l’abbraccio di papa Francesco ai rom

Papa Francesco riceve e abbraccia un gruppo di rom: “La Chiesa vi è vicina, non disperate”

 

ROMPAPA

   “La Chiesa vi è vicina, è sempre accogliente, specie questa parrocchia. Siate sempre vicini alla Chiesa. Non perdete la speranza”. Papa Francesco si è rivolto così ad un gruppo di 40 rom del Campo Nomadi che si trova nella Tenuta Piccirillo, nell’ex campeggio Green River a Prima Porta.
Queste famiglie, una delle quali è composta da 18 persone, sono state “adottate” dalla parrocchia di San Giuseppe all’Aurelio, sulla via Boccea, dove il Papa è recato oggi in visita pastorale.
Nel breve discorso “di speranza e incoraggiamento” che il Pontefice ha pronunciato a braccio, anche l’invito ai rom a “cercare il lavoro e l’integrazione, senza mai disperare”.
“Non perdete mai la speranza nel futuro. Vi ringrazio per l’accoglienza che mi avete riservato”, ha detto inoltre Bergoglio che ha poi salutato (spesso con un abbraccio) ciascuno dei rom presenti e i volontari della Comunità di Sant’Egidio che li aiutano.

 

 

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l’appello delle comunità cristiane in favore di papa Francesco contro i suoi denigratori

APPELLO

Con Papa Francesco a sostegno della sua pastorale teologica

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L’arrivo del Papa «venuto dalla fine del mondo» che assume il nome di Francesco presentandosi non come Pontefice Massimo, ma come Vescovo di Roma, provoca reazioni scomposte dentro la Curia vaticana che, falcidiata da scandali e corruzioni, considera il Papa come corpo «estraneo» al suo sistema consolidato di alleanze col potere mondano, alimentato da due strumenti perversi: il denaro e il sesso.
Dapprima il chiacchiericcio sul «Papa strano» inizia in sordina, poi via via diventa sempre più palese davanti alle aperture di papa Francesco in fatto di famiglia, di «pastorale popolare» e di vicinanza con il Popolo di Dio per arrivare anche – scandalo degli scandali – a parlare con i non credenti e gli atei.
Dopo lo sgomento di un sinodo «libero di parlare», l’attacco frontale di cinque cardinali (Müller, Burke, Brandmüller, Caffarra e De Paolis), tra cui il Prefetto della Congregazione della Fede, ha rafforzato il fronte degli avversari che vedono in Papa Francesco «un pericolo» che bisogna bloccare a tutti i costi.
Rompendo una prassi di formalismo esteriore, durante gli auguri natalizi, lo stesso Papa elenca quindici «malattie» della Curia, mettendo in pubblico la sua solitudine e chiedendo coerenza e autenticità.
Come risposta all’appello del Papa, il giorno dopo, il 24 dicembre 2014, Veglia di Natale, scelto non a caso, il giornalista Vittorio Messori pubblica sul Corriere della Sera «una sorta di confessione che avrei volentieri rimandata, se non mi fosse stata richiesta», dal titolo «I dubbi sulla svolta di Papa Francesco», condito dall’occhiello: «Bergoglio è imprevedibile per il cattolico medio. Suscita un interesse vasto, ma quanto sincero?».
L’attacco è mirato e frontale, «richiesto», una vera dichiarazione di guerra, felpata in stile clericale, ma minacciosa nella sostanza di un avvertimento di stampo mafioso: il Papa è pericoloso, «imprevedibile per il cattolico medio». È tempo che torni a fare il Sommo Pontefice e lasci governare la Curia. L’autore non fa i nomi dei «mandanti», ma si mette al sicuro dicendo che il suo intervento gli «è stato richiesto».
Ci opponiamo a queste manovre, espressione di un conservatorismo, che spesso ha impedito alla Chiesa di adempiere al suo compito «unico» di evangelizzare. Papa Francesco è pericoloso perché annuncia il Vangelo, ripartendo dal Concilio Vaticano II, per troppo tempo congelato. I clericali e i conservatori che gli si oppongono sono gli stessi che hanno affossato il concilio e che fino a ieri erano difensori tetragoni del «primato di Pietro» e dell’«infallibilità del Papa» solo perché i Papi, incidentalmente, pensavano come loro.
Noi non possiamo tacere e con forza gridiamo di stare dalla parte di Papa Francesco. Con il nostro appello alle donne e agli uomini di buona volontà, senza distinzione alcuna, vogliamo fare attorno a lui una corona di sostegno e di preghiera, di affetto e di solidarietà convinta.
La «svolta di Papa Francesco» non genera dubbi, al contrario coinvolge e stimola la maggioranza dei credenti a seguirlo con stima e affetto. Il ministero del Vescovo di Roma e la sua teologia pastorale suscitano speranza e anelito di rinnovamento in tutto il Popolo di Dio e il suo messaggio è ascoltato con attenzione da molte donne e uomini di buona volontà, non credenti o di diverse fedi e convinzioni.
Desideriamo dire al Papa che non è solo, ma che, rispondendo al suo incessante invito, tutta la Chiesa prega per lui (cfr. At 12,2). È la Chiesa dei semplici, delle parrocchie, dei marciapiedi, la Chiesa dei Poveri, dei senza voce, dei senza pastori, la Chiesa che vive di testimonianza e di generosità, attenta ai «segni dei tempi» (Matteo 16,3) e camminando coi tempi per arrivare in tempo.
Allo stesso modo, molti non credenti, atei o di altre religioni, uomini e donne liberi, gli esprimono pubblicamente la loro stima e la loro amicizia. La sètta di «quelli che portano vesti sontuose e vivono nel lusso stanno nei palazzi dei re» (Luca 7,25) e non possono stare con un Papa di nome Francesco che parla il Vangelo «sine glossa».
Papa Francesco, ricevi il nostro abbraccio e la nostra benedizione.
Roma, 25 dicembre 2014 – Natale di Gesù

