questo è davvero mancato nel profetico e coraggioso viaggio in Africa

Uganda: gay inascoltati da Papa Francesco

la delusione della comunità gay dell’Uganda: nessuna risposta all’appello di Frank Mugisha

uno sguardo ‘altro’ sulla realtà del viaggio che merita di essere accolto e ascoltato
Presidente-Museveni_Papa-Francesco

la visita in Africa di Papa Francesco è stata caratterizzata da ‘spettacolarità’ quasi scontate per quanto riguarda il Kenya. Visita alla baraccopoli di Nairobi, appelli alla pace e contro il terrorismo. Evidente, secondo gli osservatori locali dell’opposizione, la volontà politica di non toccare i reali problemi quali, ad esempio, la sistematica violazione dei diritti umani e le esecuzioni extra-giudiziarie attuate dal Governo keniano contro le comunità somala e mussulmana sulla costa accusate di favorire il terrorismo o gli intrecci e connivenze tra il Governo keniano e la mafia italiana ben istallata sempre sulla costa

La visita in Uganda nasconde aluni retroscena poco noti. Primo tra tutti l’intreccio di interessi tra il partito al potere (National Revolutionary Mouvement – NRM) e la Chiesa Cattolica in sostegno alla vittoria elettorale del Presidente Yoweri Museveni. Proprio in Uganda, il Papa degli ‘ultimi’ ha ricevuto un appello alla giustizia dalla comunità gay, da anni sotto pressione.  Un appello lanciato dal attivista Frank Mugisha leader carismatico di Sexual Minorities Uganda  che raggruppa varie associazioni ugandesi in difesa dei diritti delle minoranze sessuali. Mugisha chiede a Papa Francesco di lanciare un messaggio di tolleranza e amore invertendo così la politica omofobica adottata dalla Chiesa cattolica ugandese. L’appello del attivista e intellettuale africano ha trovato ampio spazio sui media africani (tra i quali ‘Allafrica’) e su quelli internazionali, quali ‘Aljazeera’, scontrandosi con un muro di silenzio da parte del Vaticano.

Mugisha ha sempre avuto il pregio di parlare chiaro. Anche in questo caso dimostra fedeltà e coerenza ai suoi principi, rivelando, senza fanatismo, intolleranza o condanne di parte, il vero volto della Chiesa Cattolica in Uganda riguardo le minoranze sessuali. Un volto che contrasta con le affermazioni riconciliatorie di Papa Francesco verso l’universo gay racchiuse nella sua famosa farse: «Chi sono io per giudicare?»

In Occidente la Chiesa si è schierata contro la legge ugandese anti gay denominata ‘Kill the gay bill’ che prevedeva prima la pena di morte e successivamente l’ergastolo per i gay recidivi. La realtà in Uganda è esattamente l’opposto. La Chiesa cattolica ha allacciato una indissolubile alleanza con gli elementi più radicali della Chiesa protestante e dell’Islam impegnati nella condanna e nel rafforzamento delle discriminazioni e repressioni della comunità LGBTI nel Paese africano. La Chiesa cattolica, qui in Uganda, si è trasformata, dal dicembre 2013, in una gran cassa per la caccia alle streghe rivolta contro gay, lesbiche e transessuali, promuovendo tra i fedeli atteggiamenti violenti contro le minoranze sessuali. Attività delle quali non si parla in Occidente.

Il vescovo di Kampala, Cyprian K. Lwanga, artefice della visita di Papa Francesco in Uganda, nel 2012 spostò la posizione della Chiesa cattolica in Uganda dal campo contrario alla legge repressiva contro gli omosessuali al campo anti-gay capitanato dalla Chiesa Anglicana e da varie sette evangeliche americane. Questo nuovo orientamento determinò una alleanza di istituzioni religiose ampliata alle frange più radicali del Islam, dando vita a una vera e propria crociata contro gli omosessuali.

Nel luglio 2012 il Vescovo Lwanga firmò, insime con altri leader protestanti e musulmani, una lettera indirizzata al Presidente Museveni, dopo la decisione del Presidente di ostacolare l’approvazione della legge per timore di ricadute negative a livello internazionale. Una seconda lettera, pure questa firmata dal Vescovo Lwanga, fu indirizzata il 17 gennaio 2014 al Presidente Museveni per chiedere di approvare la legge votata in tutta fretta nel dicembre 2012 dal Parlamento grazie ad una procedura anticostituzionale (mancanza di quorum) ideata dal Presidente del Parlamento Rebecca Kadaga.
La legge fu approvata nel febbraio 2014 per convenienze politiche del Presidente Museveni e successivamente abrogata dalla Corte Costituzionale, dietro richiesta dello stesso Museveni. L’iter nebuloso e contraddittorio di questa legge di breve durata rientra nella classica gestione politica del Grande Vecchio. Da una parte ha accontentato l’opinione pubblica e i potentati religiosi approvando la legge contro i diritti umani degli omosessuali, dall’altra ha evitato frizioni con la Comunità Internazionale impartendo discreto e confidenziale ordine alla Corte Costituzionale di abrogarla.  Attualmente rimane in vigore la legge contro gli atti ‘immorali’, del periodo coloniale che considera l’omosessualità un atto criminale ma si dimostra mite nei provvedimenti legali.

 

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p. Zanotelli mette a confronto due viaggi in Africa

Francesco e Renzi, due modi diversi di andare in Africa

 l’analisi di padre Zanotelli

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in “www.farodiroma.it”

“Il cuore del ministero di Papa Francesco è la richiesta di una Chiesa povera per i poveri, che cammina con la gente. La tentazione del potere per la Chiesa è enorme, anche la vita religiosa tende a imborghesirsi, si tende a fare dei religiosi una piccola élite, in Africa come in Europa”

Sono parole di padre Alex Zanotelli, uno dei “profeti scomodi” della Chiesa Italiana, che ha commentato il viaggio d Papa Francesco prima a TV 2000, l’emittente della Conferenza Episcopale Italiana e poi ad A Sua Immagine, il programma di Rai Uno in collaborazione con la stessa Cei. Il religioso fu allontanato dalla direzione di Nigrizia per la sua denuncia della politica italiana a favore della produzione e del commercio delle armi, un grido che ha anticipato di circa 30 anni le posizioni di Papa Francesco su questo tema. Missionario comboniano, Zanotelli ha trascorso due decenni proprio a Nairobi, nella baraccopoli di Korogocho, prima di rientrare in Italia per ragioni di salute. Ora è missionario a Napoli, al quartiere Sanità, sempre dalla parte degli ultimi. Intervistato da Lorena Bianchetti, il religioso trentino mette coraggiosamente a confronto il viaggio che sta compiendo Francesco in Africa con quello del premier Renzi che nello scorso luglio è partito alla volta dell’Africa con una folta delegazione di manager per favorire gli investimenti all’estero delle imprese italiane, con seicento milioni di euro a disposizione delle ditte che investono nell’Africa subsahariana. Prima tappa è stata Maputo, dove nel 2011 l’Eni ha scoperto nella provincia di Cabo del Gado un giacimento off-shore di due miliardi e mezzo di metri cubi di gas, capaci di soddisfare i bisogni energetici delle famiglie italiane per i prossimi trent’anni. Renzi ha detto che l’Eni investirà 50 miliardi di dollari in Mozambico. È chiaro che gli investimenti andranno a beneficio delle imprese italiane, poco o nulla andrà a beneficio del popolo mozambicano. È questo l’aiuto allo “sviluppo”?

