lo stereotipo: “gli zingari rubano i bambini”

bambino rom

“Gli zingari rubano i bambini”: uno stereotipo non suffragato da niente

 

Il vecchio stereotipo che chiunque, almeno una volta, avrà sentito dire nella propria infanzia, è tornato di moda negli ultimi giorni, dopo che i media, con grande enfasi, hanno riportato le notizie delle due bimbe bionde “rapite” dai rom in Grecia e in Irlanda. Le news si sono poi rivelate entrambe prive di fondamento, ma titoli di giornale e servizi in primo piano nei telegiornali avevano già contribuito ad alimentare un clima di isteria collettiva nei confronti dell’intera comunità rom.
Per l’Associazione 21 luglio, organizzazione impegnata nella promozione dei diritti delle comunità rom e sinti in Italia, non soltanto questo stereotipo non è supportato da alcun dato scientifico. Ma, anzi, è in atto un fenomeno che va esattamente nella direzione contraria: ad essere “rapiti” dalle proprie famiglie sono proprio i bambini rom, attraverso le segnalazioni al Tribunale per i Minorenni e le conseguenti adozioni da parte delle famiglie non rom.

Adozioni rom nel Lazio

In un rapporto intitolato Mia madre era rom, l’Associazione 21 luglio ha analizzato il fenomeno delle adozioni dei minori rom a Roma e nel Lazio, portando alla luce “un vero e proprio flusso sistematico e istituzionalizzato di minori rom che vengono strappati ai propri genitori in virtù delle condizioni in cui i bambini vivono nei campi”. La ricerca si sofferma sul Lazio perché è in questa regione che è concentrato il più alto tasso di famiglie rom in condizioni di grave emergenza abitativa che, secondo gli autori del rapporto, sono però “la conseguenza delle politiche orientate all’esclusione sociale, messe in atto dagli amministratori locali ormai da molti anni”.

I dati.

Dai dati della ricerca emerge che un minore rom, rispetto ad un suo coetaneo non rom, ha 60 probabilità in più di essere segnalato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni e 50 probabilità in più che per lui venga aperta una procedura di adottabilità. Di conseguenza, è il dato più emblematico, un bambino rom ha 40 probabilità in più di essere adottato rispetto a un bambino non rom. Il rapporto, che ha preso in considerazione i fascicoli relativi a minori rom affrontati dal Tribunale per i Minorenni di Roma tra il 2006 e il 2012, ha messo in evidenza che in questo arco di tempo è stato segnalato allo stesso tribunale 1 minore rom su 17, pari al 6% del totale dei minori rom nel Lazio. Una percentuale che cade a picco invece nel caso di minori non rom: 0,1%, pari a 1 minore su 1000. È stata poi aperta una procedura di adottabilità per 1 minore rom su 20 e per 1 minore non rom su 1000, mentre 1 minore rom su 33 (pari al 3,1% della popolazione minorenne rom nel Lazio) è stato dichiarato adottabile, contro lo 0,08% dei minori non rom (1 su 1250).

La responsabilità delle istituzioni.

“Segregando i rom nei cosiddetti campi nomadi, le istituzioni locali prima condannano le comunità rom a vivere nel degrado e all’esclusione sociale, lavorativa e abitativa. E poi sottraggono loro i propri figli per proteggerli dal rischio di vivere in quel contesto inadeguato alla fruizione dei diritti dell’infanzia che gli stessi amministratori hanno creato”, afferma l’Associazione 21 luglio, che nei giorni scorsi ha lanciato un appello nazionale con raccolta firme on line per chiedere a otto Presidenti di Regione di abrogare le leggi regionali che istituiscono i campi rom.

Reazioni critiche.

Critica nei confronti del rapporto Mia madre era rom si è detta Melita Cavallo, Presidente del Tribunale per i Minorenni di Roma: “I bambini rom non possono vivere nelle condizioni in cui vivono oggi. Il Tribunale ha il dovere di intervenire e allontanarli da quei contesti di degrado  vuol dire garantire i diritti dell’infanzia, in particolare il diritto alla salute”.

L’impegno della Regione Lazio.

Per l’assessore alle Politiche sociali della Regione Lazio Rita Visini, invece, è vergognoso che la regione che ha al suo interno la capitale del Paese permetta ancora oggi l’esistenza dei campi nomadi. “Sono dei veri e propri ghetti, che favoriscono la diffusione di pregiudizi contro i rom e ne compromettono l’inclusione sociale. I ghetti nomadi vanno aboliti e in tal senso ci impegneremo a cambiare l’attuale legge regionale e a renderla capace di mettere al centro il diritto una vita dignitosa  di queste comunità”.

ancora sulla bambina bionda’rapita’

La vergognosa campagna anti-rom sulla “bambina rapita”

 

La vergognosa campagna anti-rom sulla “bambina rapita”

