a proposito di ‘senso di responsabilità’

 

 

 

orchidee

il ‘senso di responsabilità’ cui ogni giorno Napolitano richiama le varie forze politiche è senz’altro di primaria importanza nella vita politica, ma quando rischia di coincidere col suo opposto perché inteso in modo tale che in suo nome si debba chiudere tutti e due gli occhi su situazioni di grande scandalo interno e internazionale allora …

in questo senso la bella ‘amaca’ odierna di M. Serra:
L’AMACA del 19/07/2013 (Michele Serra).

 

Il “senso di responsabilità” del quale il presidente Napolitano è il più autorevole e tenace depositario è un sentimento importante e rispettabile. Ha però un limite: non riconosce doveri fuori da se stesso. Non tollera smentite, non conosce eccezioni. Se — per esempio — la solidità di un governo viene considerata coincidente con il “senso di responsabilità”, allontanare un ministro che si è reso colpevole di una paurosa lesione del diritto democratico diventa, automaticamente, cosa contraria al “senso di responsabilità”. La vecchia destra comunista — fucina di notevoli personalità politiche, da Amendola a Chiaromonte allo stesso Napolitano — è stata, del “senso di responsabilità”, formidabile latrice. Ma ogni impennata etica, ogni accelerazione sociale, ogni eccessiva movimentazione del paesaggio politico veniva (e viene ancora) vista come una pericolosa, incontrollabile incrinatura del “senso di responsabilità”. Il caso Alfano non è il primo né l’ultimo nel quale viene da domandarsi quante giuste cause, quanti sacrosanti obiettivi, quanti atti di coraggio, quanti germi di novità sono stati scannati come agnelli sacrificali sull’ara del “senso di responsabilità”.

 

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che la chiesa sia con lui

 

 

 

il papa

ce la farà? tutti se lo domandano in modo accorato perché  hanno imparato a volergli bene per la sua semplicità, spiritualità e desiderio vero di ‘far pulizia’ non mettendo sotto il tappeto l’immondizia

ce la farà? ce lo domandiamo perché lui sa bene e lo sappiamo anche noi che ‘nemo profeta in patria’ e alcuni luoghi sono covi di vipere

ce la farà? se lo domanda anche M. Cacciari in questo bell’articolo:

Francesco e Benedetto insieme sono un messaggio potente di concordia. Ma non è detto che l’Istituzione lo segua. Perché come la politica è bloccata dal dualismo amico-nemico
 
Non stupisce che dopo il viaggio a Lampedusa l’universale popolarità di Francesco a bbia toccato i suoi picchi più alti. «Le statistiche le fa Dio», ha detto. Ma c’è una evidente coincidenza tra le parole e i gesti di questo papa e quelli che gli potrebbe suggerire un pianificatore scientifico de l suo successo. Quasi tutto ciò che egli fa e dice è difficilmente contestabile dall’opinione pubblica cattolica e laica, a cominciare da quel «quanto vorrei una Chiesa povera e per i poveri» che è diventata la carta d’identità dell’attuale pontificato.

Un elemento chiave della popolarità di Francesco è la sua personale credibilità. Da arcivescovo di Buenos Aires abitava in due stanze modeste. Si cucinava da sé. Si spostava in autobus e metropolitana. Fuggiva come la peste gli appuntamenti mondani. Non ha mai voluto far carriera, anzi, si è pazientemente fatto da parte quando la sua stessa Compagnia di Gesù, di cui era stato per alcuni anni superiore provinciale in Argentina, lo aveva bruscamente deposto e isolato. Anche per questo, ogni volta che invoca povertà per la Chiesa e picchia duro contro le ambizioni di potere e la bramosia di ricchezza presenti nel campo ecclesiastico, nessuna voce si leva per criticarlo. Chi mai potrebbe giustificare l’oppressione del misero e fare l’apologia delle immeritate carriere? Chi mai potrebbe contestare a Francesco di predicare bene ma razzolare male? Sulla bocca dell’attuale papa, quello della Chiesa povera è un paradigma infallibile. Riscuote un consenso praticamente universale, sia tra gli amici sia tra i nemici più accesi della Chiesa, quelli che la vorrebbero talmente depauperata da sparire del tutto.

Ma poi c’è un altro fattore chiave della popolarità di Francesco. Le sue invettive, ad esempio, contro la «tirannia invisibile» delle centrali finanziarie internazionali non colpiscono un obiettivo specifico e riconoscibile. E quindi nessuno dei veri o presunti “poteri forti” si sente effettivamente toccato e provocato a reagire. Anche quando le sue reprimende prendono di mira malefatte interne alla Chiesa, esse restano quasi sempre sulle generali. Una volta che papa Bergoglio, in una delle sue colloquiali omelie mattutine, affacciò un dubbio esplicito sul futuro dello Ior, l’Istituto per le Opere di Religione, la discussa “banca” vaticana, i portavoce fecero a gara per derubricare la cosa. E l’altra volta in cui denunciò che una «lobby gay» in Vaticano «è vero, c’è», la minimizzazione scattò ancora più unanime. Persino l’opinione pubblica laica gli ha perdonato questa asserzione, con un’indulgenza che sicuramente non sarebbe stata concessa al predecessore.

