i rom in Italia e in Europa

 

 

 

rom

I rom, quanti sono e dove vivono in Italia

Secondo i dati del Viminale quelli che vivono nel Paese sono 160 mila di cui 100 mila non censiti. Il record a Roma: 7.100 nomadi

mappa rom 
LA COMUNITA’ ROM IN ITALIA E IN EUROPA
I rom che vivono in Italia sono 160 mila di cui 100 mila non censiti che si muovono all’interno del territorio italiano, la metà ha meno di 14 anni. Circa il 60% dei residenti ha la cittadinanza italiana, secondo gli ultimi dati del Viminale. Per l’Opera nomadi i dati sono leggermente diversi: in Italia vivono 180 mila rom, 70 mila italiani e 110 mila provenienti dai Balcani. Una quota del 60-80% ha una casa e la parte restante vive nei campi.

Tra gli stranieri 30 mila sono cittadini ex jugoslavi e 30-40 mila sono romeni o di altre nazionalità appartenenti all’Unione europea.

Il Lazio ha il numero più alto di rom in Italia, 10.160 con il record a Roma. La Capitale ospita la comunità più grande con 7.100 rom, di cui 2.500 abitano nei campi nomadi abusivi. Il piano del sindaco Gianni Alemanno prevede dai 10 ai 12 campi attrezzati da realizzare fuori al Grande raccordo anulare con una capienza di 6.000 posti.

In Lombardia vivono 7.157 cittadini di etnia rom: a Milano, invece, vivono 3.500 rom di cui 1.500-2.000 in 10 insediamenti regolari e 1.500 in campi abusivi. Le altre regioni dove è registrata una notevole concentrazione di comunità nomadi sono l’Emilia Romagna e il Piemonte (entrambe con 3.585 cittadini rom). (Apcom)

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ancora (doverosamente) a proposito del ragazzino gay suicida

 

bel giglio

un contributo illuminate e ,si direbbe, da par suo!, ci viene oggi da Natalia Aspesi su ‘La Repubblica’  in riferimento al caso (e ai troppi casi che si ripetono in successione diacronica e talora anche in pluralità sincronica!) dell’adolescente incompreso, deriso, non aiutato a comprendere e accettare la sua ‘diversità’ sessuale:

 
Se la diversità è una vergogna

(NATALIA ASPESI).

 

UN RAGAZZINO si uccide, come hanno fatto altri, perché omosessuale, perché emarginato e schernito dai compagni in quanto omosessuale, perché non sa come dirlo ai suoi genitori che immagina non lo capirebbero.

Perché alla fine nel mondo, anche nel suo mondo di riferimento adolescenziale, i gay sono sempre di più: belli, celebri, accettati, capiti, amati, venerati, stilisti e registi, cantanti e attori, nuotatori e tennisti, calciatori e politici. Una élite che vive in un contesto privilegiato dove contano le persone e non le loro preferenze sessuali: persone che sono se stesse, che non si nascondono, che vivono in coppia, che fuori dall’Italia si sposano e adottano figli.
Questi modelli vincenti non sono di aiuto, non danno accettazione e sicurezza a un ragazzino che si immagina diverso, o teme di esserlo: e che si sente troppo lontano da quelle figure irraggiungibili che lo fanno sentire un escluso, colpevole di una diversità senza via d’uscita, senza luce, senza amore, senza riconoscimento, nel suo ambiente quotidiano: una diversità imperdonabile, vergognosa, che non si può né nascondere né mostrare, né vivere serenamente, come capita nel vasto mondo dei gay che hanno successo malgrado siano gay o proprio perché gay, o perché non ha nessuna importanza che siano gay.. Ma se hai 14 anni, e vivi in una borgata dove le scritte sui muri sono di rabbia razzista contro tutto e tutti, quindi anche contro gli omosessuali, se gli insegnanti non si accorgono del capro espiatorio della classe, la ragazzina brutta, il ciccione, il nero, quella che subisce le molestie sessuali, il ragazzo con i modi e la voce gentile e le unghie pulite, che non fa a cazzotti e che dunque esce dalla normalità del crudele, vecchio, rozzo immaginario macho, dei giovanissimi ancora più che degli adulti, allora puoi sentirti perduto: un mostro che non ha diritto di esistere. Le leggi non impediscono i reati, ma li rendono tali, non cambiano i cervelli ignoranti e violenti, ma possono spaventarli, e metterli davanti al fatto che perseguitare un gay, con le parole o coi fatti, è un’aggravante che porta diritto in galera. La discussione chiacchierona e inutilmente protratta con ogni tipo di cavillo e filosofia, su una legge antiomofobia, si è interrotta il 5 agosto causa vacanze, e riprenderà in settembre. Nel frattempo si spera che altri gay non si ammazzino. E sì che non ci vogliono tanti pensieri, perché basterebbe aggiungere alla legge che già considera un’aggravante la violenza fisica perpetrata per motivi di razza, etnia, religione, solo un paio di parole, “e per odio omofobico e transfobico”. Naturalmente tutti la vogliono questa legge, con cautela però, per non impensierire quell’elettorato che non ce l’avrebbe con quelli che chiama diversi o froci, se però se ne stessero in disparte, senza pretendere una particolare difesa, e soprattutto non aspirassero a quella cosa che fa rizzare i capelli in testa anche a parecchi politici, addirittura il matrimonio e l’adozione, o anche solo i patti civili di convivenza. Quando in parlamento un cosiddetto onorevole, il leghista Buonanno, parla di lobby sodomita, ha le sue ragioni, perché si assicura qualche voto, e magari non solo leghista. Resta da chiedersi se basterebbero queste leggi, in Italia, per impedire a un ragazzino che teme di non essere quello che si vantano di essere gli altri, come se fosse merito loro, di buttarsi da un terrazzo, nel vuoto del disamore e dell’indifferenza degli altri, della sua fragilità e infelicità vissuta nel silenzio e nella solitudine.