Comunità di San Torpete Genova, con Paolo Farinella, prete
Comunità Le Piagge Firenze, con Alessandro Santoro, prete
Noi Siamo Chiesa-Italia con Vittorio Bellavite
Comunità Parrocchiale di Ronco di Cossato Biella con Mario Marchiori, prete
Ornella Marcato e Fabio Cozzo, coniugi
Aldo Antonelli, prete
Benito Fusco, frate
Chiara Sibona e Diego Rufillo Passini, coniugi – fraternità secolare OSSM

per adesioni scrivere a donmariocossato@libero.it

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carissimi magi, anzi carissimi cercatori nomadi di Dio …

 

 

una lettera aperta di p. Agostino Rota Martir ai ‘magi’ ‘nomadi di Dio’ in commento al vangelo dell’Epifania:

agostino

 Nomadi di Dio

Carissimi Santi Cercatori, non ne avrete a male se non vi chiamo Magi, parola che spesso vi circonda con un alone di leggenda infantile, da lungo tempo, forse fin dalle origini del vostro andare per il mondo, a cercare, a interrogare, a domandarsi. Non è forse questo il messaggio che ci annunciate per noi oggi, quanto mai valido e carico di novità: Gesù, Figlio di Dio ignorato dai suoi, ma cercato dagli estranei, dai lontani, dai disprezzati. E voi probabilmente eravate tutto questo! Disprezzati perché stranieri, perché indovini, cercatori di cosa? Costretti a muovervi in continuazione, un po’ per professione e un po’ per opportunità.  

Ma voi Lo avete adorato. Solo chi è in cammino saprà adorare la Luce del mondo, non chi vive fermo, cullato da verità che crede di avere in tasca e che vorrebbe imporre ad altri.

Voi, stranieri, migranti e nomadi in continuo movimento .. ci svelate il Mistero del Vangelo, senza di voi la nostra fede rischia di diventare un artiglio che ferisce e incapace di suscitare la Gioia.

E’ anche per questo che vi considero più reali di una leggenda che alimenta menti infantili.  

Ovunque, immagino siete stati visti con sospetto e diffidenza, anche per questo vostro incurante attraversamento di confini; d’altronde, un cercatore non è colui che osa spingersi sempre oltre, indifferente alle frontiere?

Raccoglitori di semi di verità senza tempo, sparpagliati ovunque nei solchi dei popoli. Solo voi mendicanti clandestini a seguire tragitti non segnati dalle mappe ufficiali, solo voi potevate raccogliere quei frammenti di luce di una stella, che appare e dispare lassù in cielo e custodirla pura nell’oceano del vostro cuore.  

Voi siete gli “zingari” di Dio, in grado di sconvolgere i piani dei “controllori” e di raggirare la menzogna dei loro tranelli, e che nel tempo assumono volti diversi: sicurezza, controllo, sgomberi, regole, integrazione..il seme di Erode mai si è estinto del tutto e trova ancora oggi grembi pronti ad accoglierlo. Capace, ieri come oggi, di presentarsi con le buone intenzioni: “Ripristinare regole e legalità..per avviare progetti di inclusione più efficace”.

Ma la stella non brilla su Gerusalemme, la città santa e di potere, appare solo quando le voltate le spalle e osate cercare fuori, sempre oltre..Lo avete intuito anche voi: non si può essere cercatori di Luce e nello stesso tempo assecondare le trame dei grandi.  

Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono.”

Immagino il vostro smarrimento, misto a meraviglia: dopo tanto viaggiare, con tutte le difficoltà affrontate, con gli occhi quasi infiammati dallo scrutare di notte una semplice stella ..ora come meta finale del vostro ricercare, trovarvi davanti ad una semplice casa, una normale mamma con il suo neonato. Una famigliola (non tanto in regola), al margine di villaggio, in un rifugio di fortuna, immagino la domanda che vi sarete fatti: “Può forse essere questa la meta del nostro viaggiare?”  

Ci vuole Fede, riuscire a prostrarsi e adorare nel neonato quella stessa Luce che guidava i vostri passi, ed ora riconoscere finalmente che anche Dio stava rispecchiandosi negli occhi di un semplice bambino, bisognoso di tutto.

Non è da tutti farcela a fare questo salto e a tenere dentro di voi, in silenzio questo immenso segreto: Dio si è fatto uomo e non si è rivelato attraverso i decreti dei potenti, ma nel sogno degli esclusi, ai semplici di ogni popolo e cultura, è un Dio che si fa clandestino sulle piste della speranza, incurante degli Erode di turno.  

Grazie, voi in un certo senso avete anticipato la Pentecoste (Chiesa in uscita), siete stati i germi di una Chiesa aperta e sparpagliata nel mondo e che porterà i suoi frutti..nonostante le paure e le trame di chi vorrebbe una Chiesa forte e ripiegata su se stessa, magari con gli Erode disposti a difenderla.

Per un’altra strada fecero ritorno.”   

Campo Rom di Coltano (PI)

5 Gennaio 2015

 

 

 

 

 

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il senso del natale

 

 

5 domande sul senso del Natale a Vito Mancuso

 

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“Sono consapevole dell’aspetto commerciale del Natale e di come questo sia soverchiante, tuttavia ritengo che il rimando a quel bambino che nasce, e a ciò che quel bambino per molti significa, sia ancora vivo in molte persone…”

Vito Mancuso, noto teologo italiano, dal 2013 docente presso l’Università degli Studi di Padova, è in libreria per Garzanti con Io amo – Piccola filosofia dell’amore. E in vista delle festività natalizie, ha risposto ai quesiti de IlLibraio.it.

Il Natale è ancora una festa religiosa?
“Io penso di sì, che lo sia ancora, per lo meno in Italia. Certo, sono consapevole dell’aspetto commerciale del Natale e di come questo sia soverchiante, tuttavia ritengo che il rimando a quel bambino che nasce, e a ciò che quel bambino per molti significa, sia ancora vivo in molte persone. Il sentimento religioso non è per nulla scomparso, magari non conosce più le forme per manifestarsi come una volta, ma quando trova occasioni per riemergere lo fa, e il Natale (con le Chiese sempre così piene) è certamente una di queste”.