Il parlare di papa Francesco è sicuramente uno dei suoi tratti più originali. E’ semplice, comprensibile, comunicativo. Ha l’apparenza dell’improvvisazione, ma in realtà è accuratamente studiato, tanto nell’invenzione delle formule – la «bolla di sapone» con cui a Lampedusa ha rappresentato l’egoismo dei moderni Erode – quanto nei fondamentali della fede cristiana che egli più ama ripetere e che si condensano in un consolante «tutto è grazia», la grazia di Dio che incessantemente perdona pur continuando tutti a essere peccatori.

Ma oltre alle cose dette ci sono quelle deliberatamente taciute. Non può essere un caso che dopo centoventi giorni di pontificato non siano ancora uscite dalla bocca di Francesco le parole aborto, eutanasia, matrimonio omosessuale. Papa Bergoglio è riuscito a schivarle persino nella giornata che ha dedicato alla “Evangelium vitae”, la tremenda enciclica pubblicata da Giovanni Paolo II nel 1995 al culmine della sua epica battaglia in difesa della vita «dal concepimento alla morte naturale». Karol Wojtyla e dopo di lui Benedetto XVI si spesero incessantemente in prima persona per contrastare la sfida epocale rappresentata dalla odierna ideologia del nascere e del morire, come pure dalla voluta dissoluzione della dualità originaria tra maschio e femmina. Bergoglio no. Sembra ormai comprovato che abbia deciso di tacere, su questi temi che investono la sfera politica, convinto che tali interventi competano non al papa ma ai vescovi di ciascuna nazione. Agli italiani l’ha detto con parole inequivocabili: «Il dialogo con le istituzioni politiche è cosa vostra». Il rischio di questa divisione dei compiti è alto, per lo stesso Francesco, dato il giudizio poco lusinghiero che egli ha più volte mostrato di avere sulla qualità media dei vescovi del mondo. Ma è un rischio che vuole correre. Questo suo silenzio è un altro dei fattori che spiegano la benevolenza dell’opinione pubblica laica nei suoi riguardi

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poveri, sempre più poveri!

 

 

bambino

secondo l’Istat 3 milioni di famiglie vivono in povertà

poveri, sempre più poveri : un milione e settecentoventicinquemila sono da considerarsi assolutamente povere

qui sotto una appropriata riflessione di Chiara Saraceno:

UN ARGINE ALLA POVERTÀ (Chiara Saraceno)

Per il secondo anno consecutivo, e in modo più accentuato, è aumentata sia la povertà relativa (cioè in riferimento al tenore di vita medio, per altro diminuito nel 2012 rispetto all’anno precedente) sia quella assoluta, che riguarda l’impossibilità di acquistare un paniere di beni essenziali. In entrambi i casi, il peggioramento riguarda tutte le aree territoriali (anche se nel Mezzogiorno l’incidenza della povertà relativa è oltre tre volte quella del Centro-Nord e quella assoluta quasi doppia) e quasi tutti i tipi di famiglie: le più giovani e le meno giovani, quelle più numerose e quelle più piccole, quelle in cui nessun adulto è occupato ma anche, in minor misura, quelle con occupati, le famiglie di operai e, in minor misura, quelle di impiegati. La disoccupazione ha ridotto il numero di percettori di reddito in famiglia, la riduzione dell’orario di lavoro e la cassa integrazione hanno ridotto il reddito degli occupati. Sono soprattutto le famiglie relativamente giovani e con figli minori quelle che hanno visto peggiorare maggiormente la propria situazione. Si trova in condizione di povertà assoluta, cioè non in grado di alimentarsi adeguatamente e di far fronte alle necessarie spese per l’abitazione, il 17,1% delle famiglie con tre o più figli minori (oltre il 6% in più dell’anno precedente), e il 10% (quasi il doppio dell’anno precedente) di quelle con due. Le percentuali sono più alte – rispettivamente 28,5 e 20,1 per cento – nel caso della povertà relativa. I minori e le loro famiglie si confermano così i soggetti più vulnerabili alla povertà nel nostro Paese. I minori in condizione di povertà assoluta sono un
milione e 58 mila, un quarto di tutte le persone in queste condizioni. Un dato impressionante in un Paese in cui periodicamente ci si lamenta per la bassa fecondità e ci si preoccupa, giustamente, dei Neet, dei giovani che non sono né a scuola né al lavoro, ma poco o nulla si fa per evitare che un’ampia porzione dei bambini che ci sono cresca in condizioni materiali inadeguate. La vulnerabilità dei minori è particolarmente alta se abitano nel Mezzogiorno e se nessun adulto in famiglia è occupato. Quasi la metà di tutti coloro che sono in condizioni di povertà assoluta, infatti, vive nel Mezzogiorno, dove è anche più alta l’incidenza di famiglie in cui nessuno è occupato o ritirato dal lavoro. Tra queste ultime, a livello nazionale si trova in povertà assoluta il 30,8% delle famiglie (l’8,5% in più rispetto all’anno prima). La mancanza di occupazione, e il suo prolungarsi senza speranza, sta diventando un disastro antropologico, che allarga le sue conseguenze dagli individui alle famiglie, dagli adulti ai più piccoli.
Solo per gli anziani che vivono da soli l’incidenza della povertà assoluta non è aumentata e quella della povertà relativa è diminuita un po’ (per effetto del peggioramento complessivo del restante della popolazione). È probabilmente l’effetto positivo del mantenimento dell’indicizzazione per le pensioni più basse. Stante l’elevato numero di coloro che – come segnalato ieri dal rapporto annuale Inps – hanno una pensione attorno, o inferiore, ai 500 euro, esso non è stato tuttavia sufficiente a ridurre la povertà degli anziani che vivono con altri e la cui pensione è talvolta l’unico reddito sicuro in
famiglia.
A parte le pensioni, ci si può interrogare sull’adeguatezza degli ammortizzatori sociali messi in campo. Sempre il rapporto Inps ha evidenziato che la spesa per il sostegno al reddito non è piccola: oltre 22 miliardi nel 2012, di cui sei per la sola cassa integrazione, il resto per indennità di disoccupazione e mobilità, invalidità civile, contributi figurativi e simili. Sicuramente queste misure di sostegno hanno impedito a molte famiglie di cadere in povertà assoluta. Ma, a fronte dell’aumento di quest’ultima e delle caratteristiche di chi la sperimenta, non ci si può esimere dal riflettere sui costi sociali della mancanza, nel nostro Paese, di due strumenti che in altri si sono rivelati piuttosto efficaci nel contrastare gli effetti più negativi della povertà. Il primo è l’assegno per i figli, che aiuti chi ha figli a sostenerne il costo, perciò impedendo che la scelta individuale di investire sul futuro si traduca in povertà per sé e per i propri figli. Il secondo è un reddito di garanzia per chi si trova, appunto, in povertà, integrato da misure di inclusione e attivazione. L’Italia è uno dei pochi Paesi europei occidentali a non avere né l’uno né l’altro strumento, affidandosi invece a misure frammentate e categoriali, che, mentre lasciano molti, di solito i più deboli, scoperti, talvolta beneficiano chi invece non ne avrebbe bisogno. Sarebbe opportuno che la presa d’atto dell’emergenza sociale evidenziata dai dati sulla povertà sollecitasse in tutti la necessità di una revisione della spesa per il sostegno al reddito, in direzione di una maggiore equità ed efficacia.

