l’ ‘altro’ che sostanzia le nostre paure

via la paura dell’altro

migranti

di Frère Aloïs Löser
in “Avvenire” del 25 febbraio 2016

i grandi flussi migratori ai quali assistiamo sono ineluttabili. Non rendersene conto è pura miopia. Cercare il modo di regolamentare quei flussi è legittimo e anche necessario, ma voler impedirli innalzando muri e fili spinati è assolutamente vano. Di fronte a questa situazione la paura si comprende. Resistere alla paura non significa che essa debba scomparire, ma che non deve paralizzarci. Non permettiamo che il rifiuto dello straniero s’insinui nelle nostre mentalità perché il rifiuto dell’altro è l’inizio della barbarie

Nel mondo intero donne, uomini e bambini sono costretti ad abbandonare la loro terra. È la loro sfortuna che li costringe a partire. Ciò che li spinge è più forte di tutte le barriere innalzate per bloccare il loro cammino. Posso testimoniarlo di persona perché ultimamente ho trascorso alcuni giorni in Siria. A Homs la vastità delle distruzioni causate dai bombardamenti è inimmaginabile. Gran parte della città è in rovina. Ho visto una città fantasma e ho percepito la disperazione degli abitanti della regione. Oggi sono i siriani ad affluire in Europa, domani saranno altri popoli. I grandi flussi migratori ai quali assistiamo sono ineluttabili. Non rendersene conto è pura miopia. Cercare il modo di regolamentare quei flussi è legittimo e anche necessario, ma voler impedirli innalzando muri e fili spinati è assolutamente vano. Di fronte a questa situazione la paura si comprende. Resistere alla paura non significa che essa debba scomparire, ma che non deve paralizzarci. Non permettiamo che il rifiuto dello straniero s’insinui nelle nostre mentalità perché il rifiuto dell’altro è l’inizio della barbarie. In un primo momento i Paesi ricchi dovrebbero prendere maggiormente coscienza che hanno la loro parte di responsabilità nelle ferite inferte ad altri lungo il corso della storia, ferite che hanno provocato e continuano a provocare immense migrazioni, in particolar modo dall’Africa e dal Vicino Oriente. E anche certe politiche attuali sono causa di instabilità in quelle regioni. Un secondo passaggio dovrebbe essere quello del superamento della paura dello straniero e delle culture differenti e dell’impegno a modellare quel nuovo volto delle nostre società occidentali che già si intuisce grazie alle migrazioni. Invece di vedere nello straniero una minaccia per il nostro tenore di vita o per la nostra cultura, accogliamolo come membro della stessa famiglia umana. E scopriremo che, se l’afflusso di rifugiati e migranti crea certamente delle difficoltà, può tuttavia costituire anche un’opportunità. Studi recenti mostrano l’impatto positivo del fenomeno migratorio sulla demografia e sull’economia. Perché tanti discorsi sottolineano così fortemente le difficoltà senza mettere in evidenza i lati positivi? Coloro che bussano alla porta di Paesi più ricchi del loro spingono tali Paesi a divenire solidali. Non favorisce forse tutto ciò il sorgere di un nuovo slancio vitale? Vorrei descrivere qui la nostra esperienza di Taizé. È umile e limitata ma molto concreta. Dal novembre scorso, d’accordo con la prefettura, la comunità dei Comuni di cui fa parte il nostro villaggio e alcune associazioni del luogo, ospitiamo a Taizé undici giovani provenienti dal Sudan – la maggior parte dal Darfur – e dall’Afghanistan, arrivati tra noi dalla ‘giungla’ di Calais. La loro venuta ha destato uno slancio di solidarietà impressionante nella nostra regione: alcuni volontari vengono ad insegnare loro il francese, altri, medici, li curano gratuitamente, degli abitanti del luogo li conducono in giro in bicicletta a fare la conoscenza di questa terra… Circondati così dall’amicizia, questi giovani, che hanno vissuto eventi tragici nella loro vita, stanno ricostruendosi. E questo contatto semplice con dei musulmani cambia lo sguardo di coloro che stanno accanto a loro. Nel villaggio di Taizé, questi giovani sono stati accolti da famiglie provenienti da diversi Paesi – Vietnam, Laos, Bosnia, Ruanda, Egitto, Iraq – giunte a Taizé negli ultimi decenni e che fanno ormai parte integrante del nostro tessuto umano. Tutti hanno conosciuto grandi sofferenze, ma portano al nostro villaggio una grande vitalità grazie alla ricchezza e alla diversità delle loro culture. Se una tale esperienza è possibile in una regione piccola come la nostra, perché non lo sarebbe a scala più ampia? Si crede a torto che la xenofobia sia il sentimento più diffuso. Penso invece che spesso c’è piuttosto molta ignoranza. Quando gli incontri personali sono possibili, le paure lasciano il posto alla fraternità, che esige chiaramente di mettersi nella pelle dell’altro. La fraternità è il solo cammino possibile per preparare la pace. Assumendosi tutti insieme le responsabilità che l’ondata migratoria impone, invece che giocare sulle paure, i responsabili politici potrebbero aiutare l’Unione Europea a ritrovare quella dinamica vitale delle sue origini che s’è andata affievolendo.
Un’intera giovane generazione europea aspira a una tale apertura. Lo constatiamo noi che da anni e anni riceviamo sulla collina di Taizé in occasione degli incontri internazionali di una settimana, decine di migliaia di giovani da tutto il continente. Ai loro occhi la costruzione dell’Europa trova il suo vero senso solo se si mostra solidale con gli altri continenti e con i popoli più poveri. Molti giovani europei fanno fatica a capire i loro governi quando manifestano la volontà di chiudere le frontiere. Questi giovani chiedono, al contrario, che la mondializzazione dell’economia sia accompagnata da una mondializzazione della solidarietà e che questa si manifesti in particolare con un’accoglienza degna e responsabile dei migranti. Molti di loro sono disposti a contribuirvi. Dobbiamo avere il coraggio di ammettere che anche la generosità ha un ruolo importante da giocare nella vita della città dell’uomo.