Le sembra giusto il modo in cui la Chiesa ritualizza e amministra questa festa?
“Sì, non penso di avere obiezioni al riguardo. Certo, molto dipende dal singolo prete, dalla sua capacità di celebrare veramente il mistero (divino e umano al contempo) cui la festa rimanda. Vi sono Chiese, entrando, nelle quali per la Messa si percepisce subito questa capacità di richiamare il cuore e la mente a una dimensione ulteriore dell’esistenza, altre invece dalle quali tutto questo è quasi assente. Ma la Chiesa gerarchica e la sua liturgia offrono tutte le possibilità perché la celebrazione possa veramente toccare la dimensione mistica dell’esistenza”.

Cosa c’è di sacro nel mangiare insieme?
“Io penso che vi sia qualcosa di sacro anche già solo nel mangiare in sé, a prescindere che lo si faccia da soli o insieme ad altri. La gran parte degli esseri umani non se ne cura e assume cibo senza avere la consapevolezza di nutrire la propria vita mediante la vita altrui, sia essa animale o vegetale. La vita si nutre di vita, ed essendo l’ambito del sacro direttamente connesso a quello della vita, si comprende come l’atto del nutrirsi e il cibo quale nutrimento abbiano già in sé una valenza sacrale. Bisognerebbe prenderne coscienza e pensare che a ogni boccone entra in noi una parte del cosmo: noi viviamo grazie al cosmo. La natura è la nostra madre in ogni giornata della nostra esistenza, non solo perché anni fa ci ha fatto nascere, ma anche, e direi soprattutto, per il fatto che ci mantiene all’esistenza. Prendere coscienza di questo legame con la natura-madre non può, a mio avviso, non generare un sentimento di sacra riverenza verso di essa. Quando poi l’atto del mangiare assume una valenza comunitaria, e la famiglia si riunisce, e si mangiano cibi particolari, legati alla tradizione e ai ricordi, e il servizio di tavola è quello bello delle grandi occasioni, allora la celebrazione della vita e dell’essere legati gli uni agli altri può assumere una valenza davvero straordinaria. Il pranzare e il cenare insieme possono raggiungere in alcuni casi una dimensione celebrativa che ha non poche analogie con quella della messa – la quale, non a caso, prende origine da un mangiare insieme, quello di Gesù con i discepoli nell’ultima cena”.

E cosa c’è di sacro nel farsi doni?
“Può non esserci nulla, e può esserci molto. Il sacro non è un oggetto tra gli altri, è piuttosto una disposizione della mente che nasce quando la mente riconosce di essere in presenza di qualcosa di più importante di sé e in un certo senso vi si inchina, come se facesse una riverenza. Ne viene che il farsi doni può essere semplicemente vissuto come un’incombenza da espletare (peraltro anche abbastanza fastidiosa), oppure come un pensare alle persone nella loro singolarità, manifestando tale nostro affettuoso pensiero tramite un oggetto concreto che si regala. Nel primo caso non c’è nulla di sacro, nel secondo il sacro è dato dall’affetto, dall’attenzione e dalla stima per quella determinata persona. Io penso che nella nostra interiorità vi siano energie così intime e particolari per le quali non è assolutamente fuori luogo parlare di sacro”.

Ultima domanda inevitabile: come festeggia il Natale Vito Mancuso?
“In modo molto semplice: Messa, pranzo in famiglia da mia madre nel paese nativo, tempo liberato, spazio ai ricordi. E quindi anche a un po’ di nostalgia per l’incanto dei Natali di quand’ero bambino e per i miei cari che non ci sono più”.

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piccola rom: non c’è posto per lei nel cimitero

 

 

«tombe esaurite» per la piccola rom
il sindaco: “viene prima chi paga tasse”

per fortuna il primo ministro si è vergognato e ha espresso la sua indignazione!

Maria Francesca, 2 mesi, è morta la notte di Natale per la sindrome del lattante

 il primo cittadino nega sepoltura: «Pochi posti, precedenze chiare»: seppellita in città vicina

di Elisabetta Rosaspina

Il cimitero di Champlan, alle porte di Parigi il cimitero di Champlan, alle porte di Parigi


Era già stato abbastanza triste finire l’anno con la notizia di una neonata morta fra le braccia di sua madre la notte del 25 dicembre, alla stazione ferroviaria di Lille, nel nord della Francia, dove la donna, una Rom, chiedeva l’elemosina. Aveva consolato poco sapere che il decesso della piccola, di appena due mesi d’età e di nome Maria Francesca, non era dovuto al freddo, o alla malnutrizione o a maltrattamenti. I medici avevano stabilito che la responsabilità era della sindrome della morte improvvisa del lattante. Certo la precarietà della vita nel campo nomadi di Champlan, un paesino dell’Essonne, dove la famiglia di Maria Francesca risiede, le giornate e le serate al collo della mamma, a mendicare, non hanno aiutato. Ma stemperati i dubbi e le prime ondate di emozione, le autorità hanno dato il via libera per la sepoltura del bebè. Ma neanche sotto terra c’è posto per Maria Francesca.

«Tutto esaurito» al camposanto

Il sindaco di Champlan ha opposto all’impresa di pompe funebri dapprima un diniego senza altre spiegazioni e, poi, vedendo montare pericolosamente la protesta, un cartello di tutto esaurito al piccolo camposanto. Una scusa. La famiglia, nomade ed emarginata ma anche molto cristiana e battagliera, non si è data per vinta, le associazioni di solidarietà sono scese sul piede di guerra. Niente da fare. Nonostante la mamma di Maria Francesca abbia spiegato che soltanto al cimitero di Champlan avrebbe potuto andare far visita a piedi alla sua bambina tutti i giorni, il carro funebre proseguirà senza fermarsi davanti al camposanto locale.


Una tomba messa a disposizione da un villaggio vicino

Una tomba è stata messa a disposizione in un villaggio, Wissous, a circa sette chilometri di distanza: «Non si poteva non intervenire – ha dichiarato il sindaco più generoso, Richard Trinquier, che appartiene al partito conservatore, Ump, di Sarkozy, ed è un medico -. Non è il caso di aggravare il dolore di una donna che ha portato in grembo il suo bambino per nove mesi e lo perde a poco più di due mesi di vita». Il sindaco di Champlan, Christian Leclerc, eletto del DVD, una formazione di destra, non si è lasciato commuovere: «I posti sono pochi, valutiamo caso per caso. Le concessioni sono accordate a un prezzo simbolico e la manutenzione è costosa. Diamo la precedenza a chi paga le tasse». La legge è dalla sua.

