SMILITARIZZARE I PRETI-SOLDATO

grosse fragole

 

PAX CHRISTI SCRIVE AL NUOVO ORDINARIO MILITARE

 cioè al nuovo vescovo di quella ‘diocesi militare’ composta dall’esercito, dai soldati, dalle alte gerarchie dell’esercito

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di Luca Kocci in Adista on-line

Papa Francesco ha scelto il nuovo ordinario militare per l’Italia. È mons. Santo Marcianò, 53 anni, fino ad ora arcivescovo di Rossano-Cariati nonché segretario della Conferenza episcopale calabra.

Succede a mons. Vincenzo Pelvi, dimessosi lo scorso 11 agosto per raggiunti limiti di età (gli ordinari militari, assumendo anche i gradi – e lo stipendio – di generali di corpo di armata, vanno in pensione da militari a 65 anni, mentre restano in servizio come vescovi fino a 75) e ancora in attesa di una nuova sede episcopale. Sembrava certa la sua nomina alla guida della diocesi di Latina – da giugno retta da un amministratore apostolico, mons. Giuseppe Petrocchi – che però è saltata alla vigilia della comunicazione ufficiale. Pertanto bisognerà trovare un’altra sede. Fra le possibilità c’è anche Caserta, città ad alta densità militare – quindi “familiare” a Pelvi, che inoltre è campano –, il cui vescovo, mons. Pietro Farina, è deceduto lo scorso 24 settembre, ma i rapporti non proprio idilliaci con il card. Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli e presidente della Conferenza episcopale campana, sono un ostacolo alla nomina. Crociata no, Marcianò sì

All’ordinariato militare, invece, sembrava certo che sarebbe andato mons. Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza episcopale italiana (e a voler essere ironici, per un vescovo castrense che viene formalmente inquadrato nella gerarchia militare, il nome Crociata sarebbe stato più appropriato di Marcianò). Ma è stato lo stesso Crociata a rifiutare l’incarico: pare infatti che aspiri a succedere al card. Paolo Romeo – che ha compiuto i 75 anni lo scorso 20 febbraio – alla guida dell’arcidiocesi di Palermo, e la nomina all’ordinariato gli avrebbe chiaramente precluso tale possibilità. E così è arrivata la nomina, a sorpresa, di Marcianò che nei prossimi giorni presterà giuramento anche nelle mani del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano; l’ordinario militare, infatti, viene designato dal papa ma, proprio per il suo doppio ruolo di vescovo-generale, formalmente è nominato dal presidente della Repubblica, in accordo con il presidente del Consiglio e dei ministri della Difesa e dell’Interno. «Militari a servizio della vita e della pace»

Appena designato, il 10 ottobre, Marcianò ha subito rivolto una lunga lettera di saluto ai cappellani militari, ai seminaristi, ai diaconi e, soprattutto, ai militari delle Forze armate, «a servizio della vita e della pace» scrive il nuovo ordinario. «La pace, infatti, è un cammino e i nostri passi devono essere guidati dal desiderio di fare la nostra parte per costruirla. Devono essere passi di dialogo con tutti, di rispetto reciproco e rispetto dei diritti umani; passi di ordine e libertà, di legalità e onestà, di giustizia e solidarietà, di lotta contro i soprusi e la corruzione, contro ogni forma di violenza o discriminazione; passi di protezione delle città dell’uomo, nella loro dimensione sociale e politica, nel loro patrimonio di storia e arte; passi di preservazione della natura e dell’ambiente, di custodia della straordinaria bellezza del Creato. Soprattutto, passi di difesa e promozione di ogni vita umana nella sua stupenda dignità: dei più deboli e poveri, dei piccoli e indifesi, dei carcerati e perseguitati, dei senzatetto e disperati, degli abbandonati ed esclusi, di coloro che vivono diverse forme di malattia o disabilità, dei tanti profughi e immigrati che continuano a sbarcare nelle nostre coste dopo viaggi in cui trovano anche la morte, continuando a sollecitare il nostro impegno e il nostro amore». Pax Christi: smilitarizzare i cappellani militari