zanotelli (2) Seconda tappa, Brazzaville, capitale del Congo, dove l’Eni è ben piazzata per l’estrazione del petrolio. Renzi firma un altro accordo con il governo congolese per un giacimento di petrolio off-shore. Terza tappa, Luanda, capitale dell’Angola, tra le nazioni più ricche di risorse dell’Africa. Anche qui l’Eni è presente, fin dal 1961. Renzi apre al governo angolano la scatola di Pandora delle imprese italiane. Il messaggio di Renzi è chiaro: è venuto in Africa per fare affari. E i soldi della Cooperazione italiana servono spesso a sostenere le imprese nostrane con appalti all’estero che spesso hanno ben poca utilità per le popolazioni locali. Infatti “mentre le élites borghesi al potere, con le quali il governo italiano si accorda, diventano sempre più ricche , il popolo diventa sempre più povero”, afferma Zanotelli che trova “molto grave che il viaggio di Renzi sia stato organizzato quasi in funzione dell’Eni che, in Africa, ha sulla coscienza un grave crimine ambientale: il disastro ecologico del Delta del Niger. Nonostante le proteste e le lotte del popolo Ogoni che vive in quella regione, nonostante la costante pressione dei movimenti ambientalisti nostrani, i vari governi italiani (da Berlusconi a Renzi), non hanno mai voluto affrontare l’argomento”. “Ho lavorato personalmente – rivela il sacerdote – per l’invio di una Commissione parlamentare nel Delta del Niger, ma il ministero degli affari esteri ha negato il permesso”. “Ritengo altresì grave – afferma Zanotelli – la presenza di Finmeccanica nella delegazione che ha seguito Renzi. In un continente dilaniato da guerre e guerriglie, come può l’Italia presentarsi vendendo altre armi? Come ha potuto il governo italiano inviare la portaerei Cavour per il periplo dell’Africa, esibendo la nostra migliore produzione di armi ai governi africani? Non si può dare con una mano l’aiuto per la lotta contro la fame nel mondo, e con l’altra offrire armi. Inoltre, non è con questo tipo di “cooperazione” che risolveremo il dramma delle migrazioni. Nonostante Renzi a
Maputo abbia detto che serve ciò che stiamo facendo in Mozambico, è proprio il tipo di “sviluppo” promosso dal presidente del consiglio che forza la gente a fuggire dalle zone rurali per ammucchiarsi nelle baraccopoli o a imbarcarsi sui barconi della “speranza”. È proprio il nostro Sistema economico-finanziario, del quale Renzi è un paladino, che ridurrà l’Africa a essere per tre quarti non abitabile (per il surriscaldamento) e forzerà almeno duecento milioni di africani a fuggire, secondo i dati Onu”. “Non è questa – conclude padre Alex – la strada della cooperazione, della solidarietà, del futuro per noi e per loro”.

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il no alla guerra di M.Ovadia

“fare la guerra rischia di legittimare l’Isis”

intervista a Moni Ovadia

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“Per fermare l’Isis non servono altre bombe né una guerra globale ma un’azione diplomatica seria. Altrimenti si rischia di fare proprio il loro gioco”

Ad affermarlo è Moni Ovadia, “ebreo agnostico di professione saltimbanco” come lui stesso si è definito in una lettera recente al papa. Ovadia è un grande conoscitore e protagonista della Cultura Ebraica, dal Mediterraneo all’Est Europa. “I criminali tagliagole dell’Isis – sottolinea al nostro giornale – si fanno esplodere perché non hanno aeroplani, bombardieri, F35… Per cui non c’è da stupirsi più di tanto se utilizzano il proprio corpo come bombe. Quello hanno, quello usano”.

La Francia ha subito reagito con bombardamenti in Siria. E gli altri paesi dell’Europa si stanno organizzando rapidamente per le missioni militari. E’ questa la strada giusta?
L’opzione militare secondo me è la peggiore che si possa intraprendere. L’Isis non lo combatti con gli aerei. Anche perché, per un terrorista che fai fuori ammazzi nove civili innocenti. Fare la guerra all’Isis significa legittimarlo. E’ esattamente quello che cercano. Quindi è a mio parere un errore madornale. Dall’appoggio dato dagli americani ai Mujaheddin e ad Al Qaeda contro i sovietici, in avanti, queste guerre hanno provocato solo catastrofi, morti e più terrorismo.

Se non è l’opzione militare quale altra strada bisogna intraprendere?
La prima cosa da chiarire è se si vuole combattere effettivamente l’Isis. Perché se questa è la vera volontà allora si dovrebbe chiedere al potente alleato turco di utilizzare i Peshmerga curdi (le forze armate del Kurdistan, ndr) che sono dei grandissimi combattenti. Ma la Turchia non lo fa perché non vuole che i curdi abbiano un loro stato. E poi gli americani devono decidere cosa fare con l’Arabia saudita che è il loro migliore alleato e che è stato il massimo finanziatore dell’estremismo islamico. L’occidente deve decidere, al di là delle chiacchiere e della retorica se è più interessato alla strada della democrazia o a quella del business e dell’egemonia. Se sceglie la seconda il terrorismo durerà ancora a lungo.

Come si evita una guerra globale?
Togliendo acqua nello stagno dove nuotano i terroristi, togliendo benzina al loro fuoco, e questo si fa costruendo accordi e inglobando tutti i paesi di quell’area in un dialogo diverso. E l’occidente deve smetterla di considerare il sangue in modo diverso. Le guerre occidentali nel medio oriente e in nord Africa hanno fatto negli anni milioni di morti. Questo sangue non è diverso da quello dei morti di Parigi.

L’ex premier britannico ha chiesto scusa per la guerra del Golfo ammettendo che quell’azione militare ha praticamente creato le basi per una nascita dell’Isis
Blair è un ipocrita, dopo aver fatto questa dichiarazione dovrebbe andare a seppellirsi in un convento per la vergogna. Lui e l’ex presidente Bush hanno scatenano una guerra sulla base di un cumulo di menzogne. Il loro è un crimine di guerra. Non basta chiedere scusa. E poi perché non c’è nessuno che voglia finalmente aprire gli occhi sul martirio del popolo palestinese?il no

L’Europa che politica deve attuare?
L’Europa deve innanzitutto diventare “politica”. E oggi non lo è e peraltro ha una classe dirigente antropologicamente di una mediocrità senza fine. E’ un’istituzione che si occupa di sostenere gli interessi dei potenti in Europa e del cosiddetto libero mercato che poi non è affatto libero. L’Europa deve decidere cosa vuole fare da grande. E’ indispensabile  un’Europa politica unita e con una sola difesa centrata sulla pace. L’Europa può diventare il continente di equilibrio che media tra gli uni e gli altri ma è difficile con questi “omuncoli” che la dirigono. Il tanto vituperato Prodi era l’uomo che voleva veramente questo processo di unità e gli hanno messo i bastoni tra le ruote in tutti i modi. E lo sapete chi è stato il vero avversario di Prodi? Proprio Tony Blair.

Fonte: “Il Radiocorriere Tv”

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ancora lui, il monsignore ‘faraone’: un ritratto

il monsignore, la Madonna e il postribolo

dal sostegno a Berlusconi all’epoca del processo Ruby all’augurio di morte a Papa Francesco. Pontifica, insulta, sputa sentenze. Ossessionato dal satanismo, dall’omosessualità e dal mondo giovanile. Fino all’islamofobia e alla nostalgia delle Crociate. Un ritratto senza sconti dell’Arcivescovo di Ferrara Luigi Negri, esponente di primo piano di quella parte più retriva del mondo cattolico oggi dominante in Emilia Romagna.

di Alessandro Somma

C’erano una volta Peppone e don Camillo, comunista vecchio stampo l’uno e prete partigiano l’altro, emblemi dell’eterna lotta tra il diavolo e l’acqua santa cui si è tradizionalmente assistito nella Regione rossa per eccellenza: l’Emilia-Romagna. C’erano, perché nel tempo il fronte dei comunisti vecchio stampo è stato rimpiazzato da un ceto politico selezionato per la sua vicinanza ideologica ora con la classe imprenditoriale, ove presente, ora con la cultura cattolica, diffusa nelle aree a vocazione agricola. Anche dalle parti di don Camillo, però, si sono avute trasformazioni epocali. Nell’Emilia-Romagna delle cooperative rosse oramai in combutta con le cooperative bianche, la geografia del potere clericale ha assunto tinte fosche: quelle della parte più retriva del mondo cattolico, premoderna e antilluminista, pronta a contrastare la liberazione dell’umano da ordini sovraumani repressivi, per questo omofoba, islamofoba, misogina e in genere antropologicamente incapace di provare empatia per tutto quanto non sia contemplato dal dogma.

Insomma, da alcuni anni la Chiesa emiliano-romagnola è controllata da Comunione e liberazione, il movimento fondato da don Giussani che, dopo anni di emarginazione, è riuscito finalmente a invadere la stanza dei bottoni. Fu Papa Wojtyla, nella seconda parte del suo pontificato, a contribuire in modo significativo a questo risultato, nominando i ciellini Carlo Caffarra Arcivescovo di Ferrara e Comacchio nel 1995 e di Bologna nel 2004, e Luigi Negri Vescovo di San Marino e Montefeltro nel 2005. Fu invece Papa Ratzinger, nel 2012, a individuare come Vescovo di Reggio Emilia e Guastalla un altro devoto di don Giussani: Massimo Camisasca. La città di Giuseppe Dossetti è così ora in mano allo storiografo ufficiale del fondatore di Cielle, già cappellano del Milan di Sacchi, nonché zio di Michele Camisasca: per anni dirigente del personale presso la Regione Lombardia di Roberto Formigoni, che gli attribuì l’incarico sulla base di un concorso poi ritenuto illegittimo dalla Corte dei Conti.