Forse ho perso qualche passaggio giornalistico, non sono abbastanza attento. L’impressione che ho riguarda una sequenza così: un paio di giorni o tre di clamore su una bambina bionda probabilmente (più che probabilmente) rapita da una coppia di rom. Foto della bambina bionda. Messaggi di migliaia di persone che hanno perso una loro bambina. Flebili (non nella voce che le diceva, ma nell’ascolto che trovava) parole di sorpresa di persone che conoscono i rom, o che sono rom, vantaggio non secondario, e dicevano che i rom sono così pieni di figli che, nonostante la leggenda, rapire figli altrui è l’ultima delle cose cui penserebbero. Scoperta dei veri genitori – cioé, i veri genitori si fanno vivi e dicono di aver dato loro la bambina, e danno delle loro spiegazioni. Titoli dimezzati, che non dicono: “Non era rapita la bambina, e non era scandinava”, eccetera, ma dicono: “Sospetti sulla bambina: forse è stata comprata”. Infine, sparizione della notizia. E’ durato poco, ma è stato bello.

gli zingari non rubano i bambini!

La leggenda dei rom che “rubano”  i bambini e la verità dei fatti

Nella storia  italiana mai un caso di rapimento di bambini da parte dei “nomadi”. Una ricerca  rivela dati allarmanti: rispetto a un non rom, un bambino rom ha quasi 40  possibilità in più di essere dichiarato adottabile.

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La leggenda dei rom che

E’ il 10 maggio del 2008.

La 27enne napoletana Flora Martinelli accusa Maria  Dragan, ragazza rom di 16 anni, di essersi introdotta nella  sua abitazione del quartiere Ponticelli e aver tentato di rapire la sua bambina,  di appena sei mesi. La romnì rischia il linciaggio della folla e viene condotta  in una struttura per minori dalla polizia, che la interroga su quanto accaduto.  Maria risponde di essere andata in quella casa per prendere dei vestiti usati  che voleva darle una signora. Fuori, intanto, esplode la rabbia dei cittadini:  un operaio romeno viene aggredito da 20 persone mentre sta tornando a casa, ma  non è che l’inizio. Due giorni dopo si dà il via a una vera e propria  persecuzione: vengono lanciati sassi e bottiglie incendiarie nel campo rom di  Ponticelli, alcune baracche abitate da famiglie con bambini vanno a fuoco, una  struttura occupata da gitani viene data alle fiamme e un’ape car guidata da un  rom ribaltata. Di fatto gli attentati di matrice razzista si susseguono a decine  e costringono 700 rom di Napoli a fuggire. I media descrivono i fatti come una  “sollevazione popolare”, ma si scoprirà successivamente ben altro: su alcuni  terreni occupati dalle baracche avevano messo gli occhi dei clan camorristici.  Lì, infatti, doveva sorgere il Palaponticelli: ciò voleva dire milioni di euro e  appalti. La storia del rapimento non fu che il pretesto per innescare una  rivolta e sgomberare il campo. Non ci fu, infatti, nessun sequestro di minori da  parte della giovane Maria Dragan, che presto venne scagionata di tutte le  accuse. L’italiana Flora Martinelli era invece parente di un boss camorristico  del territorio.

Mai nella storia italiana si è verificato il rapimento di un minore  non rom da parte di una famiglia rom. Eppure il pregiudizio continua ad  essere ben radicato, alimentato nei giorni scorsi dalle notizie provenienti da  Grecia e Irlanda dove, in alcuni insediamenti rom, sono state trovate  delle bambine bionde. Il colore dei capelli è stato sufficiente a rinfocolare la  credenza popolare: “Sono state rapite”, hanno sostenuto i più, prima di scoprire  che una era la figlia albina della famiglia rom e l’altra era figlia di una  donna bulgara, che l’aveva data in “affidamento” a una famiglia rom pochi giorni  dopo la nascita “perché non potevamo darle da mangiare”. Ancora una volta si è  dimostrato come quella dei “bambini rapiti” non sia altro che una leggenda che  non trova nessun sostegno ufficiale. Lo dimostra anche uno studio del 2008  dell’Università di Verona, che ha rivelato come dal 1986 al 2007, in Italia,  nessun caso di presunto “rapimento” di bambini non rom da parte di rom e sinti  si sia concluso con una condanna per sequestro o sottrazione di persona.  Malgrado ciò nei giorni scorsi le forze dell’ordine hanno effettuato controlli  all’interno dei campi di Salone e Castel Romano – a Roma – e chiesto i  certificati di nascita di alcuni bambini.

Nessun bimbo “non rom”, dunque, è stato mai trovato nelle mani delle  comunità rom e sinte. Ma se fosse vero il contrario? Se fossero le  istituzioni a sottrarre i bambini rom alle proprie famiglie affidandoli in  adozione alle famiglie della società maggioritaria? La tesi, presentata a Roma  dall’Associazione 21 Luglio, è spiegata in un  dossier dal titolo “Mia madre era rom” (versione integrale in calce  all’articolo) che analizza in maniera scientifica la situazione dei minori rom,  a Roma e nel Lazio, che oggi non vivono più presso le proprie famiglie. “Dalla  ricerca – spiega l’Associazione 21 Luglio – realizzata in collaborazione con la  Facoltà di Antropologia culturale dell’Università di Verona, emergono dati  allarmanti, che mettono in risalto un flusso sistematico e istituzionalizzato di  minori dalle famiglie rom a quelle non rom in attesa di adozione, “giustificato”  dalle precarie condizioni abitative alle quali le comunità rom e sinte nel Lazio  sono costrette dalle politche locali in atto”. Condizioni abitative, va  sottolineato, che sono state indotte a seguito del Piano Nomadi della Giunta  Alemanno. Gran parte dei campi rom, infatti, sono di proprietà comunale.

