per un consumo responsabile

 

bei fiori

Dal digiuno straordinario al consumo responsabile ordinario per custodire il nostro territorio
La scelta straordinaria di don Albino dei Beati i Costruttori di Pace, di mettere in atto il digiuno per richiamare l’attenzione della popolazione e delle autorità alla questione ambientale del nostro territorio, è una scelta davvero coraggiosa con una bella testimonianza. Dobbiamo ringraziarlo per il coraggio e per aver suscitato confronto, dibattito e unione di forze attorno alla questione del territorio del Veneto, fortemente a rischio a causa di varie grandi opere volute dall’economia del profitto.

Questa azione rimane, tuttavia, straordinaria sia perché pochi la possono mettere in atto e sia perché il digiuno (sciopero della fame) è uno strumento da utilizzarsi in caso di urgenza e di emergenza. Da questa forma straordinaria bisogna passare ad una azione ordinaria: possibile a tutti i cittadini e concreta nella propria vita quotidiana. La possiamo individuare nell’impegno del consumo responsabile, critico e solidale che può essere messo in atto ogni giorno, quando compriamo cioè nell’andare a fare la spesa. Ecco una proposta quotidiana che risponde alla domanda che mi hanno fatto varie persone in questi giorni: “Noi cosa possiamo fare per custodire il nostro territorio?”.

La prima domanda da farsi è: dove andiamo fare la spesa? La scelta di andare nei grandi centri commerciali, oppure negli ipermercati, non è la stessa cosa come quando si va a fare la spesa nei negozi o direttamente dai produttori, come fanno i gruppi di acquisto solidale (G.A.S.). La prima significa sostenere l’economia dei colossi e delle grandi multinazionali che sono i responsabili delle grandi opere che vogliamo realizzare oggi, distruggendo tutto il tessuto socio- culturale e umano di un territorio. La seconda scelta significa promuovere un’economia alternativa, sostenendo tutti i piccoli e medi negozi che riescono ad occupare molta più gente a livello lavorativo e che sono il tessuto di relazioni sociali e umane dei nostri paesi, oppure organizzandosi e andare direttamente dai produttori per sostenere il loro lavoro e il loro impegno di produrre nel pieno rispetto dell’ambiente. Vandana Shiva, scienziata, economista e ambientalista indiana, denunciava fortemente come il grande colosso della Coca-Cola si era appropriata dell’acqua di una regione dell’India prosciugando le falde acquifere della zona nel giro di soli due anni, costringendo migliaia di donne a fare centinaia di chilometri per andare a provvisionarsi di acqua. È bene prendere coscienza, che questa azione distruttrice della multinazionale viene sostenuta da chi fa uso dei suoi prodotti e non ha il coraggio di fare una scelta alternativa.

La seconda domanda da farsi è: di chi sono i prodotti che compriamo? Comprare prodotti di grandi imprese che sono responsabili dell’inquinamento dell’ambiente, non è la stessa cosa acquistare prodotti della filiera che ha una grande attenzione verso l’agricoltura naturale e biologica. La prima filiera di produzione è altamente distruttrice dell’ambiente perché fa uso di molti diserbanti, pesticidi e agro tossici; mentre la seconda è molto attenta al rispetto della natura e del territorio. La scelta della filiera etica di produzione è molto importante: per poter rispettare l’ambiente, pagare un prezzo giusto ai produttori e rispettare i diritti dei lavoratori, così come fa il commercio equo e solidale. Come scrisse l’economista Leonardo Becchetti, noi cittadini come consumatori abbiamo il “voto nel portafoglio”. È vero, ogni volta che compriamo votiamo col nostro portafoglio. Questo è un potere enorme nelle mani dei cittadini. Lo sappiamo utilizzare? Ed è uno strumento quotidiano che ci pone davanti ad un bivio: continuare a sostenere l’attuale economia di profitto, nelle mani delle multinazionali (pensiamo al business mondiale del cibo che viene gestito da un pugno di transnazionali); oppure promuovere un’economia alternativa, quella etica, che mette al centro l’umanità e la terra, con una grande attenzione all’ambiente, offrendoci inoltre prodotti di qualità che ci fanno bene alla salute. Qui sta l’azione quotidiana che ci permette di indebolire, minando dal basso, il potere dei grandi colossi economici che oggi vogliono usare il territorio veneto, cementificandolo enormemente e realizzando una lunga lista di grandi opere. Dobbiamo ricordare che dietro a questi grandi gruppi c’è la finanza speculativa, come pure, spesso, anche la corruzione. Per far capire meglio questo potere del cittadino come consumatore, voglio ricordare che è stata sufficiente la riduzione dei consumi di appena 3 o 4% per mettere in ginocchio grandi multinazionali, come la Coca-Cola, dimostrandosi poi disponibili a discutere. Recentemente, l’azione di una percentuale non rilevante di cittadini del nostro territorio che hanno fatto la scelta di non andare a fare la spesa alla domenica nei grandi centri commerciali, per poter vivere la domenica delle 3 erre (relazioni, riposo e Risorto), ha contagiato la grande catena di supermercati Famila, del colosso Gdo, facendo la scelta di non aprire più alla domenica, mossi dalla convenienza economica ma riscoprendo pure l’etica nel rispettare il diritto del riposo domenicale dei propri lavoratori e nel rispetto dell’ambiente.