Si deve a Papa Ratzinger anche la nomina ad Arcivescovo di Ferrara-Comacchio di Negri, il quale evidentemente a quel punto si vide lanciato sulle orme di Caffarra: proiettato, dopo il pensionamento di quest’ultimo, verso la poltrona di Arcivescovo di Bologna prima e di Cardinale poi, posizione dalla quale imporre al meglio le pesanti mani cielline sulla Regione. Solo dieci giorni dopo l’insediamento di Negri nel marzo 2013, però, Mario Bergoglio viene eletto Papa e questi ha evidentemente disegni diversi da quelli in linea con i desiderata dei discepoli di don Giussani. Tanto è vero che, pensionato Caffarra, nomina Arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi: un cosiddetto “prete di strada” affezionato alle aperture del Concilio vaticano II, che anzi ritiene debbano finalmente essere messe in pratica.

Ecco ricostruito lo sfondo della vicenda che ha recentemente attirato l’attenzione mediatica su Negri, per le frasi strillate a volto paonazzo durate un viaggio in treno e riportate da alcuni testimoni al Fatto quotidiano[1]. Passi per la frase di astio nei confronti del Concilio vaticano II, e in particolare per uno dei suoi più noti ispiratori, Giuseppe Dossetti, reo di aver “distrutto la chiesa italiana”: è una frase che non stupisce, in linea come è con i punti di riferimento culturali del suo autore. Passi anche per la promessa, fatta a Caffarra, che lui farà vedere al prete di strada “i sorci verdi”, che se non altro documenta la resistenza del sodalizio ciellino nella buona e nella cattiva sorte.

Difficile invece soprassedere a quanto detto da Negri a proposito del Papa che gli ha sottratto l’osso, a cui augura niente meno che di passare a miglior vita: “speriamo che con Bergoglio la Madonna faccia il miracolo come aveva fatto con l’altro”, ovvero con Papa Luciani, morto a poco più di un mese dal suo insediamento. Il tutto, con atteggiamento tanto isterico da valere una confessione, confermato prima e smentito poi nell’arco di poche ore, nel corso delle quali si registra un’unica costante: la richiesta di un “incontro filiale” con il Papa, con l’intenzione di “aprirgli il cuore”, si spera quello dell’Arcivescovo e comunque solo metaforicamente.

Non è la prima volta che Negri la fa fuori dal vaso. Aveva fatto parlare di sé prima di arrivare a Ferrara, ad esempio per il suo sostegno incondizionato a Berlusconi all’epoca del processo Ruby: era il plurinquisito, il libertino e bestemmiatore di sempre, ma se non altro era tenero nei confronti dei mitici valori non negoziabili tanto cari all’integralismo cattolico. Di qui l’attacco all’arma bianca contro i Pubblici ministeri del processo di Milano, considerati l’emblema di una magistratura mai così “prepotente”. Nessuna indignazione, invece, per le cosiddette cene eleganti di Arcore: “l’indignazione non è un atteggiamento cattolico”, mentre “la moralità dei politici va giudicata dall’impegno nel perseguimento del bene comune che consiste nel benessere del popolo e nella libertà della Chiesa”, ovvero nella difesa dei valori non negoziabili[2].

Si salvi dunque il Signore di Arcore, e si salvino pure i politici eletti con voti ciellini puntualmente finiti sotto inchiesta per lo scandalo della sanità regionale lombarda, Formigoni in testa: ha “fatto cose straordinarie”, come “il sistema sanitario, il buono scuola, la libertà di educazione”, motivo per cui non va giudicato per “le camicie sgargianti e le vacanze costose”[3]. Si rifiuti invece la comunione a Rosy Bindi e a Romano Prodi, rei di aver sostenuto il disegno di legge sui Dico, i “diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi” e dunque anche delle coppie omosessuali: disegno mai approvato, nonostante fosse un compromesso al ribasso tra cattolici integralisti e il resto del mondo, che l’allora Vescovo di San Marino e Montefeltro ritenne comunque un atto “eversivo dell’antropologia personale e familiare”[4].

È però dopo l’arrivo a Ferrara, quando cioè Papa Bergoglio gli scombina i piani, che Negri si inacidisce e dà il meglio di sé. La città lo accoglie festante, con le autorità tutte impegnate a dargli il benvenuto, mentre gli immancabili suonatori e sbandieratori del palio fanno da colonna sonora e da coreografia al suo trionfale ingresso in cattedrale. Lui, però, non mostrerà gratitudine alcuna per cotanta pronitudine: ricambierà dedicando ai fatti della vita cittadina e nazionale esternazioni colme di odio e intolleranza, evidentemente buone solo a esorcizzare inquietati pensieri ossessivi. Siccome gli esempi sono assai numerosi, ci dovremo limitare a riportare quelli che meglio consentono di tratteggiare il profilo umano e culturale del Monsignore.

Tra le ossessioni più presenti figura senz’altro quella per il satanismo, alla cui lotta Negri dedica molto tempo e molte energie, in particolare quelle indispensabili a visionare pellicole che potrebbero costituire propaganda di riti luciferini. E’ così che nasce la polemica del maggio 2013 su “Le streghe di Salem”, il film di Rob Zombie ritenuto “un misto di satanismo, oscenità, offese alla liturgia e alle realtà ecclesiali”[5]. Ma al ciellino non basta la condanna morale: occorre che da essa discendano rigide norme di comportamento indirizzate all’umanità. Di qui la scelta di istituire una commissione di giuristi incaricata di verificare la possibilità di querelare nientepopodimeno che lo Stato italiano, reo di aver vietato la visione della pellicola ai soli minori di quattordici anni e non al creato tutto.

I giuristi devono avergli consigliato di lasciar perdere, ma il Monsignore non si è perso d’animo. Avendo recentemente scoperto, probabilmente con la lente di ingrandimento, il numero 666 a fianco di una croce capovolta disegnata con un pennarello su un marmo all’ingresso della sua cattedrale, ha pensato bene di ricordare che Ferrara registra una presenza satanica di tutto rispetto: ben tre le sette attive, “tutte legate al mondo giovanile”[6]. Ne avrà sicuramento parlato in occasione della sua recente lectio magistralis al corso di esorcismo organizzato presso l’Università europea di Roma, l’ateneo dei Legionari di Cristo, una congregazione il cui fondatore verrà ricordato per la sua virulenta pedofilia.

Chissà se in quell’occasione Negri ha esorcizzato anche la sua principale ossessione: il mondo giovanile, con la tensione verso la libertà che esprime, la forza di rompere gli schemi che sprigiona, l’apertura verso il nuovo e il diverso che rivendica, tutte caratteristiche decisamente inconciliabili con l’antropologia ciellina. Non stupisce allora che semplici scene da una movida siano percepite come raffigurazioni di apocalittici convegni carnali: “ho visto scene di sesso tra due ragazzi e un gruppo, evidentemente ubriaco, coinvolto in atteggiamenti orgiastici”. Di qui la lunga e stucchevole polemica sulla piazza antistante la cattedrale trasformata in postribolo, che prende corpo nel luglio del 2013. Il Monsignore la introduce con una sorta di excusatio non petita: tiene a precisare che non sa come sia fatto un postribolo. Subito dopo, però, evidentemente con la forza dell’intuito, ipotizza che esso abbia esattamente l’aspetto di un gruppo di giovani impegnati nella movida: “non ho mai visto un postribolo, ma l’idea era quella”. Il tutto mentre i bar che danno da bere ai giovani, che quindi li ubriacano e li spingono a tenere orge sotto le stelle, si trovano guarda caso in locali di proprietà della curia. Evidentemente, e fortunatamente, anche per Negri pecunia non olet.

A non puzzare sono anche i preti pedofili, quelli sì luciferini distruttori di gioventù. Nell’ottobre del 2013 il programma televisivo Le iene ha raccontato la storia di Erik Zattoni, nato dallo stupro subìto dalla madre all’età di 14 anni, quando fu violentata da don Pietro Tosi, all’epoca parroco di Cornacervina in provincia di Ferrara, che la ospitava assieme alla sua famiglia in un appartamento di proprietà della parrocchia. Per anni Erik ha cercato di portare alla ribalta questa storia di atroce e squallida violenza, venendo però ostacolato da don Pietro con la complicità dei suoi superiori. Dopo anni di omertà e soprusi, incluso l’allontanamento dall’appartamento in cui era ospitato, riesce però solo a ottenere il riconoscimento della paternità grazie a un esame del dna disposto dal tribunale. Di qui la richiesta alle gerarchie ecclesiastiche, affidata ai microfoni di Italia1, di ottenere quantomeno un risarcimento morale: la riduzione dello stupratore allo stato laicale.

Ebbene, Negri ha condannato l’atrocità compiuta da don Pietro: non poteva certo fare altrimenti. Ma si è anche premurato di chiudere la strada a una possibile riparazione non solo morale: “la Chiesa, nei confronti dei sacerdoti, non si configura affatto come un datore di lavoro, che interverrebbe nelle vicende di carattere giuridico, economico e civile”, sicché “non ha nessun obbligo a risarcimenti o ad azioni analoghe”. Con l’occasione il Monsignore trova anche spazio per un esercizio di macabra ironia, evidentemente utile a esorcizzare un’altra delle sue ossessioni, quella per cui il mondo intero vuole distruggere la Chiesa cattolica: “l’Arcivescovo ci tiene a precisare, al fine di evitare spiacevoli equivoci in futuro, che non ha avuto nessuna parte nella dichiarazione della prima guerra mondiale e neppure della seconda, e certamente non si è inteso con il presidente americano per lo sgancio della bomba atomica sul Giappone”[7].