Da La Repubblica del 18/07/2013.

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legge per la cittadinanza

Chaouki

INTERVISTA A KALID CHAOUKI: “LA MIGLIORE RISPOSTA A CALDEROLI? LA LEGGE PER LA CITTADINANZA” 
17 luglio 2013

 

 

«Ho proposto al mio gruppo di uscire dall’aula quando Calderoli presiederà la seduta di Palazzo Madama». Comincia così il nostro colloquio con Khalid Chaouki, il giovane deputato del Pd, nato a Casablanca e emiliano d’adozione. E’ una buona idea, un gesto simbolico importante, naturalmente unito all’impegno per una legge, presto, sullo ius soli. Khalid Chaouki è nato a Casablanca nel 1983 ma è cresciuto in Emilia. Oggi è un giovane deputato del Pd. E’ anche responsabile «Nuovi italiani» del partito di Epifani. Un ruolo delicato perché spesso è proprio lì – nel suo partito – che nasce “il problema”. Il presente è quello che è, un disastro, ma è anche vero che Khalid Chaouki ha il futuro davanti.

Dici che le sparate leghiste fanno parte di una strategia e che si rischia la caccia all’immigrato, per questo inviti a disertare l’aula qualora Calderoli dovesse presiederla. Gesti simbolici importanti, poi non credi che l’unica cosa da fare per il Pd sia battersi per lo ius soli?
La battaglia per le dimissioni di Calderoli è importante, anche se purtroppo non abbiamo molti strumenti a disposizione, ma è chiaro che a questo punto la migliore risposta sia una legge sulla cittadinanza. Noi ci impegneremo fino in fondo. Per i diritti degli stranieri, e per far fare un salto di qualità all’Italia, siamo un paese multietnico e dobbiamo imparare ad accettarlo. Io – e tanti parlamentari la pensano come me – sono convinto che sia necessario battersi ora, durante questa legislatura. A tutti i costi.

Se dipendesse da te, minacceresti di far cadere il governo?
La posta in gioco vale questo rischio. Non vedo perché la legge sulla cittadinanza non possa essere una priorità come l’Imu o l’Iva, stiamo parlando di diritti umani e mi sembra decisamente più importante.

Cécile Kyenge sarà anche il primo ministro nero della storia d’Italia, ma bisogna anche ammettere che fa parte di un governo che quasi nulla potrà concedere agli immigrati. La durata e la qualità politica delle “larghe intese” dipendono da Berlusconi e dalla peggior destra.
Lo so, questo è un governo che non ci piace. Ma il fatto che Cécile Kyenge ne faccia parte segnala comunque una rottura con i governi precedenti. Però non vorrei che, soprattutto a sinistra, lei diventi un simbolo per lavare la nostra coscienza. Noi ci impegniamo a sostenerla concretamente con il nostro lavoro, non ci accontentiamo di un simbolo, chiedo al governo di impegnarsi per riconoscerle un ruolo sempre più determinante. Roberto Calderoli non l’abbiamo scoperto ieri, portava i maiali a passeggiare davanti alle moschee, indossava magliette contro l’islam…

Il Pd, dopo venticinque anni di Lega, non ha alcuna responsabilità se oggi un personaggio simile è vice presidente del Senato?
Solo una premessa: questo incarico gli era dovuto per una questione di garanzia istituzionale. Detto questo, è evidente che negli anni il Pd ha colpevolmente sottovalutato il fenomeno Lega e il razzismo dei leghisti. Lo abbiamo scambiato per folklore, di più, alcuni nostri amministratori hanno scimmiottato la Lega sul tema della sicurezza. Ricordo il caso degli «stupratori rumeni»… e altri clamorosi errori di questo tipo. Adesso stiamo pagando un conto molto pesante per questo ritardo culturale. Ma le cose stanno cambiando al nostro interno, ci sono parlamentari nuovi, giovani, stiamo imparando a chiamare le cose con il loro nome: razzismo.