Questa azione quotidiana, possibile a tutti, deve essere vissuta a tre livelli: personale mediante una spesa giusta, etica e solidale; comunitario nell’organizzarsi come cittadini, così come fanno i gruppi di acquisto solidale o i distretti di economia solidale; istituzionale con l’impegno politico e di fare pressione alle istituzioni locali, regionali e nazionali, così come fanno i tanti comitati e presidi per la difesa del territorio. Credo sempre più, che questo sia lo strumento potente, non violento e quotidiano che tutti possono e devono utilizzare per custodire il proprio territorio: il consumo responsabile e la finanza etica.

Tramonte (Padova) 27/08/2013

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Cristina Simonelli al Convegno di Assisi

 

 

 

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L’intervento di Cristina Simonelli al Convegno di Assisi:
“COMUNITA’ – TRAUMA E SOGNO NEL MONDO PLURALE”

Non ha disatteso o frustrato le attese, ancorché tante, Cristina, nel suo intervento al Convegno.

Le è stato affidato il compito, per così dire, della sentinella che, quasi al termine della notte, è sollecitata a rispondere alla domanda: “che cosa vedi?”, per sostenere, così, una rinnovata speranza al termine (?) di un lungo percorso di individualismi, ‘desertificazione delle comunità’ (E. Bianchi), ’affanno della comunità’, … nel rinascere di una ‘voglia di comunità’.
Il Convegno sentiva il bisogno di gettare un’occhiata al di là della notte, dopo riflessioni anche impegnate su temi come questo: “se l’individualismo giunge al capolinea”. E poi?
Fin da subito e con chiarezza Cristina ha affermato che non è affatto ingenuità parlare di ‘germogli’ di novità (il titolo preciso della sua riflessione era infatti: “germogli di futuro e responsabilità”), anche se non immediatamente visibili, perché seminati e cresciuti in ‘luoghi liminari’, di ‘non massa’, fuori dal ‘grande gruppo’, fuori dalle ‘forme oceaniche’, ma pur già presenti e attendono di esprimersi in forme più chiare in tempi che non necessariamente sono i nostri, in un ‘altrove’ non immediatamente individuabile e fruibile.
Cristina tiene a precisare che riflette con speranza su questo, a partire non da elucubrazioni teorico-astratte o leggendo come in una palla di vetro indisponibile ma, per così dire, a partire ‘dai suoi piedi’, dalle sue esperienze vitali, dai ‘luoghi teologici plurali’ (la ‘grazia’ di aver potuto partecipare di un’esperienza di vita tra i rom nel contesto pastorale dell’u.n.p.r.e s., e la ‘grazia’ dello studio teologico di liberazione della donna) che sono stati in grado di esprimere piccoli germi, virgulti, germogli di ‘novità evangelica’, fuori dall’ossessione del risultato immediato.
Punto centrale della sua riflessione è stato il domandarsi “cosa vuol dire oggi, tra individualismo e massificazione, tra globalizzazione e localismi, pensare la ‘comunità come grazia non scontata’ (il riferimento è a Bohnoeffer e al suo ‘la vita comune’ del 1939). Quali ‘luoghi’ individuare per avere cura, cioè ‘responsabilità’ rispetto a tali germogli nell’impegno e nel rispetto?”
Così, sinteticamente, Cristina individua alcuni di questi ‘luoghi’:
• ‘abitare il tempo ‘ : cfr. il proverbio afghano che dà il titolo al fortunato libro di Rampini: “voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo”
• ‘stimare le differenze ‘ purificandole dalle discriminazioni: questione di genere improcrastinabile; il rispetto delle minoranze …
• ‘la giustizia sia di questo mondo’: la finanza, i migranti …
“Come suggerisce il testo profetico inserito nel discorso di Pentecoste – “effonderò il mio Spirito su ogni carne e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani sogneranno sogni, i vostri giovani avranno visioni”- perché i giovani abbiano visioni ci sono quanto meno alcune condizioni: che i vecchi non smettano di sognare, che continuino ad aggiustare gli aratri anche quando non li utilizzano (Antonella Fucecchi in ‘Missione oggi’), che imparino o conservino lo sguardo che scruta i germogli. Infine che facciano spazio senza risentimento: dando piuttosto fiducia, come porto sicuro in cui si può tornare ma da cui si deve partire”