Si sa che le gerarchie ecclesiastiche non sono interessate a tutelare la vita, a meno che non sia quella spenta dello stato vegetale e prenatale: in tal caso si dedicano alla sua difesa con lo zelo tipico degli ottusi. Negri lo fa proponendo un accostamento esilarante, che mette insieme l’immancabile condanna dell’aborto con una lettura davvero originale dell’attuale crisi economica. Sarebbe cioè colpa della legge sull’aborto se l’economia va male: la legge “non ha consentito di venire al mondo a oltre sei milioni di italiani, e la scarsità di figli ci ha fatto sprofondare in questa crisi economica”[8].

La dichiarazione è di tale portata da provocare persino reazioni oltreoceano: il Washington Post la riporta con un certo stupore, unito alla constatazione che la disciplina italiana dell’aborto viene comunque boicottata da un sospetto e costante aumento dei medici che praticano l’obbiezione di coscienza[9]. Evidentemente persino negli Stati Uniti, Paese assuefatto all’integralismo cattolico, non si possono lasciare impunite idiozie come quelle che il pastore a capo della diocesi di Ferrara e Comacchio ama confezionare per la gioia del suo gregge.

E che dire dell’ossessione di Negri per l’omosessualità, condannata con i toni virulenti tipici di chi tenta di reprimere un inconsapevole istinto che il raziocinio rifiuta di assecondare? Difficile altrimenti spiegarsi i ripetuti richiami, tanto cari all’integralismo cattolico, alla cosiddetta ideologia transgender, che esprimerebbe una “insana pretesa di sopprimere la differenza sessuale separandola da qualsiasi indicazione naturale, per ridurre la stessa sessualità a pura istintualità”[10]. Il tutto mentre non è questa ideologia a essere rivendicata dalla cultura laica, bensì l’attenzione per l’ottica di genere: l’emersione della complessità delle relazioni tra i sessi e la sua traduzione in politiche attente alle identità delle persone. Ma questo è esattamente ciò che Negri rifiuta quando attacca la legge contro l’omofobia, sobriamente ritenuta “un delitto contro Dio e contro l’umanità” e soprattutto un attentato alla “grande tradizione eterosessuale dell’occidente”[11].

Infine l’ossessione per l’islam, barbarie in procinto di travolgere la Cristianità, alla base di una cronica chiusura verso il dialogo con i musulmani, che Negri rifiuta perché si risolverebbe in un “dialogo unilaterale” con chi “non ha nessuna volontà, né intenzione, né disponibilità a dialogare”[12]. Senti chi parla, verrebbe da dire, ma lo stupore è fuori luogo. Il Monsignore è infatti un difensore delle Crociate, un nostalgico dei tempi in cui i cattolici potevano assicurarsi con le armi “la possibilità dei grandi pellegrinaggi in Terra Santa”. Certo, le Crociate sono state una fase buia e violenta nella storia della Chiesa, ma per Negri si tratta di un dettaglio trascurabile, comunque meno imbarazzante del “pacifismo d’accatto” impossessatosi dei “cattolici che sfilano egemonizzati dai sindacati”[13].

La Ferrara di un tempo non avrebbe tollerato i deliri di Negri o di un qualsiasi altro invasato dai comportamenti così molesti. I suoi predecessori erano del resto avvertiti, dal momento che sulla facciata del Municipio, proprio di fronte alle finestre dell’appartamento privato del Vescovo, era affissa, e lo è tuttora, una lapide che ricorda come “cessata la violenza delle armi straniere nel giorno 21 giugno 1859, Ferrara fu libera dalla signoria dei Pontefici e partecipò ai nuovi destini della Nazione”. Siamo però nel 1892, l’anno in cui Filippo Turati fondava a Genova il Partito socialista, l’epoca in cui la laicità dello Stato veniva tenuta in alta considerazione. Ora la musica è decisamente un’altra: ai deliri vescovili sul postribolo a cielo aperto, che meriterebbero quantomeno di essere ignorati se non fatti oggetto di colorite invettive, l’amministrazione comunale ferrarese risponde con l’offerta di realizzare una protezione del sagrato della cattedrale. Il tutto alla modica cifra di trentamila euro, ovviamente offerti dal contribuente, a testimonianza di quanto gli sia cara cotanta tracotanza clericale.

Insomma, Luigi Negri semina vento ma non raccoglie tempesta. Pontifica, insulta, sputa sentenze, ma riesce sempre a evitare di trovarsi in posizioni scomode: come nell’immagine, tratta dalla pagina facebook del Direttore di estense.com, che lo ritrae durante un’esibizione delle sentinelle in piedi mentre dimostra la sua solidarietà standosene comodamente seduto, all’ombra del campanile della cattedrale. Chissà se le ultime sparate finiranno per complicargli la vita, o se invece contribuiranno a renderlo un punto di riferimento per il cattolicesimo retrivo. Contribuendo un giorno, una volta compiuto il miracolo della Madonna, a farlo diventare il Papa nei cui confronti Woytyla e Ratzinger sembreranno due incalliti teologi della liberazione.

NOTE

[1] L. Mazzetti, Papa Francesco, il vescovo ciellino di Ferrara: Bergoglio deve fare la fine dell’altro Pontefice, www.ilfattoquotidiano.it/2015/11/25/papa-francesco-vescovo-cl-di-ferrara-bergoglio-deve-fare-la-fine-dellaltro-pontefice/2251753.

[2] Caso Ruby, mons. Luigi Negri: Mai vista una magistratura così prepotente. E i cattolici evitino di contribuire al clima d’odio, www.tempi.it/caso-ruby-mons-luigi-negri-mai-vista-una-magistratura-cosi-prepotente-e-i-cattolici-evitino-di-c#.Vlfx1nYvcgt.

[3] Negri: Formigoni ha fatto cose straordinarie. La stampa è contro Cl perché contro la Chiesa, www.tempi.it/negri-formigoni-ha-fatto-cose-straordinarie-la-stampa-e-contro-cl-perche-contro-la-chiesa#.VlfyuHYvcgs.

[4] C. Antonini, Il vescovo ciellino: Vade retro satana, sei un sessantottino, http://popoffquotidiano.it/2015/04/15/il-vescovo-ciellino-vade-retro-satana-sei-un-sessantottino.

[5] M. Zavagli, Il vescovo scomunica Le streghe di Salem: E’ blasfemo. Pronto a denunciare lo Stato, www.ilfattoquotidiano.it/2013/05/05/il-vescovo-scomunica-le-streghe-di-salem-e-blasfemo-pronto-a-denunciare-lo-stato/584134.

[6] M. Pradarelli, Ferrara, ordine pubblico e satanisti. Negri: nessuno mi ascolta, http://lanuovaferrara.gelocal.it/ferrara/cronaca/2015/10/25/news/ferrara-ordine-pubblico-e-satanisti-negri-nessuno-mi-ascolta-1.12327115.

[7] Caso Erik Zattoni, la risposta del vescovo, www.estense.com/?p=335673.

[8] M. Celeghini, Negri: La legge contro l’omofobia è delitto contro Dio e l’umanità, www.estense.com/?p=436801.

[9] R. Noack, Abortions caused Italy’s economic crisis, archbishop claims, www.washingtonpost.com/news/worldviews/wp/2015/02/05/abortions-caused-italys-economic-crisis-archbishop-claims.

[10] F. Terminali, Il vescovo Negri ai cattolici: reagite alla teoria gender, http://lanuovaferrara.gelocal.it/ferrara/cronaca/2015/03/20/news/il-vescovo-negri-ai-cattolici-reagite-alla-teoria-gender-1.11087253.

[11] C. Antonini, Madonnina fai che Bergoglio… Riecco monsignor Negri, http://popoffquotidiano.it/2015/11/25/madonnina-fai-che-bergoglio-riecco-monsignor-negri.

[12] L. Negri, Un esame di coscienza che l’Occidente deve ancora fare, www.lanuovabq.it/mobile/articoli-un-esame-di-coscienza-che-loccidente-deve-ancora-fare-14438.htm#.VleGLHYvcgs

[13] C. Antonini, Madonnina fai che Bergoglio, cit.

 

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è un vescovo o un faraone?

lettera aperta all’arcivescovo Luigi Negri

di STEFANO SCANSANI

faraone

Arcivescovo. Risale dal greco episkopo, composto da epi e da skopeo, vedere sopra. Arci viene invece dal latino. È un superlativo: di più. Più che vescovo.