Da La Repubblica del 12/08/2013.

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a proposito del ragazzino gay suicida

 

micino primaverile

ha fatto giustamente parlare e riflettere molto la notizia del ragazzino quattordicenne suicida perché denigrato e incompreso socialmente e familiarmente, incapace quindi di gestire in totale solitudine le incertezze della sua dimensione sessuale

trovo opportune queste indignate domande e riflessioni preliminari, che attendono certo ulteriori e più pacati approfondimenti, che ho trovato nel blog ‘cor-pus’:

  sessualità obbligata, sessualità deviata 
 .

quando leggo di un ragazzo di 14 anni che si uccide perchè si sente gay e gli altri lo classificano come tale, vorrei gridare: chi in tutta onestà non ha sentito a quell’età in certi momenti di poterlo essere?

chi mette in testa agli adolescenti di oggi che si vive incasellati dentro categorie invalicabili?

chi propaga questa idea di sessualità incanalata, obbligata, rigida, predefinita?

in una parola, deviata?

i veri deviati sessuali sono loro, questi etero obbligati.

* * *

lo fanno sia coloro che ritengono di dovere ostentare la loro virilità perseguitando chi esprime un modo di essere maschile diverso dal loro.

ma lo fanno anche coloro che sono pronti a incasellare come cosa propria qualunque incertezza, curiosità, crisi di fiducia, che a 14 anni sono cosa del tutto comune.

* * *

chi dirà ai ragazzi d’oggi la verità sul sesso, cioè sulla loro stessa identità?

anche sessualmente, ognuno di noi è un unicum, e poveretti coloro che perdono la loro unicità prima ancora di cominciare a viverla pienamente, per correre a incasellarsi nelle definizioni senza fantasia che porteranno soltanto noia a loro e a chi si avvicinerà a loro…

vivere e costruire la propria identità sessuale è una sfida da vincere in modo creativo.

 

 

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anche oggi il suo femminicidio

 

 

credere di far bene

ancora donne uccise, ancora cadaveri, ancora femminicidi, ancora donne che l’Italia non riesce a difendere dall’ ‘more violento e cieco’ dei maschi

sembra che ogni giorno ci riservi la sua pena e la sua tragicità

così Michela Marzano nel bell’articolo odierno su ‘La Repubblica’:

 

 

NON BASTA UN DECRETO

(MICHELA MARZANO).

 

Cristina, Erika e le altre quelle vittime innocenti che l’Italia non sa proteggere.
La strage.

IL CORPO di Lucia Bellucci è stato trovato chiuso nell’auto dell’ex fidanzato. L’ennesimo cadavere. L’ennesimo femminicidio.