Ma «le Forze armate, di cui lei si accinge a far parte e con un elevato grado gerarchico, sono la negazione di questi passi», scrive Antonio Lombardi, di Pax Christi Napoli e tra gli animatori della campagna nazionale “Scuole smilitarizzate”, promossa dal movimento cattolico per la pace (v. Adista Notizie n. 18/13 e Adista Segni Nuovi n. 19/13). «La guerra dialoga solo con le pallottole, che sibilando nell’aria portano messaggi di morte; la guerra è esattamente la forma di violenza più scientificamente studiata ed organizzata; non si distingue per giustizia e solidarietà, ma discrimina tra amici e nemici, schiaccia, corrompe, fa prigionieri. La guerra non protegge gli esseri umani né le loro città: bombarda e distrugge l’ambiente, le risorse per la vita e le opere d’arte. Ma soprattutto non difende i poveri e i disabili, ma fa andare in rovina le case producendo senzatetto e mutilati. La guerra non promuove la dignità dei profughi ma li genera, ed essi, come primo impegno ed atto d’amore, con la loro condizione ci chiedono di smettere di inviare truppe ed armi che riducono in polvere le loro vite. Il primo servizio alla pace che è possibile fare come sacerdote o vescovo impegnato nella cura pastorale dei militari è questo: uscire ed invitare ad uscire da quella fabbrica di morte». «Non ce la faccio a congratularmi con lei – prosegue –, perché considero una sconfitta per un cristiano entrare nei ranghi delle Forze armate e per di più entrarci attraverso la porta della Chiesa. Al suo predecessore, mons. Pelvi, avevo scritto alcune lettere per aprire un dialogo sul senso evangelico dei cappellani militari, ma è stato sempre un monologo: non ho mai ricevuto risposta. Mi auguro miglior fortuna con lei». E infatti Lombardi rilancia subito la storica proposta di Pax Christi di smilitarizzazione dei cappellani militari (v. Adista nn. 81/95, 67/97, 81/00, 49/06 e 81/06; v. Adista Segni Nuovi n. 7/12 e Adista Notizie n. 46/12 e 18/13): «Riducendo al massimo la questione, osservo che il personale delle Forze armate ha sì diritto all’assistenza spirituale, ma senza che coloro che la prestano accedano ai ranghi militari, diventino cioè organici ad un’istituzione nata ed esistente per fare la guerra. Anzi, restandone fuori, essi avrebbero la possibilità di assumere uno sguardo critico più libero, di essere essi stessi esempio di nonviolenza, che rifugge dalle attività belliche e da tutto ciò che ne costituisce supporto e strumento. Insomma, esempio di una scelta diversa». Con papa Francesco si aprirà il dibattito?

Si vedrà se con il nuovo ordinario militare, e soprattutto con il nuovo papa che sul tema della pace e del disarmo ha pronunciato parole nette, nella Chiesa sarà possibile aprire un dibattito – quello appunto sulla smilitarizzazione del preti-soldato – su cui la chiusura è stata sempre totale.

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l’ennesimo flop del pregiudizio ‘zingaro ruba bambini’

bimba bionda

Grecia, ritrovata la madre di Maria: “regalata perché non potevo mantenerla”

sono bastati pochi giorni (come del resto anche tutte le altre volte che si è voluto cavalcare) per vedere smontato e miseramente smascherato il pregiudizio del ‘rom ruba bambini: nel frattempo però la m…a messa nel frullatore ha sporcato ancora di più l’immagine che da sempre sporchiamo, permettendoci nei loro confronti le ingiurie più fantasiose, e chi chiederà loro mai scusa in modo minimamente credibile? chi restituirà loro un briciolo di una ‘stima sociale’ (si fa per dire!) perduta da sempre?

Maria risulta non essere la figlia biologica dei genitori rom che la tenevano in casa

È una donna bulgara di 35 anni il genitore biologico della bambina bionda che viveva con i rom 

Rintracciata la vera madre della piccola Maria, la bambina di circa cinque anni bionda e con gli occhi verdi ritrovata la settimana scorsa in un campo rom nella Grecia centrale e risultata non essere figlia biologica dei coniugi che la tenevano in casa insieme con un’altra dozzina di ragazzini. Lo riferisce l’edizione online del quotidiano Kathimerini citando fonti giornalistiche bulgare. La madre biologica di Maria sarebbe Sasha Ruseva, 35 anni, di nazionalità bulgara.  

 

«Abbiamo lasciato la piccola Maria in Grecia perché non avevamo da mangiare, non avevamo lavoro e non potevamo curarci anche di lei. L’abbiamo regalata, l’abbiamo lasciata senza prendere un soldo». Così Sashka Russev, la mamma di Maria -la bimba ritrovata in un campo rom in Grecia, racconta all’agenzia bulgara Bgnes perché ha dovuto abbandonare sua figlia, dopo essere scoppiata in lacrime davanti alle immagini della bimba in televisione. «Avevo intenzione di tornare e di portare via con me la bambina, ma nel frattempo ho avuto altri due figli e quindi non ho potuto farlo», ha raccontato la donna all’emittente televisiva.  

