macché proclama politico si tratta solo di un grido di umanità

un grido di umanità

Barca di migranti

barca di migranti

La Repubblica, 13 Agosto 2015
di ENZO BIANCHI

“Quando do da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista”

Queste parole di Helder Camara oggi suonano al contempo attualissime e superate: almeno in Italia, ormai sono pochissimi quelli che chiamano “santo” chi sfama i poveri – al massimo è un buonista – mentre, con il trionfo del pensiero unico neo-liberista, l’epiteto “comunista” è usato solo da alcuni ambienti della destra americana nei confronti di papa Francesco.

Eppure, con il fenomeno dell’immigrazione siamo di fronte a un paradosso simile: chi ha responsabilità di governo e chi dall’opposizione confida di averne a breve continua a parlare di “emergenza” per un fenomeno che ormai risale ad almeno una ventina d’anni – o abbiamo già dimenticato le navi stracolme di albanesi che approdavano in Puglia? – e a latitare in azioni politiche a medio e lungo termine, confidando che il tessuto sociale e le reti della solidarietà umana suppliscano alle loro carenze. La chiesa e molti cristiani – realtà ben più ampia sia della CEI che del Vaticano – sono da sempre in prima linea in questa carità attiva sul territorio e cercano di porsi di fronte all’umanità ferita senza chiedere passaporti né badare a identità etniche o culturali. Eppure quando si occupano dei poveri di cittadinanza italiana passano inosservati, come se la loro azione fosse dovuta e scontata, mentre quando si chinano su fratelli e sorelle in umanità di altri popoli e paesi, vengono sprezzantemente invitati a farsi carico dei disoccupati di “casa nostra”.

Purtroppo in Europa abbiamo perso il valore della fraternità, valore generato dal cristianesimo e conquistato anche a livello politico nella modernità. Siamo tutti fratelli perché tutti esseri umani e come tali portatori di diritti che, nella loro stessa definizione, sono quelli “dell’uomo”. Noi invece siamo giunti a considerarli tali solo per i “cittadini”, escludendone gli “stranieri” come se non ne fossero degni. Sì, quando la fraternità viene meno, cresce la paura dello straniero, dello sconosciuto, del diverso: una paura che va presa sul serio ma che non va alimentata per farne uno strumento di propaganda politica. Va invece razionalizzata, contenuta e placata con un’autentica governance dell’immigrazione, con un volontà fattiva di collaborazione con i paesi che si affacciano sul Mediterraneo, con una politica che sappia interagire con i paesi da cui hanno origine i flussi più intensi di emigrazione. Certo, non possiamo accogliere tutti, ma la solidarietà umana ci spinge a superare i limiti delle nostre comodità e ad accogliere l’altro per quello che siamo capaci, senza innalzare muri.

Questa “emergenza” non è tale: è un fenomeno che durerà a lungo ed è contenibile nei suoi effetti solo con uno sforzo di solidarietà. La sua portata, del resto, è tale che mette in crisi ogni tentativo di respingerlo con la forza. L’Europa sembra in piena confusione, non più sicura dei suoi valori umanistici, delle sue lotte secolari per il riconoscimento dei diritti di ogni essere umano, in qualsiasi situazione si trovi. Ritrovare questi principi decisivi non è questione solo cristiana, è innanzitutto umana e, proprio per questo, cristiana: l’accoglienza è una responsabilità umana perché l’altro è uguale a me in dignità e diritti.

Su queste tematiche a volte la chiesa suscita ostilità quando parla e agisce con la parresia dei profeti e di Gesù di Nazareth. Il Vangelo per molti sarà utopia irrealizzabile, ma non pone condizioni o limiti al comandamento di servire affamati, assetati, stranieri, carcerati, ignudi, ammalati… Parla invece di “farsi prossimo”, di andare incontro a chi è nel bisogno, fino al paradosso di “amare i nemici”. Queste esigenze radicali poste da Gesù possono dar fastidio a molti, ma chi professa di essere suo discepolo non può fare a meno di sentirle come appelli ineludibili rivolti proprio a se stesso. Il cristiano si saprà sempre inadeguato nel mettere in pratica queste parole, sovente dovrà riconoscere che il proprio comportamento quotidiano le contraddice, ma non potrà mai accettare che carità fraterna, solidarietà, accoglienza siano variabili da sottomettere alle necessità della realpolitik.

Così un cristiano, di fronte al dramma di milioni di esseri umani vittime della guerra, della fame, della violenza, della cecità anonima della finanza e del mercato, della “politica” di potere, proverà vergogna per non riuscire a far nulla nemmeno per quelle poche migliaia di disgraziati che giungono fino al suo paese, ma non potrà tacere e non gridare “vergogna” a chi chiude gli occhi di fronte al proprio fratello in umanità che soffre e muore, tanto più se chi si astiene dall’agire ha responsabilità, onori e oneri di governo.

Sì, come ha detto papa Francesco, “respingere gli immigrati è un atto di guerra!”. Questo non è un proclama politico: piaccia o meno, è un grido di umanità.