Non trovi che tutta questa indignazione sia un po’ ipocrita? Due anni fa, non venti, Pierluigi Bersani intervistato dalla Padania disse: «Non ho bisogno che qualcuno mi spieghi che la Lega non è razzista, lo so».
L’ho già detto, abbiamo commesso diversi errori. Nel passato, a più riprese, la Lega ha tentato di darsi un tono per recuperare credibilità, e noi ci siamo sempre augurati che quello fosse un partito diverso da quello che è. Invece le dichiarazioni di oggi, gli insulti al ministro, dimostrano che si tratta di una forza razzista con cui non possono esserci mediazioni.

Non ti senti un po’ isolato nel Pd?
La mia sfida è di fare da guida al partito su questi temi, siamo sempre di più, soprattutto tra i giovani, e confidiamo nella fiducia del segretario.

(da: “Il Manifesto”)

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assedio finito tra vaticano e teologia della liberazione?

giustizia

dopo la persecuzione subita sotto i due precedenti pontefici, sembra che tiri aria nuova sotto papa Francesco

sembra che si possa parlare di assedio finito: il dubbio e le speranze dei teologi della liberazione

qui di seguito riflessioni in questo senso tratte da Adista:

 Tra il Vaticano e la Teologia della Liberazione pare che ci sia proprio aria di pace. L’assedio implacabilmente mantenuto alla TdL sotto i pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI è sembrato allentarsi già con la nomina di Gerhard Ludwig Müller alla guida della Congregazione per la Dottrina della Fede: amico di uno dei fondatori della corrente teologica latinoamericana, il peruviano Gustavo Gutiérrez (la cui ortodossia è stata peraltro certificata dallo stesso Ratzinger, in seguito a un non irrilevante percorso di revisione da parte del teologo), il nuovo prefetto aveva nel suo biglietto da visita affermazioni decisamente favorevoli alla TdL, la quale, a suo giudizio, è «ortodossa perché è ortoprassica» e «ci insegna il modo giusto dell’agire cristiano, perché procede dalla vera fede».

Ci ha pensato poi papa Bergoglio, con il suo auspicio di «una Chiesa povera e per i poveri» e con il suo stile semplice e sobrio a suscitare l’entusiasmo di vari teologi della liberazione, i quali – malgrado i suoi scritti e le sue pratiche pastorali (nonché la sua condotta nei confronti delle vittime del regime militare argentino) fossero andati fino ad allora in un’altra direzione – hanno voluto cogliere nelle parole e nei gesti del nuovo papa non tanto una forma di adesione alla TdL quanto una traduzione concreta di quanto tale teologia ha sempre sostenuto. Servono tuttavia passi concreti per valutare la fondatezza o meno di tali entusiasmi, come quello che ha chiesto a papa Bergoglio mons. Pedro Casaldáliga per il tramite di Adolfo Pérez Esquivel. Come riporta infatti Religión Digital (27/6), il Premio Nobel argentino, prima della sua udienza con il papa, ha chiamato il vescovo emerito di São Felix do Araguauia, il quale ha approfittato dell’occasione per trasmettere a Bergoglio due richieste: che difenda gli indigeni e che riabiliti i teologi della liberazione perseguitati e condannati.

«È vero – ha dichiarato Pérez Esquivel dopo il suo incontro con il papa – che vi sono stati problemi con molti teologi della liberazione. Bisogna rivedere molte cose. Le teologie non sono mai definitive, sono cammini da costruire». Quanto alla risposta che darà Bergoglio, il Premio Nobel si è mantenuto prudente: «C’è tempo per tutto, sono passati appena 100 giorni dalla sua elezione. Non sono facili i cambiamenti in Vaticano. Bisogna aspettare. Non attendiamoci cambiamenti improvvisi, perché non ci saranno». Tuttavia, Pérez Esquivel si è detto convinto che il papa «promuoverà la riconciliazione con la Teologia della Liberazione. Il papa è un pastore, altri sono stati dei funzionari. Questa è la differenza».

Il tema del rapporto tra Bergoglio e la TdL continua pertanto ad essere al centro di analisi e dibattiti. «In passato – scrive per esempio il gesuita Jorge Costadoat Carrasco, professore della Pontificia Università Cattolica del Cile e direttore del Centro Teologico Manuel Larraín (Reflexión y Liberación, 24/6) – Jorge Mario Bergoglio è stato contrario alla Teologia della Liberazione? Probabilmente in più di un punto. Attualmente, papa Francesco è un avversario di questa teologia? L’impressione è che non lo sia». E il fatto che tanti teologi della liberazione si siano identificati con il nuovo papa, vedendo in lui «qualcuno che punta sui poveri», è, secondo il gesuita, sicuramente un segnale di grande importanza.