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la scortesia di Salvini verso i rom che gli danno il benvenuto

 

cartelli di benvenuto per Salvini al campo rom

e lui: “compratevi una casa e pagate le tasse”


SALVINI

 Tor Sapienza
Per chi non lo ricordasse si tratta del quartiere alla periferia di Roma dove nel marzo scorso i cittadini hanno dato alle fiamme cassonetti e lanciato sassi contro le finestre di un centro di accoglienza per immigrati. È da qui che il leader della Lega Nord, Matteo Salvini, ha iniziato la campagna di ascolto in vista delle amministrative romane e della consultazione di sabato e domenica per decidere se appoggiare o meno il candidato sindaco Guido Bertolaso, secondo il quale “con i rom non vanno utilizzate le ruspe perché sono una categoria vessata”. Invece il leader del Carroccio è stato accolto dai cittadini di Tor Sapienza all’urlo di “ruspe, ruspe. Forza Matteo!”, con tanto di ruspa giocattolo in regalo. “I veri vessati – ha esordito Salvini – sono i romani non i rom. Chi vuole governare con la Lega deve chiudere i campi rom”

Salvini dalla piazza del quartiere, dove ha parlato con i comitati e con le truppe romane organizzate pro Lega Nord (“Qui c’è la prostituzione”, “A mio figlio hanno rubato le scarpe dal passeggino, ci fidiamo solo di te”), si è spostato in via Salviati dove si trova uno dei campi rom più grandi della Capitale. Qui va in scena l’accoglienza che non ti aspetti, alla quale l’esponente del Carroccio replica con toni provocatori. All’ingresso appare una tavola di compensato gigante con scritto in giallo: “Benvenuto a Roma, Matteo”. E una bambina gli urla: “Salvini, ti voglio bene”.

salvini rom

Le contraddizioni si susseguono una dopo l’altra. Disgustato da tutto ciò che vede attorno lui, il leader del Carroccio passa in mezzo alle roulotte, alle case costruite con plastica e legno, scavalca i ferri vecchi che ci sono per terra e fotografa la spazzatura accumulata per poi twittare. Ecco però che appare un lenzuolo bianco con scritto: “Matteo Salvini, prima gli italiani. Pace e amore”. Il concetto che gli abitanti del campo rom vorrebbero far percepire al leader leghista è che loro sono italiani come i romani e come tutti gli altri. Ed è il concetto che gli illustrano quando Salvini sale sul palco allestito in mezzo al campo rom per una specie di comizio, il cui incipit è: “Perché i bambini non sono a scuola? Qui c’è tutto meno che la legalità”. “Va bene – dice il capo del campo rom – tu dici ‘prima gli italiani’, ma gli italiani vengono a mangiare con noi alla Caritas, anche loro non hanno soldi. Noi facciamo la domanda per la casa ma non ce la danno, dicono che siamo sporchi. Noi vogliamo lavorare ma non ci danno lavoro. Come dobbiamo fare? Per forza, dobbiamo vivere qui”. Così Salvini chiede: “Ma tu le paghi le tasse”. E lui: “No”. “E allora – conclude l’esponente leghista leghista – di che stiamo parlando?”. Si va avanti così per oltre mezz’ora.

“Noi non siamo criminali, state mettendo i poveri contro i poveri. State esagerando”, incalza ancora il capo del campo rom. “Ma non puoi vivere così, a Milano – illustra Salvini con l’aria di chi sa e arriva da lontano – la stragrande maggioranza dei rom vive nelle case. L’ha comprata, l’ha affittata. E perché a Milano lo fanno e qua no?”.

Una risposta ovviamente non c’è. Piuttosto c’è qualcuno che non è rimasto convinto da ciò che ha detto Salvini e chiede: “Ma se le case non le hanno gli italiani, perché dovremmo averle noi? Chi ce le dà?”. Intanto arriva la notizia che la Consulta ha bocciato la legge anti-moschee e il leader leghista non perde l’occasione per dire: “Abbiamo una Consulta islamica”. Il Salvini tour si conclude con un contestatore che dice al leader del Carroccio: “Non hai risposto neanche a una domanda, vattene. Ma non ti vergogni?”. E con gli abitanti di Tor Sapienza che urlano a quelli del campo rom cori da stadio: “A lavorare, andate a lavorare”. E loro: “Daccelo tu il lavoro. Nessuno ce lo dà”.

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