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Lucca accoglie i migranti

migranti, ecco la mappa delle nuove strutture per accoglierne altri 192 a Lucca

da ‘la Nazione’ 11 agosto 2015:
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lo ‘sballo’ : una cultura diffusa e trasversale il vero problema

è lo sballo il nemico da battere

droghe

di Gianfranco Bettin
in “Trentino” del 11 agosto 2015

la “cultura dello sballo” non appartiene a una nicchia, a una generazione o a parte di essa, o a certi luoghi, come appunto le discoteche. È parte influente di uno stile di vita diffuso, trasversale, sia socialmente che culturalmente. Illudersi di riprendere il controllo di questa dinamica chiudendo quei luoghi o facendo la faccia feroce dopo una tragedia, significa non capire cosa accade davvero

droga

Non sono le discoteche – come il Cocoricò o il Guendalin, dove nei giorni scorsi sono morti due ragazzi- ad essere oggi fuori controllo: è gran parte della nostra società ad aver perso la capacità di tenere a bada usi e abusi, da parte di troppi giovani e non solo, di sostanze lecite o illecite. La “cultura dello sballo” non appartiene a una nicchia, a una generazione o a parte di essa, o a certi luoghi, come appunto le discoteche. È parte influente di uno stile di vita diffuso, trasversale, sia socialmente che culturalmente. Illudersi di riprendere il controllo di questa dinamica chiudendo quei luoghi o facendo la faccia feroce dopo una tragedia, significa non capire cosa accade davvero. O far finta di non capire per far finta di agire, per dar qualcosa in pasto a una pubblica opinione naturalmente colpita, sconvolta, di fronte al ripetersi di simili drammi. L’overdose, l’abuso di sostanze (alcol compreso, non manca mai), è la prima causa di morte, diretta o indiretta, tra gli adolescenti italiani. Ovvio che induca preoccupazione, angoscia, specie nell’imminenza dei singoli fatti, in particolare nel contesto in cui si producono. Così, le autorità provano a far qualcosa. Magari straparlando, come il sindaco di Gallipoli l’altro giorno, il quale, però, nel suo modo rozzo («Se non sanno educare, le famiglie non procreino»), ha detto un pezzo di verità. Il limite, oltre che nel modo, consiste nel non capire che oggi nessuna famiglia ha da sola la possibilità di “educare”, pur avendo ovviamente un grande ruolo nella formazione dei propri figli. Stimoli e influssi educativi e diseducativi arrivano ai più giovani da ogni parte, oggi. Il mercato delle droghe e degli alcolici, uno dei più potenti al mondo, forse il più potente in assoluto, possiede innumerevoli “mani invisibili” per condurre a sé i clienti a cui mira e che conquista con messaggi culturali, esistenziali, esperienziali, ai quali nessun diktat bigottamente proibizionista, nessuna predica alla Giovanardi, potrà mai opporre vera resistenza. Anzi, come la storia insegna, il mero proibizionismo aumenta il valore e il fascino della merce vietata. Reagire a queste tragedie significa dunque ripensare globalmente le strategie educative, mirando alla promozione di una piena autonomia di giudizio da parte dei più giovani di fronte a tutte le sostanze potenzialmente pericolose, comprese quelle legali (come alcol, tabacco, farmaci). Significa, come in certe realtà si è fatto, andare (con operatori e servizi) nei luoghi frequentati dai giovani, nelle discoteche, e aprirli, non chiuderli ottusamente, a presenze educative disincantate, capaci di dialogare con l’esperienza reale dei giovani, metterli sull’avviso, “accompagnarli” a volte nella traversata delle loro notti euforiche e inquiete, notti sempre di ricerca, di evoluzione. Certo, significa anche combattere il narcotraffico, le grandi organizzazioni come lo spaccio di strada, ripulire per quanto possibile i ritrovi di massa, pretendere correttezza e trasparenza nella gestione dei locali, e magari riformare le leggi in materia in senso più pragmatico e meno ideologico delle attuali fallimentari e inique normative. Ma significa, più radicalmente, ripensare al vuoto educativo in cui da almeno vent’anni si lasciano crescere le nuove generazioni e alla solitudine e alla povertà di risorse che gravano su chi, a scuola, in famiglia, nella società, coltiva comunque la vocazione e il dovere di non lasciarle allo sbando, dentro una scuola o una discoteca – e di fronte al proprio futuro.

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per nulla intimorito Galantino risponde per le rime ai ‘piazzisti di fanfaronate

PARLA MONSIGNOR GALANTINO 

«NOI E GLI IMMIGRATI, NELLA TRINCEA CATTOLICA DELL’ACCOGLIENZA»

Galantino

  Salvini, Zaia e Grillo? «Piazzisti di fanfaronate», conferma e rilancia il segretario generale della Cei, che rivela di ricevere molte lettere di solidarietà, ma anche minacce. «Poi smettiamola con la richiesta ai vescovi di ospitare i migranti nelle chiese e nei seminari: «In Vaticano papa Wojtyla ha aperto una delle prime mense per i poveri. Ci sono vescovi che ospitano immigrati a casa propria e non si sono mai riempiti le tasche di soldi, anzi. Lo fanno anche questi signori?».

 

Li invita ad andare a vedere quello che fa la Chiesa per i migranti. Anzi consiglia di fare un viaggio nei campi profughi in Medio Oriente “così si rendono conto di come soffre quella gente”. Mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, risponde tono su tono al segretario della Lega Matteo Salvini e al presidente del Veneto Luca Zaia e anche a Grillo. Non si meraviglia degli attacchi: “Hanno criticato pesantemente il papa, ma hanno visto che può essere controproducente per il loro consenso, perché papa Francesco è molto popolare. E allora se la prendono con un Galantino qualsiasi”. Rivela che riceve molte lettere di solidarietà, ma anche lettere minatorie e di minacce e spiega c’è solo un modo per uscire dalle polemiche e cioè cambiare la legge Bossi-Fini: “Noi salviamo gli immigrati in mare, ma poi non abbiamo nessuna intensione di accoglierli”

così risponde in un’tervista a :Alberto Bobbio:

 

Mons. Galantino la migliore risposta è questo progetto della Cei in Giordania?


“Mi pare di sì. Noi guardiamo in faccia ai bisogni, a chi bussa alle nostre porte e cerchiamo di offrire risposte. Sappiamo bene che non è la migliore risposta, ma dobbiamo far fronte all’emergenza”.

