papa Francesco contro i ‘preti zitelloni’

“se una congregazione perde i suoi averi, io dico: grazie Dio”

«La vita consacrata inizia a corrompersi dalla mancanza di povertà»
no ai preti «zitelloni» e carrieristi
«una peste»

papa Francesco incontra il clero di Bologna nella cattedrale di San Pietro

domenico agasso jr
inviato a bologna

«La vita consacrata inizia a corrompersi dalla mancanza di povertà». Papa Francesco lo afferma nella cattedrale bolognese di San Pietro, incontrando, in questa giornata di visita nel capoluogo dell’Emilia Romagna, sacerdoti, religiosi, seminaristi e diaconi locali. «Se una congregazione perde i suoi averi, io dico “Grazie Signore”».  

È presente anche monsignor Bettazzi, testimone storico del Concilio Vaticano II , vescovo emerito di Ivrea, bolognese di origini materne; a Bologna è stato ordinato prete ed è tornato a viverci in questi anni. Francesco e Bettazzi scherzano insieme per qualche istante prima del discorso papale. E l’arcivescovo di Bologna monsignor Matteo Maria Zuppi lo citerà nel suo saluto introduttivo a Francesco. Esordisce il Papa: «È una consolazione stare con quelli che portano avanti l’apostolato della Chiesa; i religiosi cercano di dare testimonianza di anti-mondanità».

Al Pontefice vengono poste due domande: una sulla fraternità tra sacerdoti, l’altra sulla «psicologia della sopravvivenza»; a entrambe risponde senza testi scritti, tranne qualche appunto che prende anche mentre parla lui stesso. Afferma il Papa: «A volte, scherzando tra religiosi diocesani e non, i religiosi dicono: “Io sono dell’ordine fondato dal santo tale…”; ma qual è il centro della spiritualità del presbitero? – si domanda il Papa – La diocesaneità». Essere presbiteri è «una esperienza di appartenenza, si appartiene a un corpo che è la diocesaneità». Questo «significa che tu», prete, religioso, «non sei un libero», non ci sono figure di «libero», come nel calcio. Invece «sei un uomo che appartiene a un corpo, che è la diocesaneità, il corpo presbiterale». Tutto ciò «lo dimentichiamo tante volte, diventando singoli, troppo soli, col pericolo di divenire infecondi o con qualche nervosismo, per non dire che si diventa nevrotici, un po’ zitelloni».

Un prete «solo che non ha rapporto con il corpo presbiterale, mah», dice con amarezza. Dunque è importante «far crescere il senso della diocesaneità, che ha anche una dimensione di sinodalità col vescovo». Il corpo diocesano «ha una forza speciale, deve andare avanti sempre con la trasparenza, la virtù della trasparenza, il coraggio di parlare, di dire tutto». E anche con «il coraggio della pazienza, di sopportare gli altri. È necessario».

Sul coraggio di parlare chiaro e sull’opposta comodità di non esporsi, racconta: «Mi ricordo quando ero studente di Filosofia, e un vecchio gesuita furbacchione mi diceva: “Se vuoi sopravvivere nella vita religiosa, pensa chiaro, ma parla oscuro”». Aneddoto che suscita un forte sorriso tra i presenti in Cattedrale. Francesco osserva come sia «triste quando un pastore non ha orizzonte del popolo di Dio, non sa che cosa fare»; ed è «molto triste quando le chiese rimangono chiuse, quando si vede una scheda nella porta: “Aperta da tale ora a tale ora”, per il resto del tempo non c’è nessuno, le confessioni solo per poche ore. Ma questo non è un ufficio, è il posto dove si viene a onorare il Signore, e se il fedele trova la porta la chiusa come può fare?». A volte «pensa alle chiese sulle strade popolose, che restano chiuse: qualche parroco ha fatto esperienza di aprirle, sempre con un confessore disponibile: e il confessore non finisce di confessare», talmente arriva gente, perché «sempre la porta è aperta», e la luce del confessionale resta sempre accesa.

Poi il Vescovo di Roma parla di «due vizi che ci sono dappertutto». Uno è «pensare il servizio presbiterale come carriera ecclesiastica». Francesco si riferisce agli «arrampicatori»: essi sono una «peste, non presbiterio. Gli “arrampicatori”, che sempre hanno le unghie sporche, perché sempre vogliono andare su. Un arrampicatore è capace di creare tante discordie in seno al corpo presbiterale: pensa alla carriera, “adesso mi danno questa parrocchia, poi me ne daranno una più grande”, e se il vescovo non gliene dà una abbastanza importante, si arrabbia: “A me tocca…” a te non tocca niente!», esclama. Poi aggiunge: «Gli arrampicatori fanno tanto male, perché sono in comunità ma pensano solo ad andare avanti loro».