 

Ha inoltre insistito molto sul fatto di non essere stata pagata dalle persone che hanno accolto la neonata in Grecia. La polizia della Bulgaria non ha voluto commentare la notizia.La famiglia Russev ha dieci bambini dei quali cinque sono albini e, secondo il cronista di Bgnes, assomigliano molto alla piccola Maria. Sashka e il marito Atanas sono stati interrogati dalla polizia di Nikolaevo. 

 vedi anche i due link qui sotto:

+ Grecia, una coppia rom incriminata per il rapimento della piccola Maria 

+ Maria, nei guai gli impiegati che hanno rilasciato il certificato di nascita

 

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immigrati: retorica della solidarità e terzomondialismo o necessità?

lampedusa

a partire da un saggio di L. Manconi e V. Brinis sull’immigrazione – ‘accogliamoli tutti. una ragionevole proposta per salvare l’Italia, gli italiani e gli immigrati, il saggiatore –  condotto tutto al di là del ‘buonismo’, due articoli interessanti su questo problema, il primo di G. Lerner su ‘la Repubblica’, il secondo di A. Coppola su ‘il Corriere della Sera’, ambedue convergenti sul superamento della repressione che vede come prima finalità del governo il presidio delle frontiere, il respingimento o l’espulsione degli irregolari, e nell’accettare come necessaria la convivenza interetnica, ancorché faticosa, talora dolorosa, comunque la sola via per evitare il conflitto razziale indicato da tutti gli scienziati sociali (qui sotto i due articoli):

Immigrazione: barcone in difficoltà, persone in mare

Porte aperte L’Italia si salverà solo con gli stranieri

di Gad Lerner

in “la Repubblica” del 24 ottobre 2013

Accogliamoli tutti, gli immigrati. Ma siamo matti? Il titolo del pamphlet di Luigi Manconi e Valentina Brinis a prima vista sembrerebbe un’astuzia dell’editore, escogitato per turbare i benpensanti: Accogliamoli tutti. Una ragionevole proposta per salvare l’Italia, gli italiani e gli immigrati (il Saggiatore, pagg. 115, euro 13). Gli autori stessi, però, ci invitano a non cadere nella trappola. Accogliamoli tutti, con le dovute precauzioni, va preso alla lettera. La loro è tutt’altro che una provocazione estremista: si tratta di governare un flusso epocale, altrimenti lacerante. Tanto meno è un richiamo ai buoni sentimenti. Anzi. Se una precauzione innerva il saggio di Manconi e Brinis, non è certo quella di solleticare l’ostilità dei prevenuti, ma semmai di non figurare predicatori di bontà o, peggio, “buonisti”: l’orrendo neologismo abusato da anni nel dibattito pubblico sull’immigrazione, funestato dalla diffidenza e dal rancore. Manconi e Brinis enumerano le cifre avvilenti di una demografia che sembra destinare inevitabilmente l’Italia a trasformarsi in «una comunità sfilacciata e depressa, bolsa e senescente, incapace di innovazione e di invenzione». Fanno impressione, queste cifre: il censimento del 2011 registra circa 15.000 persone che si trovano nella fascia d’età 100-105 anni. Sono più di mezzo milione gli ultranovantenni. Complessivamente, gli italiani con più di 65 anni rasentano i 13 milioni. Invece i nostri vicini di casa, le popolazioni che abitano la sponda Sud del Mediterraneo, sono composte per quasi la metà di giovani al di sotto dei 25 anni. Prescindere da tale contrasto oggettivo sarebbe solo un’ingenua rimozione: qualsiasi modello di società futura implica un governo razionale dei flussi migratori, finalizzato, per quanto ciò sia possibile, a una loro ordinata integrazione. Nessuna “mielosa retorica” dell’accoglienza, dunque. Anche perché gli immigrati «non mostrano alcuna voglia di correre in nostro soccorso». Gli ostacoli frapposti in Italia all’instaurazione di contratti di lavoro regolari, ai ricongiungimenti familiari e alla continuità dei permessi di soggiorno, perpetuano una condizione servile e ne scoraggiano la stabilizzazione. Li abbiamo incoraggiati a sentirsi estranei. Più realisticamente, si tratta quindi di disinnescare il cortocircuito tra lo stato di marginalità in cui sono ridotti troppi immigrati; e la reazione deviante, irregolare, talora criminale che questa loro marginalità provoca. La ministra dell’integrazione Cécile Kyenge, che firma l’introduzione del pamphlet, trae la conseguenza politica di questo ragionamento: «Ai fini della sicurezza, fanno più i diritti della repressione». In altre parole, come scrivono Manconi e Brinis, «un’accoglienza dignitosa riduce significativamente insidie e minacce». Dunque è a fini utilitaristici — per il “nostro” bene — e non sulla base di un impulso di generica solidarietà, che va radicalmente capovolta la politica fin qui seguita in materia di immigrazione. Assumere come prima finalità dell’esecutivo il presidio delle frontiere, il respingimento o l’espulsione degli irregolari, è risultato miope oltre che velleitario. Ormai lo sappiamo. L’Italia, d’intesa con l’Unione Europea, deve pianificare con lungimiranza quegli ingressi che finora si è limitata a subire. Da sei mesi Manconi è presidente della Commissione diritti umani del Senato, ma gli argomenti proposti sotto la voce Accogliamoli tutti sono di natura empirica, piuttosto che giuridica. Comunque mai ideologici. Qui si esprime il sociologo da vent’anni impegnato nella rilevazione dei comportamenti delle comunità locali costrette a fare i conti con l’immigrazione. Siamo un paese che già oggi non potrebbe fare a meno dei suoi quasi 5 milioni di stranieri residenti, l’8% della popolazione. Basti pensare che vengono dall’estero il 77,3% dei (delle) badanti. Più della metà degli addetti alle pulizie. Più di un quarto dei lavoratori edili. Quasi un terzo dei braccianti agricoli. Se dunque possiamo considerare paradossali, retoriche, le domande poste da Manconi e Brinis — ci conviene espellerli? E se andassero via tutti? E se non venissero più? — ben più concreta appare