Però lei è sotto attacco periodicamente per ciò che la Chiesa fa per gli immigrati…


“Il problema è la percezione che gli italiani hanno del fenomeno. Qualche mese fa un sondaggio indicava che in Italia c’è la percezione che gli immigrati siano il 30 per cento degli italiani. Significa che la gente crede che abbiamo accolto 18 milioni di stranieri. Invece sono meno del sette per cento, lavorano, pagano le tasse e contribuiscono quasi all’ 7 per cento della nostra ricchezza. Salvini fa leva sulla percezione, ma sa bene che i numeri sono altri. Utilizza le parole con irruenza invece di guardare le cose in maniera corretta. La realtà è un’altra”.

Lei ha detto alla Radio Vaticana che ci sono piazzisti da quattro soldi che pur di raccattare voti dicono cose insulse. E così?


“Esattamente e aggiungo che sui quei piazzisti molti ci sguazzano. La percezione diventa notizia e alimenta le polemiche. I media, alcuni non tutti, ci vanno dietro, alimentano la polemica, non raccontano qual è la realtà. Anzi i piazzisti sono molti, piazzisti di fanfaronate da osteria, chiacchiere da bar che rilanciate dai media rischiano di provocare conflitti”.

Faccia un esempio…


“Un pugno di cittadini, appoggiati da un movimento di estrema destra a Roma si oppone alla presenza di venti immigrati, ma sui giornali diventa subito ‘la rivolta della capitale’. Non è così che si favorisce la convivenza pacifica”.

La Cei è stata accusata anche di guadagnarci con gli immigrati…


“Una banalità spaventosa. Perché non vengono a vedere? Nelle nostre strutture, quelle accreditate, la polizia ci porta gli immigrati e poi chi si è visto si è visto. Ogni tanto vengono a dare un’occhiata, appare magari un impiegato della Asl per controllare e basta. Noi ci arrangiamo, tiriamo fuori soldi di tasca nostra e nessuno ci guadagna. Noto che anche in questo caso parlano piazzisti di parole che incendiano ed esasperano gli animi”.

Però voi continuate?


“Facciamo quello che ci impone di fare il Vangelo e non dobbiamo giustificarci. Piuttosto è il governo che è del tutto assente sul tema immigrazione. Non basta salvare i migranti in mare per mettere a posto la coscienza nazionale. Potremmo imparare dalla Germania e copiare le sue leggi. Invece noi abbiamo sempre scritto leggi che in buona sostanza respingono gli immigrati e non prevedono integrazione positiva.

Prima la Turco-Napolitano e adesso la Bossi-Fini. Le pratiche per la richiesta di asilo sono lunghissime, un calvario la richiesta di permesso di soggiorno. Parcheggiamo gli immigrati qui e là in Italia. Se invece ci fosse almeno uno stracco di permesso di soggiorno provvisorio potrebbero lavorare e la gente non li vedrebbe più bighellonare in giro e non direbbe che mangiano a spese degli italiani già in crisi. Ma nessuno spiega che è la legge che impone la non integrazione”.

Ma c’è il solito problema del consenso…


“E’ vero. Nessuna forza politica si applica alla questione perché rischia voti. Ma così non si esce dall’impasse e si rischia grosso. Io ricevo molte lettere di solidarietà per ciò che fa la Chiesa, ma anche pesanti lettere di minaccia e allora mi chiedo dove è finito il Vangelo in questo Paese. Il Vangelo dice solo ‘Ero forestiero e mi avete accolto’, ‘Ero perseguitato e mi avete accolto’. Il permesso di soggiorno viene dopo”.

Ma la Lega ha difeso il crocefisso nelle scuole…


“Lodevole iniziativa. Ma ha difeso il crocefisso finché sta appeso al muro, ma quando smette di essere solo un’immagine e il crocefisso scende dalla parete e diventa il volto sofferente che bussa alla mia porta, uno che magari puzza perché ha attraversato il mare, allora non va più bene Che credibilità ha una tale forza politica? Il Vangelo non è una sommatoria generica di precetti morali”.

Anche molti cattolici sono d’accordo con la Lega…


“Allora c’è davvero un problema. Se ci sono preti e vescovi che simpatizzano per questi signori, ammesso che sia vero, come dicono quelli che mi hanno pesantemente attaccato accusandomi perfino di aver offeso milioni di italiani, allora è bene che vadano a spiegare a loro cosa accade nelle nostre parrocchie. Hanno tirato in ballo preti di campagna che starebbero con la Lega. Va bene, ma anche i preti di campagna sanno ciò che accade nella trincea cattolica dell’accoglienza. E poi smettiamo una volta per tutte con quella richiesta al papa di portare gli immigrati in Vaticano e ai vescovi di ospitali nelle chiese e nei seminari. E’ un mantra che non si può più ascoltare.

In Vaticano papa Wojtyla ha aperto una delle prime mense per i poveri. Ci sono vescovi che ospitano immigrati a casa propria e non si sono mai riempiti le tasche di soldi, anzi. Lo fanno anche Salvini, Zaia e Grillo? Per questo una visita ai campi profughi e alle nostre Caritas aiuterebbe a capire. Non dico che cambierebbero opinione, ma li aiuterebbe a capire. Noi qualche titolo in più per parlare di queste cose lo abbiamo perché siamo sulla strada in prima linea e conosciamo la realtà e alle male parole di Salvini rispondiamo con i fatti. Noi conosciamo i nomi degli immigrati, per loro invece sono solo numeri e anche sbagliati”.

