in morte di padre Cardenal

morto gesuita eroe del Nicaragua

Fernando Cardenal

Fernando Cardenal

 

Fu uno degli eroi della rivoluzione sandinista, premiato a livello internazionale perché, da ministro e anche prima, condusse una delle più grandi campagne di alfabetizzazione che l’America Latina ricordi. Ma c’era un problema: era un padre gesuita e il papa di allora, Giovanni Paolo II, giammai avrebbe voluto un consacrato in un governo “comunista” e lo fece sospendere dai gesuiti. Ma Fernando Cardenal è morto ieri ancora da prete con tutti i crismi, perché la “scomunica” di Wojtyla fu annullata nel 1997.

Cardenal fa parte di un “trio” di preti che furono nominati ministri nel governo del Nicaragua dopo la rivoluzione sandinista. Gli altri sono il fratello Ernesto, poeta e a sua volta sacerdote, e soprattutto Miguel d’Escoto Brockmann, uno dei maggiori portavoce della Teologia della Liberazione, nominato ministro degli Esteri, mentre Fernando era ministro dell’istruzione ed Ernesto dell’educazione.

Fernando e gli altri due presbiteri negli anni ’80 sfidarono l’ordine rivolto dal Vaticano di lasciare il governo rivoluzionario sandinista. E’ morto ieri a Managua all’età di 82 anni senza aver mai tradito i propri ideali, come invece si può tranquillamente affermare per la maggiore figura della rivoluzione, Daniel Ortega, disposto a tutto pur di non lasciare il potere. All’epoca del primo governo Ortega, Fernando Cardenal affermò – ricorda la Bbc – che avrebbe «commesso un grave peccato» se avesse lasciato il governo sandinista. «Non posso concepire che Dio mi chieda di abbandonare il mio impegno per la gente», disse in un’intervista.

 

Personalità notissima al tempo della guerra civile in Nicaragua, Fernando Cardenal fu sospeso `a divinis´ assieme al fratello per aver abbracciato la lotta armata con la quale il Comandante e poi presidente sandinista Daniel Ortega mise fine alla dittatura del dittatore Anastasio Somoza. Già durante la fase sandinista, prima di essere ministro dell’istruzione tra il 1984 e il 1990, Cardenal aveva promosso e coordinato una grande campagna di alfabetizzazione, che gli valse un riconoscimento mondiale da parte dell’Unesco.

Fernando fu il primo dei tre ex ministri a essere riaccolto nella Chiesa: nel 1997, dopo aver ripetuto un anno di noviziato tra i diseredati del Salvador, a 63 anni Cardenal fu riammesso a pieno titolo nell’ordine dei gesuiti, da cui era stato espulso nel 1984 proprio per aver fatto parte del governo sandinista. Nel 2014 papa Bergoglio annullò la sospensione a divinis a carico di d’Escoto e del fratello Ernesto, suscitando le ire dei cattolici tradizionalisti.

Una fotografia è un po’ il simbolo di quello che accadeva negli anni 80. Si vede Giovanni Paolo II all’aeroporto di Managua ammonire severamente Ernesto Cardenal.

Padre Ernesto Cardenal si inginocchia davanti a papa Wojtyla, che lo ammonisce severamente