L’altro vizio: «Il chiacchiericcio: “Si dice, hai visto”, e così la fama del fratello prete finisce sporcata, si rovina. “Grazie a Dio che non sono come quello”, questa è musica del chiacchiericcio». Il carrierismo e il chiacchiericcio sono due vizi del «clericalismo», afferma Francesco. Invece, un pastore è chiamato al «buon rapporto col popolo di Dio, a cui deve stare davanti per indicare il cammino»; deve stargli «in mezzo per aiutare» soprattutto «nelle opere di carità; dietro per guardare come va».

Credere nella «“psicologia della sopravvivenza” – prosegue – significa aspettare la carrozza funebre, che porta il nostro istituto» alla chiusura. Credere alla psicologia della sopravvivenza conduce «al cimitero». Si tratta di «pessimismo, e non è da uomini e donne di fede, non è atteggiamento evangelico, ma di sconfitta». E mentre magari «aspettiamo la carrozza, ci arrangiamo come possiamo, e prendiamo dei soldi per essere al sicuro. Questo porta a mancanza di povertà». La psicologia della sopravvivenza è «cercare la sicurezza nei soldi; si ragiona, si sente a volte: “Nel nostro istituto siamo vecchie e non ci sono vocazioni ma abbiamo dei beni per assicurarci la fine”, e questa è la strada più adatta per portarci alla morte». La sicurezza «nella vita consacrata non la dà l’abbondanza dei soldi, ma viene da un’altra parte», da Dio. Alcune congregazioni «che diminuiscono mentre i suoi beni crescono, con religiosi attaccati ai soldi come sicurezza: ecco la psicologia della sopravvivenz a».

Il problema «non è tanto la castità o l’obbedienza, ma nella povertà. La vita consacrata inizia a corrompersi dalla mancanza di povertà». Sant’Ignazio di Loyola «chiamava la povertà madre e muro nella vita religiosa: madre che genera e muro che difende dalla mondanità». Senza questo atteggiamento volto alla povertà e al disinteresse, non si «scommette nella speranza divina». I soldi «sono la rovina della vita consacrata». Ma Dio è buono, «perché quando una congregazione inizia a incassare, manda un economo che distrugge tutto». Rivela il Papa, sorridendo: «Quando sento che una congregazione perde i suoi averi, io dico “Grazie Signore».

Il Papa esorta ad «un esame di coscienza sulla povertà, sia personale che dell’istituto». Sulla mancanza di vocazioni, bisogna «chiedere al Signore: “Che cosa succede nel mio istituto? Perché manca quella fecondità? Perché i giovani non sentono entusiasmo per il carisma del mio istituto? Perché ha perso la capacità di chiamare?». Per Francesco, il «cuore» del problema è «la povertà». Di qui un incoraggiamento: «La vita consacrata è uno schiaffo alla mondanità spirituale. Andate avanti».

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per papa Francesco i migranti sono ‘lottatori di speranza’

l’abbraccio del papa ai migranti

“siete lottatori di speranza. Bologna non abbia paura”

L'abbraccio del Papa ai migranti: "Siete lottatori di speranza. Bologna non abbia paura"

“Siete lottatori di speranza. Qualcuno non è arrivato perché è stato inghiottito dal deserto o dal mare. Gli uomini non li ricordano, ma Dio conosce i loro nomi e li accoglie accanto a sé”

Comincia con queste parole, pronunciate al centro di accoglienza per i migranti di via Mattei, la visita del Papa a Bologna, tra gli ospiti dell’hub in festa che gli danno il benvenuto urlando e chiamandolo per nome, le magliette con la scritta “Welcome” e i cartelli.

Tra le tante tappe di Francesco, l’Angelus in piazza Maggiore, dove ha incontrato il mondo del lavoro (“I disoccupati non sono numeri”) e i familiari delle vittime delle stragi, tra cui Marina Orlandi, vedova di Marco Biagi. Poi il pranzo con i poveri in San Petronio. Code per la messa allo stadio, dove sono andate 40mila persone. Dal punto di vista della sicurezza, la situazione è stata costantemente monitorata in prefettura da un’unità di crisi. In mattinata Bergoglio ha parlato in piazza a Cesena, dove ha lanciato un monito alla politica contro la corruzione.