Spiegano i ricercatori dell’Università di Verona: “L’indagine  quantitativa ha mostrato come dal 2006 al 2012 sia stato segnalato al  Tribunale Minorile il 6% della popolazione rom minorenne, ovvero 1 minore rom su  17. La percentuale scende drasticamente, allo 0,1%, per quanto riguarda i minori  non rom, nel cui caso è stato dunque oggetto di segnalazione 1 minore su 1000.  Lo studio indica come negli anni menzionati sia stata aperta una procedura di  adottabilità – ovvero ci si è interrogati sull’opportunità o meno dell’adozione  – per 1 minore rom su 20 e per 1 minore non rom su 1000. Le dichiarazioni di  adottabilità – le sentenze che decidono in via definitiva che un minore sia dato  in adozione – riguardano poi 1 minore rom su 33 – ovvero hanno coinvolto il 3,1%  della popolazione minorenne rom laziale – e 1 minore non rom su 1250 – ovvero lo  0,08% della popolazione non rom laziale. La popolazione minorenne rom  costituisce lo 0,35% del totale della popolazione minorenne laziale, per cui,  dal 2006 al 2012, se le proporzioni fossero rispettate, i minori rom dichiarati  adottabili dovrebbero essere solo quattro. Al contrario di quanto si potrebbe  prevedere, le dichiarazioni di adottabilità sono 117, un numero circa 30 volte  maggiore rispetto a quello atteso. In altri termini, rispetto a un minore non  rom, un minore rom ha circa 60 possibilità in più di essere segnalato alla  Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, circa 50  possibilità in più che per lui venga aperta una procedura di adottabilità e  quasi 40 possibilità in più di essere dichiarato effettivamente adottabile”.

Ma ancora, gli studiosi affermano: “Emerge dalla ricerca come esista  una conoscenza estremamente lacunosa e un forte pregiudizio nei  confronti dei rom da parte delle figure professionali protagoniste dell’iter che  porta alle adozioni. (…) Si è riscontrato, sia da parte dei giudici che degli  assistenti sociali, un diffusissimo approccio culturalista alla questione rom:  la cultura rom diventa nelle parole dei giudici, dei PM e degli assistenti  sociali un bacino, uno spazio omogeneo e uniforme, popolato da figure tra  loro identiche e fortemente stereotipate tra cui spicca quella del rom dedito ad  attività criminali, illecite, violente, all’accattonaggio e allo sfruttamento  dei propri figli. Seppur le condizioni materiali e abitative in cui vivono i rom  vengano riconosciute come pregiudizievoli per i minori, tali condizioni vengono  imputate alla cultura rom e alla volontà dei genitori e raramente si riconosce  il ruolo delle politiche sociali sull’indigenza e sul  degrado abitativo in cui vivono molte famiglie rom.  Oggettivamente, le condizioni di molti “campi” sono inadeguate e ledono i  diritti dell’infanzia. Se però tale inadeguatezza è associata alla cultura rom e  non agli effetti delle politiche locali, sistematicamente volte ad accentuare il  disagio socio-economico dei rom, allora lo strumento di intervento diventa  l’allontanamento del minore dalla propria famiglia, culturalmente e  ontologicamente inadatta a tutelare l’infanzia.

continua su: http://www.fanpage.it/la-leggenda-dei-rom-che-rubano-i-bambini-e-la-verita-dei-fatti/#ixzz2j99Qk2pq http://www.fanpage.it

ancora sulla campagna razzista scatenata contro i rom

occhi azzurri

così, dopo la campagna antizingara  scatenata in riferimento al caso ‘bimba bionda’ il rom inglese diciottenne, Filip Borev, blogger, sul Gardian:

Sono nato con gli occhi azzurri e bianco come una bottiglia di latte. Da quel giorno in famiglia tutti hanno iniziato a scherzare dicendo che mi avevano rubato. Nella situazione attuale mi chiedo quanto sia ancora divertente la battuta», scrive Filip Borev sul Guardian. Diciotto anni,  blogger, inglese, Borev è anche un romanì (parola che indica coloro che con un termine dispregiativo vengono chiamati «zingari»): discendente per parte di madre da rom bulgari e romanì inglesi e per parte di padre di romanì inglesi e pavee, cioè gli «Irish travellers» diffusi in Irlanda, Gran Bretagna e Stati Uniti.