(una noticina a margine: presentazione brillante, esposizione vivace, migliaia di intelligenti e dotte allusioni e riferimenti: talora un vero fuoco d’artificio, il tutto sfociato in una convinta e generale approvazione con un grosso e meritato battito di mani)

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tiro al bersaglio contro l’immigrato

immigrato

NAPOLI – Un immigrato vale l’altro, nel buio della mente dei balordi. Così, nelle sere d’agosto, tra i vicoli del centro antico, scatta il tiro al bersaglio sui ragazzi di colore. Passatempo criminale, lo sconvolgente “gioco” di un gruppo di giovanissimi. Due casi, avvenuti tra Forcella e il Duomo: due cittadini africani, un nigeriano e un senegalese, finiti sotto i proiettili di una banda, senza che vi fossero legami né liti pregresse tra vittime e aggressori. E ora l’associazione “3 Febbraio”, la rete antirazzista con sedi in tutta Italia, da sempre voce di chi è straniero e subisce soprusi, denuncia il preoccupante fenomeno. “Nelle ultime due settimane sono stati aggrediti con armi da fuoco due africani. Napoli non può fare finta che questo non accada – spiega Gianluca Petruzzo di “3F” – . Le forze dell’ordine fanno tutto quello che possono, ma c’è un problema di cultura e di sensibilità sul territorio. Abbiamo chiesto aiuto anche all’Arcigay, alla Cgil, ai presìdi di legalità e assistenza, purtroppo ad agosto tante finestre sono chiuse. Ora ci appelliamo anche al cardinale Sepe”.

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a proposito degli insulti al ministro Kyenge

 

 

 

altro gatto fiorito

si ripetono quasi quotidianamente minacce, insulti, gesti razzistici, espressioni di volontà di stupro nei confronti della ministra Kyenge

a questo proposito un bell’articolo di M. Serra su ‘La Repubblica’ di oggi:
I politicamente scorretti che insultano la Kyenge

(Michele Serra).

 

Insultare Cecile Kyenge è diventato una forma di neoconformismo. Bastano una buona dose di razzismo volontario o involontario; una notevole mancanza di fantasia; e una pagina Facebook. Di suo il vicesindaco di Diano Marina, signor Cristiano Za Garibaldi (Pdl) ci ha messo un sovrappiù così surreale da risultare quasi divertente: scusandosi, ha spiegato di averlo fatto perché era stressato dalle tasse.
A ben vedere, nella sua caotica autodifesa il vicesindaco dice anche qualcosa di più: è irritato perché il ministro Kyenge ha accennato (solo accennato) alla possibilità di usare qualche alloggio vuoto e inutilizzato per i senza tetto e per i nomadi. Si capisce che in una terra come la Liguria, scempiata dalle seconde case, buona parte delle quali sfitte e in vendita, l’argomento non sia molto popolare. Anche perché costringe gli amministratori liguri, compreso il vicesindaco Za Garibaldi, a riflettere sulla pluridecennale svendita del loro territorio, massacrato dal cemento.