Caro Monsignore,

io non scrivo al Papa, come lei ha annunciato di voler fare per rinnovargli totale obbedienza. Non scriverò al Papa come hanno fatto i ferraresi di Pluralismo e Dissenso per farle cambiare aria e città. Scrivo  a lei attraverso questa rubrica che, neanche farlo apposta, si chiama La Domenica.

Ecco, in questi due anni e nove mesi di suo episcopato a Ferrara, non c’è stata festa comandata nella quale l’attesa di una sua parola rombante, di un suo attacco fulminante, di una sua posizione spiazzante non abbia alimentato l’attesa: chissà che cosa dirà? Con chi se la prenderà, oggi, monsignor Luigi Negri? Mi creda, non si tratta di un’ansia giornalistica, ma di un’abitudine al suo ritmo, al suo profilo, alla sua maniera di affrontare le cose, anzi, i tre-quattro argomenti che sono il centro gravitazionale della sua missione pastorale. Che non sto qui ad elencare, ma che la stagliano dentro la gerarchia ecclesiastica come un gagliardo conservatore, un inesauribile ratzingeriano, un inossidabile oppositore al vento che è cambiato.Un arcivescovo controvento. Questa sua coerente collocazione è incisa nei sui scritti, nelle sue omelie, nei suoi libri. Ed era robusta ben prima della vicenda delle frasi che secondo il Fatto Quotidiano lei avrebbe pronunciato sul Frecciarossa Roma-Bologna il 28 ottobre scorso: sulla fine che dovrebbe fare questo Papa come quell’altro; sul miracolo che potrebbe compiere la Madonna; sulla scelta inaspettata dei nuovi vescovi di Bologna e Palermo; sulla sua promessa al cardinale Caffarra di far vedere i sorci verdi al successore, il prete di strada Zuppi…

La metto così: io non credo lei abbia pronunciato queste frasi. Ma è inevitabile che lei attragga il sospetto, la calunnia, la tentazione che monsignor Negri e quei pensieri siano sovrapponibili. Perché lei è lei: ha modellato un tale personaggio di sostanza e di ingombro da essere divenuto, oggi, il più straordinario critico della novella linea papale, addirittura libero, perché non sta nel recinto vaticano. Quindi consapevolmente inseguibile.

MANCATA PORPORA.

C’è chi bisbiglia che sue aspirazioni si sarebbero incrinate con il conclave del 2013 e l’elezione di Francesco. Pensi, deambula la mormorazione che il cardinale di Milano, Scola, avrebbe potuto divenire Papa e lei, di conseguenza, arcivescovo della sua città d’origine. Immagino la sua risposta. Qui, adesso. Mi sta mandano a quel paese. Lei è schietto, non ama la mediazione, ha passione per l’antibarricata alla milanese, dalle parole ai fatti.

Un godiolo per i giornalisti. Un disorientamento per i fedeli, che lei stesso ammette dichiarando a caldo, nella sua prima comunicazione del 25 ottobre: “Se a causa di quanto accaduto, si fosse determinato uno scandalo, soprattutto nei più deboli, ne chiederemo perdono a tutti”.

SCANDALO

La parola scandalo mi affascina. La utilizzo anch’io per dire che i suoi anni ferraresi hanno certamente prodotto spaesamento, sospensione, increspature. Come la sua intenzione di chiedere udienza al Santo Padre per rimettersi al suo consiglio, perché lei “possa camminare spedito verso il compimento della fede”. Al di là della sua intenzione enigmatica, è fuori da qualsiasi prassi che un vescovo immagini un’udienza dal Papa attraverso una comunicazione giornalistica. La prassi (e lei è un uomo di prassi) pretende che l ’“incontro” con il Sommo Pontefice si chieda e si ottenga attraverso linee riservate, tutte interiori la Chiesa. Perché sventolare questa richiesta sul comunicato?

Provo a esibire due risposte: l’eventualità di un consenso immediato da parte di Francesco considerati i suoi gesti fuori dal protocollo; la prova del nove per monsignor Negri, perché se il Papa davvero la convocherà lei sarà in grado di annunciare che tutto è stato chiarito e risolto. Si tratta di finissima strategia, anche se mi sfugge il senso che connette i suoi due comunicati.

DUE COMUNICATI

Il primo è appunto del 25 novembre, all’indomani dell’uscita del Fatto Quotidiano, che ha un’intonazione suasiva puntata direttamente sulla Santa Sede.

Il secondo è del giorno immediatamente successivo e s’abbatte sui detrattori, sferza i giornalisti e chiama in causa il loro ordine professionale minacciando querele e invitando “la comunità ecclesiale e civile di non rendersi complice di tali operazioni”.

BRACCIO SECOLARE

Mi pare la rievocazione dell’antica pratica di Santa Romana Chiesa: la totale obbedienza di Negri al Santo Padre (lo spirito) e il braccio secolare di Negri (il mondo). Va chiarito che – me lo permetta, monsignore – questa linea pressoché diretta fra l’arcivescovo e il Papa è un poco anomala.

Di mezzo, in verticale e orizzontale, vi stanno altri organismi come e la Conferenza Episcopale Italiana di cui è presidente il cardinale Bagnasco, un sopravvissuto della vecchia guardia di Benedetto XVI, e segretario monsignor Galantino progressista di punta di nomina bergogliana.

C’è di mezzo la Congregazione per i vescovi (il ministero dedicato) e anche la novità di Zuppi a Bologna, che è metropolita della regione ecclesiastica emiliano-romagnola. E che credete, che in questa folla di soggetti, spettatori e interpreti non circolino pareri, schede, lettere, pressioni, voci sul caso Ferrara? Come quella incontrollata che è girovagata nell’estate scorsa su un trasferimento di Negri non so dove?

IL TEMPO

L’udienza col Papa e il chiarimento sono dunque una semplificazione di un questione che è da tempo sul tavolo. E per tempo va considerato che Negri ha compiuto 74 anni proprio giovedì scorso, e fra un anno dovrà rinunciare alla diocesi nell’osservanza del diritto ecclesiastico, canone 401, e che poi spetterà al Papa decidere se accogliere immediatamente le dimissioni o abbonare un altro anno a sua eccellenza (consuetudine che Francesco sta estinguendo: lui ha i suoi vescovi da ricollocare nel complesso scacchiere episcopale italiano). Caro monsignore, lei è una persona aguzza e intrepida. Anch’io apprezzo la sua compagnia sanguigna e di forte struttura, immediata e salace. Non è vero che la maggioranza dei ferraresi poco la ama, perché predilige vescovi pastori tranquilli, consolanti, pacificatori, dal pulpito dolce. Al contrario, parecchi fedeli le sono fedeli. Davvero.

DEPISTAGGIO STORICO

Mi ha fatto tenerezza, ad esempio, l’ipotesi di Francesco Fersini – anche lui di Comunione e liberazione e già candidato sindaco a Ferrara del Nuovo Centrodestra – che nel commentare la presinta captazione sul Fracciarossa, e difenderla, attraverso Facebook ha provato a sgranare ipotesi sulla frase che le è stata attribuita: “Speriamo che con Bergoglio la Madonna faccia il miracolo come con quell’altro Papa…”.

Il riferimento alla morte di Papa Luciani è purtroppo automatico.

Al riguardo monsignor Negri nel suo comunicato del 26 novembre aveva spiegato: “Questa è un’altrettanto assoluta, arbitraria interpretazione, completamente opposta al mio pensiero, che faceva riferimento a ben altre vicende della Chiesa, che esporrò nei luoghi e tempi opportuni”. L’arcivescovo, par di capire, che non smentisce. Chissà se la sua giustificazione allora coincide con quella esibita da Fersini.

L’ipotesi di quest’ultimo è carambolesca. Scrive: “Io, per esempio, ho pensato di più a Pio IX e, a differenza del Fatto Quotidiano, spiego il perché dal testo e dal contesto ho fatto questa deduzione… Chi conosce, anche approssimativamente, le opere di monsignor Negri sa benissimo che è uno studioso appassionato di quegli anni, che su Pio IX ha scritto un libro e che é un esegeta de ’Il Sillabo’ che, se non ricordo male, colloca come documento iniziale della dottrina sociale della Chiesa (prima della Rerum Novarum come comunemente si ritiene). Probabilmente al Fatto Quotidiano non hanno fatto quest’ipotesi perché non sanno nemmeno chi è Pio IX”.

LUCIANI E PIO IX

Lo sforzo di Fersini è encomiabile. Se non è Luciani è Pio IX? Andiamo più in là? Allora l’allusione all’intervento della Madonna perché non riguarda l’attentato a Giovanni Paolo II nel 1981, a Urbano VIII nel Seicento, a Gregorio VII nel Mille. Questo si chiama depistaggio storico.