Ma c’è anche chi ritiene che lo stile di papa Bergoglio richiami una prospettiva completamente distinta dall’approccio antisistemico della TdL. Secondo Maciek Wisniewski (La Jornada, 21/6), per esempio, la cifra dell’austerità del papa riflette «una critica “morale”» agli «“eccessi” di imprese, banche e mercati» che finisce per rivelarsi completamente innocua rispetto alla necessità di «una soluzione politica alla crisi»: «Papa Francesco – afferma – critica il culto del denaro (“vitello d’oro”), ma non mette in discussione la nostra fede nel capitalismo».Sui segnali di un diverso atteggiamento in Vaticano rispetto alla Teologia della Liberazione e sulla loro reale consistenza si sofferma anche il teologo colombiano Héctor Alfonso Torres Rojas, il quale, tra l’altro, interpreta come un segno del favore papale verso la TdL la scelta di fare dono alle autorità latinoamericane ricevute in udienza del documento della V Conferenza dell’episcopato latinoamericano, svoltasi ad Aparecida nel 2007 (che tuttavia, al di là del recupero formale di alcuni elementi chiave, riflette una prospettiva ecclesiocentrica e autoreferenziale quanto mai distante dal regnocentrismo su cui pone l’accento la Teologia della Liberazione). Di seguito il suo articolo (Redes Cristianas, 30/6), in una nostra traduzione dallo spagnolo. (claudia fanti)

Non è mai troppo tardi

di Héctor Alfonso Torres Rojas

Recentemente, il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (ex Sant’Uffizio o Inquisizione), il cardinale tedesco Gerard Müller, ha dichiarato che la Teologia della Liberazione non confligge con la teologia cattolica: «Il movimento ecclesiale e teologico dell’America Latina, noto come “Teologia della Liberazione”, che dopo il Vaticano II ha trovato un’eco mondiale, è da annoverare, a mio giudizio, tra le correnti più significative della teologia cattolica del XX secolo». Müller ricopre questa carica dall’anno scorso, per volontà di Benedetto XVI. Mi ha sorpreso che, fin dall’inizio, sia stato presentato come grande amico e ammiratore di Gustavo Gutiérrez, “padre” della Teologia della Liberazione.

È meritevole che Müller riconosca le carenze e/o gli errori della CdF, soprattutto considerando il fatto che egli collaborò personalmente alla redazione delle due istruzioni su e contro la TdL nel 1984 e nel 1986.Vi sono state diverse manifestazioni di consenso rispetto alla dichiarazione del cardinale. Bene. Però… a cosa si deve?

Penso a due possibili ragioni.

La prima: alcuni segnali di papa Francesco? Ho letto da qualche parte che il papa sta facendo dono alle autorità latinoamericane che si recano a visitarlo del testo della V Conferenza dell’episcopato latinoamericano, svoltasi ad Aparecida nel 2007, della cui redazione l’allora card. Bergoglio è stato uno dei protagonisti. E ad Aparecida si è respirata Teologia della Liberazione.

La seconda: un passo significativo verso un’autentica o relativa libertà di ricerca e di espressione di idee teologiche, senza timori e tremori? E quale migliore simbolo che la riabilitazione della TdL?Qualche mese fa un teologo ipotizzava che una delle ragioni dell’abdicazione di Benedetto XVI potesse essere la constatazione del fallimento ecclesiale della teologia, la “sua teologia”, che aveva cercato di imporre a partire dal pontificato di Giovanni Paolo II. Come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Ratzinger ha condannato circa 200 teologi e teologhe di tutti i continenti e di diverse culture. Che ne era allora dell’inculturazione della fede?Questa sistematica condanna di altre teologie non solo ha portato discredito al Vaticano ma ha condotto anche all’enorme crisi che attraversa la Chiesa-Popolo di Dio.Se le domande che formulo sono valide, benvenuto sia il nuovo atteggiamento vaticano, così atteso e necessario. Di più: estremamente urgente.

Tuttavia ho alcuni però…

Primo però. Affinché questo nuovo atteggiamento sia oggi più credibile, il contesto dei Diritti umani esige da tutte le autorità Verità, Giustizia e Riparazione. E, ancor di più, dichiarazione e/o convinzione di non reiterazione.Diciamo, per meglio comprenderci, che il primo principio, la Verità, si sta realizzando. La TdL presenta più verità che errori.Mancano però la giustizia e la riparazione verso i teologi e le teologhe che sono stati così maltrattati, e persino umiliati. Verso gli uni e le altre si sono applicati, in modo arrogante, giudizi affrettati che hanno condotto ad un’ingiusta applicazione del Codice di Diritto Canonico.

