. È stata insignita del premio Sakharov del Parlamento Europeo per i Diritti Umani

Il 7 ottobre 2015 è uscita, per le Edizioni Gruppo Abele, la traduzione italiana del libro di Nurit Peled-Elhanan “La Palestina nei testi scolastici di Israele. Ideologia e propaganda nell’istruzione”, uscito nel Regno Unito nel 2012, mai tradotto in ebraico e boicottato in Israele.

“Nonostante tutte le altre fonti di informazione, i testi scolastici costituiscono potenti mezzi mediante cui lo Stato può configurare le forme di percezione, classificazione, interpretazione e memoria necessarie a determinare identità individuali e nazionali. Ciò vale in particolar modo per Paesi come Israele, dove storia, memoria, identità personale e nazione sono intimamente legati”.

lo studio, condotto su un campione di testi scolastici pubblicati tra il 1996 e il 2009, scelti in base alla popolarità dei libri fra gli insegnanti, analizza i discorsi e i mezzi semiotici mediante i quali vengono rappresentati la Palestina e i palestinesi. Vengono ben esemplificati alcuni dei principali sistemi di creazione di propaganda, quali l’utilizzo della dicotomia ebreo-non ebreo e la conseguente spersonalizzazione dei palestinesi, il culto della continuità e la legittimazione storica dello Stato di Israele e la cancellazione di 1.300 anni di presenza palestinese sulla terra di Palestina

L’autrice spiega che una delle aree su cui il Ministero dell’istruzione è particolarmente attento, è la comunicazione riguardante l’esercito (IDF). Scrive Nurit, “Fin da piccoli i bambini israeliani imparano che devono diventare dei buoni soldati. Sono sottoposti a questo brainwashing da quando hanno tre anni, quando ricevono le visite dei soldati nelle scuole e ogni vacanza è caratterizzata dalla presenza o rappresentazione di qualche eroe.”

La seconda area riguarda i Palestinesi, la cui stessa esistenza è negata nei libri.

“Nelle scuole in pratica non imparano niente sul Medio Oriente, perché lo stato di Israele è loro proposto come parte dell’Europa, néfoto2 imparano nulla dei loro vicini o delle nazioni confinanti. Neppure della storia degli ebrei negli altri paesi. L’unica cosa che imparano sono i pogrom, l’olocausto e il fatto che il sionismo ha salvato gli ebrei dai cristiani. Rappresentazione quest’ultima che potrebbe funzionare per l’Europa dell’Est ma non per i paesi arabi”.

Dalla lettura dei libri di testo israeliani si capisce che “i palestinesi costruiscono i loro edifici illegalmente perché non vogliono pagare le tasse e che vivono in modo primitivo perché non amano la modernità”.

i palestinesi non sono mai chiamati palestinesi se non quando l’argomento è il terrorismo. Vengono chiamati arabi. “Arabi su cammelli, vestiti come Ali Baba. Li descrivono come spregevoli, devianti e criminali, gente che non paga le tasse, che vive a spese dello stato, che non vuole progredire” racconta. “Vengono rappresentati solo come rifugiati, agricoltori arretrati e terroristi. Non si vede mai un bambino palestinese, un dottore, un insegnante, un ingegnere o un agricoltore moderno.”

L’aspetto più importante, in tutti i testi analizzati, riguarda la ricostruzione storica degli eventi del 1948, l’anno in cui Israele iniziò ad attaccare i palestinesi per affermare la propria identità di stato indipendente e centinaia di migliaia di persone furono. L’uccisione dei palestinesi è raccontata come qualcosa che fu necessario per la sopravvivenza del nascente stato ebraico, afferma l’autrice: “Non è che i massacri vengano negati, ma nei testi scolastici israeliani vengono presentati come eventi che nel corso del tempo si sono rivelati positivi per lo stato ebraico.”

“I bambini crescono per servire nell’esercito e interiorizzare l’idea che i palestinesi siano gente la cui vita può essere sacrificata impunemente. E non solo questo, ma gente il cui numero deve essere ridotto. “

Nel libro sono descritte le forme di razzismo presenti in Israele.

“Una domanda che tormenta tanta gente è come ci si può spiegare il comportamento brutale dei soldati israeliani verso i palestinesi, l’indifferenza alla sofferenza umana, le sofferenze che vengono inflitte. Ci si chiede come possano questi graziosi bambini e bambine ebrei diventare mostri una volta indossata l’uniforme. Io credo che la causa principale sia nell’educazione. Così ho voluto vedere come i testi scolastici rappresentano i palestinesi.” Peled afferma di non aver trovato, in “centinaia e centinaia” di libri, una sola fotografia che mostrasse un arabo come una “persona normale”. All’interno di Israele, dice, Nurit “vedo solo un avanzamento verso il fascismo. Ci sono 5,5 milioni di palestinesi controllati da Israele che vivono in un’orribile condizione di apartheid, senza diritti civili né umani. L’altra metà sono ebrei e stanno anch’essi perdendo i loro diritti, giorno dopo giorno”. Peled è convinta che il sistema educativo aiuti a perpetuare uno stato ingiusto, non democratico e insostenibile. “In ogni cosa che fanno, dalla scuola materna fino alle superiori, vengono imbottiti in tutti i modi possibili, attraverso le letture, le canzoni, le vacanze e i passatempi, di nozioni patriottiche scioviniste.”

Barbara Associazione di Amicizia Italo-Palestinese Onlus

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