Ma sono, questi, solo dettagli, minime variazioni di un ritornello davvero monotono, quello che ha fatto del primo ministro afroitaliano il bersaglio di ogni sconcezza e di ogni sberleffo.
È già stato detto e scritto molte volte, in circostanze identiche a questa, che il bersaglio finale di queste esternazioni è il politicamente corretto, cioè quell’insieme di consuetudini e di inibizioni linguistiche utili a non offendere le minoranze razziali e non solo. Nato non per caso negli Stati Uniti, Paese che prima e più di ogni altro ha dovuto fare i conti con una composizione sociale multietnica e multireligiosa, una colossale immigrazione, le difficili convivenze che ne conseguono, le incomprensioni, gli scontri di sensibilità. Per quanto ipocrita, e spesso foriero di neologismi davvero goffi, il politicamente corretto discende da un’intenzione virtuosa, che è quella di far convivere le diversità, di renderle governabili. È esattamente per questo — non certo per scrupoli lessicali ai quali in genere non sono aduse — che le destre populiste di mezzo mondo, quella italiana in primo luogo, lo odiano. Perché lo vedono come il sintomo più evidente di una volontà di convivenza che non condividono e non vogliono. E così come per Bossi chiamare gli africani “bingo bongo” non era solamente una manifestazione del suo razzismo privato, ma anche un modo per far sapere ai suoi elettori terrorizzati dall’immigrazione e dal “mondialismo” che finalmente in Italia si poteva dare libero sfogo a qualunque fobia sociale, e anzi farne uno strumento di consenso e di governo; allo stesso modo l’avvento sulla scena politica di Kyenge è stata un’occasione imperdibile per chiarire una volta per sempre che no, un ministro nero non fa parte delle cose tollerabili.
Più in generale, insieme al fragile tappo del politicamente corretto made in Italy, saltato ormai da tempo, sono le buone maniere nel loro insieme a risultare di impiccio alla destra populista. Come molte delle regole in vigore, sono imputate di imbrigliare i cosiddetti “umori popolari”. Rifarsi alla orgogliosa maleducazione fascista, turpiloquente e manganellatrice, è probabilmente congruo ma rimanda troppo indietro nel tempo. Bastino, come esempio corrente, le interruzioni e le urla nei talk-show, il sorriso di scherno e lo scuotimento della testa mentre parla l’avversario, la totale mancanza di contraddittorio politico nel ventennale (e rudimentale) soliloquio berlusconiano, la titolazione incredibilmente becera e aggressiva dei due principali quotidiani di destra, l’odio di classe per “gli intellettuali” che parlano difficile, per la cultura “che non dà da mangiare”, nonché (cito dalla pagina Facebook del vicesindaco di Diano Marina) per “i benpensanti”.
Parola che, usata in quel contesto, e da una persona che ha appena insultato Cecile Kyenge, colpisce molto. Il termine “benpensanti” tanti anni fa serviva per indicare i borghesucci timorati e baciapile, quelli che votavano per la Dc e per i suoi alleati, e che oggi probabilmente votano per il vicesindaco di Diano Marina, il Pdl e la Lega. Oggi la parola viene torta al punto da indicare quelli che non ritengono normale né giusto insultare “i negri”, e ancora si sforzano di chiamarli “neri” o “africani” o “afroitaliani” (è il caso della signora Kyenge). Vedi come mutano i tempi: l’antirazzismo è nato rivoluzionario e per tanti versi lo è ancora, dovendo risalire una potente corrente contraria. Ma oggi i suoi nemici di destra, per deriderlo, per liberarsene, per non farci i conti, lo liquidano come “benpensante”.

Da La Repubblica del 26/08/2013.