UN’ENNESIMA tragedia che — come si dice sempre dopo — forse si poteva evitare. Dopo, sì. Se Lucia avesse denunciato l’ex compagno. Se la sua denuncia per stalking fosse stata ascoltata davvero. Se, soprattutto, le vittime fossero realmente protette. Ma le loro storie, così diverse, hanno spesso una solitudine in comune. Cristina Biagi, uccisa a Massa dall’ex marito il 28 luglio scorso, aveva sporto denuncia per stalking. Esattamente come Erika Ciurlo, assassinata a Taurisano il 29 luglio. L’aveva fatto anche Tiziana Rizzi, accoltellata in provincia di Pavia l’8 luglio e Marta Forlan, uccisa con diversi colpi di arma da fuoco in provincia di Cuneo. Sono donne e ragazze che, anche dopo aver denunciato i propri mariti, compagni, amanti ed ex, continuano a morire non solo a causa della gelosia, della smania di possesso e della violenza insopportabile degli uomini, ma anche per colpa della mentalità e dell’inefficienza di un paese che non riesce ancora a trovare un modo per ascoltarle, aiutarle e proteggerle. Ormai è quasi ogni due giorni che, in Italia, si registra un femminicidio: sono 78 dall’inizio dell’anno. Nonostante le denunce. Nonostante la legge contro lo stalking in vigore dal 2009 e tutte le altre misure recentemente adottate.
Certo, l’8 agosto, il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto che riguarda proprio la lotta contro la violenza nei confronti delle donne. Certo, questo nuovo decreto, che la Presidente della Camera ha annunciato di voler incardinare in Aula tra il 19 e il 20 agosto, prevede querele irrevocabili nei confronti degli uomini violenti, arresti obbligatori per maltrattamento e stalking, molteplici aggravanti nei confronti dei coniugi e compagni, processi più rapidi verso i presunti colpevoli. Ma si può anche solo immaginare che la repressione possa permettere di risolvere questa piaga contemporanea? Non è solo con un decreto che si possono proteggere veramente le vittime della violenza maschile e prevenire tragedie come quelle cui si sta assistendo impotenti da ormai troppo tempo.
Il dramma delle violenze contro le donne è sintomatico di una società che ha ormai perso tutta una serie di parametri di riferimento. Non è solo una questione di ignoranza e di non-rispetto delle regole della civiltà. È anche e soprattutto un problema di immaturità e di narcisismo. Sono troppi coloro che, insicuri e forse bisognosi di affetto, considerano come un proprio diritto impossessarsi dell’altro e di trasformarlo in un oggetto. Sono troppi coloro che, respinti e allontanati, vivono il rigetto con rancore e risentimento, come se il semplice “no” di una donna li svuotasse di senso. Ecco perché non si tratta di un problema solo legato al tradizionalismo maschilista del passato, ma anche alla fragilità identitaria dell’uomo contemporaneo. Al giorno d’oggi, gli uomini violenti appartengono a qualunque classe sociale e ceto, e alcuni sono anche celebri professionisti. Non conta né il rango sociale, né la situazione economica. Conta la loro incapacità di sopportare la perdita, come se il semplice fatto di perdere la propria donna significasse una perdita d’identità. Il dramma della violenza non lo si può solo combattere con il rigore delle leggi — anche se le denunce per stalking dovrebbero implicare una reale protezione delle vittime, impedendo per esempio il contatto con gli uomini che le hanno minacciate. Non ci si può solo limitare ad annunciare pene più severe, perché nonostante il carattere dissuasivo delle pene non è mai la legge che ha potuto impedire l’esistenza di crimini e delitti. Per contrastare le violenze contro le donne, c’è bisogno di ripensare anche le relazioni umane.
La violenza non la si può eliminare del tutto. Ma la si può e la si deve contenere. E per farlo, la chiave è e sarà sempre l’educazione. Per far capire a tutti e tutte, fin da piccoli, che il proprio valore è intrinseco e non strumentale; che ogni persona, a differenza delle cose che hanno un prezzo, non ha mai un prezzo ma una dignità; che la dignità non dipende da quello che gli altri pensano di noi, da quello che gli altri ci dicono o meno, da quello che gli altri ci fanno. Non si può combattere la violenza se non si educano le donne alla consapevolezza del proprio valore e della propria libertà. Esattamente come non si può combattere la violenza se non si educano gli uomini alla consapevolezza del valore e della libertà altrui.

Da La Repubblica del 13/08/2013.

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un bell’incontro a Roccalanzona

 

RoccalaRoccalRocca

l’amicizia fa fare kilometri per incontrarci

è accaduto ieri nel minuscolo paesino di Roccalanzona all’osteria Cenci ‘da Sincero’ per stare un po’ insieme scambiandoci quattro chiacchiere e scorgendoci sostanzialmente in buona salute nonostante il … volare del tempo

va da sé che il tutto è stato ulteriormente rallegrato da un buon bicchiere di rosso e bianco ‘della Rocca’ con un insuperabile prosciutto, tortelli, cinghiale e altro: non ci siamo proprio fatti mancare nulla, data la circostanza

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