Non ha rappresentato un’umiliazione e un’evidente violazione dei diritti umani il fatto di aver obbligato Leonardo Boff a un anno di silenzio assoluto? È necessario andare a leggersi e a rileggersi il racconto di Leonardo Boff, seduto sul banco degli imputati di fronte al card. Ratzinger. Non ha rappresentato un’umiliazione il silenzio imposto alla religiosa e teologa Ivone Gebara, obbligata a lasciare il Brasile? Se non mi sbaglio, sono stati i casi più estremi… Ma per l’Inquisizione sono passati Gustavo Gutiérrez, Jon Sobrino…

Il card. Gerard Müller, in consonanza con le dichiarazioni di papa Francesco sulla Chiesa dei Poveri, ha l’obbligo evangelico ed etico di chiedere perdono alla Chiesa dei Poveri latinoamericana per i soprusi commessi contro le sue pratiche pastorali e contro i teologi e le teologhe dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Come pure per i soprusi da parte di altre istanze vaticane contro sacerdoti e vescovi (Romero, Méndez Arceo, Proaño…), contro la Clar (Confederazione latinoamericana e caraibica dei religiosi e delle religiose, alla quale, negli anni Ottanta fu proibito di sviluppare e portare avanti una proposta di lettura e rilettura biblica, cioè di Nuova Evangelizzazione), le Comunità ecclesiali di Base (CEBs), differenti movimenti laicali…

Secondo però. Per rendere credibili i venti di rinnovamento vaticani, è necessario chiudere i processi condotti dalla CdF contro latinoamericani e latinoamericane.

Terzo però. Il riconoscimento della TdL dovrà estendersi alle teologie progressiste dell’Europa, alle teologie africane e asiatiche…

Quarto però. Nei processi portati avanti dalla CdF sono state scomunicate diverse persone. A partire dalla prassi di Gesù di Nazareth estranea a qualsiasi scomunica, a partire dal Vangelo della Fraternità nella Comunità, a partire dalla logica della Chiesa dei Poveri, a partire dalle esigenze dei diritti umani, tali scomuniche devono essere riviste e analizzate con una nuova prospettiva.

Quinto però. L’ultimo ma più grande e importante. Come cambiare la teologia che domina oggi varie generazioni di vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose, laici e laiche? Una teologia che è molto lontana dallo spirito e dalla logica della teologia del Concilio Vaticano II, delle teologie progressiste condannate e non insegnate e ancor più della Teologia della Liberazione e dei suoi sviluppi.

La maggior parte dei vescovi, dei sacerdoti, delle religiose e dei religiosi, dei laici e della laiche è stata formata nell’ambito di una teologia e di una pastorale che dà molta più importanza alle pratiche religiose che al Vangelo come Forza di Liberazione. Vescovi e sacerdoti che «non odorano di pecora» ma di incensi e rituali perché, come ha affermato varie volte papa Francesco, si sono convertiti in una “Chiesa autoreferenziale”, chiusa in se stessa e nella sacrestia, che non si avventura nelle “periferie”.

La speranza è che le parole e i gesti di papa Francesco siano resi credibili da una prassi abbondante.

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rossa bianchi

a proposito delle offese razziste del vicepresidente del senato Calderoli nei confronti della ministra Kienge l’0pinione di don Renato Sacco

una provvidenziale occasione sulle colpe anche delle nostre chiese locali che col loro silenzio sottovalutano e finiscono per legittimare

 Radici… cristiane? L’Opinione di… Renato Sacco

Nel 1977 esce il film ‘RADCI’, la storia di Kunta Kinte preso dal suo villaggio africano e portato schiavo in America.
In questi ultimi anni la Lega Nord ostenta le proprie ‘RADICI CRISTIANE’. Un binomio offensivo sia delle ‘radici’ che del ‘cristianesimo’. L’ultima conferma viene da Calderoli, vicepresidente del Senato, “Kyenge mi fa venire in mente un orango’. Non ci sono parole per commentare! Con buona pace del viaggio di Francesco a Lampedusa e della distribuzione a tappeto dei crocifissi, ecc.
Se una frase del genere fosse stata scritta in una tema da qualche studente, o detta da un professore cosa sarebbe successo? E se la dovessimo dire ad un carabiniere che ci ferma con la paletta per un controllo? Forse ci porterebbe direttamente in cella! E se lo dice il vicepresidente del Senato per insultare un ministro donna con la pelle nera? Tranquilli, sono le solite battute della Lega. E poi ha chiesto anche scusa. Non ci resta che aspettare la prossima.
Preoccupa anche quanto ha detto il Presidente del Piemonte Roberto Cota a proposito degli F35: “Per quanto riguarda le questioni etiche dobbiamo dire che se questi aerei non li facciamo noi, vuol dire che li produrranno altrove. Lasciamo quindi da parte certa ipocrisia”.
Ne viene fuori una bella linea educativa per i nostri ragazzi ai campi estivi! Un vero compendio di valori morali e cristiani oltre che civili e umani!
È un po’ come dire: ‘non porti troppe domande, tanto se una cosa brutta non la fai tu, la fa qualcun altro. Tu fai quello che ti conviene’. Forse, dirà qualcuno, anche questa frase va contestualizzata.
Sul sito di Famiglia Cristiana ho letto un bel commento di Francesco Anfossi. Come uomo e come parroco accolgo e condivido quanto ha scritto. “Calderoli si proclama cattolico e nessuno, nella comunità ecclesiale, si è mai scandalizzato per le sue affermazioni politiche. Nemmeno i parroci della sua terra, forse nel timore di perdere le pecorelle verdi del loro gregge. Per troppo tempo si è fatto finta di niente, covando nel silenzio l’anticristiana ideologia del “fuori chi mi dà fastidio, che siano uomini, donne e bambini”, spesso scambiandolo per la difesa di tradizioni pseudo cristiane. E così che questa sorta di veleno proto razzista è andato avanti, contaminando il Nord come i rifiuti tossici contaminano la Campania. Forse è venuto il momento, per tanta parte della Chiesa, per un’autocritica. E per levare una voce forte”.