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il natale secondo L. Boff

Natale: festa dell’umanità di Dio e della commensalità umana

Boff L.

Il Natale è pieno di significati. Uno di essi è stato rubato dalla cultura del consumismo che, invece del Bambino Gesù, preferisce la figura del buon Babbo Natale, perché è più efficace in ambito commerciale. Il Bambino Gesù, al contrario, ci parla dal bambino interiore che portiamo sempre dentro noi che sente necessità di essere curato e che, una volta cresciuto, ha l’impulso di curare. È quel pezzo di paradiso che non si è perso totalmente, fatto di innocenza, di spontaneità, di incantesimo, di gioco e di convivenza con gli altri senza nessuna discriminazione.

Per i cristiani è la celebrazione della “prossimità e dell’umanità” del nostro Dio, come si dice nell’epistola a Tito, 3,4. Dio si lasciò attrarre tanto dall’essere umano che volle essere uno di essi. Come dice accuratamente Fernando Pessoa nel suo poema sul Natale: “Egli è l’eterno Bambino, il Dio che mancava; il divino che sorride e che gioca; il bambino tanto umano che è divino.”

Ora abbiamo un Dio bambino e non un Dio giudice severo dei nostri atti e della storia umana. Che gioia interiore proviamo quando pensiamo che saremo giudicati da un Dio bambino. Più che condannarci, vuole convivere ed intrattenersi eternamente con noi.
La sua nascita provocò una commozione cosmica. Un testo della liturgia cristiana dice in forma simbolica: “Allora le foglie che parlottavano, tacquero come morte; il vento che sussurrava, rimase fermo nell’aria; il gallo che cantava tacque in mezzo al suo canto; le acque del ruscello che correvano, si arenarono; le pecore che pascolavano, rimasero immobili; il pastore che alzava il suo pastorale rimase come pietrificato; allora, in quel preciso momento, tutto si fermò, tutto tacque, tutto si impennò: nasceva Gesù, il Salvatore delle genti e dell’universo.”

Il Natale è una festa di luce, di fraternità universale, festa della famiglia riunita attorno ad un tavolo. Più che mangiare, si comunica con la vita tra alcuni ed altri, con la generosità dei frutti della nostra Madre Terra e dell’arte culinaria del lavoro umano.

Per un momento dimentichiamo le faccende quotidiane, il peso della nostra esistenza faticosa, le tensioni tra familiari ed amici e ci gemelliamo in allegra commensalità. Commensalità significa mangiare insieme riuniti intorno allo stesso tavolo come si faceva una volta: tutta la famiglia si sedeva a tavola, si conversava, si mangiava e si beveva, genitori, figli e figlie.
La commensalità è tanto centrale che è legata all’apparizione dell’essere umano appena la metamorfosi lo aveva reso tale. Circa sette milioni di anni fa, cominciava la separazione lenta e progressiva tra le scimmie superiori e gli umani, a partire da un antenato comune. La singolarità dell’essere umano, a differenza degli animali, è quella di mettere assieme gli alimenti, distribuirli tra tutti cominciando dai più piccoli ai più grandi, e dopo darne anche a gli altri.

La commensalità presuppone la cooperazione e la solidarietà di alcuni con gli altri. Essa fu quella che propiziò il salto dall’essere animali a l’essere uomini. Quello che fu ieri verità, continua ad essere oggi verità. Per questo motivo ci fa molto male sapere che milioni e milioni di persone non hanno niente da condividere e soffrono la fame.

L’11 settembre 2001 accadde la conosciuta atrocità degli aeroplani che si lanciarono sulle Torri Gemelle. Con quell’atto morirono circa tre mila persone. Esattamente in quello stesso giorno morivano 16.400 bambini e bambine con meno di cinque anni di vita; morivano di fame e di denutrizione. Il giorno dopo e durante quello stesso anno dodici milioni di bambini furono vittime della fame. E nessuno rimase inorridito né si inorridisce davanti a questa catastrofe umana.

In questo Natale di gioia e di fraternità non possiamo dimenticare quelli che Gesù chiamò i “miei fratelli e sorelle più piccoli” (Mt 25) 40, che non possono ricevere regali né mangiare alcuna cosa.

Ma nonostante questa notizia triste, celebriamo e cantiamo, cantiamo e ci rallegriamo perché mai più saremo soli. Il Bambino si chiama Gesù, l’Emanuel che vuole dire: “Dio con noi”. Risulta bene per questa occasione questo piccolo verso che ci fa riflettere sulla nostra comprensione di Dio, rivelata nel Natale:

Ogni bambino vuole essere uomo.
Ogni uomo vuole essere re.
Ogni re vuole essere ‘dio ‘.
Solo Dio volle essere bambino.

 Leonardo Boff scrittore e teologo

 

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L. Boff contro V. Messori in difesa di papa Francesco

 

 

 

 l’attacco di Vittorio Messori, sicuramente a nome di “altri”, a papa Francesco, e successiva risposta di Leonardo Boff, teologo brasiliano