SUA E VOSTRA SANTITÀ

Infine, anche la lettera-petizione proposta da Pluralismo e Dissenso per far traslocare Negri da Ferrara è fragile, e irricevibile da Francesco. È impensabile che un Papa scardini un vescovo a seguito di una raccolta di firme che lo accusa di creare disagio.

I primi firmatari sapranno tutto sulla presa di Porta Pia e del loro essere anticlericali, ma devono essere più protocollari. Attaccano la lettera con un “Sua Santità Papa Francesco”. Sua di chi? Consiglio un “Vostra Santità”. E poi Zamorani è un radicale mangiapreti. Che fa, si genuflette?

UNA GELIDA CL

A inserirsi nel quadro anche la nota di Comunione e Liberazione, inviata al direttore del Fatto Quotidiano, Travaglio. Gelido il distinguo: “Qualora l’arcivescovo di Ferrara avesse pronunziato tali affermazioni, esse sarebbero unicamente espressione della sua personale opinione e non certo di Comunione e Liberazione, nella quale monsignor Negri non riveste alcun ruolo di responsabilità dal 2005”.

BOMBE INNESCATE

Ha intuito, vostra eccellenza monsignor Negri? Ormai ogni suo passo e parola sono bombe innescate. Teologiche, dottrinali, politiche. Lei consapevolmente le dissemina perché nel suo animo è un minatore di Dio, e immediatamente chi fa informazione ci mette le mani e le fa brillare. È una forma di collaborazione indiretta.

La sua attività pastorale, inesorabilmente, è segnata dal suo essere inflessibile e fedele alle sue battaglie, e dalla sua concezione di Chiesa che confligge con le dinamiche nuove. Non so come lei stia vivendo questa perturbazione. La sente? E che cosa ne pensa del prepensionamento?

Stefano Scansani

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la schiavitù subita dai rom

Rom

storia degli ultimi schiavi dell’Europa moderna

Presidente Associazione 21 luglio
Rom-Sinti-675

il prossimo 2 dicembre si celebra nel mondo la Giornata Internazionale per l’Abolizione della Schiavitù istituita dall’Assemblea Generale nelle Nazioni Unite.

il dibattito storiografico è spesso orientato dalle “dimenticanze” degli storici e così pochi sanno che l’ultima schiavitù in Europa è quella che vide come vittime le comunità rom presenti in vaste aree dell’attuale Romania. Rileggendo la loro storia scopriamo di poterla sovrapporre senza troppe sfasature a quella della popolazione afro-americana degli Stati Uniti. I rom rumeni sono l’appendice di una storia europea caduta nell’oblio e scandita dalle sofferenze e dai soprusi. La lettura delle loro vicende, durante e dopo la schiavitù avvenuta nel cuore dell’Europa, ci potrebbe facilitare approcci diversi e modalità operative che oggi fatichiamo a promuovere verso chi, discendente degli ultimi schiavi, abita le nostre periferie.

All’inizio del 1800 sul Codice della Valacchia troviamo scritto: “Gli zingari sono nati per essere schiavi, chiunque sia nato da una madre schiava non può essere altro che schiavo”. Nelle terre che oggi chiamiamo Romania, i rom dal 1400 possono essere schiavi di proprietà di privati, dei principi e dei monasteri; sono considerati come merce di scambio, come regali per nozze, come dono fatto ai monasteri. Mai equiparati ad essere umani, sono posti sullo stesso piano di un animale o di un oggetto.

Mentre il 27 aprile 1848 in Francia la Seconda Repubblica abolisce definitivamente la schiavitù nelle colonie, nell’Europa centrale intere comunità rom continuano a vivere nel silenzio generale come schiavi nelle regioni dell’ex Valacchia e della Moldavia. Solo sette anni dopo, nel 1855 con un’iniziativa del principe Grigore Ghica viene sancita l’emancipazione degli ultimi schiavi rom in Moldavia. Il 22 dicembre dello stesso anno viene approvata una legge che regolamenta la fine della schiavitù mentre qualche mese dopo, l’8 febbraio 1856 il principe di Stirbei adotta la “Legge per l’emancipazione di tutti gli zingari nel Principato romeno”. Per ogni schiavo rom contadino viene fissata una ricompensa per il proprietario pari a 10 pezzi d’oro. I rom della ex Moldavia dopo cinque secoli di dura schiavitù vedono la libertà.

Alcune famiglie rom fuggono verso l’Europa centrale e le Americhe. La maggioranza resta nell’attuale Romania, dove la storia passata risulta mantenere un riflesso tra i discendenti. Considerati sempre “diversi”, i rom ora liberi abbandonano i lavori agricoli svolti come schiavi per cercare un riscatto in lavori artigianali. Numerose sono le deportazioni e le persecuzioni vissute all’inizio del Novecento, culminate con i genocidi di massa nel periodo Antonescu. All’assimilazione forzata promossa sotto il regime di Ceausescu corrisponde un miglioramento di vita delle famiglie rom che si mescolano con il resto della popolazione condividendo la vicinanza di casa e il posto nel lavoro in agricoltura.  Nel 1991 la “Legge del Fondo Fondiario” smantella le grandi imprese agricole rumene provocando un’impennata della disoccupazione delle famiglie rom che raggiunge l’80%. Dopo la caduta del regime comunista si assiste ad un’esplosione di violenza razzista che ha come oggetto interi quartieri abitati da rom. In decine di villaggi folle inferocite assaltano e incendiano le case dei rom, distruggono le loro proprietà e li cacciano dai villaggi, impedendo loro di ritornare; durante queste violenze collettive alcuni rom vengono assassinati. Esemplare in questo senso, e ormai tristemente famosa, è la sommossa di Hadareni, avvenuta nel 1993, durante la quale tre rom vengono uccisi, 19 case bruciate e 5 distrutte. Tutto ciò favorisce la fuga incontrollata dei rom rumeni a partire dagli anni Novanta con un picco di arrivi nel nostro Paese tra il 2000 e il 2001 quando l’Italia abolisce l’obbligo di visto per i cittadini rumeni.

Gli ultimi schiavi dell’Europa moderna, hanno visto i loro figli tra le vittime della rabbia popolare post comunista ed i loro nipoti tra i “nomadi” del moderno apartheid italiano, quello che parla il linguaggio degli sgomberi e dell’emarginazione abitativa. Con questa umanità ferita che bivacca nelle nostre periferie siamo giornalmente chiamati a fare i conti, così come con la storia, quella scritta dai vincitori, che dimentica o nega, che assolve o giustifica, che crea muri fisici o mentali. Dobbiamo farlo, per il bene loro e per il bene nostro.

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‘chiamatemi Francesco’ il film ‘non santino’ del regista Luchetti

«Chiamatemi Francesco»

 i tormenti di padre Bergoglio tra dittatura e rigore teologico

il regista Luchetti evita l’agiografia e racconta i difficili anni in Argentina

di Paolo Mereghetti

Il film, interpretato da Rodrigo de la Serna (foto sopra) è stato venduto in 40 Paesi
il film, interpretato da Rodrigo de la Serna (foto sopra) è stato venduto in 40 Paesi

Il film, che si apre e si chiude nei giorni del Conclave e dell’elezione al Soglio pontificio del cardinale argentino (affidato all’attore Sergio Hernández), sceglie di raccontare alcuni momenti della sua vita da gesuita: la conversione, il periodo al Colegio Máximo e la vita ai tempi della dittatura, il confronto/scontro con i confratelli vicini alla teologia della liberazione, le sue scelte a favore di una Chiesa che si dedichi agli ultimi e ai disagiati. Non tutto è raccontato in maniera piana e distesa, alcune situazioni e persone lasciano aperti problemi di identificazione in chi non sia esperto di storia ecclesiastica latino-americana (il prelato da cui va dopo l’uccisione del vescovo Angelelli e che gli offre i dolci è il nunzio apostolico Pio Laghi? Quello tanto amico dei militari torturatori?), così come si vorrebbe saperne di più sulle ragioni della sua carriera: che cosa ha fatto per essere nominato superiore provinciale? Perché il cardinale Guarracino vuole proprio lui, «esiliato» in una parrocchia periferica, per la carica di vescovo ausiliario di Buenos Aires? Ma forse questi salti e queste ellissi servono proprio per evitare di trasformare il film in una «semplice» biografia e puntare invece l’obiettivo sul sacerdote e le sue qualità.

 

Affidato al volto severo dell’attore Rodrigo de la Serna, il giovane Bergoglio del film deve confrontarsi con un mondo che fatica a tener salda la barra dell’insegnamento cristiano. In tutti i momenti cruciali del film, la tentazione sembra essere quella di deviare dalla «retta via», sia accentuando l’impegno nel sociale sia facendosi complici della dittatura. Non è semplice tenere una posizione «equidistante», capace di conciliare il rigore teologico con l’amore per il prossimo (specie quello più sfortunato), ma sembra proprio questa la scelta del gesuita Bergoglio. Ed è questo che il film vuol far emergere.