 

 

 

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la ‘parresia’ di Galantino è quella di papa Francesco

nelle parole «rudi» di Galantino la linea di Francesco

Galantino

di Luigi Accattoli
in “Corriere della Sera” del 11 agosto 2015

Nunzio Galantino è il segretario della Cei ma non parla come un vescovo. Usa un linguaggio diretto, simile a quello di papa Bergoglio quando grida «vergogna» per Lampedusa. Anzi di più: se Bergoglio è schietto, Galantino è rude.

papa-francesco

La sua cifra è quella del Papa dei poveri che per farsi capire non teme di alzare i toni, o di mescolare i linguaggi, buttando là — poniamo — che per essere buoni cattolici non bisogna fare figli «come i conigli». Galantino taglia e cuce ma non lo fa per inesperienza della vita o della lingua. Sta per compiere 67 anni, ha una laurea in Filosofia e un dottorato in Teologia, ha scritto su Rosmini e Bonhoeffer. Quando qualifica i politici che cavalcano la «paura dell’invasione» come «piazzisti da quattro soldi» intende affermare proprio questo. Non è un «errore comunicativo» come si usa dire nei salotti che non frequenta: è un attacco frontale. Del resto tornava dal Medio Oriente e parlava di richiedenti asilo per i quali venerdì il Papa aveva detto che respingerli «è guerra, si chiama violenza, si chiama uccidere». Con la stessa attitudine combattiva con cui oggi sfida i Grillo e i Salvini, a fine luglio aveva definito «pericolosa» e «ideologica» la sentenza della Cassazione sull’Ici per le scuole paritarie. In maggio aveva commentato così il referendum irlandese che introduceva le nozze gay: «Prevale un delirio dell’emotività e un sonno della ragione». Papa Bergoglio chiede ai vescovi italiani di parlare per il «loro popolo» e di farlo con concretezza di riferimenti, in modo che «il popolo capisca». Si direbbe che Galantino si diverta a fornire esempi di quell’arte, sconosciuta all’Italia ecclesiastica, e può capitare che qualche volta vada più in là del maestro.

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nostalgie da destra per la chiesa di Biffi e Ratzinger contro quella di Galantino e papa Francesco

Marcello Pera

“che abisso fra la chiesa di Biffi e quella di Galantino”

 

 

Pera

il cardinale Biffi è stato un eroe della chiesa, nulla a che vedere con certi prelati che oggi vanno per la maggiore

chi parla è Marcello Pera, dal 2001 al 2006 presidente del Senato, filosofo, considerato uno dei principali studiosi italiani di Popper, negli anni in cui ricopriva la seconda carica dello Stato ha conosciuto e stretto amicizia con Benedetto XVI, un rapporto continuato anche quando Ratzinger è diventato Papa emerito. Dalla sintonia intellettuale fra i due sono nati in particolare tre volumi: Senza radici (2004, Mondadori) scritto a quattro mani e dedicato a Europa, relativismo, cristianesimo e islam, quindi L’Europa di Benedetto (2005, Cantagalli) di Joseph Ratzinger, per il quale Marcello Pera ha scritto l’introduzione, e Perché dobbiamo dirci cristiani: il liberalismo, l’Europa, l’etica (2008, Mondadori), di Marcello Pera, introdotto da una lettera di Benedetto XVI.

Marcello Pera era in prima fila al funerale del cardinale Biffi, che dall’84 al 2003 è stato arcivescovo di Bologna. 
Claudio Monti gli ha posto alcune domande:

Cosa ha significato il card. Biffi per Bologna, per la chiesa e per l’Italia.
Tre cose, detto in breve: la fede, la sapienza teologica, il coraggio. Tutta merce oggi non solo rara, ma pressoché introvabile. Bologna e la Chiesa tutta devono essere fiere di averlo avuto tra i suoi vescovi.

Ricordando la figura del card. Biffi in questi giorni alcuni commentatori hanno scritto che esprimeva una chiesa ormai pressoché definitivamente scomparsa, impegnata com’è, quella dei nostri giorni, ad essere politically correct, fino a scoraggiare, se non ad osteggiare, come ha fatto il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, la manifestazione del 20 giugno scorso a difesa della famiglia. Cosa ne pensa?
Dove vedevo fede profonda e testimonianza fiera e sincera e sorridente, oggi vedo molto calcolo e carriera. Dove sentivo dottrina meditata e approfondita, oggi sento molta approssimazione. E dove avvertivo la parola del coraggio oggi osservo conformismo. Per favore, non si permetta di confrontare il Segretario generale della Cei, e non solo lui, con Giacomo Biffi!

Per quale ragione?
Il card. Biffi era un eroe della Chiesa, un gigante della dottrina. Non aveva diffidenza della teologia e non la piegava all’interesse di moda o al potere di turno. Non pensava che la misericordia facesse eccezione alla verità o che la verità fosse astratta e avesse bisogno dell’integrazione della misericordia per rendersi viva e praticabile e accettabile. E non aveva in gran cura la carriera: ci scherzava sopra. Che meraviglia le sue battute di spirito, così ficcanti e così acute!