Sull’imprevedibilità del Papa
Dubbi e riflessioni personali di Vittorio Messori

Messori

 
Credo sia onesto ammetterlo subito: abusando, forse, dello spazio concessomi, ciò che qui propongo, più che un articolo, è una riflessione personale. Anzi, una sorta di confessione che avrei volentieri rimandata, se non mi fosse stata richiesta. Ma sì, rimandata perché la mia (e non solo mia) valutazione di questo papato oscilla di continuo tra adesione e perplessità, è un giudizio mutevole a seconda dei momenti, delle occasioni, dei temi. Un Papa non imprevisto: per quanto vale, ero tra quelli che si attendevano un sudamericano e un uomo di pastorale, di esperienza quotidiana di governo, quasi a bilanciare un ammirevole professore, un teologo sin troppo raffinato per certi palati, quale l’amato Joseph Ratzinger. Un Papa non imprevisto, dunque, ma che subito, sin da quel primissimo «buonasera», si è rivelato imprevedibile, tanto da far ricredere via via anche qualche cardinale che era stato tra i suoi elettori.
Una imprevedibilità che continua, turbando la tranquillità del cattolico medio, abituato a fare a meno di pensare in proprio, quanto a fede e costumi, ed esortato a limitarsi a «seguire il Papa». Già, ma quale Papa? Quello di certe omelie mattutine a Santa Marta, delle prediche da parroco all’antica, con buoni consigli e saggi proverbi, con persino insistiti avvertimenti a non cadere nelle trappole che ci tende il diavolo? O quello che telefona a Giacinto
Marco Pannella, impegnato nell’ennesimo, innocuo digiuno e che gli augura «buon lavoro», quando, da decenni, il «lavoro» del leader radicale è consistito e consiste nel predicare che la vera carità sta nel battersi per divorzio, aborto, eutanasia, omosessualità per tutti, teoria di gender e così via? Il Papa che, nel discorso di questi giorni alla Curia romana, si è rifatto con convinzione a Pio XII (ma, in verità, a san Paolo stesso) definendo la Chiesa «corpo mistico di Cristo»? O quello che, nella prima intervista a Eugenio Scalfari, ha ridicolizzato chi pensasse che «Dio è cattolico», quasi che la Ecclesia una, sancta, apostolica, romana fosse un optional, un accessorio da agganciare o meno, a seconda del gusto personale, alla Trinità divina? Il Papa argentino consapevole, per diretta esperienza, del dramma dell’America Latina che si avvia a diventare un continente ex cattolico, con il passaggio in massa di quei popoli al protestantesimo pentecostale? O il Papa che prende l’aereo per abbracciare e augurare buoni successi a un amico carissimo, pastore proprio in una delle comunità che stanno svuotando quella cattolica e proprio con il proselitismo da lui condannato duramente nei suoi?
Si potrebbe continuare, naturalmente, con questi aspetti che paiono – e forse sono davvero – contraddittori. Si potrebbe, ma non sarebbe giusto, per un credente. Questi, sa che non si guarda a un Pontefice come a un presidente eletto di repubblica o come a un re, erede casuale di un altro re. Certo, in
conclave, quegli strumenti dello Spirito Santo che, stando alla fede, sono i cardinali elettori condividono i limiti, gli errori, magari i peccati che contrassegnano l’umanità intera. Ma capo unico e vero della Chiesa è quel Cristo onnipotente e onnisciente che sa un po’ meglio di noi quale sia la scelta migliore, quanto al suo temporaneo rappresentante terreno. Una scelta che può apparire sconcertante alla vista limitata dei contemporanei ma che poi, nella prospettiva storica, rivela le sue ragioni. Chi conosce davvero la storia è sorpreso e pensoso nello scoprire che – nella prospettiva millenaria, che è quella della Catholica – ogni Papa, consapevole o no che lo fosse, ha interpretato la sua parte idonea e, alla fine, rivelatasi necessaria. Proprio per questa consapevolezza ho scelto, per quanto mi riguarda, di osservare, ascoltare, riflettere senza azzardarmi in pareri intempestivi se non addirittura temerari. Per rifarci a una domanda fin troppo citata al di fuori del contesto: «Chi sono io per giudicare?». Io che – alla pari di ogni altro, uno solo escluso – non sono certo assistito dal «carisma pontificio», dall’assistenza promessa del Paraclito. E a chi volesse giudicare, non dice nulla l’approvazione piena, più volte ripetuta – a voce e per iscritto – dell’attività di Francesco da parte di quel «Papa emerito» pur così diverso per stile, per formazione, per programma stesso?
Terribile è la responsabilità di chi oggi sia chiamato a rispondere alla domanda: «Come annunciare il Vangelo ai contemporanei? Come mostrare che il Cristo non è un fantasma sbiadito e remoto ma il volto umano di quel Dio creatore e salvatore che a tutti può e vuole dare senso per la vita e la morte?». Molte sono le risposte, spesso contrastanti.
Per quel poco che conta, dopo decenni di esperienza ecclesiale, io pure avrei le mie, di risposte. Avrei, dico: il condizionale è d’obbligo perché niente e nessuno mi assicura di avere intravisto la via adeguata. Non rischierei forse di essere come il cieco evangelico, quello che vuole pacato e motivato, sulle tattiche di evangelizzazione. Lasciando però all’uomo che è uscito vestito di bianco dal
Conclave la strategia generale e, soprattutto, la custodia del «depositum fidei». In ogni caso, non dimenticando quanto Francesco stesso ha ricordato proprio nel duro discorso alla sua Curia: è facile, ha detto, criticare i preti, ma quanti pregano per loro? Volendo anche ricordare che egli, sulla Terra, è il «primo» tra i preti. E, dunque, chiedendo, a chi critica, quelle preghiere di cui il mondo ride ma che guidano, in segreto, il destino della Chiesa e del mondo intero.
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Appoggio a papa Francesco contro uno “scrittore nostalgico”
di Leonardo Boff
Boff L.
 

      Ho letto con un po’ di tristezza l’articolo critico di Vittorio Messori sul Corriere della Sera esattamente nel giorno meno adattato: la felice notte di Natale, festa di gioia e di luce: Le scelte di Francesco:i dubbi sulla svolta del Papa Francesco. Lui ha provato a danneggiare questa gioia al buon pastore di Roma e del mondo, Papa Francesco. Ma invano perché non conosce il senso di misericordia e di spiritualità di questo Papa, virtù che sicuramente non dimostra Messori. Dietro parole di pietà e di comprensione porta un veleno.  E lo fa in nome di tanti altri che si nascondono dietro di lui e non hanno il coraggio di apparire in pubblico.

Voglio proporre un’altra lettura di Papa Francesco, come contrappunto a quella di Messori, un convertito che, a mio parere, ancora deve portare a termine la sua conversione con il ricevimento dello Spirito Santo, per non dire più le cose che ha scritto.

Messori dimostra tre insufficienze: due di natura teologica e un’altra di comprensione della Chiesa del Terzo Mondo.