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mai più distinzioni tra figli

 

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Mai più distinzioni Si chiamano solo figli.

Famiglie e basta       LA NUOVA LEGGE.

Resta una sola definizione: figlio. Nel codice civile non ci sarà più nessuna distinzione tra bambini di nascita illegittima, adottati o naturali. La decisione è arrivata venerdì 12 luglio con l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri del decreto legge sulla filiazione.
“E’ un fatto di civiltà, finisce una “distinzione che nella storia del Paese ha accompagnato drammi umani veri e propri”, ha commentato il premier Enrico Letta. Nella pratica si annuncia come una vera e propria rivoluzione. Ora il testo sarà esaminato dalle commissioni di Camera e Senato, prima di ritornare al consiglio dei ministri per l’approvazione finale. Il testo stabilisce ufficialmente la fine delle discriminazioni per i figli adottivi: nei casi di adozione piena, ossia che riguardi persona minorenne, si acquisisce lo stato di figlio “nato nel matrimonio”.
Esclusa, invece, l’equiparazione per gli adottati maggiorenni, per i quali non sorge alcun vincolo di parentela con i parenti degli adottanti. A essere toccati dal provvedimento inoltre vi sono numerosi ambiti. Innanzitutto l’asse ereditario: d’ora in avanti i figli, illegittimi o naturali o adottati, avranno gli stessi diritti e gli effetti successori varranno nei confronti di tutti i parenti, non solo dei genitori. Si sostituisce inoltre la nozione di potestà genitoriale con quella di “responsabilità genitoriale” . A essere modificati saranno numerosi articoli del codice civile che dovranno adattarsi alla giurisprudenza degli ultimi anni, così come stabilità dalla Corte di Cassazione e dalla Corte Costituzionale. Un capitolo è dedicato anche al disconoscimento della paternità: questo non potrà avvenire da parte di madre e padre una volta trascorsi cinque anni dalla nascita. A quel punto infatti la norma fa prevalere l’interesse del figlio a conservare lo Stato. “E’ una buona notizia per il nostro Paese”, ha commentato Vincenzo Spadafora, Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, “quando il Governo si occupa di politiche per l’infanzia. Negli ultimi anni questo è avvenuto sempre meno ed in maniera poco incisiva, quindi auspico che sia un segnale di come l’esecutivo voglia impegnarsi maggiormente nell’affrontare temi centrali per la famiglia e i minorenni”.

Da Il Fatto Quotidiano del 15/07/2013.

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per una rifondazione del cristianesimo: un nuovo concilio di Nicea?

nuovo concilio di Nicea
E’ il tempo di un nuovo concilio di Nicea

Quando l’imperatore romano Costantino convocò il Concilio di Nicea, nel 325 d.C., tanto la Chiesa quanto l’impero si trovavano in una situazione di incertezza e di instabilità. Poco più di un decennio prima, Costantino aveva legalizzato il cristianesimo, avendo riconosciuto il crescente potere sociale e finanziario dei cristiani all’interno dell’impero. Tuttavia, controversie, tumulti e violenze accompagnavano alcune questioni teologiche irrisolte, a cominciare da quella della relazione tra Dio Padre e Figlio. Come poteva il cristianesimo sostenere che Dio è uno e allo stesso tempo affermare la divinità del Figlio? In questo senso, come poteva il cristianesimo affermare che Gesù, un essere umano, era anche il divino Figlio di Dio?

I circa 300 vescovi che si riunirono a Nicea seguirono un cammino creativo per risolvere le questioni che avevano di fronte.

Per prima cosa, la necessità che coglievano di un’unità tra le diverse comunità cristiane dell’impero li condusse a creare formule del credo che escludessero il dissenso. I vescovi volevano promuovere l’unità nella Chiesa – e aiutare a mantenerla nell’impero – stabilendo chiaramente nel credo chi stava “nella” Chiesa e chi stava “fuori” di essa. Il Concilio optò per un cammino “o-o” per determinare chi potesse definirsi cristiano di fatto. Il messaggio era chiaro: o credete in questo modo, o state fuori.

In secondo luogo, l’ambiguità di certe affermazioni bibliche sulla relazione tra il Padre e il Figlio spinse i padri conciliari a incorporare creativamente nel credo categorie e termini filosofici, il più noto dei quali è homoousious, “consustanziale”, che i vescovi usavano per descrivere la relazione tra il Padre e il Figlio.

In terzo luogo, lo stesso fatto che i vescovi si riunissero rese il Concilio generale un modello per risolvere importanti questioni dottrinali nella Chiesa romana.

Ora, quasi 17 secoli dopo, ci troviamo nuovamente dinanzi a un bivio. I cattolici sono profondamente divisi su questioni relative alla teologia, all’autorità, all’interpretazione biblica, alla tradizione e al diritto canonico. I progressi realizzati in archeologia, nell’esegesi biblica, nella ricerca storica, in psicologia e in altre discipline mi inducono a chiedermi se il Credo Niceno sia sufficientemente elastico da incorporare le verità del cristianesimo così come queste – e i cristiani che lo professano – si sono evolute.