giacomo-biffiFece molto discutere il card. Biffi quando nel 2000, affrontando la questione dell’immigrazione, oltre a pronunciare parole profetiche, invitò a “salvare l’identità propria della nazione” perché “l’Italia non è una landa deserta o semidisabitata, senza storia, senza tradizioni vive e vitali, senza un’inconfondibile fisionomia culturale e spirituale, da popolare indiscriminatamente, come se non ci fosse un patrimonio tipico di umanesimo e di civiltà che non deve andare perduto”. Così come chiese di non sottovalutare “il caso dei musulmani”, che “va trattato con una particolare attenzione”. Sono trascorsi 15 anni da quel discorso e verrebbe da dire che, anche su questi temi, aveva visto giusto. O no?
Posso risponderle con le prime parole che gli dissi la prima volta che andai a trovarlo: «Mi scusi, Eminenza, io sono tra coloro che non avevano ancora capito. Grazie per avermelo spiegato, non lo dimenticherò». Oggi mi fa tristezza che lo dimentichino anche i suoi confratelli. Che senso ha ancora parlare di evangelizzazione se poi si predica il dialogo e lo si intende e lo si pratica nel senso della cedevolezza, della chiacchiera, dello scambio di opinioni? Quando Gesù disse: «Io sono la verità» voleva forse dire che ce ne sono anche tante altre e che tutte vanno bene? Quando si dice: «Io sono seguace di Cristo» lo si intende alla stregua di «Io sono vegetariano» o «Io sono juventino»? Si ricorda il famoso e teologicamente tanto tribolato imperativo di Gesù rivolto a coloro che si rifiutavano di accogliere l’invito del padrone: «compelle intrare». D’accordo, Gesù non pensava alla forza, non pensava alla costrizione, pensava alla verità salvifica e irrinunciabile. E comunque, quanto a forza e costrizione, quale valore hanno i princìpi sacri e irrinunciabili scritti nelle costituzioni, se non appunto quello della forza e della costrizione, per legge, verso tutti coloro che intendono far parte della comunità in cui valgono quelle costituzioni? Quando un musulmano entra in Italia e lo Stato lo obbliga laicamente al dettato costituzionale di non contrarre più di un matrimonio, o di non interrompere il lavoro cinque volte al giorno, non dice, esso Stato, «compelle intrare»? Anche questo Biffi aveva capito più e meglio di tanti costituzionalisti e filosofi del diritto sedicenti aperti e tolleranti: che uno Stato che rinuncia alla forza dei suoi princìpi non è uno Stato. E quanto acuto e arguto egli si era mostrato verso la modalità di formazione del nostro Stato unitario, massonica e anticristiana, proprio durante i giorni in cui fuori risuonava la retorica trombona, celebrativa e cortigiana dei nostri politici, pronti a istituire un’altra festa nazionale, fredda come tutte le altre nella coscienza popolare! Mi creda, Giacomo Biffi è stato un grande. Scusi ancora, Eminenza, e grazie!

Claudio Monti

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troppo pochi i conventi aperti ai profughi nonostante papa Francesco

il flop dell’accoglienza della chiesa italiana 

poche migliaia di profughi ospitati

migranti

si potrebbe decisamente fare di più

 nel 2014 di fronte all’ondata di 170mila sbarchi di profughi, i conventi e le case religiose d’Italia dichiaravano disponibilità per 15mila rifugiati: le parrocchie in Italia sono 23mila: se ognuna si facesse carico di un solo profugo, la cifra sarebbe molto maggiore

così Francesco Ruffini

in “Il Messaggero” del 8 agosto 2015

Barconi di fuggiaschi africani e mediorientali continuano a puntare verso le nostre coste, nel mentre Papa Francesco continua ad ammonire: «Accogliere, accogliere, accogliere!». Non è solo un’esortazione umanitaria. Quasi la metà degli 86mila richiedenti asilo attualmente in Italia aderiscono ad una confessione cristiana. E anche se la loro appartenenza religiosa, peraltro causa dell’inumano carico di persecuzioni subite anche durante la traversata in mare, è un particolare che poco o nulla interessa le autorità europee e i media italiani, per le comunità cattoliche del nostro Paese dovrebbe rappresentare un problema morale di notevole importanza. Il 10 settembre del 2013, il Papa, in forma riservata e senza scorta, fece una delle sue improvvisate al Centro Astalli di Roma, un ex seminario che i gesuiti italiani, a metà degli anni Ottanta, avevano trasformato in casa di accoglienza per immigrati.

I PRIMI RIFUGIATI

In quegli stessi anni, sempre a Roma, anche i Cappuccini di Centocelle accoglievano i primi rifugiati che arrivavano in Italia dal Corno d’Africa costruendo per loro un vero e proprio villaggio all’interno della proprietà parrocchiale. Probabilmente, visitando il Centro Astalli Francesco aveva idea di quanto forte fosse la fantasia sociale dei cattolici del nostro Paese. E forse per questo ha colto l’occasione per rivolgere una richiesta pressante alle istituzioni ecclesiastiche italiane: «A che servono alla Chiesa i conventi chiusi? I conventi dovrebbero servire alla carne di Cristo e i rifugiati sono la carne di Cristo. I conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare soldi. Facciamo tanto, forse siamo chiamati a fare di più, accogliendo e condividendo con decisione ciò che la Provvidenza ci ha donato per servire». Il Papa come interlocutori aveva rifugiati eritrei e siriani. Sul web e sulla carta stampata un fervido partigiano di questa opzione preferenziale di Papa Bergoglio per i rifugiati risulta essere il cardinale Ferdinando Filoni, prefetto della Congregazione di Propaganda Fide. Anche se, nei mesi a seguire l’appello fatto dal Centro Astalli, l’amministrazione da lui presieduta trasformava una quindicina di appartamenti, precedentemente occupati da famiglie e da inquilini non abbienti, situati in palazzi tra Santa Maria Maggiore e Via dei Coronari passando per Via Zanardelli e altre strade della Roma storica, in “bed and breakfast” singolari. L’estate scorsa un settimanale italiano ne aveva pubblicato le foto: camere arredate con letti a baldacchino, tendaggi e finti quadri di cardinali rinascimentali e di santi alle pareti. Ambienti che più che ad una scena barocca lasciavano pensare ad una trita atmosfera da “maison de passe” e che la presenza di governanti dell’Est Europa sembrerebbe piuttosto rafforzare.

