in morte di Fernando Cardenal fratello di Ernesto

muore Fernando Cardenal

il gesuita sandinista

fernando cardenal

 

di Geraldina Colotti
in “il manifesto” del 23 febbraio 2016

Una moltitudine di persone ha detto addio, in Nicaragua, a Fernando Cardenal. Figura storica del sandinismo, ex ministro di Educazione e teologo della Liberazione, il gesuita è scomparso sabato all’età di 82 anni in un ospedale di Managua. Meno noto del fratello e poeta Ernesto (classe 1925), Cardenal fu uno dei sacerdoti sospeso a divinis dal papa Giovanni Paolo II nel 1984: per aver imbracciato il fucile contro il dittatore Anastasio Somoza, cacciato dai sandinisti guidati da Daniel Ortega nel 1979.

Nel 2014, papa Bergoglio ha annullato la sospensione del gesuita, quella del fratello Ernesto e di Miguel d’Escoto. Il suo nome resta legato alla grande campagna di alfabetizzazione messa in campo dal governo sandinista subito dopo la rivoluzione. Un programma che ha ridotto la percentuale di analfabeti dal 50,35% al 12,96%. Tra il ’79 e il 1990, il lavoro di Cardenal, rivolto a studenti, maestri e donne delle classi popolari, ha coinvolto oltre 100.000 volontari ed è stato riconosciuto dall’Unesco nel 1981. In una delle ultime interviste, Cardenal ha ricordato il sentimento di «paura, allegria e soddisfazione» provato quando il Fronte sandinista di liberazione nazionale gli ha proposto di assumere quell’incarico, dopo soli dieci giorni dalla vittoria.

cardenal2Il gesuita è stato anche a capo di Fe y Alegria, un’organizzazione di educazione popolare e di promozione sociale presente in Nicaragua con 22 centri educativi. Un’attività che Cardenal ha mantenuto anche durante gli anni bui seguiti al ritorno delle destre. Nel 1990, il voto di una popolazione stremata da anni di guerra civile e dall’embargo decretato dagli Usa nel 1985, segnò la sconfitta di Daniel Ortega in favore di Violeta Chamorro e del suo nuovo partito, l’Union Nacional Opositora, foraggiato dagli Stati uniti. La voce di Fernando Cardenal non venne mai meno durante l’ultima rivoluzione del secolo scorso e sostenne le campagne sandiniste nei momenti più duri dell’attacco nordamericano, deciso a impedire che l’esempio vincente del Nicaragua si estendesse al resto del Centroamerica, in lotta contro i dittatori voluti da Washington.cardenal1

Nell’85, la Corte internazionale di giustizia condannò gli attentati ai depositi di petrolio nel porto di Corinto, compiuti dalla Cia. Un pronunciamento che non arrestò l’accordo tra gli Usa e l’Honduras, realizzato alla fine di quell’anno, per installare altri basi militari nordamericane, né quelle che vennero poi imposte al Costa Rica e al Salvador. Neanche l’evidenza dello scandalo Iran-Contras, emerso tra l’85 e l’86, impedì all’amministrazione Usa di approvare il finanziamento alle bande paramilitari dei Contras per oltre 100 milioni di dollari. Washington ignorò anche la sentenza emessa nel 1987 dalla Corte Internazionale che riconobbe la richiesta di risarcimento del Nicaragua per gli attacchi subiti dagli Usa. E venne rinnovato il finanziamento ai Contras. Dopo la sconfitta del sandinismo, il paese è sprofondato nell’abisso delle controriforme e del neoliberismo, da cui sta lentamente riemergendo con il nuovo governo di Ortega, che ha scommesso sui paesi dell’Alba e sul socialismo del XXI secolo: un ritorno nel ricordo di Augusto César Sandino, che agì nel solco di Simon Bolivar e capeggiò la riscossa contro gli Usa, e venne fucilato il 21 febbraio del 1936. Cardenal ha mantenuto posizioni avanzate su aborto e omosessualità, ma non ha risparmiato critiche a Ortega, rimanendo vicino alle posizioni socialdemocratiche del Movimento per il rinnovamento sandinista.

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un testamento spirituale shoccante!

testamento spirituale di padre Christian de Chergé

( priore di Tibhirine)

aperto la domenica di Pentecoste del 1996

Quando si profila un ad-Dio

Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere anche oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese.
Che essi accettassero che l’unico Padrone di ogni vita non potrebbe essere estraneo a questa dipartita brutale. Che pregassero per me: come potrei essere trovato degno di tale offerta? Che sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato.
La mia vita non ha più valore di un’altra. Non ne ha neanche meno. In ogni caso, non ha l’innocenza dell’infanzia. Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male che sembra, ahimè, prevalere nel mondo, e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca.
Venuto il momento, vorrei avere quell’attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nel tempo stesso di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito.

monaci

Non potrei auspicare una tale morte. Mi sembra importante dichiararlo. Non vedo, infatti, come potrei rallegrarmi del fatto che un popolo che amo sia indistintamente accusato del mio assassinio.
Sarebbe un prezzo troppo caro, per quella che, forse, chiameranno la «grazia del martirio», il doverla a un algerino chiunque egli sia, soprattutto se dice di agire in fedeltà a ciò che crede essere l’islam.
So il disprezzo con il quale si è arrivati a circondare gli algerini globalmente presi. So anche le caricature dell’islam che un certo islamismo incoraggia. È troppo facile mettersi a posto la coscienza identificando questa via religiosa con gli integralismi dei suoi estremisti.
L’Algeria e l’islam, per me, sono un’altra cosa; sono un corpo e un’anima. L’ho proclamato abbastanza, credo, in base a quanto ne ho concretamente ricevuto, ritrovandovi così spesso il filo conduttore del Vangelo imparato sulle ginocchia di mia madre, la mia primissima Chiesa, proprio in Algeria e, già allora, nel rispetto dei credenti musulmani.
Evidentemente, la mia morte sembrerà dar ragione a quelli che mi hanno rapidamente trattato da ingenuo o da idealista: «Dica adesso quel che ne pensa!». Ma costoro devono sapere che sarà finalmente liberata la mia più lancinante curiosità.
Ecco che potrò, se piace a Dio, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi figli dell’islam come lui li vede, totalmente illuminati dalla gloria di Cristo, frutti della sua passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre lo stabilire la comunione e il ristabilire la somiglianza, giocando con le differenze.
Di questa vita perduta, totalmente mia, e totalmente loro, io rendo grazie a Dio che sembra averla voluta tutta intera per quella gioia, attraverso e nonostante tutto.
In questo grazie, in cui tutto è detto, ormai, della mia vita, includo certamente voi, amici di ieri e di oggi, e voi, amici di qui, accanto a mia madre e a mio padre, alle mie sorelle e ai miei fratelli, e ai loro, centuplo accordato come promesso!
E anche te, amico dell’ultimo minuto, che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo grazie e questo ad-Dio profilatosi con te. E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due. Amen! Insc’Allah
Algeri, 1º dicembre 1993
Tibhirine, 1º gennaio 1994
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