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vita spirituale: un cammino

 

 

il senso della vita

 

E’ bello pensare che il cammino spirituale non è lo sforzarsi verso un obiettivo lontano e difficile, ma un lasciarsi trasportare seguendo la corrente della Vita che non manca mai di lanciarti dei segnali molto chiari. E non è un arrivare ad impossessarsi di qualcosa che non ti appartiene, ma di fare una pulizia per togliere quello che ti nasconde la tua realtà più profonda che già ti appartiene. Mi piace molto quella pagina di Richard Bach (“gli abitanti del fiume di cristallo”) che ora riporto:

“C’era una volta un villaggio di creature che vivevano nel fondo di un grande fiume di cristallo. La corrente del fiume scorreva silenziosamente su tutte le creature, giovani e vecchie, ricche e povere, buone e malvagie, in quanto la corrente seguiva il suo corso, conscia soltanto della propria essenza di cristallo. Ogni creatura si avvinghiava strettamente, come poteva, alle radici e ai sassi del letto del fiume, poiché avvinghiarsi era il loro modo di vivere, e opporre resistenza alla corrente era ciò che ognuna di esse aveva imparato sin dalla nascita. Ma finalmente una delle creature disse: “Sono stanca di avvinghiarmi. Poiché, anche se non posso vederlo con i miei occhi, sono certa che la corrente sappia dove sta andando; lascerò la presa e consentirò che mi conduca dove vorrà. Continuando ad avvinghiarmi morirò di noia”. Le altre creature risero e dissero: “Sciocca, lasciati andare e la corrente che tu adori ti scaraventerà rotolandoti fracassata contro le rocce e tu morirai più rapidamente che per la noia”. Quella però non dette loro ascolto e, tratto un respiro, si lasciò andare e subito venne fatta rotolare dalla corrente e frantumata contro le rocce. Ciò nonostante, dopo qualche tempo poiché la creatura si rifiutava di tornare ad avvinghiarsi, la corrente la sollevò dal fondo, liberandola, ed essa non fu più né contusa né indolenzita. E le creature più a valle nel fiume, per le quali era un’estranea, gridarono: “Guardate, un miracolo! Una creatura come noi, eppure vola! Guardate il Messia venuto a salvarci tutte!” E la creatura, trascinata dalla corrente, disse: “Io non sono un Messia più di voi. Il fiume si compiace di sollevarci e liberarci, se soltanto osiamo lasciarci andare. La nostra missione vera è questo viaggio, questa avventura”.

Sarà per noi una nuova avventura questo lasciarsi andare lungo la corrente del “Dio in noi”, senza più avvinghiarci a quelle che abbiamo scambiato per delle sicurezze o degli strumenti di salvezza, mentre invece non sono altro che resistenze alla corrente. Allora cominceremo a capire come la vita è davvero una sfida, un gioco, un sogno, un’avventura meravigliosa.

(una riflessione che traggo da Guido Mendagni: una miniera di belle e profonde riflessioni: grazie!)

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contraddizione Italia (secondo Natalia Ginzburg)

tanti gatti

È un paese dove tutto funziona male, come si sa. È un paese dove regna il disordine, il cinismo, l’incompetenza, la confusione. E tuttavia, per le strade, si sente circolare l’intelligenza, come un vivido sangue. È un’intelligenza che, evidentemente, non serve a nulla. Essa non è spesa a beneficio di alcuna istituzione che possa migliorare di un poco la condizione umana. Tuttavia scalda il cuore e lo consola, se pure si tratta d’un ingannevole, e forse insensato, conforto.

 Natalia Ginzburg

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lo sciopero della fame di don A. Bizzotto

Don-Albino-Bizzotto

È arrivato al sesto giorno(il 21 agosto) lo sciopero della fame di Don Albino Bizzotto, anima dell’Associazione Beati i Costruttori di Pace che ha intrapreso l’iniziativa «per denunciare il degrado ambientale e il malaffare che si cela dietro le cosiddette grandi opere del Veneto».

Don Albino scrive: «Con il mio digiuno chiedo che la Terra torni ad essere considerata un organismo vivo che permette la vita nostra e dei figli che nasceranno e non venga trattata come semplice cantiere, cava e discarica per gli appetiti e interessi di chi continua a speculare, anche a nome nostro».

A Don Albino si sono uniti nel digiuno i primi rappresentanti di comitati e associazioni ambientaliste: Auretta Pini, dell’Associazione per la Decrescita e Giulio Ferrara, del Movimento per la Decrescita Felice, che lo affiancano da stamattina alle ore 8.00 e fino a stanotte, alle ore 00.00, senza toccare cibo, ma bevendo solamente.