Borev racconta che i suo fratelli avevano invece la carnagione olivastra: «Nella mia famiglia Rom non avrei potuto attirare di più l’attenzione; per fortuna adesso posso passare le battuta sul “bambino rubato” a mio fratello minore, che è nato con degli impressionanti capelli biondi», si consola.

Il giovane blogger inglese (o si dovrebbe definire romanì?) aggiunge poi una considerazione: «Se si dovesse fare una lista delle ragioni per cui un bambino debba essere preso in carico ai servizi sociali, l’essere biondo di certo non sarebbe tra questi».

Eppure è successo ben due volte nell’ultima settimana: prima in Grecia e poi in Irlanda (a dimostrazione di come le paure siano contagiose). In un caso è venuto fuori che la bimba in questione, Maria, non era figlia della coppia di rom, pelle olivastra e capelli scuri, che la stavano allevando come tale. Ma era figlia di rom altrettanto scuri e olivastri, con una progenie però di pargoli biondissimi o rossi, che sembrano usciti da un documentario sulla musica celtica. Mentre nel secondo caso  la piccola, 7 anni (la sua foto non è mai stata pubblicata), è risultata al 100% sangue del sangue dei genitori bruni. E dopo aver passato alcune notti in mano ai servizi sociali di Dublino è potuta tornare con loro. A «rapirla», se di rapimento si vuole parlare, erano state le autorità irlandesi.

La vicenda greca intanto, con le sue immagini di bambini biondi in mano a genitori bruni, ha fatto molta impressione da un capo all’altro dell’Europa. Testimonia soprattutto della nostra incapacità di pensare fuori dai pregiudizi «razziali», sintomo forse di un sostrato razzista di cui neppure noi siamo consapevoli.

I figli biondissimi o rossi di persone con carnagione  occhi e capelli scuri devono il loro aspetto a geni recessivi che si incontrano fortunosamente nel ciclo delle generazioni e poi riemergono nei loro tratti insoliti. «Anche se può sembrarci che gli svedesi siano tutti biondi e i rom tutti scuri (e magari i genovesi tutti tirchi), non è così. Lo si pensava nell’Ottocento, quando era molto forte il paradigma razziale. Ma oggi sappiamo bene che le popolazioni umane sono molto variabili, sia nell’aspetto fisico che nel loro Dna, e comprendono persone dall’aspetto diverso, e a volte molto diverso. Una bambina rom bionda è insolita, ma non più di uno svedese bruno come Ingemar Stenmark», ammonisce Guido Barbujani, genetista dell’università di Ferrara e autore di L’invenzione delle razze. Capire la biodiversità umana (Bompiani).

Eppure se quella bimba apparsa su tutti i siti e giornali non fosse stata così bionda, quasi l’immagine ideale della bambola che tutte le bambine hanno tenuto in braccio,  ci avrebbe colpito meno. Il punto non è che scambiarsi i figli, anche se mossi da condizioni di disperata povertà, è giustamente illegale in Europa (il padre e la madre biologici della bimba, due bulgari, hanno raccontato di averla ceduta perché non potevano mantenerla). Il punto non è neppure che, sempre in Europa, i romanì vivono nelle favelas  e difficilmente accedono a sevizi sociali basilari che possono alleviare quella povertà, fossero solo le case popolari.

Il punto è che quelle immagini di genitori e figli con i tratti somatici così «dissonanti» hanno risvegliato di colpo pregiudizi radicati che di solito ci concediamo il privilegio di ignorare. Il più caparbio è quello della «zingara rapitrice». Lo conoscono tutti e si riassume in una frase: «Le zingare rubano i bambini» – e poi una sfilza di spiegazioni pseudo-razionali (“Li usano per chiedere l’elemosina», «Per loro sono il valore più grande», etc etc).

Non è vero. In un libro documentatissimo (La zingara rapitrice. Racconti, denunce, sentenze, Roma, Cisu, 2008, 144 pp.), Sabrina Tosi Cambini è andata a verificare ogni singolo caso di presunto rapimento imputato a persone rom e sinte in Italia tra il 1985 e il 2007: nessuno è stato accertato. Gli unici «rapimenti» sono quelli in cui romanì vanno a riprendersi i figli affidati ai servizi sociali (cosa illegale e deprecabile, ma ben diversa dall’andare a rubare i figli altrui)

Tosi Cambini racconta come i casi riportati dalla cronaca abbiano tutti le stesse caratteristiche: le protagoniste sono sempre donne; la madre, o una parente stretta del bimbo, accusa una donna romanì di aver voluto rapire il piccolo e sostiene di averlo impedito; di solito il fatto avviene in luogo affollato, ma senza testimoni e senza che nessuno aiuti la mamma (o parente del minore). Secondo Tosi Cambini – che si affida alle ricerche psicologiche sulla percezione –  questi «fatti»si assomigliano tutti perché  sono il frutto di eventi travisati a causa delle nostre aspettative su quello che zingare fanno («rubare i bambini»). Il pregiudizio diventa il filtro attraverso il quale apprendiamo la realtà.