l’incognita che pende sul nostro futuro: è proprio inevitabile che a pagare il prezzo della faticosa integrazione degli stranieri debbano essere sempre e comunque i più poveri fra gli italiani? Benché il libro sia disseminato di numerosi esempi di integrazione riuscita nelle comunità locali, avvenuta spontaneamente o più di rado guidata da amministratori capaci, non c’è dubbio che il non governo del flusso migratorio ha alimentato un contrasto fra svantaggiati. Risultato peraltro conveniente ai soliti ben noti attori politici. Né la legge Turco-Napolitano del1998, né tanto meno la Bossi-Fini del 2002 hanno consentito la pianificazione armonica dei flussi d’ingresso, orientandoli nella ricerca di lavoro regolare e di soluzioni abitative razionali. Per questo Accogliamoli tutti si conclude proponendo non solo l’abrogazione del reato di clandestinità, ma anche l’introduzione del visto d’ingresso per ricerca di occupazione; in luogo dell’irrealistica pretesa della normativa vigente, secondo cui l’incontro fra domanda e offerta di lavoro dovrebbe realizzarsi (chissà come) nei paesi d’origine. Nessuna faciloneria. Nessuna celebrazione delle virtù del multiculturalismo. Il libro prende in esame anche i nodi più difficili da sciogliere in materia giuridica, come la poligamia e la mutilazione genitale femminile. Fenomeni certo ultraminoritari che necessitano di una gestione coerente con il nostro diritto, ma al tempo stesso finalizzata alla riduzione del danno. Per esempio la Coop ha risolto il problema della macellazione rituale della carne halal dopo un confronto con la Lega italiana antivivisezione: d’intesa con le comunità islamiche, si procede allo stordimento elettrico preventivo dell’animale da macellare, garantendo così la “convivenza dei valori”. Con la buona volontà, le mediazioni si trovano. Purché si riconosca che stiamo costruendo un nuovo modello sociale di cui l’immigrazione sarà componente vitale, non marginale. Lo Stato moderno europeo costruì quattro secoli fa il suo apparato repressivo nella lotta al vagabondaggio e nel contenimento dei pericoli sociali della miseria. Ma la distinzione fondata allora fra i “nostri” poveri da segregare e/o proteggere, mentre i poveri “forestieri” erano semplicemente da cacciare, non regge più le dinamiche della geopolitica e della demografia. Ne consegue, come scrive la Kyenge, che l’immigrazione deve farsi «progetto»; perché senza di essa non c’è ripresa né «risorgimento». Accogliamoli tutti è proposta che sgomenterà una classe politica sprovvista di visione storica, sballottata negli anni scorsi nell’oscillazione fra la pietà e lo spavento delle emozioni popolari. Temo che non sia pronta a discutere queste ragionevoli proposte per salvare gli italiani e gli immigrati. Perfino dopo la tragedia di Lampedusa abbiamo sentito ministri riproporsi portavoce di una funzione di mero contenimento; fingendo di ignorare che, mentre loro facevano la faccia feroce, in Italia si estendevano aree di irregolarità e marginalità. Inutili sentinelle di guardia a un bidone.