Lui  si è scandalizzato per la “imprevedibilità” di questo pastore perché “continua a turbare la tranquillità del  cattolico medio”. Bisogna chiedersi della qualità della fede di questo “cattolico medio”, che ha difficoltà ad accettare un pastore che ha l’odore delle pecore e che annuncia “la gioia del vangelo”. Sono, generalmente, cattolici culturali abituati alla figura faraonica di un Papa con tutti i simboli del potere degli imperatori pagani romani. Adesso appare un Papa “francescano” che ama  i poveri, che non “veste Prada”, che fa una critica dura al sistema che produce miseria nella gran parte del mondo, che apre la Chiesa non solo ai cattolici  ma a tutti quelli che portano il nome di “uomini e donne”, senza giudicarli ma accogliendoli nello spirito della “rivoluzione della tenerezza” come ha chiesto ai vescovi dell’America Latina riuniti l’anno scorso a Rio.

C’è un grosso vuoto nel pensiero di Messori. Queste sono le due insufficienze teologiche: la quasi assenza dello Spirito Santo. Direi di più, che incorre nell’errore teologico del cristomonismo, cioè, solo Cristo conta.  Non c’è propriamente un posto per lo Spirito Santo. Tutto nella Chiesa si risolve con il  solo Cristo, cosa che il Gesù dei Vangeli esattamente non vuole. Perché dico questo? Perché quello che lui deplora è la “imprevedibilità” della azione pastorale di questo Papa. Or bene, questa è la caratteristica dello Spirito, la sua imprevedibilità, come lo dice San Giovanni: “Lo Spirito soffia dove vuole, ascolti la sua voce, però non sai da dove viene né verso dove va”(3,8). La sua natura è la improvvisa irruzione con i suoi doni e carismi. Francesco di Roma nella sequela di Francesco d’Assisi si lascia condurre dallo Spirito.

Messori è ostaggio di una visione lineare, propria del suo “amato Joseph Ratzinger” e di altri Papi anteriori. Purtroppo, fu questa visione lineare che ha fatto della Chiesa una cittadella, incapace di comprendere la complessità del mondo moderno, isolata in mezzo alle altre Chiese ed ai cammini spirituali, senza dialogare e imparare dagli altri, anche essi illuminati dallo Spirito. Significa essere blasfemi contro lo Spirito Santo pensare che gli altri hanno pensato solo in modo sbaglato. Per questo è sommamente importante una Chiesa aperta come la vuole Francesco di Roma. Bisogna essere aperta alle irruzioni dello Spirito chiamato da alcuni teologhi “la fantasia di Dio”, a motivo della sua creatività e novità, nelle società, nel mondo, nella storia dei popoli, negli individui, nelle Chiese e anche nella Chiesa Cattolica.

Senza lo Spirito Santo la Chiesa diventa un’istituzione pesante, noiosa, senza creatività e, ad un certo punto, non ha niente da dire al mondo che non siano sempre dottrine sopra dottrine, senza suscitare speranza e gioia di vivere.

È un dono dello Spirito che questo Papa venga da fuori della vecchia cristianità europea. Non appare come un teologo sottile, ma come un Pastore che realizza quello che Gesù ha chiesto a Pietro: “conferma i fratelli nella fede”(Lc 22,31). Porta con se l’esperienza delle chiese del Terzo Mondo, specificamente, quelle della America Latina.

Questa è una altra insufficienza di Messori: non avere la dimensione del fatto che oggi come oggi il cristianesimo è una religione del Terzo Mondo, come ha accentuato tante volte  il teologo tedesco Johan Baptist Metz. In Europa vivono solo il 25% dei cattolici; il 72,56% vive nel Terzo Mondo (in America Latina il 48,75%). Perché  non può venire da questa maggioranza uno che lo Spirito lo ha fatto vescovo di Roma e Papa universale? Perché non accettare le novità che derivano da queste chiese, che già non sono chiese-immagine delle vecchie Chiese europee ma chiese- sorgenti con i loro martiri, confessori e teologi?

Forse nel futuro, la sede del primato non sarà più Roma e la Curia, con tutte le proprie contradizioni, denunciate  da Papa Francesco nella riunione dei Cardinali e dei prelati della Curia con parole solo sentite nella bocca di Lutero e con meno forza nel mio libro condannato dal Card. J. Ratzinger “Chiesa: carisma e potere”(1984), ma là dove vive la maggioranza dei cattolici: in America, Africa o Asia. Sarebbe un segno proprio della vera  cattolicità della Chiesa all’interno del processo di globalizzazione del fenomeno umano.

Speravo in maggiore intelligenza e apertura di Vittorio Messori con i suoi meriti di cattolico, fedele a un tipo di Chiesa e rinomato scrittore. Questo Papa Francesco ha portato speranza e gioia a tanti cattolici e ad altri cristiani. Non perdiamo questo dono dello Spirito in funzione di ragionamenti negativi su di lui.

a queste dure parole di Boff, Messori risponde altrettanto duramente così:

Le (false) pretese di chi si proclama portavoce dello Spirito

di Vittorio Messori

Messori
in “Corriere della Sera” del 5 gennaio 2015

Leonardo Boff, leader della Teologia della liberazione alla brasiliana, quella con più esplicito riferimento al marxismo, dopo i contrasti con il cardinal Joseph Ratzinger e dopo i moniti di Giovanni Paolo II, dichiarò che quella Chiesa era inabitabile e irriformabile. Così, lasciò il saio francescano e andò a vivere con una compagna. Giunse però la sorpresa dell’implosione del comunismo e, come avvenuto per tanti, passò dal rosso al verde, all’ambientalismo più dogmatico, con aspetti di culto panteistico alla Madre Terra. Continua, però, a celebrare i sacramenti, con liturgie eucaristiche e battesimali da lui stesso elaborate (non mancano, si dice, le risonanze new age) nell’acquiescenza dell’episcopato brasiliano. In una intervista apparsa un anno fa su Vatican Insider ha affermato di avere non solo buoni rapporti con papa Francesco, come già in Argentina con l’allora arcivescovo, ma di collaborare con lui sui temi ambientalisti, in vista della enciclica «verde» annunciata dal Vescovo di Roma e, pare, da lui stesso suggerita. Diciamo questo perché, in questo convinto ammiratore di Jorge Bergoglio, sembra esserci davvero poco della tenerezza, dell’accoglienza, del rispetto dell’altro, della misericordia indulgente predicati con tanta passione da papa Francesco. Il suo commento, pubblicato ieri da questo giornale, a proposito del mio articolo del 24 dicembre, non ha nulla dei buoni modi che Bergoglio esige nei riguardi di tutti, fossero anche antagonisti. Il già padre Leonardo mi attribuisce «grossi vuoti nel pensiero», scarsa intelligenza, ignoranza, dandomi anche del mal convertito che, giunto a un’età rispettabile, deve finalmente decidersi a portare a termine la conversione. Mi lancia pure quella che per lui è una pesante accusa, ma che per me suona come un complimento, dandomi del «cristomonista». Non so bene che voglia dire, ma quel che intuisco non mi dispiace, anzi mi lusinga. Comunque, nessuna sorpresa: scrivendo cose che non piacciono a tutti, so bene come siano, nel concreto, quegli edificanti intellettuali (spesso religiosi) che del dialogo, appunto, vorrebbero fare una sorta di religione. Ma no, non è questo che colpisce. Ciò che potrebbe amareggiare è che Boff sembra non avere letto affatto quanto ho scritto: forse l’imperfetta conoscenza dell’italiano, forse la fretta, forse il pregiudizio ideologico, sta di fatto che la sua reazione, tanto veemente quanto confusa, poco o nulla ha a che fare con ciò che davvero ho detto. L’esempio più vistoso è l’accusa di «quasi ignorare lo Spirito Santo». Per la verità, il riferimento al Paraclito è l’elemento centrale del mio discorso, dove ricordo che nulla capiremmo del papato se non riferendoci all’azione libera e imperscrutabile dello Spirito. Mi si lasci dire che, nel dibattito sconcertante suscitato da quel mio articolo, molti altri critici hanno giudicato irrilevante confrontarsi con i veri contenuti: inforcati gli occhiali dell’ideologia hanno attaccato un testo esistente solo nei loro schemi previ. Magari politici più che religiosi. Ma, per tornare a Boff: si dà il caso che, su uno dei siti più frequentati dai cattolici, La nuova bussola quotidiana , sia stato analizzato da un teologo professionista proprio il pezzo pubblicato ieri anche dal Corriere. Il teologo è monsignor Antonio Livi, da molti anni docente nell’università dei papi, la Lateranense, conosciuto a livello internazionale per i suoi studi, per l’originalità del pensiero, per le iniziative accademiche ed editoriali. Questo studioso, assai rispettato in Vaticano, non ha esitato a scrivere che «le critiche violente e dissennate a Messori di un ex religioso che si presenta come teologo rappresentano la summa di tutte le sciocchezze degli ideologi della Teologia della liberazione». L’autorevole specialista rincara: «Boff si arroga l’esclusiva di interpretare ciò che lo Spirito vuole dalla Chiesa e attribuisce a sé l’infallibilità che nega al Magistero». «L’ex francescano» dice ancora monsignor Livi «sembra ignorare che un vero teologo non spaccia per verità divina le sue arbitrarie congetture». E così via. Insomma, tutti i critici vanno presi sul serio, ma non tutti devono essere presi sul tragico. Credo che quest’ultimo sia il caso dell’ eco-teologo brasiliano.

 

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pregare dal carcere …

“Io ti prego Dio del cielo da dietro queste sbarre”

una bella riflessione sulla preghiera di Vito Mancuso in presentazione del libro Preghiere dal carcere a cura di Silvana Ceruti (La vita felice)