Lo stesso Ernesto Cardenal, che oggi ha 91 anni, ricostruì inquesto modo l’accaduto in un’intervista a Vita del 2004: «Dopo i saluti di protocollo, compresi quelli della guardia d’onore e della bandiera, il papa chiese al presidente Daniel Ortega, se poteva salutare anche i ministri. Naturalmente gli fu detto di sì; così il Papa si diresse verso di noi. Affiancato da Daniel e dal cardinal Casaroli cominciò a dare la mano ai ministri e, quando si avvicinò a me, io feci quello che, anche su consiglio del Nunzio, avevo previsto di fare se si fosse verificato questo caso: togliermi il basco e inginocchiarmi per baciargli l’anello. Ma egli non permise che glielo baciassi e, brandendo il dito come fosse un bastone, mi disse in tono di rimprovero: “Lei deve regolarizzare la sua situazione”. Siccome io non risposi, tornò a ripetere la brusca ammonizione. E questo mentre eravamo inquadrati da tutte le telecamere del mondo. Ho l’impressione che tutto questo fu ben premeditato dal papa. E che le televisioni fossero avvisate. In realtà, era ingiusta la reprimenda del Papa perché io avevo regolarizzato la mia situazione con la Chiesa. Noi sacerdoti che avevamo incarichi nel governo eravamo stati autorizzati dai vescovi, che avevano reso pubblica la loro autorizzazione (fino a quando il Vaticano ci proibì di mantenere tali incarichi). E la verità è che ciò che più disgustava il papa della Rivoluzione del Nicaragua era che fosse una Rivoluzione che non perseguitava la Chiesa. Avrebbe voluto un regime come quello della Polonia, che era anticattolico in un Paese a maggioranza cattolica, e pertanto impopolare. Quello che neanche lontanamente avrebbe voluto era una Rivoluzione appoggiata massicciamente dai cristiani come era la nostra, in un Paese cristiano, e dunque una Rivoluzione molto popolare. E peggio ancora, la nostra era una Rivoluzione con dei sacerdoti».

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l’esultanza di p. Agostino per i preti in tenda ma …

p. agostino

 

Il vangelo di oggi parla anche di tende che Pietro vuole fare..xe è  bello stare a contemplare la gloria e la bellezza della trasfigurazione in cima al monte. A me in questi giorni è venuta in mente un’altra tenda, quella innalzata ai piedi della montagna, ad Ambivere nel Bergamasco..Proprio vicino al mio paese. Quattro parroci hanno scelto di vivere in tenda, tutta la Quaresima per ricordare la vergogna della non accoglienza verso i migranti da parte del paese Italia.
Bel gesto (anche coraggioso perché a pochi km da Pontida) che profuma di Vangelo, provoca e illumina le coscienze di tutti e delle comunità  cristiane. C’è  un modo di vivere la fede “sotto la tenda”, che sa di privilegio, di fuga..ma c’è  la tenda innalzata nella storia che sa di compassione e desiderio di giustizia verso i poveri.
Grazie a questi sacerdoti ho capito che la trasfigurazione è invito ad immergerci nelle vicende della storia..E che Dio non si offendera’ se i nostri abiti non odorano di incenso, ma puzzano un pochino dall’odore dei poveri.

 

 

 