Anche Filip Borev, sul Guardian, ci ricorda che «quello della zingara ruba-bambini è un vecchio stereotipo razzista» e infatti ai tempi d’oro dell’antisemitismo si diceva anche degli ebrei. Forse il caso della bambina bionda trovata in Grecia può insegnarci che di pregiudizi ne abbiamo ancora molti, ed è il caso di abbandonarli.

una campagna internazionale contro i rom

bimba bionda
Dunque anche Maria, la bimba bionda la foto della quale ha fatto il giro d’Europa, non era stata rapita. Semplicemente le persone che si occupavano di lei non erano degne di essere credute, in quanto Rom.

I suoi genitori biologici, Sasha e Atanas Roussev, Rom bulgari, erano troppo poveri per mantenerla e l’avevano affidata alla coppia residente in Grecia alla quale Maria era stata sottratta. Questi l’avevano detto fin dall’inizio ma non erano stati creduti. Troppo poveri i genitori di Maria, così poveri da non poter tenere neanche i figli. Ovvero sottoproletari il babbo e la mamma di quella bimba bionda che per i media razzisti -in quanto bionda- doveva essere una principessina sottratta a chissà quale castello di fate. Fosse stata bruna non se ne sarebbero mai curati, anche se le persone che la tenevano fossero state vichinghe.

Dunque una volta di più (ricordo sempre il libro della Caritas “la zingara rapitrice”) non c’è stato né sequestro né compravendita di bambini, solo troppo disagio, forme di vita troppo arcaiche e inaccettabili per noi che ci sentiamo così civili. Ma basta guardarsi indietro e solo due o tre generazioni fa l’Italia e l’Europa erano pieni di figli di genitori troppo poveri per tenerli, affidati a terzi quando andava bene, abbandonati negli altri casi. Ne abbiamo cancellato perfino la memoria e con questa l’umanità, la capacità di capire l’universo povertà.

Oggi non ci piace come vivono i poveri, non ci piacciono i proletari, ci fanno schifo i lumpen, non ci piacciono i Rom. Ma di questo si tratta perché questa è solo una storia di troppa povertà per loro e troppo razzismo e classismo.  Per noi.

dopo il caso ‘bimba bionda’ c’è chi chiede il censimento dei campi rom

Immagine articolo - Il sito d'Italia

Dopo il caso della piccola Maria, la bambina bionda dagli occhi azzurri ritrovata durante un controllo di routine in un accampamento di nomadi presso la città di Farsala, in Grecia, Claudio Morganti, europarlamentare indipendente nonché vicepresidente dell’Intregruppo sulla disabilità, chiede che venga fatto «un censimento di tutti i campi rom europei e il test del DNA dei bimbi presenti.

L’Ue – dichiara Morganti – continua a ribadire che circa 10-12 milioni di rom sono bersaglio di pregiudizi, di discriminazioni e vengono esclusi dalla società. Tali posizioni dimostrano la lontananza dell’Unione Europea verso questa comunità, che sceglie volutamente di vivere da nomade e che non ha intenzione di integrarsi nella nostra società».

 

In particolare, l’europarlamentare si sofferma sui fondi stanziati dall’Unione Europea. «Tra il 2007 e il 2013 – sottolinea Morganti – sono stati stanziati per le comunità rom 127milioni. Non solo, ma l’Ue – prosegue – nel suo programma 20/20 obbliga di utilizzare parte del fondo sociale europeo e del fondo di sviluppo regionale per l’integrazione dei rom. Questi fondi – spiega – originariamente dovevano essere destinati esclusivamente alle persone disagiate e in difficoltà, come i disabili. Nulla di tutto questo è successo.

Non possiamo restare ancora in una Unione Europea che pensa prima ai rom, anziché ai nostri disabili e alla nostra gente. Vedere, inoltre, realizzare progetti per l’integrazione sociale e lavorativa dei rom, come quello successo a Lamezia Terme dove sono stati stanziati 1.7milioni dall’Ue e 1.2milioni dall’Italia. Tutto questo è uno schiaffo verso quei sei milioni di persone che in Italia non hanno un lavoro oppure verso quei pensionati che, a causa della loro esigua pensione, sono costretti a chiedere carità o a rovistare nei cassonetti. La verità – termina – è che il nostro Governo rimane sordo davanti ai problemi reali della nostra gente e delle persone con disabilità».

“rom ‘biondo’ di carnagione chiara”: parla un rohttp://www.padreluciano.it/wp-admin/plugins.phpm abruzzase dopo il caso della ‘bimba bionda’

bimba bionda

si è fatto un gran parlare nei giorni scorsi a proposito del ‘caso’ della ‘bimba bionda’ non figlia ‘biologica’ dei ‘genitori’ subito definiti ‘rapinatori’, soprattutto un gran sparlare conseguente ad assoluta non conoscenza della realtà rom e soprattutto a quasi compiaciuta ripetitività dei peggiori pregiudizi che ogni volta infangano in modo sempre più irrecuperabile l’immagine del popolo rom, anche dopo le prevedibili, rituali e scontate correzioni di tiro dei mezzi di comunicazione a breve distanza temporale dal lancio di notizie incontrollate.