I CONVENTI

Insomma criterio, responsabilità, coraggio: le tre virtù indicate da Papa Francesco per l’utilizzo delle proprietà ecclesiastiche sembrano essere qualità difficili da scovare e da mettere in pratica. Scarna è la lista dei conventi che ospitano migranti messa on line dalla Cei. Ci sono i Guanelliani a Como, Lecco, Nuova Olonio e Sormano; i Francescani a Enna, Roma e Piglio; gli Scalabriniani a Roma e Foggia; le Mercenarie a Valverde di Scicli; le suore della Provvidenza a Como, Sondrio e Gorizia; le Orsoline a Caserta; i Comboniani a Brescia e altri ancora. Nell’autunno del 2013, seguendo l’appello del Papa, anche il seminario regionale di Fermo (complesso pensato per un numero imponente di seminaristi provenienti da tutte le Marche) ha subito destinato un’ala chiusa della struttura per accogliere una trentina di richiedenti asilo. Peccato che la sera del primo dicembre 2014, i carabinieri siano dovuti intervenire per sedare la rivolta degli ospiti insoddisfatti della cena servita loro, quella dei seminaristi. A farne le spese le stoviglie, l’arredo e le suppellettili del refettorio e di altri spazi comunitari. Altro caso sintomatico, quello della Diocesi di Crema che lo scorso luglio comunicava la sospensione dell’accoglienza agli immigrati in un convento della città «a causa della tenace e strenua opposizione di molti genitori» di un’attigua scuola cattolica.

STOP ALLA DISPONIBILITÀ

Casi del genere hanno, forse, raffreddato l’entusiasmo seguito all’appello di Papa Francesco, perché centri Caritas e conventi di tutta Italia inizialmente si erano dichiarati disponibili. Qualcosa poi non deve aver funzionato neppure a livello istituzionale, dato che nel novembre del 2013 l’allora responsabile dell’Ufficio immigrazione della Caritas, Oliviero Forti, lamentava il fatto che il nostro ministero degli interni non si esprimeva circa la lunga lista delle opportunità che la Chiesa metteva a sua disposizione. In realtà, opportunità soprattutto immaginate: nel 2014 di fronte all’ondata di 170mila sbarchi di profughi, i conventi e le case religiose d’Italia dichiaravano disponibilità per 15mila rifugiati. Le parrocchie in Italia sono 23mila: se ognuna si fosse fatta carico di un solo profugo, la cifra sarebbe stata maggiore. Come Mafia capitale lascia intuire, a mettere i bastoni tra le ruote di Papa Francesco non sono i soliti nemici, ci pensano già quelle cooperative bianche che di criterio, responsabilità e coraggio non sanno cosa farsene.

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botta e risposta tra mons. Galantino e Salvini

Galantino (Cei): “Contro i migranti piazzisti da 4 soldi”

Salvini: “Chi difende invasione o non capisce o ci guadagna”

Galantino (Cei): "Contro i  migranti piazzisti da 4 soldi". Salvini: "Chi difende invasione o non capisce o ci guadagna"

E oggi, poco dopo il commento di Galantino, Salvini è tornato sulla questione: “Chi difende questa invasione clandestina, che sta rovinando l’Italia, o non capisce o ci guadagna. Non si tratta di essere cattolici o no, si tratta di buonsenso. Sono felice del sostegno che arriva, a me e alla Lega, da tante donne e uomini di Chiesa senza le fette di salame sugli occhi e le tasche piene!”, ha detto nel corso di un’intervista al quotidiano online Affaritaliani.it.

557 milioni dalla Ue. Intanto non si ferma l’emergenza sbarchi. Sono in totale 1552 i migranti salvati oggi a largo delle coste libiche nel corso di sette distinte operazioni di soccorso coordinate dalla centrale operativa della guardia costiera. Per affrontare la situazione l’Ue ha approvato 23 programmi pluriennali fino al 2020 per un totale di 2,4 miliardi di euro (parte dei 7 miliardi stanziati fino al 2020 in materia di sicurezza e immigrazione) a sostegno dei Paesi membri che debbono affrontare in prima linea l’impatto delle ondate di immigrati che sbarcano sul loro territorio. All’Italia sono stati assegnati 557 milioni suddivisi in due programmi: Asylum Migration ed Integration Fund (Amif) e l’Internal Security Fund.

Galantino: “Distinguere ‘il percepire’ dal reale”.  “Come italiani dovremmo un poco di più imparare a distinguere il ‘percepire’ dal reale”, afferma il presule ai microfoni della Radio Vaticana, che lo ha intervistato al rientro del suo viaggio in Giordania, paese che accoglie diversi milioni di richiedenti asilo fuggiti da Siria e Iraq.  “Noi qui – spiega monsignor Galantino sentiamo dire e sentiamo parlare di ‘insopportabilità’ del numero di richiedenti asilo: guardate, questo, secondo me, è un atteggiamento che , in questi giorni, viene purtroppo alimentato da questi quattro piazzisti”.

L’accoglienza. Monsignor Galatino ha parlato di accoglienza, tema sul quale il Vaticano nei giorni scorsi era stato duramente criticato da Salvini. “Lo so che l’accoglienza è faticosa; lo so che è difficile aprire le proprie case, aprire il proprio cuore, aprire le proprie realtà all’accoglienza”, ha detto Salvini. Il segretario della Cei ha indicato all’Italia e all’Europa l’esempio di paesi che sanno accogliere di più. “La Giordania –  ha spiegato – ha una popolazione che è di circa 6 milioni, 6 milioni e mezzo, ma sapete che lì ci sono due milioni e mezzo di profughi che vengono accolti?”. “Quello che distingue la Giordania, il Kurdistan iracheno e le altre zone che stanno accogliendo i profughi in questo momento dall’Italia, da noi è questo: non perchè loro hanno più mezzi, probabilmente hanno solo un cuore un poco più grande”.

Anche il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, ha messo l’accento sulla questione immigrazione nel corso di un’omelia pronunciata nella cattedrale di Genova – città di cui è arcivescovo -, sottolineando “l’indifferenza pratica di fronte a esodi di disperati costretti da miseria, guerra, persecuzione a cercare fortuna altrove”. Mentre Antonio Satta, componente del direttivo dell’A e segretario dell’Unione popolare cristiana ha dettto: “Salvini sappia che la chiesa, tramite le sue Caritas locali, svolge un ruolo fondamentale nell’accoglienza dei profughi. Tanti comuni sarebbero in seria difficoltà senza l’attività caritativa delle diocesi. Serve maggiore rispetto per la chiesa”.