FOTO REPERTORIO DI CARCERI PER VOTO SU INDULTO

Manconi: perché conviene accogliere i migranti

di Alessandra Coppola

in “Corriere della Sera” del 24 ottobre 2013

Il tempismo è perfetto. A tre settimane dal più spaventoso dei naufragi nel Mediterraneo, nel pieno della discussione sul reato di clandestinità e sulla legge Bossi-Fini, esce per il Saggiatore un pamphlet dal titolo dirompente: «Accogliamoli tutti» (120 pagine, 13 euro). Spiazzante poi nel sottotitolo: «Una ragionevole proposta per salvare l’Italia, gli italiani e gli immigrati». A firmarlo sono in due: il parlamentare del Pd Luigi Manconi, presidente della Commissione straordinaria per la tutela dei diritti umani del Senato, e la sociologa Valentina Brinis, direttrice del sito italiarazzismo.it . Lui presidente lei ricercatrice della Onlus «A Buon Diritto». Una provocazione? «No, non è quello l’intento. Direi che è un libro licenzioso e saggio», sorride il senatore. All’apparenza «audacissimo», nel suo sviluppo «si affida interamente a dati demografici, economici e sociali». Una scossa a un dibattito imbrigliato dalle ideologie, dalle reazioni di pancia e dai buonismi, sulla scorta di un’analisi saldamente fondata sulle leggi, sulle ricerche scientifiche, sui numeri. Gli autori la materia la conoscono. Luigi Manconi da tempo. Nel testo fissa una data autobiografica: Sassari, autunno del 1988, l’incontro con un venditore africano dal barista ribattezzato col cognome locale «Carboni», in un tentativo spontaneo d’integrazione. «La società italiana ha risposto all’immigrazione con una inesausta capacità di adattamento intelligente e razionale — riflette —. Ma ciò che ora serve, e che finora è stata debolissima, è la politica: quella centrale e quella locale. Una politica che abbandoni definitivamente l’idea dell’immigrato o del richiedente asilo come un nemico o una minaccia sociale». Governare il fenomeno con una visione di più ampio orizzonte, allora. E da subito, indicano gli autori, abrogare il reato di clandestinità, superare le barriere dei flussi con l’introduzione del visto d’ingresso per ricerca di occupazione. La solita bontà della sinistra? Per nulla: «Noi non vogliamo affatto bene agli immigrati», scrivono Manconi e Brinis, di nuovo sul filo della provocazione. «Nessuna retorica della solidarietà, nessun terzomondialismo — spiega il senatore —. La convivenza interetnica è necessaria, sempre faticosa, talvolta dolorosa, ma è la sola via. L’alternativa è il conflitto razziale». Lo indicano le cifre, lo confermano gli scienziati sociali: «Favorire la regolarizzazione degli immigrati, garantire loro i diritti di cittadinanza, incentivare l’integrazione è la condizione necessaria perché ci siano più sicurezza e più benessere per tutti, anche in tempo di crisi». Sono sempre gli studi a certificarlo: quando hanno i documenti e una condizione stabile, gli stranieri delinquono meno degli autoctoni. I demografi aggiungono che gli italiani invecchiano (12 milioni gli over 65enni nel Paese): una trasfusione costante di energie diventa indispensabile. E a leggere i testi di economia si scopre che, se la disoccupazione italiana cresce più di quella straniera, è perché il nostro sistema produttivo è vecchio, inadeguato, e ha ancora bisogno di lavoratori sottopagati, poco qualificati, spesso sfruttati. Come sono i migranti. Quel titolo così provocatorio, allora, «intende ribaltare stereotipi e luoghi comuni — conclude Manconi —. E vuole evidenziare il senso di una proposta politica e culturale che, in apparenza, è radicale ma che, nei fatti, si rivela assai equilibrata. E corrisponde alle esigenze del nostro sistema economico e sociale, ai problemi posti dal calo demografico e dal bisogno di nuova forza lavoro che manifestano importanti settori produttivi». Accogliamoli tutti, in sostanza, perché ci conviene.

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