Beati i Costruttori di Pace ricorda che «la tenda stesa davanti al camper dove dorme il sacerdote è “aperta” a tutti coloro che vogliano passare a salutare, ascoltare, portare il loro sostegno ed eventualmente digiunare, un’ora, un giorno o per quanto desiderano. A breve prenderanno il via una serie di appuntamenti pubblici in sede, per illustrare quali sono i temi ambientali più scottanti e le vertenze più urgenti sul territorio veneto».

Il secondo giorno di sciopero della fame Don Albino aveva raccontato a RadioCooperativa, le ragioni della sua iniziativa e cosa lo ha spinto, come altre volte, a sensibilizzare l’opinione pubblica con uno strumento che riconosce “inutile” quanto necessario, come il digiuno, perché «anche se anche uno perde, deve fare quello che è giusto».

Le sue ragioni Don Albino le riassume così: «Il 21,5% di territorio coltivabile ha perduto, dal 1990 ad oggi, 38 ettari al giorno: sono cifre come queste che, dovrebbero far saltare sulla sedia ognuno di noi e portare a reagire, a domandarsi, a indagare e a denunciare». Per Don Bizzotto «il pianeta è di tutti» e denuncia «anni di investimenti sbagliati, di inerzia della classe politica e ancora prima del tessuto sociale, di bambini che nasceranno domani e già avranno contratto un debito con la società. Un problema culturale, che segnala, anche, come chi governa e investe i soldi di tutti, abbia una capacità di pianificazione di breve respiro».

Beati i Costruttori di Pace spiega che «mentre il lavoro dei vari comitati sensibili alla questione avanza, tra le difficoltà di fare rete e le non indifferenti questioni organizzative, la terra ha urgenza del nostro intervento. Per questo Albino interviene in agosto, per non intralciare il lavoro di nessuno, ma per dare un segnale forte di richiesta di attenzione a un tema spesso solo sfiorato dai media e dall’attenzione della gente comune, perché crede che sia un bene “sensibilizzare sui Beni Comuni perché orientano le energie della società”».

Al coraggioso sacerdote arriva il sostegno di una grande associazione ambientalista nazionale. Il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza, oggi ha detto: «Rivolgiamo a Don Albino Bizzotto tutta la nostra stima e solidarietà per il digiuno a sola acqua intrapreso il 16 agosto scorso per accendere i riflettori sull’emergenza ambientale del territorio veneto in particolare e più in generale dell’intero pianeta, e gli siamo vicini per questa meritevole e difficile impresa. Nello spiegare le intenzioni del suo gesto, con il quale si augura di “contribuire alla crescita di una coscienza comune riguardo alla tutela del territorio”. Si prefigge un compito non facile, ma fondamentale, nel mondo e nel tempo in cui viviamo. Solo uno sviluppo sostenibile, basato su una corretta attenzione alle risorse ambientali può, infatti, essere la garanzia di un futuro per tutti su una terra dove l’emergenza climatica innescata dall’eccesso di emissioni di CO2 e da un modello di sviluppo che dilapida inesorabilmente il territorio e le sue risorse vitali. Ci auguriamo che Don Albino con la sua iniziativa e la sua carismatica umanità riesca a convincere quante più persone possibile che il territorio è un bene comune da tutelare nell’interesse di tutti. A cominciare dalla sua regione, che soffre di un grave dissesto idrogeologico e dove speriamo che la sua azione faccia crescere l’attenzione su questo e su tutti gli altri problemi ambientali».

Fonte: www.greenreport.it

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p. Maggi commenta il vangelo di domani, 21 dom. t. o.