Sulla polemica in corso interviene anche il deputato del Pd Edoardo Patriarca, vicepresidente della Commissione d’ inchiesta sui migranti.  “Se c’è qualcuno che sulla questione immigrazione ci guadagna è la Lega, che pur di avere qualche voto in più parla di emergenza e di respingimenti – dice – I numeri degli sbarchi sono in sostanza in linea con lo scorso anno, ma la nostra linea è comunque chiara: maggiore aiuto da parte della Ue, redistribuzione a livello europeo degli arrivi, e, laddove non ci sono le condizioni per lo status di rifugiato, rimpatri”. “La Chiesa non guadagna nell’assistere i rifugiati, senza di esse molte comunità locali sarebbero in difficoltà. Ma Salvini fa finta di non sapere”.

Sullo scontro fra Salvini e monsignor Galatino interviene anche Forza Italia.  “Rispettiamo le opinioni di tutti, e anche quella del segretario generale della Cei, monsignor Galantino, ma parlare in modo schietto e sincero del tema dell’immigrazione implica anche esaminare tutti gli elementi in campo, a iniziare da quello della sicurezza dell’Italia e dei cittadini. Se chiudiamo gli occhi e cediamo al buonismo non risolviamo i problemi – attacca  l’onorevole Daniela Santanche’ di Forza Italia – . Non e’ una questione di strumentalizzazione o no: qui si tratta di salvare l’Italia da un’invasione perché di questo si tratta quando in migliaia continuano ad arrivare in modo incontrollato”.

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una vera guerra, parola di papa

il papa: ‘respingere i migranti e’ atto di guerra

 per Papa Francesco respingere in mare gli immigrati e’ un atto di guerra

 lo ha affermato questa mattina nel dialogo a braccio con i ragazzi del Movimento Eucaristico Giovanile, prendendo spunto dal dramma che si sta consumando in Asia dove i “boat people” in fuga dal Myanmar sono respinti nell’Oceano. “Pensiamo – ha detto il Papa – a quei fratelli nostri Rohingya che sono stati cacciati  via da un paese da un altro e vanno sul mare e quando arrivano su un porto danno loro da mangiare e li cacciano di nuovo. E’ un conflitto non risolto: e’ guerra, si chiama violenza, e’ uccidere”.

“Se ti uccido e’ finito il conflitto. Ma non e’ il cammino”, ha detto ai 1500 ragazzi che lo ascoltavano nell’Aula Nervi. Per il Pontefice “quando identita’ diverse vivono insieme, sempre ci saranno i conflitti, ma – ha scandito – soltanto col rispetto dell’identita’ dell’altro si risolve il conflitto. Le tensioni si risolvono nel dialogo, i veri conflitti sociali e culturali si risolvono col dialogo ma prima con il rispetto dell’identita’ dell’altra persona”. Francesco ha parlato del problema degli immigrati rispondendo alla domanda di Gregorius, un ragazzo indonesiano che, ha riassunto il Papa, “ha parlato dei conflitti in una societa’ come l’Indionesia, dove si respira una grande diversita’ intrerna di culture”. “E’ un conflitto sociale. Ma anche i conflitti – ha osservato – possono farci bene, perche’ ci fanno capire le differenze, come sono le cose diverse. E ci fanno capire che se non troveremo la soluzione che risolve questo conflitto ci sara’ una vita di guerra”. Secondo Bergoglio, “il conflitto per essere bene assunto deve essere orientato verso l’unita’. Una societa’ con tante culture diverse – ha spiegato – deve cercare l’unita’ nel rispetto di ciascuna identita’ perche’ il conflitto si risove con il rispetto delle identita’”. “Alla tv e sui girnali – ha aggiunto il Pontefice – vediamo conflitti che non si sanno risolvere e finiscono in guerre perche’ una cultura non tollera l’altra”. Il Papa ha fatto cenno in proposito anche all’integralismo cattolico, un male da evitare. L’atteggiamento verso chi non ha la nostra stessa fede deve essere di apertura. “Non e’ cattolico, non crede, ma tu – ha suggerito – rispettalo, cerca che cosa di buono ha, i valori che ha. Cosi’ i conflitti si risovono con il rispetto delle identita’ e le tensionio con il dialogo”. (AGI) .

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il commento al vangelo della domenica

 IO SONO IL PANE VIVO DISCESO DAL CIELO 

  commento al vangelodella domnica diciannovesima del tempo ordinario 9 agosto 2015) di p. Alberto Maggi  e di p. Agostino Rota Martir