di seguito le parole di un rom abruzzese, Nazzareno Guarnieri, che si autodefinisce ‘rom di carnagione chiara’, gestore del sito: www.fondazioneromani.it e lui stesso testimone, all’interno della sua stessa famiglia, di qualcosa di simile a quanto vissuto dalla ‘bimba bionda’

Rom “”biondo” di carnagione chiara

Una bambina rom “BIONDA”, di carnagione chiara, è la protagonista del claim della campagna contro il pregiudizio della Fondazione romanì Italia.  (link: http://www.fondazioneromani.it/it/campagna­3r ).
Nelle ultime settimane è scattata la caccia ai bambini rom “biondi” e “carnagione chiara”, presunte vittime di rapimento da parte di famiglie rom. Il pregiudizio falso più antico del mondo  negli ultimi giorni ha ripreso quota: i rom rubano i bambini.
Nelle ultime settimane in tutto il mondo si è parlato di una bambina “bionda” rubata da una famiglia rom in Grecia e l’esame del dna ha accertato che NON erano i genitori biologici. Subito è scattata la psicosi dei bambini “biondi” che non possono essere rom.
In Irlanda la polizia ha individuato la presenza di una bambina rom “bionda” in una famiglia rom, è scattato il pregiudiziale allarme, l’esame del dna ha accertato che la bambina era figlia naturale della coppia rom.
La notizia greca della bambina bionda rubata da una coppia rom ha fatto il giro del mondo e dopo qualche giorno la polizia greca, con una ricerca internazionale, ha trovato i genitori naturali, si tratta di un’altra famiglia rom.  La coppia di rom greci incriminata per rapimento della bimba ha sempre negato l’accusa, sostenendo che la bambina le era stata affidata volontariamente dalla madre che non poteva prendersi cura di lei, e che la richiesta di registrazione presso il comune greco era stata rifiutata.
Chi conosce la realtà rom scopre che a volte,  per diverse motivazioni,  un  bambino  rom    di una determinata famiglia ROM, vive consensualmente e stabilmente in un’altra famiglia ROM, NON per un questione di interessi, ma solo ed esclusivamente per una questione affettiva.
Non è possibile in poche righe spiegare ed illustrare questo dato che sarebbe importante conoscere.   Non è un caso che la Fondazione romanì Italia nell’azione di sistema TRE ERRE abbiamo costruito il progetto ADOZIONE IN VICINANZA, che sarà avviato nell’autunno dell’anno 2014.
Per essere chiaro presento il caso della mia famiglia. Uno dei miei 9 fratelli dopo pochi mesi dalla nascita ha avuto diversi problemi clinici ed è stato costretto alle cure dei sanitari con continui ricoveri in ospedale fino all’età di 4 anni periodo in cui ha iniziato a muovere i primi passi. In tutto questo periodo di malattia mio fratello è stato accudito da due donne rom della mia famiglia allargata che giorno e notte si sono presi cura del suo benessere unitamente ai  miei genitori. Mio fratello con il consenso dei miei genitori ha vissuto con loro per sempre.  I miei genitori non hanno mai abbandonato o venduto il proprio figlio, ma hanno permesso ad altre persone della propria comunità rom di dare ulteriore affetto ed opportunità al proprio figlio. Oggi mio fratello è una persona serena, felice e realizzata.
Le cronache di questi giorni dimostrano quando poco e mal conosciuta sia la realtà romanì a tutti i livelli per l’assenza di una partecipazione attiva e qualificata della popolazione romanì.
Dr. Nazzareno Guarnieri

M. Palagi su facebook cerca di riflettere sul caso dell ‘bimba bionda’

E ora? Intanto proviamo a capire
bimba bionda

Marcello Palagi, non dopo, a posteriori, passato e risolto positivamente il ‘caso’, ma nel pieno della montatura mediatica che come un ciclone si abbatte impietosamente e acriticamente e in modo generalizzante sul popolo rom, semplicemente riflette, prova a capire, a partire non da un’emotività sgangherata fatta di ripetitività di luoghi comuni colti dagli ambienti più gretti, ma a partire da una conoscenza precisa e puntuale della realtà rom basata su uno studio serio della cultura e vita del popolo rom e dalla sua lunga frequentazione amicale con questo popolo

così su facebook invita a ‘cercare di capire’ (in una ‘sintesi’ intelligente – nel suo significato etimologico – che quando potrà desidereremmo diventasse ‘analisi’ più puntuale e proficua):

