Narciso e la sua dittatura

ribelliamoci alla dittatura di Narciso

intervista a Vincenzo Paglia

a cura di Aldo Cazzullo
in “Corriere della Sera” del 8 ottobre 2017

Monsignor Paglia, nel suo nuovo libro lei scrive che «la fraternità è la promessa mancata della modernità».

«Purtroppo sì. Non che libertà e uguaglianza godano di ottima salute; ma la fraternità è la più negletta, e resta l’utopia da realizzare. Il Noi sta prima di noi stessi: l’io nasce da un Noi, si trova in un Noi; che poi è Dio. Il Noi viene da Dio. Ma dopo la morte di Dio sembra venuta ora la morte del prossimo».

La crisi, lei dice, è dentro noi stessi.

«Stiamo costruendo il mondo globale, ma il rischio è che manchi l’anima. Come se si volesse costruire una dimensione universale senza quel Noi che rende ragione di questo fenomeno. Ecco la profonda contraddizione del nostro tempo: l’avvento del mondo globale coesiste con la disintegrazione della società del convivere, attraverso la forma associata della vita, dalla famiglia alla città alle nazioni; come conferma ora il dramma catalano. Assistiamo alla nascita di un nuovo individualismo che asservisce tutto a se stesso, piega l’intera esistenza. Come un virus che ha infiacchito e sgretolato lo stare assieme».

Neppure la famiglia resiste?

«La famiglia resta senza dubbio in cima ai desideri di tutti. Eppure è il luogo dove più emergono le contraddizioni, dove i legami si indeboliscono via via: non ci si sposa per costruire un futuro assieme, ci si sposa per realizzarsi, sino a depotenziare la forza dei legami. Siamo arrivati all’assurdo di un uomo e poi di una donna che si sposano con se stessi».

Sono solo personaggi in cerca di pubblicità.

«Che purtroppo hanno raggiunto il loro obiettivo. L’individualismo piega anche la famiglia a se stesso; e una società defamiliarizzata porta a una società desocializzata, dove i vincoli sono alla mercé delle ambizioni individuali. Tutto questo non risponde al bisogno profondo che ognuno ha di sconfiggere la solitudine. Il mondo comincia plurale».

Nel libro c’è un capitolo dedicato all’«errore di Dio».

«Dio crea l’essere perfetto e poi si rende conto che è solo, ci ripensa e crea il suo vero capolavoro: la donna. Di fronte a lei anche Adamo cade in ginocchio. E alla loro alleanza Dio affida sia la custodia del creato sia la cura di tutti i legami sociali. L’alleanza dell’uomo e della donna deve guidare non solo la famiglia, ma anche la storia umana. Finché non va bene questa alleanza, anche la storia non andrà bene».

L’esclusione dell’altro, lei scrive, si manifesta con il rifiuto dei migranti, con la polemica contro lo ius soli. Non teme però che su questo punto la Chiesa abbia perso la sintonia con gran parte dell’opinione pubblica italiana?

«La Chiesa non può fare altro che difendere l’accoglienza e proporre a tutti di riconoscere il proprio bisogno dell’altro. In questo senso va interpretata bene anche la parabola del Samaritano».

Cioè?

«Si nota poco che Gesù rovescia la domanda “chi è il mio prossimo?”. Gesù non risponde, la capovolge. Dice che tu devi essere il prossimo dell’altro. E prossimo è superlativo di proper: devi essere il più vicino all’altro. Ecco perché l’accoglienza dello straniero è l’inizio per ritessere il tessuto del Noi. Se tu rifiuti il fratello in arrivo è come quando in casa il figlio unico non accetta che arrivi un altro. Dobbiamo reinventare la prossimità, il modo di essere più vicini a chi è più scartato. Ripartire dalle periferie, direbbe Papa Francesco».

Tra pochi mesi saranno i cinquant’anni della Comunità di Sant’Egidio, nata proprio nelle periferie romane. Lei da giovane sacerdote lasciò la sua parrocchia per fare da assistente spirituale al gruppo di giovani guidati da Andrea Riccardi.

«Fin dall’infanzia volevo fare il prete. Sono entrato in seminario a nove anni. Il libro è dedicato alla comunità: una storia che è andata oltre Roma fino ad abbracciare il mondo intero. Non è una storia finita, testimonia l’urgenza di partire da nuove periferie. Il pianeta è un’immensa megalopoli. Il sorpasso è del 2006: più della metà del mondo vive nelle città».

Lei disse al «Corriere» che negli anni Settanta nelle borgate c’eravate solo voi e le Brigate rosse.

«A Roma c’erano centomila baraccati. Ma oggi se possibile il tessuto sociale è ancora più lacerato e complesso. La periferia è divenuta un agglomerato di quartieri dove si è perso quel senso di comunità che nelle baracche ancora c’era. È cominciato lo sgretolamento di quel Noi che comunque legava e resisteva alla solitudine. Oggi quel processo giunge all’acme: la questione delle periferie è la questione centrale dell’età contemporanea».

Nelle periferie delle grandi città si combatte una guerra tra poveri, tra residenti e nuovi arrivati.

«Si sono moltiplicati i conflitti. Il veleno della violenza è diventato ancora più micidiale e riesce ad assoldare tutte le età della vita, dai bambini agli anziani. Le persone sono abbandonate a loro stesse, al livore, al rancore. È ovvio che in un terreno privo di relazioni umane non può che crescere la zizzania dell’odio. Tutto questo non genera solo violenze trasversali; mette in discussione la tenuta della democrazia. Da qui il populismo: chiunque in qualche modo si imponga diviene il leader in base alle emozioni più che al ragionamento».

Ma l’individualismo non è un istinto eterno dell’uomo? Non può essere anche una spinta positiva?