p. Maggi

Gv 6, 41-51

In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».
Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.
Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Con l’espressione ‘giudei’ nel vangelo di Giovanni, non si indica il popolo, ma i capi religiosi, le autorità religiose, e sono queste che mormorano contro Gesù. Che mormorino contro Gesù i capi si può capire, ma in questo vangelo mormorano contro Gesù sia la folla, ma anche i discepoli.
Gesù è riuscito a scontentare tutti quanti e vedremo in questo vangelo perché.
Qui gli scontenti sono i capi del popolo perché non possono ammettere che Gesù rivendichi la condizione divina. Gesù ha detto “io sono” – è il nome di Dio – “il pane disceso dal cielo”. Che un uomo pretenda di avere la condizione divina per le autorità religiose è un crimine intollerabile. Dio mette tutto il suo intento per avvicinarsi all’uomo e fondersi con lui; le autorità religiose hanno tutto l’interesse e mettono tutto l’intento per separare l’uomo da Dio, perché più Dio e l’uomo sono lontani, più essi si possono inserire quali unici mediatori.
E quindi non accettano la pretesa di Gesù di essere un uomo con la condizione divina.
Ecco perché replicano “ma non è costui il figlio di Giuseppe?” E Gesù dà un importante criterio per avvicinarsi e accoglierlo: “nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato”. Cosa vuol dire per Gesù? Andare a Gesù significa riconoscere Dio come Padre, cioè colui che è a favore dell’uomo, perché Gesù è l’espressione dell’amore di Dio per tutta l’umanità.
Chiunque vede in Dio un alleato per l’uomo si sente poi attratto da Gesù. Ecco perché i capi non avvicineranno mai Gesù e non arriveranno mai a Dio, perché loro non sono interessati al bene dell’uomo, ma soltanto al proprio prestigio. Non conoscono il Padre, ma soltanto il loro interesse.
Questo amore che Gesù comunica è un amore che viene da Dio e quindi è indistruttibile, ecco perché Gesù può assicurare “io vi dico che chi crede”, cioè ‘chi da adesione a questo Gesù, a questo progetto d’amore di Dio per l’umanità, “ha la vita eterna”. La vita eterna per Gesù non è una promessa da conseguire nel futuro, per la buona condotta tenuta nel presente, ma una realtà che si può sperimentare in questa esistenza. Quindi Gesù non dice “chi crede avrà” poi nel futuro la vita eterna, ma “chi crede ha già”, sperimenta già adesso una vita di una qualità tale che è indistruttibile.
Poi Gesù dice quello che non dovrebbe dire, ecco perché riesce a scontentare tutti quanti, e mette il dito nella piaga. Gesù, rivendicando la condizione divina, “Io sono io pane della vita”, dice “i vostri padri”. Gesù avrebbe dovuto dire “i nostri padri”, anche lui è un componente del popolo di Israele, ma Gesù prende le distanze. Lui è mosso e segue il Padre, non i padri, non la tradizione del popolo.
“I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti”. Gesù mette il dito nella piaga del grande fallimento dell’esodo. Tutti quelli che sono usciti dalla schiavitù egiziana sono tutti morti nel deserto. Neanche uno è entrato nella terra promessa; i loro figli sono entrati nella terra promessa. Ma neanche Mosè c’è riuscito e sono tutti morti.
E perché sono morti? Secondo il libro di Giosuè e secondo il libro dei Numeri, sono morti per non aver dato ascolto alla voce di Dio. Allora Gesù dà un monito “come quella generazione morì nel deserto per non aver ascoltato la voce di Dio, anche voi rischiate di non entrare nella pienezza della libertà se non ascoltate questa voce.
Ed ecco allora Gesù che rivendica e conferma “se uno  mangia di questo pane” – che è lui, la sua vita – “vivrà in eterno”. La vita che Gesù comunica è una vita che non viene interrotta dalla morte. E poi questa preziosa indicazione “il pane che io darò è la mia carne”, l’evangelista usa il termine ‘carne’ che indica la debolezza dell’uomo, “per la vita del mondo”. Non esistono doni divini che non si manifestino nella debolezza della condizione umana.

 il commento di p. Agostino Rota Martir:

agostino

 

Gesù dà vita scendendo

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno.”

Gesù è il pane disceso, perché la sua origine è in Dio, ma è anche lo stile costante della sua stessa vita, è il suo incessante comportamento con le persone che incontra, quello di “scendere” per farsi prossimo con il povero, l’ammalato, il lebbroso, con lo straniero, il peccatore..

Gesù attraverso il suo comportamento rivela che Dio manifesta se stesso dal basso, abbassandosi, andando oltre la Legge sacra del tempio. Non più un Dio che chiede all’uomo di salire per adorarlo nel tempio, ma di scendere nelle strade, nei vicoli, nelle case là dove l’uomo vive, lotta, spera per mostrare il suo Amore Liberante verso tutti. Il Dio di Gesù si disloca dal tempio, per scendere, proprio come l’incarnazione di suo Figlio Gesù, non per capriccio, ma per indicare la via capace di rivelare il suo Regno, quella di abbassarsi per fare spazio all’altro.

Donare senza scendere. Tipico di molti di noi, abbastanza diffuso anche dentro le nostre comunità: “Ti aiuto ma resto al sicuro nella mia posizione, possibilmente in alto. Ti dono qualcosa, ma fino ad un certo punto. Ti aiuto quando te lo meriti..” E’ l’aiuto senza relazione con l’altro, a distanza senza voler scendere più di tanto.

“La tentazione dell’essere al centro, nel senso di governare, dirigere, guidare, essere i protagonisti primi e principali di ciò che succede, è comune a tutti noi.” (Stella Morra, Dalle periferie un altro sguardo.)

Due fatti successi ultimamente, opposti tra di loro ma che ci aiutano a comprendere la “logica” del pane vivo disceso.

* Di fronte al bisogno di alloggi per accogliere dei profughi, un vescovo del Nord d’Italia offre i locali di un convento ormai vuoto, ma dei genitori di una scuola cattolica hanno rifiutato la loro presenza perché troppo vicina ai loro figli, mormorando pubblicamente la scelta del loro vescovo..Senz’altro ‘sti genitori “cattolici” sono ben lontani da Dio, anche se assidui frequentatori del tempio: e se invece, il pane vivo disceso dal cielo sta in mezzo a quei profughi rifiutati dai benpensanti timorati di Dio? Che occasione persa!

* Di segno opposto invece, la notizia di un deputato tedesco che sceglie di offrire la sua casa per dei richiedenti asilo, dopo aver ascoltato la loro storia in parrocchia.

Mangiare il pane vivo non significa forse fare spazio, perché l’altro possa crescere in me? Così la mia carne (la mia storia, le mie scelte..) si trasformerà in vita per il mondo, per chi attraversa il mio cammino.

Ecco, ripetersi il miracolo del pane disceso (che si disloca), mette in movimento le nostre certezze, le nostre stabilità.

Mangiare il pane vivo disceso dal cielo non può che portarci a scegliere da che parte stare e soprattutto il come starci.

Campo della Bigattiera (Pisa)

8 Agosto 2015

 

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