Sintetizzo quello che avrei in mente di scrivere sull’argomento e che avevo anticipato nel post scriptum di ieri.
I rom biondi esistono, anche se ovviamente sono minoranza come lo sono tra i non zingari italiani. I rom non rubano i bambini, anche se questa è una leggenda metropolitana difficile da eliminare.
Le famiglie Rom hanno caratteristiche diverse dalle nostre. Ad esempio, quando una donna ha finito di allevare i propri figli e non è più  in grado di farne, in genere si fa dare da una delle figlie, ormai maritate e con figli, o da una nuora,una bambina (mai un maschio) da allevare. Così alleggerisce il peso dell’allevamento dei numerosi bambini a una delle proprie figlie o nuora contemporaneamente si prepara ad avere un aiuto per la vecchiaia da questa nipote.
Nel caso in questione della bambina individuata in Grecia, si può ipotizzare, stando alle cronache dei giornali, che sia stata affidata dalla madre naturale che viene data per bulgara, a dei rom greci, in modo che possano ricevere, per lei, i sussidi dallo stato. Se fosse figurata come bulgara non glieli avrebbero dati. Le difficoltà e reticenze dei due affidatari greci, possono spiegarsi in questo modo, avendo truffato lo stato greco. La cosa non è tipica solo dei rom.
I bambini a Carrara venivano, un tempo, oggi meno, definiti con l’appellativo di “bastardi”, “bastardotti”.  Da dove deriva questa definizione? Dal fatto che le istituzioni, nell’ottocento davano in affido, i bambini orfani o in istituto, a privati che venivano scelti tra i più bisognosi, ad esempio a famiglie di cavatori rimasti infortunati e non più in grado di lavorare, corrispondendo loro una determinata cifra per il mantenimento dei piccoli. Una famiglia cercava di averne in affido il più possibile, per ricavare dal cumulo dei sussidi, anche il proprio mantenimento. Si può immaginare quanto gli affidatari fossero preparati e attenti all’educazione di questi bambini. Lasciati liberi di andare in giro, senza nessun controllo e senza che nessuno se ne preoccupasse veramente, diventavano fastidiosi, indisciplinati e casinisti. Di qui la denominazione negativa di “bastardi”, perchè non avevano genitori noti e spesso erano illegittimi.
Il fenomeno dei bambini di famiglie povere affidati ad estranei che li portavano in giro per chiedere l’elemosina era diffuso dovunque. Basta ricordare, di Dickens, Oliver Twist. Mazzini scrive, indignato, nella sua autobiografia di aver trovato a Londra dei bambini italiani che chiedevano l’elemosina ed erano stati portati in Inghilterra da reclutatori di questo tipo di manodopera. Erano i genitori poveri che, dietro compenso e tanto di contratto, spesso scritto, glieli affidavano per anni. Alla fine dell’Ottocento erano famosi e diffusi anche in America, i bambini “suonatori d’arpa” che partivano anche dalle nostre zone, imparavano, più o meno, a suonare qualcosa e andavano alle dipendenze di un appaltatore a mendicare.
Anche Fenoglio e Nuto Revelli, descrivono fenomeni analoghi di bambini affidati ad altri, e portati in giro a lavorare o a elemosinare, in tempi relativamente recenti (prima metà del ‘900). Io ho avuto un collega, un po’ più anziano di me, che nel dopoguerra ha fatto questa vita. Le famiglie del paese affidavano i loro figli a una donna che li portava  nella campagne, in genere verso Parma a elemosinare cibo. Stavano via settimane, dormivano dove trovavano. In questo caso, non venivano maltrattati, costituivano una specie di cooperativa di fatto, che poi si divideva quanto veniva raccolto. 
Tra i rom è emerso, una quarantina di anni fa, il fenomeno degli “argati”, bambini appaltati in Kosovo, da famiglie rom senza reddito, e portati in Italia o altre nazioni europee, da “affidatari”, non necessariamente rom, a chiedere l’elemosina  (Kusturica gli ha dedicato il film “Il tempo dei gitani”). Oggi, dopo la caduta del muro e il dissolvimento del mondo comunista, è probabile che il posto dei kosovari, sia stato occupato dai bambini più poveri, dai bulgari, dai montenegrini, o chissà chi.
Credo che argomenti come questo vadano compresi, senza fanatismi e in modo laico, ricorrendo alla ragione e alle conoscenze, e non a quello che si è sentito dire.
Chi è povero, emarginato, senza reddito e lavoro, si inventa continuamente metodi per sopravvivere. Non è che si debbano approvare necessariamente, ma cercare di inquadrarli e capirli  nel contesto in cui si manifestano, sì.
I rom non sono dei criminale che rubano bambini, ma uomini e donne che hanno difficoltà a sopravvivere in questa società e in questo periodo di crisi generalizzata  e si ingegnano come possono. Del resto, nei periodi di crisi, la devianza e quindi i crimini aumentano, anche tra i non rom, segno che sono la povertà e il bisogno a determinarli.
Va anche tenuto conto che in Grecia, in questo momento, c’è una diffusa mobilitazione antirom, come risposta alla crisi, come ricerca cioè di capri espiatori su cui scaricare tensioni, frustrazioni e responsabilità che non sono loro. Probabile che se questo caso della bambina bionda fosse emerso qualche anno fa, non avrebbe avuto l’impatto emotivo che ha oggi e non ne avremmo saputo niente in Italia. Come dubito che siano molti quelli che hanno avuto notizia o sappiano qualcosa degli argati, fenomeno che si è verificato in Italia, come ho detto, qualche decennio fa.
Per quanto riguarda il rapimento dei bambini, bisogna avere chiaro che i rom  non rapiscono i bambini. Si tratta di una leggenda metropolitana. Mentre è vero il contrario che moltissimi bambini rom vengono sottratti alle loro famiglie, dai servizi sociali, anche nostri, locali. I rom hanno anche troppi figli, e non si capisce perché dovrebbero procurarsene altri, rapendoli. Nel sito della polizia italiana si leggeva fino a qualche tempo fa, che negli ultimi cinquant’anni non  risultavano bambini rapiti dagli “zingari”. La cosa viene confermata da due importanti ricerche  scientifiche che sono state condotte, su iniziativa delle Migrantes, nell’ambito dell’Università di Verona, ma il loro impulso è venuto da una preoccupata discussione in casa mia, perché avevamo constatato, tra persone che hanno rapporti di amicizia o di vita con i rom, che, anche considerando solo la nostra zona, da La Spezia a Pisa, ai rom erano stati portati via, nell’arco di un anno, molti  bambini dai servizi sociali, anche con pretesti inconsistenti. Le due ricerche sono poi state programmate e organizzate, in modo del tutto autonomo rispetto a noi.  La prima, di Sabrina Tosi Cambini, “La zingara rapitrice” ed. Cisu, analizza i racconti, le denunce e le sentenze relativa ai bambini rapiti dagli zingari, come appaiono sulla stampa, tra il 1986 e il 2007. La seconda di Carlotta Saletti Salza, “Dalla tutela al genocidio”, 2 voll, ed. Cisu, chiarisce, ricorrendo all’esame delle sentenze di molti  tribunali dei minori e delle relazioni dei servizi sociali relativi, come e perché, nello stesso periodo (1986 – 2006), alcune centinaia di bambini rom, nel nostro paese, siano stati tolti alle loro famiglie e dati in adozione, sulla base dei pregiudizi correnti, da cui non sono affatto esenti servizi sociali e giudici. Ulteriore conferma, per chi ne avesse voglia, viene dallo studio di Gabriella Petti, “Il male minore. La tutela dei minori stranieri come esclusione”, ed Ombre corte, dove vengono messi sotto accusa impietosa la cultura le ideologie e i pregiudizi dell’assistenza sociale e dei tribunali dei minori, su questa materia, in Italia.