«Il valore dell’individuo è una grande conquista della cultura cristiana. Ma ora è diventato narcisismo, tradendo se stesso. Il primo santo dell’Occidente, il numero uno del calendario, è Narciso. Ha spodestato Prometeo, Ulisse e tutti i santi».

Come si guarisce dal narcisismo?

«Cambiando la domanda: non “chi sono io?”, ma “per chi sono io?”. Viviamo oggi l’indebolimento della speranza, che sola permette di superare gli egoismi innati in ciascuno di noi. Se non c’è un sogno per il quale vale la pena di vivere, ci si ritira in se stessi, e chiunque si salvi come può. Papa Francesco è un esempio straordinario, perché è uno che sogna in grande».

Non si sta manifestando una forte opposizione conservatrice a Bergoglio?

«Non c’è dubbio che Papa Bergoglio stia portando la Chiesa oltre le colonne d’Ercole dell’ordinarietà del rito. Richiede una vera e propria conversione: ciascuno deve uscire da sé, dal proprio individualismo. Questo non è facile né scontato. Impone una scelta che porta a cielo aperto, fuori dal luogo sicuro, dalle sacrestie, dalle certezze. L’opposizione nasce così. Non è il primo cui accade. Basti pensare a Gesù. Ma anche a Giovanni XXIII e a Paolo VI, i Papi del Concilio. A Giovanni Paolo II, il Papa del dialogo interreligioso di Assisi. E a monsignor Romero, ucciso dagli squadroni della morte sull’altare, durante l’Elevazione».

Romero diventerà finalmente santo? Lei è il postulatore della causa.

«Mi auguro che venga riconosciuto presto il miracolo della guarigione di una donna, con il bambino che aspettava. Così, dopo la decisione del Papa, la Chiesa potrà avere un altro santo che aveva addosso l’odore delle pecore, e per questo è stato ucciso».

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papa Francesco preoccupato per i cattolici reazionari e razzisti europei

migranti

papa Francesco critica i cattolici razzisti

papa Francesco riceve in udienza i direttori degli Uffici della pastorale per le migrazioni e si dice preoccupato per i sentimenti di intolleranza e xenofobia diffusi anche tra i cattolici e giustificati, spiega, «da un non meglio specificato “dovere morale” di conservare l’ identità culturale e religiosa originaria»

Denuncia l’ incoerenza di molti credenti e di alcune Chiese locali di fronte al problema delle migrazioni in Europa. Papa Francesco, nel discorso direttori degli Uffici per i migranti delle Conferenze episcopali d’ Europa, è molto severo nella critica e parla apertamente di “reazione di difesa e di rigetto”, veri e propri atteggiamenti razzisti in molti cattolici. L’ incontro è avvenuto venerdì 22 settembre e i direttori erano accompagnati dal cardinale Angelo Bagnasco, ex-presidente della Cei e attuale presidente dei vescovi europei. Il Papa ha confidato:

“Non vi nascondo la mia preoccupazione di fronte ai segni di intolleranza, discriminazione e xenofobia che si riscontrano in diverse regioni d’ Europa. Esse sono spesso motivate dalla diffidenza e dal timore verso l’ altro, il diverso, lo straniero. Mi preoccupa ancor più la triste constatazione che le nostre comunità cattoliche in Europa non sono esenti da queste reazioni di difesa e rigetto, giustificate da un non meglio specificato ‘dovere morale’ di conservare l’ identità culturale e religiosa originaria”.

I rimproveri di Francesco riguardano il settore orientale dell’ Europa e le posizioni tiepide degli episcopati di Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca nei confronti delle politiche nazionali dei loro governi che hanno ripetutamente negato l’ accettazione delle quote di migranti previste dall’ Unione Europea. La maggior parte dei cattolici è d’ accordo con i governi sul contrasto all’ immigrazione e sull’ ingresso dei migranti in quei Paesi. La situazione più delicata appare quella polacca. Qualche mese fa monsignor Krzysztof Zadarko, vescovo ausiliare di Koszalin-Kołobrzeg e responsabile della conferenza episcopale polacca per l’ immigrazione, ha affermato che è “necessaria una maggiore apertura verso il prossimo in difficoltà”, riferendosi ai dati di un sondaggio secondo cui solo il quattro per cento dei polacchi è “decisamente favorevole” all’ accoglienza dei profughi provenienti dal Medio Oriente. 

Lo studio, dell’ istituto polacco Cbos (Centro di analisi dell’ opinione pubblica), indicava una costante crescita della porzione della popolazione, fino al 74 per cento, contraria alla ricollocazione dei profughi, secondo le quote previste dall’ Unione in Polonia. Da dicembre del 2015 ad oggi il numero di polacchi che rifiutano gli immigrati mediorientali e africani supera stabilmente i favorevoli all’ accoglienza. Tuttavia, il 55 per cento della popolazione polacca accetterebbe i profughi ucraini senza distinzioni di fede o di etnia. Monsignor Zadarko aveva detto di essere “profondamente rattristato”. E’ la stessa amarezza che si coglie nelle parole del Papa, che invece sostiene che “riconoscere e servire il Signore in questi membri del suo ‘popolo in cammino’ è una responsabilità che accomuna tutte le Chiese particolari nella profusione di un impegno costante, coordinato ed efficace”.

Beroglio ha denunciato anche una “sostanziale impreparazione delle società ospitanti e da politiche nazionali e comunitarie spesso inadeguate”. E ha aggiunto anche una critica ai “limiti dei processi di unificazione europea” e agli “ostacoli con cui si deve confrontare l’ applicazione concreta della universalità dei diritti umani, dei muri contro cui si infrange l’ umanesimo integrale che costituisce uno dei frutti più belli della civiltà europea”.

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