Ecco allora il salvataggio dei giovani seminaristi fatti fuggire in Uruguay ma anche il suo rifiuto della teologia della liberazione, la sua disapprovazione per i confratelli che hanno scelto di vivere fuori dalle parrocchie ma il suo intervento per liberare chi è stato fatto prigioniero e torturato. E l’impegno di dare voce a chi non ce l’ha di fronte al potere. Momenti diversi che trovano il loro senso più profondo nella scena finale del Papa che si affaccia su piazza San Pietro e che il film affida allo sguardo dello spettatore con pudore e rispetto.

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guerra di civiltà? no, di religione! Il dolore e l’emozione per quello che è successo a Parigi non giustificano l’orgia militarista

Europa vs. Islam

una guerra di religione

Sun Tzu, stratega cinese, vissuto tra il VI o V secolo avanti Cristo, sosteneva che la guerra è l’ultima risorsa di uno statista e la battaglia l’ultima risorsa di un comandante. Queste parole tornano alla mente quando si pensa al crescendo di appelli alle armi che risuonano a Parigi, a Bruxelles come a Londra. Quello che si vuole da tante parti non è neanche più uno scontro di civiltà alla Huntington.
È una guerra di religione, contro l’Isis o Daesh, ma anche contro l’Islam, contro gli immigrati, contro tutti i fantasmi o gli incubi che assillano un’Europa impaurita e paranoica.

 

Certo, gli accenti sono diversi. Si va dai fanatici dei diritti umani, nostalgici della guerra lampo del Kosovo, a quelli che vedono nell’Islam una volontà millenaria di rivalsa contro l’occidente cristiano, agli opinionisti “ragionevoli” che esigono dai musulmani che “escano allo scoperto” e “si pronuncino contro il terrorismo”, ai simpatizzanti di Netanyahu, che mettono nello stesso sacco Isis e resistenza palestinese, ecc.. Ma l’idea di fondo è che si faccia una bella coalizione di tutti contro l’Isis, che lo si polverizzi, magari insieme ai civili di Raqqa tra cui si nasconde, e poi… E poi?

dallago

Sembra che venticinque anni ininterrotti di guerre dell’Occidente nei paesi arabi e/o musulmani non abbiano insegnato nulla. Che cioè i bombardamenti non fanno un gran male ai militanti e agli armati, ma prostrano le popolazioni e creano le condizioni per future insurrezioni, fanatismi e reti terroristiche. Così è stato in Iraq nel 1991, in Afghanistan, di nuovo in Iraq, in Libia e oggi in Siria. Se si considerano i risultati politici, e non la mera contabilità militare di morti nostri e morti loro (per non parlare delle vittime civili che pagano sempre il prezzo più alto), tutte le guerre occidentali sono finite con sconfitte, con immani spargimenti di sangue dopo i quali Usa, Inghilterra, Francia e così via sono più deboli di prima. Se oggi l’Isis è contenuto in Siria è grazie ai curdi, come in Iraq grazie alle milizie sciite e iraniane. Ma se anche qualche stato occidentale volesse mettere i boots on the ground, e cioè mandare le forze di terra, non cambierebbe nulla. L’esercito americano, il più potente al mondo, si è dovuto ritirare, di fatto, sia dall’Afghanistan, sia dall’Iraq Quanto alla Francia, la sua vittoria in Mali non è servita a granché, se la guerriglia può attaccare di sorpresa Bamako.

Il punto decisivo della questione è che se gli altri, i cattivi, i terroristi, sono disposti preventivamente a morire, a farsi uccidere per qualsiasi motivo e cioè a non sopravvivere, quando uccidono noi, ebbene, in un certo senso hanno già vinto. Questo Obama l’ha perfettamente compreso, diversamente dai fanatici neo-con che hanno contribuito a creare tutto questo invadendo l’Iraq nel 2003. Ma se persino Tony Blair, oggi, sente il bisogno di chiedere scusa per quella guerra, così stupida per lui e così letale per centinaia di migliaia di iracheni!

Il dolore e l’emozione per quello che è successo a Parigi non giustificano l’orgia militarista, in Francia come da noi, con cui si vorrebbe rispondere al terrorismo. Invece di ragionare, di riflettere sul groviglio di ragioni che hanno portato a tutto questo, e cioè sul fatto che giovani europei si trasformano in alleati dell’Isis in nome della religione, si preferisce evocare il nemico assoluto, tirar fuori argomenti da prima crociata, eccitare un’opinione pubblica già scossa per conto suo.

Probabilmente, il terrorismo ci accompagnerà per molto tempo. Bastano poche centinaia di aspiranti martiri in Europa, cresciuti nelle banlieue più derelitte, frustrati dalla marginalità e magari fanatizzati da predicatori retrogradi a compiere azioni come quelle di Parigi. Al di là del lavoro di intelligence, che nel caso francese presenta ampie zone di opacità, il terrorismo si può contrastare con un lavoro di educazione civile e politica di lungo periodo e rimuovendo le cause della frustrazione e dell’odio. Un lavoro lungo che non darà, ammesso che lo si voglia cominciare, risultati nel breve periodo. E si potrà contrastare, soprattutto, rinunciando alle tentazioni neo-colonialiste che si manifestano nella difesa dei diritti umani a suon di bombe.

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il commento al vangelo

LA VOSTRA LIBERAZIONE E’ VICINA

commento al vangelo della prima domenica d’avvento (29 novembre 2015) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

Lc  21, 25-28, 34-36

[In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:] «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra.
Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».

Il vangelo di questa domenica, il 29 novembre, prima domenica di avvento, è una parola di grande incoraggiamento che Gesù dà alla sua comunità. Una comunità piccola, inerme e indifesa che può scoraggiarsi di fronte alle strutture di potere che dominano la società.
Ebbene le parole di Gesù sono un grande incoraggiamento.
Ogni potere hai piedi d’argilla e prima o poi è destinato a crollare. Ma leggiamo e vediamo il significato del vangelo di questa domenica.
E’ il capitolo 21 del vangelo di Luca dai versetti 25 a 36. Dice Gesù: “Vi saranno segni”. Gesù risponde alla domanda che i discepoli gli hanno fatto. Gesù aveva annunziato la distruzione del tempio di Gerusalemme. Perché? Un’istituzione religiosa che adopera il nome di Dio per sfruttare il popolo, per sfruttare i poveri, non ha diritto di esistere. 
Dio comunica vita, non la toglie alle persone. Il Dio di Gesù è un padre che non assorbe le energie degli uomini, ma comunica loro le sue. Ebbene un’istituzione religiosa che invece presenta un Dio che sfrutta gli uomini non ha diritto di esistere. Quindi Gesù ha annunziato la distruzione del tempio di Gerusalemme, immagine di questa istituzione.
Allora i discepoli gli hanno chiesto: “E quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?” Ecco la risposta di Gesù: “Vi saranno segni …” e qui Gesù adopera il linguaggio dei profeti, in particolare cita il profeta Gioele, segni con i quali si annuncia l’arrivo del Signore. Vediamoli. “Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle”. Il sole e la luna, nella cultura del tempo, nel mondo pagano, erano degli dei che venivano adorati dai popoli. E le stelle chi sono?
A quel tempo tutti coloro che detenevano un potere si consideravano risiedenti nei cieli; il faraone era un Dio, l’imperatore romano era un Dio o un figlio di Dio. Tutti quelli che detenevano un potere si consideravano come stelle.
Ebbene Gesù assicura che, grazie all’annunzio del vangelo, tutte queste strutture di potere una dopo l’altra verranno a crollare. “E sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti”. E’ il crollo degli imperi che dominavano, però davano sicurezza, ordine. Lo stesso Sant’Agostino quando sente scricchiolare l’impero romano, questa struttura portentosa, dice: “E’ arrivata la fine del mondo”. Non era pensabile concepire un mondo senza la struttura dell’impero romano.
Ebbene gli uomini hanno paura perché quello che sembrava eterno, quello che sembrava stabile, quello che sembrava vero non lo è più. E soprattutto nel campo religioso quello che sembrava sacro in realtà non lo era. E Gesù annunzia: “Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte”. Chi sono queste potenze dei cieli? Nei cieli secondo i vangeli c’è il Padre, c’è Gesù, il figlio dell’Uomo e ci sono gli angeli.
Chi sono quindi questi usurpatori che stanno nei cieli? Sono appunto questi potenti che si arrogano la condizione divina per dominare e sfruttare le persone. Nelle lettere di San Paolo queste potenze dei cieli vanno sotto il nome di “troni, dominazioni, principati, potestà”, tutte immagini legate al potere, al dominio.
Allora “le potenze dei cieli”, quindi questi potenti che detengono il potere, che dominano e sfruttano le persone, “saranno sconvolte”. L’annunzio della buona notizia di Gesù mostrerà il vero Dio e le false divinità perderanno il loro splendore e quei re, quei potenti che appoggiano il loro potere su queste divinità, vedranno la fine del loro dominio.
“Allora vedranno”. E’ interessante che Gesù non dica “vedrete”. Chi sono quelli che vedranno? Questi grandi potenti, nel momento in cui si sfalda e si sbriciola il loro potere, sono loro che nel momento della caduta, vedranno il Figlio dell’uomo. Figlio dell’uomo è un termine con il quale Gesù indica se stesso, l’uomo nella pienezza della condizione divina. “Venire su una nube”, immagine della condizione divina, “con grande potenza”.
Nel momento in cui le potenze saranno sconvolte, si afferma la potenza del Figlio dell’uomo. Con Gesù si inaugura il regno dell’umano e tutto quello che è disumano è destinato a scomparire. “E gloria”. La gloria del Figlio dell’uomo è l’amore incondizionato di Dio per la sua gente.
Ed ecco le parole di grande consolazione, di grande speranza e di grande incoraggiamento. “Quando cominceranno ad accadere queste cose”… queste immagini non devono mettere paura, ma anzi devono mettere allegria. Infatti Gesù aggiunge: “Risollevatevi e alzate il capo”, laddove il capo rappresenta la dignità della persona,” perché la vostra liberazione è vicina”.
Tutti i regimi di potere civili e religiosi che, anziché servire l’uomo lo dominano e lo sfruttano, sono destinati a scomparire. Poi qui ci sono dei versetti che stranamente i liturgisti hanno creduto di omettere, ma sono importanti.
E Gesù disse loro una parabola. “Osservate una pianta di fico e tutti gli alberi. Quando già germogliano capite voi stessi, guardandoli, che ormai l’estate è vicina”. Ed ecco il punto centrale: “Così anche voi, quando vedrete accadere queste cose…”, quindi la fine di Gerusalemme e l’inizio dello sfaldamento di tutti i regimi che dominano le persone, “sappiate che il Regno di Dio è vicino”.
La società alternativa proposta da Gesù, con l’avvento del Regno di Dio diventerà realtà. E anche i pagani saranno ammessi. E poi Gesù mette in guardia con un monito. “Attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita”. Ricorda la parabola che giù Gesù ha già annunziato al capitolo 4, del seme che viene soffocato dalle preoccupazioni economiche che portano l’individuo a centrarsi su se stesso.
Cosa vuole dire Gesù? Se i discepoli si sono integrati nella società ingiusta, quella che deve scomparire, incorreranno nella stessa sorte di questa società. Allora la frase finale di Gesù:  “Vegliate”, cioè vigilate, “in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo». Gesù invita a non essere conformi ad una società ingiusta perché questa è destinata a scomparire.