preti nella tenda: “Noi come i migranti”. Ma il paese li ignora

da PAOLO BERIZZI

  Il tetto è un telo di plastica blu. Siccome fa freddo e c’è vento l’hanno ancorato con le corde a dei blocchi di pietra appoggiati sul sagrato della chiesa, qui, di fronte alla domus pacis che sarebbe l’oratorio di Ambivere. “Prego! Ma non filmate l’interno, per favore”, chiede il prete. Dentro la tenda – un gazebo rettangolare – ci sono: quattro materassi con coperte e sacchi a pelo; tre torce elettriche e un piccolo crocefisso di legno; una stufetta, quattro sedie e un tavolo con sopra una copia del Vangelo, bottiglie d’acqua, frutta essicata, un termos e un pc, strumento indispensabile per “poter continuare a organizzare l’attività pastorale “. Perché è vero che per dare l’esempio di come vivono o sopravvivono i migranti, e per scuotere il torpore delle coscienze di chi si volta dall’altra parte, i quattro sacerdoti abiteranno qui dentro 45 giorni, fino a Pasqua, in strada, davanti alla chiesa di San Zenone; ma in tutto questo andranno anche avanti a fare il loro lavoro. Un “lavoro di collegamento “, ti spiega il prete, uno del gruppo. Implora di non essere citato, “perché – e questo profilo basso è una delle cose più belle di un’iniziativa interessante anche in quanto scarica di ogni retorica pauperista – abbiamo deciso di non rilasciare interviste…”.
Ambivere, duemila abitanti tra l’imbocco della valle San Martino e l’Isola bergamasca. Il pratone leghista di Pontida a tre minuti di macchina; in serata comizio di Salvini a Palazzago, sei chilometri e 700 passi dalla tenda dei preti “migranti”. Il loro slogan? “Ero straniero e mi avete ospitato a casa vostra” (Vangelo di Matteo). Si parte da lì e lì si ritorna. La condizione di chi arriva da lontano e vive senza una casa. Una tenda per rappresentarla plasticamente. Sono passati nove giorni, era il mercoledì delle ceneri: l’inizio della Quaresima. I quattro sacerdoti – don Emanuele Personeni, don Gianluca De Ciantis, don Andrea Testa, don Alessandro Nava; parrocchie di Ambivere, Mapello e Valtrighe – hanno tirato su il gazebo dopo aver vergato una lettera che è un duro atto d’accusa: contro l’indifferenza, il potere politico e economico, l’espansionismo e lo sfruttamento dell’Occidente che ha ridotto in condizioni di disperazione i popoli svantaggiati, oggi in fuga verso i nostri Paesi. Ambivere, dunque. Scrivono i religiosi: “In Quaresima abiteremo una tenda. Un po’ di cibo. Acqua da bere. Un bagno per lavarci. Un materasso per dormire. È più di quanto molti esseri umani possono permettersi. Naturalmente non sarà facile. Abituati ad avere più del necessario, il necessario sembrerà insufficiente”. Non sarà un caso, o forse sì, che il paese è davvero a un tiro di schioppo da quella Pontida luogo iconico del leghismo pre e post migrazioni. Del “padroni a casa nostra” e dell'”aiutiamoli a casa loro “, gli slogan protezionisti sentiti in questi anni di sbandierata intolleranza. Che è diffusa. Sentite Emy, una signora di Mapello di passaggio davanti alla chiesa, quando le chiedi se apprezza l’iniziativa dei sacerdoti: “Contenti loro… Io penserei prima agli italiani, i preti chissà perchéli critica – e taglia in dialetto – “i pensa adoma ai stranieri”, pensano solo agli stranieri” . Le fa eco Carlo Sangalli, studio dentistico su via Papa Giovanni XIII: “Preoccupiamoci dei nostri, poi semmai anche di loro” .
“Noi” e “loro”. Noi che potremmo accogliere, loro che scappano dalla guerra e dalla miseria. Bastano quattro preti accampati, e il paese si divide. Gianni Rottoli si affaccia alla tenda, è arrivato da Bonate Sopra, vuole capire: “Complimenti. È un messaggio forte, pieno di significato ” . Il sacerdote, berretta di lana e maglioncione, non importa se è il parroco di Ambivere o quello della vicina Mapello, gli stringe la mano: “Torni a trovarci quando vuole, noi fino a Pasqua siamo qui” . Questa sera si farà vedere anche Nasser, egiziano. Porterà delle pizze perché le sforna (è titolare della pizzeria “Le Piramidi2”, proprio dietro la chiesa). “Io vivo qui da 15 anni, sono stato accolto bene. Ma tanti altri vengono lasciati al loro destino”. Senza un tetto, senza una minestra. “Lavoriamo sui migranti da anni” , racconta il sacerdote a Adriana Panseri, incuriosita dal capanno bianco sul sagrato. “A Mapello ne ospitiamo cinque. Vorremmo che ogni paese e ogni diocesi lo facessero” . E invece? Invece “si usano i poveri di casa nostra contro i poveri alla nostra porta. A cominciare – recita la lettera – dalle Regioni fino a arrivare a molte amministrazioni comunali, la risposta è sempre la stessa: per loro non c’e posto”. Nemmeno in tenda, oggi. Solo quattro materassi. Di più non ce ne stanno.
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