l’ennesimo flop del pregiudizio ‘zingaro ruba bambini’

bimba bionda

Grecia, ritrovata la madre di Maria: “regalata perché non potevo mantenerla”

sono bastati pochi giorni (come del resto anche tutte le altre volte che si è voluto cavalcare) per vedere smontato e miseramente smascherato il pregiudizio del ‘rom ruba bambini: nel frattempo però la m…a messa nel frullatore ha sporcato ancora di più l’immagine che da sempre sporchiamo, permettendoci nei loro confronti le ingiurie più fantasiose, e chi chiederà loro mai scusa in modo minimamente credibile? chi restituirà loro un briciolo di una ‘stima sociale’ (si fa per dire!) perduta da sempre?

Maria risulta non essere la figlia biologica dei genitori rom che la tenevano in casa

È una donna bulgara di 35 anni il genitore biologico della bambina bionda che viveva con i rom 

Rintracciata la vera madre della piccola Maria, la bambina di circa cinque anni bionda e con gli occhi verdi ritrovata la settimana scorsa in un campo rom nella Grecia centrale e risultata non essere figlia biologica dei coniugi che la tenevano in casa insieme con un’altra dozzina di ragazzini. Lo riferisce l’edizione online del quotidiano Kathimerini citando fonti giornalistiche bulgare. La madre biologica di Maria sarebbe Sasha Ruseva, 35 anni, di nazionalità bulgara.  

 

«Abbiamo lasciato la piccola Maria in Grecia perché non avevamo da mangiare, non avevamo lavoro e non potevamo curarci anche di lei. L’abbiamo regalata, l’abbiamo lasciata senza prendere un soldo». Così Sashka Russev, la mamma di Maria -la bimba ritrovata in un campo rom in Grecia, racconta all’agenzia bulgara Bgnes perché ha dovuto abbandonare sua figlia, dopo essere scoppiata in lacrime davanti alle immagini della bimba in televisione. «Avevo intenzione di tornare e di portare via con me la bambina, ma nel frattempo ho avuto altri due figli e quindi non ho potuto farlo», ha raccontato la donna all’emittente televisiva.  

 

Ha inoltre insistito molto sul fatto di non essere stata pagata dalle persone che hanno accolto la neonata in Grecia. La polizia della Bulgaria non ha voluto commentare la notizia.La famiglia Russev ha dieci bambini dei quali cinque sono albini e, secondo il cronista di Bgnes, assomigliano molto alla piccola Maria. Sashka e il marito Atanas sono stati interrogati dalla polizia di Nikolaevo. 

 vedi anche i due link qui sotto:

+ Grecia, una coppia rom incriminata per il rapimento della piccola Maria 

+ Maria, nei guai gli impiegati che hanno rilasciato il certificato di nascita

 

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