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intellettuali francesi contro la guerra

contro la guerra non si può restare in silenzio

 «Quando furono scatenate le guerre in Afghanistan e Iraq sapevano che quei conflitti avrebbero seminato, alla cieca, caos e morte. Avevamo torto? La guerra di Hollande avrà le stesse conseguenze. Per questo non si può non reagire»

un appello di intellettuali francesi

Nessuna interpretazione monolitica, nessuna spiegazione meccanicistica può far luce sugli attentati. Ma possiamo forse rimanere in silenzio? Molte persone — e le comprendiamo — ritengono che davanti all’orrore di questi fatti, l’unico atto decente sia il raccoglimento. Eppure non possiamo tacere, quando altri parlano e agiscono in nostro nome: quando altri ci trascinano nella loro guerra. Dovremmo forse lasciarli fare, in nome dell’unità nazionale e dell’intimazione a pensare in sintonia con il governo?

Si dice che adesso siamo in guerra. E prima no? E in guerra perché? In nome dei diritti umani e della civiltà? La spirale in cui ci trascina lo Stato pompiere piromane è infernale. La Francia è continuamente in guerra. Esce da una guerra in Afghanistan, lorda di civili assassinati. I diritti delle donne continuano a essere negati, e i talebani guadagnano terreno ogni giorno di più. Esce da una guerra alla Libia che lascia il paese in rovine e saccheggiato, con migliaia di morti, e montagne di armi sul mercato, per rifornire ogni sorta di jihadisti. Esce da una guerra in Mali, e là i gruppi jihadisti di al Qaeda continuano ad avanzare e perpetrare massacri. A Bamako, la Francia protegge un regime corrotto fino al midollo, così come in Niger e in Gabon. E qualcuno pensa che gli oleodotti del Medioriente, l’uranio sfruttato in condizioni mostruose da Areva, gli interessi di Total e Bolloré non abbiano nulla a che vedere con questi interventi molto selettivi, che si lasciano dietro paesi distrutti? In Libia, in Centrafrica, in Mali, la Francia non ha varato alcun piano per aiutare le popolazioni a uscire dal caos. Eppure non basta somministrare lezioni di pretesa morale (occidentale). Quale speranza di futuro possono avere intere popolazioni condannate a vegetare in campi profughi o a sopravvivere nelle rovine?

La Francia vuole distruggere Daesh? Bombardando, moltiplica i jihadisti. I «Rafale» uccidono civili altrettanto innocenti di quelli del Bataclan. E, come avvenne in Iraq, alcuni civili finiranno per solidarizzare con i jihadisti: questi bombardamenti sono bombe a scoppio ritardato.

Daesh è uno dei nostri peggiori nemici: massacra, decapita, stupra, opprime le donne e indottrina i bambini, distrugge patrimoni dell’umanità. Al tempo stesso, la Francia vende al regime saudita, notoriamente sostenitore delle reti jihadiste, elicotteri da combattimento, navi da pattugliamento, centrali nucleari; l’Arabia saudita ha appena ordinato alla Francia tre miliardi di dollari di armamenti; ha pagato la fattura di due navi Mistral, vendute all’Egitto del maresciallo al Sisi che reprime i democratici della primavera araba. In Arabia saudita, non si decapita forse? Non si tagliano le mani? Le donne non vivono in semi-schiavitù? L’aviazione saudita, impegnata in Yemen a fianco del regime, bombarda le popolazioni civili, distruggendo anche tesori dell’architettura. Bombarderemo l’Arabia saudita? Oppure l’indignazione varia a seconda delle alleanze economiche?

La guerra alla jihad, si dice con tono marziale, si combatte anche in Francia. Ma come evitare che vi cadano dei giovani, soprattutto quelli provenienti da ceti non abbienti, se non cessano le discriminazioni nei loro confronti, a scuola, rispetto al lavoro, all’accesso all’abitazione, alla loro religione? Se finiscono continuamente in prigione, ancor più stigmatizzati? E se non si aprono per loro altre condizioni di vita? Se si continua a negare la dignità che rivendicano?

Ecco: l’unico modo per combattere concretamente, qui, i nostri nemici, in questo paese che è diventato il secondo venditore di armi a livello mondiale, è rifiutare un sistema che in nome di un miope profitto produce ovunque ingiustizia. Perché la violenza di un mondo che Bush junior ci prometteva, 14 anni fa, riconciliato, riappacificato, ordinato, non è nata dal cervello di bin Laden o di Daesh. Nasce e prospera sulla miseria e sulle diseguaglianze che crescono di anno in anno, fra i paesi del Nord e quelli del Sud, e all’interno degli stessi paesi ricchi, come indicano i rapporti dell’Onu. L’opulenza degli uni ha come contropartita lo sfruttamento e l’oppressione degli altri. Non si farà indietreggiare la violenza senza affrontarne le radici. Non ci sono scorciatoie magiche: le bombe non lo sono.

Quando furono scatenate le guerre dell’Afghanistan e dell’Iraq, le manifestazioni di protesta furono imponenti. Sostenevamo che questi interventi militari avrebbero seminato, alla cieca, caos e morte. Avevamo torto? La guerra di Hollande avrà le stesse conseguenze. Dobbiamo unirci con urgenza contro i bombardamenti francesi che accrescono le minacce, e contro le derive liberticide che non risolvono nulla, anzi evitano e negano le cause del disastro. Questa guerra non sarà in nostro nome.

primi firmatari:

Etienne Balibar, Ludivine Bantigny (storica), Emmanuel Barot (filosofo), Jacques Bidet (filosofo), Déborah Cohen (storica), François Cusset (storico delle idee), Laurence De Cock (storica), Christine Delphy (sociologa), Cédric Durand (economista), Fanny Gallot (storica), Eric Hazan (editore), Sabina Issehnane (economista), Razmig Keucheyan (sociologo), Marius Loris (storico e poeta), Marwan Mohammed (sociologo), Olivier Neveux (storico dell’arte), Willy Pelletier (sociologo), Irene Pereira (sociologa), Julien Théry-Astruc (storico), Rémy Toulouse (editore), Enzo Traverso (storico)

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