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Gli esseri umani fanno molte cose nella loro esistenza e tra queste, in ogni parte del mondo (carceri comprese), pregano. La preghiera è un fenomeno universale. Si può anche giungere al paradosso di uomini che non credono in Dio ma che pregano, che cioè almeno qualche volta nella vita si ritrovano a formulare parole o pensieri in forme non usuali rivolgendoli al mistero che avvolge la vita – esattamente nel senso richiamato da Norberto Bobbio quando diceva: «Come uomo di ragione, non di fede, so di essere immerso nel mistero». Gli esseri umani pregano perché avvertono il bisogno di rivolgersi alla potenza superiore che sovrasta le loro vite. E in qualche modo conoscerla, placarla, ingraziarla, a prescindere poi se tale potenza venga da loro intesa come personale (il Dio della Bibbia) o impersonale (il Fato degli antichi) o al di là delle categorie di personale-impersonale (il Nirvana del buddismo). La ragione può giungere a non riconoscere nulla di superiore a se stessa, ciononostante il sentimento complessivo dell’esistenza sente in certi momenti il bisogno di rivolgersi alla potenza imponderabile della vita che ci sovrasta dicendo “tu”, da spirito libero a spirito libero. Le molteplici preghiere degli uomini si possono distinguere in base al contenuto secondo quattro tipologie fondamentali: invocazione di aiuto per sé o per altri, richiesta di perdono, ringraziamento, lode gratuita. Tale quadruplice contenuto si esplica in molteplici forme di preghiere, le principali delle quali sono: il dialogo personale con Dio tramite parole proprie, la ripetizione di testi composti da altri come per esempio il Padre Nostro, le pratiche di devozione personale o comunitaria come per esempio il rosario, e infine il silenzio del corpo e della mente in ciò che i mistici chiamano “preghiera pura”. Nei testi delle preghiere che provengono dal Carcere di Opera è sorprendente ritrovare quasi tutte queste tipologie, sia a livello di forma, sia a livello di contenuto. Vi sono anzitutto numerose richieste di aiuto, ora rivolte a Cristo («Cristo, dammi la fede nella vera libertà che è dentro di noi e che nessuno può strapparci »), ora a Dio Padre («Caro Padre Nostro»), ora a Dio inteso come Madre (…), ora a Gesù perché interceda presso sua madre ribaltando curiosamente la prospettiva tradizionale che fa di Maria colei che intercede (…). Vi sono espressioni di pura lode: «So che mi regali la purezza luminosa/ di questa vita che scorre in un’unica melodia…». Vi sono richieste di perdono che invocano Dio «perché ci perdoni e ci salvi dalla sua ira», e altre che si rivolgono ad altre entità: «Scusaci Madre Terra» (…). Non mancano pagine problematizzanti che mettono in forse l’utilità della preghiera dicendo che «forse è umano pregare, anche se inutile», e che constatano empiricamente l’inefficacia delle richieste di intervento divino (…). Anche queste contestazioni però, che peraltro rimandano ad alcune celebri pagine bibliche di Giobbe e di Qohelet, sono indice di un bisogno di senso dell’anima umana che non si rassegna al non — senso e all’assurdo proprio nell’atto stesso di dichiararne amaramente la presenza. Perché forse tutto nasce da qui: dal contrasto tra la sete del cuore di bene, di giustizia e di calore, e la realtà di un mondo che consegna spesso il contrario (…). La preghiera è il grido, o la supplica, o il lamento, o il sospiro di un pezzo di materia (di un pugno di polvere, direbbe la Bibbia) che si scopre abitato da una strana esigenza di senso, di giustizia, di infinito, e che per questo prega, trasformando la sua intelligenza in speranza e in desiderio di bontà (…). Se Dio c’è, Egli (Ella — Esso) non abita al di fuori dell’essere umano ma al suo interno, in quella disposizione particolare dell’energia che chiamiamo spirito, perché “Dio è spirito”. Dio abita nell’uomo interiore diceva Agostino: in interiore homine habitat veritas . Giovanni della Croce nella Salita al monte Carmelo riesprime tale prospettiva con parole preziose: «È necessario ricordare che il Signore dimora sostanzialmente ed è presente in qualsiasi anima, anche in quella del più grande peccatore della terra (…). La preghiera quindi si può definire come rapporto consapevole con la sorgente e la meta dell’essere, alla quale da sempre siamo inevitabilmente e fisicamente uniti. La preghiera è figura di un rapporto, è relazione. E il vertice della preghiera è compiutezza della relazione, è cioè comunione (unione — con), unione con la sorgente da cui veniamo e con la meta verso cui andiamo. Se solo ci rendessimo conto di questo immenso valore che è in gioco nella preghiera, di quale realtà noi possiamo entrare in possesso o perdere per sempre, probabilmente non faremmo altro, avendo capito che qui veramente è in gioco il destino eterno dell’anima: «Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la sua anima?» (Marco 8, 36). Ne viene che la preghiera autenticamente concepita non è una pratica accanto ad altre. La preghiera autentica è vita, è la vita liberata dalla vanità delle convenzioni sociali, dalle sciocchezze che il mondo ritiene importanti. La preghiera è vita nel tempo che attinge l’eterno, tempo abitato e illuminato da un’altra luce, dall’unica vera luce che è la verità. E la preghiera per gli altri, la preghiera di intercessione? C’è una forma falsa di essa, quella che suppone un Dio lontano o addirittura maldisposto e pensa di ricorrere a qualcuno che interceda presso di lui commuovendolo e disponendolo al bene. Ma c’è anche una forma vera, che è anzi il vertice del lavoro spirituale, il fiore dello spirito. La preghiera è pensiero, e pregare per un altro significa regalargli pensiero puro, un pensiero senza pensieri e tutto solo calore. Quando chi prega non trattiene per sé il frutto del suo silente pensare senza pensieri ma lo dona a beneficio di qualche persona, si ha la preghiera di intercessione. Concentrarsi, tirare fuori da sé le energie spirituali più preziose e più pure, svuotarsene e consegnarle a un’anima in stato di purificazione perché mediante di esse si possa ripulire: questa può essere preghiera per i morti, per coloro che la tradizione chiama “anime del Purgatorio”, e può essere anche preghiera per i vivi, perché riacquistino le forze spirituali. A questo punto penso appaia chiara l’importanza delle persone che dedicano tutta la vita alla preghiera, l’importanza dei monasteri, siano essi monasteri cristiani, buddisti, taoisti o altri. Forse tutto il senso della religione consiste nel rendere gli uomini capaci di pregare, giungendo a fare della propria preghiera un dono per gli altri (…). Comunemente si pensa che il verbo fondamentale legato alla preghiera sia dire : dire le preghiere. Ma non è così. Il verbo fondamentale, per la preghiera come per ogni altra attività umana, è essere: essere preghiera. Non si tratta di dire le preghiere, si tratta di essere preghiera, di essere cioè con la vita concreta (anche quando essa per un periodo venga trascorsa dietro le sbarre di un carcere) una richiesta di aiuto e di perdono, e insieme una parola di ringraziamento e di lode.

IL LIBRO

Preghiere dal carcere a cura di Silvana Ceruti, (La vita felice, pagg. 82, euro12) 

(parte della prefazione di Vito Mancuso)

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gli auguri inusuali di don Ciotti

“Vi auguro di essere eretici”

l’augurio di don Luigi Ciotti per il nuovo anno

Ciotti
 “Vorrei augurarvi il coraggio di essere eretici…” E’ un augurio inusuale, vivo, aperto. Un augurio che parte quel giorno, durante l’incontro “Rischiamo il coraggio” tenuto da don Ciotti nei giorni scorsi nella comunità di Romena. Un augurio da rilanciare proprio all’inizio di un nuovo anno, in un giorno dedicato alle promesse, alle speranze, alla voglia di cambiarsi e di cambiare…
Vi auguro di essere eretici. Eresia viene dal greco e vuol dire scelta. Eretico è la persona che sceglie e, in questo senso è colui che più della verità ama la ricerca della verità. E allora io ve lo auguro di cuore questo coraggio dell’eresia. Vi auguro l’eresia dei fatti prima che delle parole, l’eresia che sta nell’etica prima che nei discorsi. Vi auguro l’eresia della coerenza, del coraggio, della gratuità, della responsabilità e dell’impegno. Oggi è eretico chi mette la propria libertà al servizio degli altri. Chi impegna la propria libertà per chi ancora libero non è. Eretico è chi non si accontenta dei saperi di seconda mano, chi studia, chi approfondisce, chi si mette in gioco in quello che fa. Eretico è chi si ribella al sonno delle coscienze, chi non si rassegna alle ingiustizie. Chi non pensa che la povertà sia una fatalità. Eretico è chi non cede alla tentazione del cinismo e dell’indifferenza. Chi crede che solo nel noi, l’io possa trovare una realizzazione. Eretico è chi ha il coraggio di avere più coraggio.
da romenablog.wordpress.com
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