 “BOLOGNA NON ABBIA PAURA”

Francesco ha lodato Bologna, “città da sempre nota per l’accoglienza, dove qualcuno ha trovato un fratello da aiutare o un figlio da far crescere. Come vorrei che queste esperienze si moltiplicassero, la città non abbia paura di donare i cinque pani e i due pesci. Tutti saranno saziati. Bologna è stata la prima città in Europa, 760 or sono, a liberare i servi della schiavitù. Erano 5.855, tantissimi, eppure non ebbe paura, vennero riscattati dal Comune, dalla città. Forse lo fecero anche per ragioni economiche, perché la libertà aiuta tutti e a tutti conviene. Non ebbero timore di accogliere quelli che allora erano considerate non persone e riconoscerli come essere umani. Scrissero in un libro i loro nomi, come vorrei succedesse anche con i vostri nomi”, ha detto ai migranti che lo ascoltavano.

 

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la lettera della comunità musulmana a papa Francesco

Bologna

la comunità islamica scrive al papa

“condividiamo le sue posizioni e condanniamo ogni violenza”

lettera al Pontefice in occasione della visita nel capoluogo emiliano:
«Ci riconosciamo tutti figli di un padre, siamo in prima linea per contrastare il male di questi tempi bui»
salvatore cernuzio
bologna

prima la condanna di «ogni forma di violenza», poi la garanzia di un forte impegno per «contrastarla con tutti i mezzi a nostra disposizione», insieme al rifiuto di «ogni forma di strumentalizzazione religiosa» che «fomenti odio, razzismo» e anche «islamofobia».

La storica Comunità islamica di Bologna, radicata da decenni nel territorio, scrive a Papa Francesco in occasione della visita nel capoluogo emiliano per ribadire la vicinanza di vedute riguardo a tematiche come pace, giovani, creato, lotta al terrorismo e la volontà di proseguire insieme per far sì che possa tornare la luce in questi «tempi bui» agitati da intolleranza, diffidenza, razzismo.   

«Santità, ci riconosciamo tutti figli di un padre, Abramo, che ci ha insegnato il valore della fiducia, della pazienza e dell’amore»,

afferma la Comunità musulmana bolognese nella missiva consegnata al Pontefice dal portavoce Yassine Lafram al termine dell’Angelus in Piazza Maggiore e riportata dai media locali.

«Seguiamo con interesse e attenzione il suo operato – si legge – e non possiamo che condividere posizioni come quelle da Lei espresse sul tema della povertà e dell’accoglienza, e sulla necessità di una riforma sociale, oltre che di una difesa dell’ambiente che implichi una riforma radicale nell’approccio al rapporto tra uomo e Creato».  

I musulmani di Bologna dicono di sentire come proprio «il dovere di sostenere i giovani dando loro spazio e opportunità», come pure «il dovere di contribuire a una riforma sulla legge della cittadinanza e il diritto di vivere ciascuno la propria fede nella pratica quotidiana». 

In tal senso si ribadisce nella lettera l’apprezzamento per «il percorso intrapreso sulla via del dialogo interreligioso» che ha permesso di «instaurare ottimi rapporti con le comunità religiose della città, in primis con la Chiesa locale», nella persona dell’arcivescovo Matteo Zuppi. «Lo facciamo convinti della necessità di costruire ponti per permettere a tutti di ascoltare ed essere ascoltati». 

«Mai come oggi – afferma la Comunità islamica – è necessaria una forte operazione culturale che spinga le persone a cercare nell’altro se stessi, perché l’incontro con l’Altro, tanto temuto da molti, è uno sforzo per cercare risposte alle domande spesso celate nel profondo di ognuno. Domande che, se non trovano risposte, diventano terreno fertile per sentimenti come la paura, la diffidenza e – in casi estremi – anche la violenza».  

Da qui l’invito ad una più approfondita conoscenza reciproca «come miglior via di pace» per questi «tempi bui come quelli che stiamo vivendo» in cui «l’intolleranza cresce». «Vogliamo metterci in prima linea per contrastare questi mali nati dal deprezzamento del valore della vita e da una concezione del mondo che mette al centro delle priorità il denaro, tralasciando ogni etica e morale», recita la lettera.

E si conclude con una promessa: «Come musulmani, vogliamo lavorare per contrastare ogni forma di mistificazione del vero significato dell’Islam, la religione del saluto che augura la pace. Il tradimento del messaggio divino e profetico è inaccettabile».

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