In questo momento della storia cristiana – iniziato con la saggia e coraggiosa rinuncia di papa Benedetto XVI –, abbiamo bisogno di un nuovo Concilio di Nicea, di un nuovo tentativo di unificare il popolo di Dio con coraggio e creatività utilizzando il veicolo di un Concilio generale.

La principale differenza tra il nuovo Concilio di Nicea e quello antico è che, questa volta, la Chiesa può costruire l’unità attraverso un approccio inclusivo “e-e”, anziché una posizione esclusivista “o-o”.

Il mio elenco di punti nell’agenda del nuovo Concilio di Nicea è eccessivamente ambizioso. Ma l’occasione che tale agenda rappresenta per unificare e dare impulso alla Chiesa è ugualmente enorme. Essa comprende:

• Una visione più attualizzata di Dio. La nostra comprensione dell’universo, nuova e in rapido mutamento, la nostra conoscenza sempre più profonda delle immagini di Dio in altre tradizioni religiose, le questioni che così a fondo ci interpellano riguardo alla possibilità che Dio impedisca tanto i mali morali quanto quelli naturali, tutto ciò rappresenta per la Chiesa una sfida a concentrarsi più su Dio come mistero, sconosciuto e inconoscibile, che su Dio come Essere Supremo eternamente immobile, onnisciente e onnipotente del neoplatonismo del IV secolo.

• Una comprensione più ampia di Gesù. Gli studi biblici moderni hanno rivelato molto sulla vita e sul ministero di Gesù – come ebreo, come ribelle, come leader del movimento del Regno di Dio – e ciò deve trovare posto accanto alle affermazioni tradizionali sulla generazione, sulla consustanzialità e sull’incarnazione.

• Una comprensione più estesa della salvezza. L’ortodossia nicena si è concentrata sulla morte e sulla resurrezione di Gesù come eventi soteriologici definitivi. Era implicita in questa posizione la credenza che l’umanità dovesse essere salvata dal peccato mediante la croce e la resurrezione. Ma studi recenti ci hanno mostrato che la salvezza dal peccato mediante la morte e la resurrezione non era l’unico paradigma soteriologico esistente tra i primi cristiani. Allo stesso modo, la filosofia esistenzialista contemporanea e la psicologia clinica hanno fatto emergere un modello di integrità personale centrato sull’autoconoscenza mediante terapia e introspezione come chiave per la salute e il benessere mentali. Sulla base di tali progressi, si deve ampliare la nostra comprensione della salvezza includendo gli insegnamenti di Gesù sulla necessità di superare l’ignoranza su se stessi.

• Una comprensione più profonda della rivelazione. La Chiesa primitiva stabiliva che la rivelazione di Dio in Cristo si era conclusa con la morte dell’ultimo apostolo. Allo scopo di combattere la minaccia degli gnostici, la Chiesa delle origini affermava che gli insegnamenti autentici di Gesù erano stati ricevuti e compresi solo dagli apostoli, e che tali verità continuavano ad essere comunicate accuratamente e con autorità solo dai loro successori, i vescovi. Senza negare la successione apostolica, la Chiesa deve affermare che la volontà divina continua ad essere rivelata oggi a tutti coloro che cercano sinceramente Dio.

• Una comprensione più piena dell’autorità e del ministero. Scritti cristiani primitivi da poco scoperti, come il Vangelo di Maria, evidenziano come le donne svolgessero importanti ruoli di leadership nella Chiesa primitiva, ruoli che vennero soppressi nel corso del tempo. Il nuovo Concilio di Nicea potrebbe generare un nuovo sguardo su come e da chi deve essere esercitata l’autorità nella Chiesa e su chi può essere ordinato per il ministero liturgico.

• Un canone più esteso della Scrittura. Senza alterare il canone attuale, la Chiesa dovrebbe intraprendere un’attenta revisione di quei testi considerati eretici dalla Chiesa primitiva – per ragioni che all’epoca potevano avere un senso – ed espandere il canone delle Scritture cristiane includendo scritti che appaiono coerenti con le rinnovate interpretazioni su Dio, Gesù, la salvezza, la rivelazione e l’autorità sopra descritti.

• Un nuovo credo. Considerando tutto ciò che è stato detto, non sarebbe il momento, per la Chiesa, di formulare un nuovo Credo Niceno, un Credo per il XXI secolo, che articoli gli elementi centrali del cristianesimo nel modo in cui li abbiamo compresi e affermati a partire dalla conclusione del Credo di Nicea nel 381? Di fatto, il nuovo Credo Niceno non sarebbe assolutamente “nuovo”: incorporerebbe la comprensione più profonda e più completa dei misteri cristiani trasmessa da 17 secoli di ricerca, riflessione ed esperienza di vita, sotto l’orientamento e l’ispirazione dello Spirito Santo.

Un nuovo Concilio di Nicea è un’occasione d’oro perché la Chiesa renda i suoi principali insegnamenti più rilevanti, trasformatori e inclusivi. Questo è il momento: la nostra opportunità per costruire una mensa più grande per il banchetto del Signore.

di Mark Etling (da adista documenti 24)

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