 

 

giglio rosso

XXI TEMPO ORDINARIO – 25 agosto 2013
VERRANNO DA ORIENTE E OCCIDENTE E SIEDERANNO A MENSA NEL REGNO DI DIO 

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi OSM
Lc 13,22-30
In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme.
Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.
Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”.
Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori.
Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

Gesù sovverte la dottrina comune secondo la quale Israele si salva e i pagani no e annunzia un cambiamento dei valori. Vediamo nel capitolo 13 del vangelo di Luca dal versetto 22 al 30, l’insegnamento di Gesù.
“Gesù passava insegnando per città e villaggi”, Gesù insegna la novità della buona notizia del regno di Dio, “mentre era in cammino per Gerusalemme”. Gesù ha ormai l’intenzione di andare
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verso Gerusalemme per scontrarsi con i detentori del potere, coloro che avevano manipolato a proprio uso e consumo l’immagine di Dio, deturpandola.
“Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?»” . La salvezza era considerata un privilegio di Israele, del popolo eletto, a scapito dei pagani. Allora questo individuo chiede “quanti sono quelli che si salvano?”
Ma Gesù non risponde su quanti sono quelli che si salvano, ma su chi sono quelli che si salvano. “Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno»”.
Qui l’evangelista non presenta un Gesù che propone un modello di ascetica, di rinunzia, di chissà quali sacrifici. Se molti non riusciranno ad entrare per questa porta che è stretta, non è perché sia difficile passarvi, a costo di chissà quali rinunzie, di chissà quali mortificazioni o sacrifici, ma perché la porta sarà chiusa.
Le scelte sbagliate compiute nel corso dell’esistenza impediranno l’accesso a questa pienezza di vita. E’ questo che l’evangelista ci vuol dire. Quindi non è difficile passarci, ma individuare questa porta stretta e se molti non riusciranno a entrarvi è perché sarà chiusa.
Infatti, dice Gesù, “«Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: ‘Signore, aprici!’»”
Quindi conoscono il Signore, conoscono Gesù, e Gesù risponderà “«Non so di dove siete»”, cioè “non vi conosco”. Allora questi cominceranno a rivendicare un rapporto esclusivo che hanno avuto con Gesù, “«Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza»”, allusione all’Eucaristia, “«Tu hai insegnato nelle nostre piazze»”, l’accoglienza del suo messaggio, ma rivendicano un rapporto esclusivo con Gesù con tutte azioni rivolte verso il Signore e nessuna verso i fratelli.
Ecco perché Gesù gli risponde: “Ma egli vi dichiarerà: «Non so di dove siete»”, cioè “non vi conosco”. Gesù conosce quelli che mettono la propria vita a disposizione del bene degli altri, a servizio degli altri. Non gli interessa quello che viene fatto per lui, ma quello che con lui e come lui viene fatto per gli altri.
Ecco perché, citando un salmo, il salmo 6, versetto 8, “Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia”. Quindi coloro che, pur avendo mangiato e bevuto insieme a Gesù, quindi un’allusione all’Eucaristia, coloro che ne hanno ascoltato l’insegnamento non lo hanno poi tradotto in atteggiamento di vita per gli altri, il Signore non li conosce.
Non basta mangiare Gesù, che è pane, occorre farsi pane per gli altri.
E dice Gesù, “«Là ci sarà pianto e stridore di denti»”, espressione tipica che indicava il fallimento, la constatazione del fallimento della propria esistenza, “«quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori»”.
Loro che pensavano di avere il privilegio di essere il popolo eletto e di essere per questo ammessi nel regno di Dio, proprio per il loro atteggiamento ne saranno cacciati fuori.” Ma non 2
solo! Mentre gli eletti sono cacciati fuori, quelli che erano gli esclusi diventano gli eletti. Infatti, conclude Gesù, “«Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno»”, cioè da tutto il mondo pagano, “«e siederanno a mensa nel regno di Dio.»”
Quindi Gesù sovverte la dottrina comune secondo la quale Israele si salvava e i pagani no, e il regno di Dio è aperto a tutti coloro che mettono la propria vita a servizio del bene degli altri. Quindi Gesù non distingue pagani o altre categorie, ma il suo invito alla buona notizia è per tutti.
E poi la conclusione, “«Ed ecco, vi sono gli ultimi»”, cioè quelli che erano esclusi, “«che saranno i primi, e vi sono primi»”, quelli che erano gli eletti, “«che saranno ultimi»”.
E poi l’evangelista continuerà “In quel momento gli si avvicinarono i farisei”, ecco, i primi che diventano ultimi si avvicinano a Gesù.
Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

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